lunedì 20 dicembre 2021

Matteo 14,22-33, commento di Stefano Molino

22 Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». 28 Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

https://www.youtube.com/watch?v=DYHXE6mz084




domenica 18 dicembre 2016

NON UN PUNTO DI ARRIVO, BENSÌ UN TRAMPOLINO DI LANCIO (NEEMIA 12-13)

Neh 1:3-4 (3)  E quelli mi risposero: “I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in gran miseria e nell’umiliazione; le mura di Gerusalemme restano in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco”. (4)  Quando udii queste parole, mi misi seduto, piansi, e per molti giorni fui in grande tristezza. Digiunai e pregai davanti al Dio del cielo.
Neh 2:4-5 (4)  E il re mi disse: “Che cosa domandi?” Allora io pregai il Dio del cielo; (5)  poi risposi al re: “Se ti sembra giusto e il tuo servo ha incontrato il tuo favore, mandami in Giudea, nella città dove sono le tombe dei miei padri, perché io la ricostruisca”.
Neh 4:1-2 (1)  Quando Samballat udì che noi costruivamo le mura, si adirò, s’indignò moltissimo, si fece beffe dei Giudei, (2)  e disse in presenza dei suoi fratelli e dei soldati di Samaria: “Che fanno questi Giudei indeboliti? Li lasceremo fare? Offriranno sacrifici? Finiranno in un giorno? Faranno forse rivivere delle pietre sepolte sotto mucchi di polvere e consumate dal fuoco?”
Neh 4:15(15)  Quando i nostri nemici si accorsero che eravamo al corrente dei loro piani, Dio rese vano il loro progetto, e noi tutti tornammo alle mura, ognuno al suo lavoro.
Neh 7:1-4(1)  Quando le mura furono ricostruite e io ebbi messo a posto le porte, e i portinai, i cantori e i Leviti furono stabiliti nelle loro funzioni, (4)  La città era grande ed estesa; ma dentro c’era poca gente, e non si erano costruite case.
Neh 8:5-9(5)  Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava nel posto più elevato; e, appena aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi.(6)  Esdra benedisse il SIGNORE, Dio grande, e tutto il popolo rispose: “Amen, amen”, alzando le mani; e s’inchinarono, e si prostrarono con la faccia a terra davanti al SIGNORE.(8)  Essi leggevano nel libro della legge di Dio in modo comprensibile; ne davano il senso, per far capire al popolo quello che leggevano.(9)  Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i Leviti, che insegnavano, dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al SIGNORE vostro Dio; non siate tristi e non piangete!” Tutto il popolo infatti piangeva, ascoltando le parole della legge.
Neh 11:1-2(1)  I capi del popolo si stabilirono a Gerusalemme; il resto del popolo ne estrasse a sorte uno su dieci perché venisse ad abitare Gerusalemme, la città santa; gli altri nove dovevano rimanere nelle altre città.(2)  Il popolo benedisse tutti quelli che si offrirono volenterosamente di abitare a Gerusalemme.
Questi versetti offrono un breve riassunto della storia di Neemia che abbiamo studiato nelle ultime settimane. In queste settimane abbiamo imparato a conoscere meglio Neemia, i suoi doni, le sue strategie, la sua passione. Oggi vedremo come si conclude il libro di Neemia, nello specifico i capitoli 12 e 13.
La prima parte del 12esimo capitolo è una lista di persone presenti a Gerusalemme. Noi vogliamo iniziare a leggere dal versetto 27
Neh 12:27-47  Per l’inaugurazione delle mura di Gerusalemme si mandarono a cercare i Leviti da tutti i luoghi dove si trovavano, per farli venire a Gerusalemme allo scopo di fare l’inaugurazione con gioia, con lodi e canti e suono di cembali, saltèri e cetre.  (28)  I figli dei cantori si radunarono dai dintorni di Gerusalemme, dai villaggi dei Netofatiti,  (29)  da Bet-Ghilgal e dal territorio di Gheba e d’Azmavet; poiché i cantori si erano costruiti dei villaggi nei dintorni di Gerusalemme.  (30)  I sacerdoti e i Leviti si purificarono e purificarono il popolo, le porte e le mura.  (31)  Poi feci salire sulle mura i capi di Giuda, e formai due grandi cori con i relativi cortei. Il primo si incamminò dal lato destro, sulle mura, verso la porta del Letame;  (38)  Il secondo coro si incamminò nel senso opposto; e io gli andavo dietro, con l’altra metà del popolo, sopra le mura. Passando al di sopra della torre dei Forni, esso andò fino alle mura larghe;  (39)  poi al di sopra della porta di Efraim, della porta Vecchia, della porta dei Pesci, della torre di Cananeel, della torre di Mea, fino alla porta delle Pecore; e il coro si fermò alla porta della Prigione.  (40)  I due cori si fermarono nel tempio di Dio; e così feci io, con la metà dei magistrati che erano con me,  (41)  e i sacerdoti Eliachim, Maaseia, Miniamin, Micaia, Elioenai, Zaccaria, Anania con le trombe,  (42)  e Maaseia, Semaia, Eleazar, Uzzi, Ioanan, Malchia, Elam, Ezer. E i cantori fecero risonare forte le loro voci, diretti da Izraia.  (43)  In quel giorno il popolo offrì numerosi sacrifici, e si rallegrò perché Dio gli aveva concesso una gran gioia. Anche le donne e i bambini si rallegrarono; e la gioia di Gerusalemme si sentiva da lontano. 
In queste versetti sono racchiusi la gioia di Neemia e la gioia di un popolo che ha portato a compimento un compito ricevuto da Dio. Neemia ha fatto un lavoro incredibile, ha trovato dei validi collaboratori ma il completamento delle mura, la riscoperta della parola di Dio, sono cose avvenute per grazia di Dio, perché Dio è potente, sovrano e fedele. Dio ha affidato a Neemia un compito e Dio ha usato Neemia fino all’ultimazione di questo compito. Alla fine di questo processo Neemia inaugura le mura di Gerusalemme con una grande festa, con migliaia di persone, due cori, strumenti e sacrifici. Il popolo festeggia, consapevole che la gioia di quel giorno è un dono di Dio. Le mura di Lucca ci aiutano ad immaginare cosa è successo quel giorno a Gerusalemme. Immaginatevi una folla di persone in festa formare due cortei, una in senso orario e uno in senso anti-orario, e percorrere le mura. Immaginate la gioia di queste persone che sanno di aver finalmente un luogo sicuro, che sanno di aver lavorato, faticato, sudato, combattuto per Gerusalemme e, soprattutto, per il Signore.
Forse il libro di Neemia sarebbe potuto finire qui: le mura sono finite, il lavoro è completato, i nemici sono stati sconfitti e il popolo è in festa. Ma una cosa che abbiamo scoperto di Neemia è che questo servo di Dio non era miope, non era un uomo di scarsa lungimiranza. Questa caratteristica la vediamo diverse volte: Neemia aveva preparato un piano da presentare al re, non aveva abbassato la guardia dopo aver sconfitto i propri nemici sapendo che essi sarebbero tornati alla riscossa, aveva capito che il problema di Giuda non era legato solo alle mura ma anche ai peccati del popolo, aveva lavorato non solo alla ricostruzione della citta ma anche al suo ripopolamento.  Neemia capisce che l’inaugurazione delle mura non è un punto di arrivo bensì un punto di partenza. Un punto di partenza da osservare attentamente. Neemia capisce che questo non è l’arrivo ma un trampolino di lancio e il futuro è tutto da costruire.  Le difficoltà sono dietro l’angolo. Il popolo di Dio sta per commettere una serie di errori. Al versetto 6 leggiamo che Neemia deve assentarsi per andare dal re Artaserse e al suo ritorno a Gerusalemme deve affrontare 4 problemi.
1-      Vv 4-9 in questi versetti leggiamo che il sacerdote Elisab non solo aveva permesso a Tobia, il nemico di Neemia, di entrare a Gerusalemme ma gli aveva concesso di usare, essendo con Tobia imparentato, una camera dei Leviti. Questo era sbagliato per almeno tre motivi: Tobia aveva mostrato di essere un nemico di Neemia e del popolo di Dio; Tobia era un ammonita e non poteva partecipare all’assemblea di Dio ed infine a Tobia era stata data una stanza che doveva svolgere un’altra funzione.
2-      Il secondo problema (vv 10-13) è che il popolo aveva smesso di dare l’offerta necessaria per il sostentamento dei leviti e dei cantori. Neemia richiama i Leviti che erano scappati, rintroduce le offerte e nomina quattro sorveglianti.
3-      Il terzo problema (vv 15-22) è che molte persone lavoravano durante il giorno del riposo, sabato, e compravano mercanzie dai Fenici. Neemia riprende le persone che non onorano il sabato, ricordando loro l’ira di Dio per queste azioni.
4-      L’ultimo problema (vv 23-28) è che i Giudei avevano sposato donne straniere. Il problema, ricorda Neemia, è che delle relazioni sbagliate fecero peccare anche il grande e saggio Salomone e possono far peccare tutte le persone, portandole ad essere infedeli verso Dio. Anche in questo caso Neemia interviene, questa volta anche in maniera fisica oltre che verbale.
In altre parole Neemia deve affrontare dei problemi legati a dei favoritismi famigliari sbagliati, alla cessazione delle offerte, a della priorità sbagliate e infine a delle relazioni che non glorificavano Dio. Cosa possiamo imparare da questi problemi che Neemia deve risolvere?
In quanto credenti ci siamo arresi al Signore. Una resa vittoriosa e gioiosa, simile in spirito alla festa dell’inaugurazione delle mura, perché è la miglior cosa che avremmo mai potuto fare. Attraverso questa resa abbiamo accettato il sacrificio di Gesù per i nostri peccati, e con il suo perdono abbiamo ricevuto una nuova identità.
Paolo la mette in questi termini: 2Co 5:17  Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove.
Così come il popolo di Giuda nel capitolo 12 gioiamo di fronte alla potenza e sovranità di Dio. Riconosciamo che lui opera grandemente e, così come ha portato a compimento la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, così come ha portato a compimento le promesse relative alla venuta del Messia e al suo ruolo redentivo, sappiamo che porterà a compimento le promesse relative alla sua chiesa. Il giorno in cui ci siamo arresi a Dio lo abbiamo riconosciuto come sovrano rispetto alle nostre famiglie, ai nostri averi, alle nostre priorità e alle nostre relazioni.
Al contrario di Elisab dobbiamo essere addirittura pronti ad abbandonare le nostre famiglie per amore di Cristo
Mat 10:37  Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me.
Al contrario dei Giudei non vogliamo smettere di essere generosi, seguendo l’esempio di Gesù che ha dato tutto sé stesso per noi. Come singoli e come chiesa dobbiamo impegnarci a sostenere l’avanzamento del regno di Dio, anche attraverso gli averi che Dio ci dà di amministrare.
Al contrario dei Giudei vogliamo che Dio diventi la priorità numero uno della nostra vita, rispetto al nostro lavoro, i nostri hobby, le nostre passioni. Dobbiamo mettere in pratica la Sua Parola, non in maniera legalistica ma sottomettendo tutto a Dio.
Al contrario dei Giudei vogliamo impegnarci affinché le nostre relazioni glorifichino Dio, affinché non siano relazioni che ci portano ad essere infedeli bensì relazioni che ci aiutino ad essergli fedele e relazioni nelle quali ci sentiamo liberi di proclamare che Gesù è il Signore della nostra vita, e questa è la miglior cosa che potesse capitare a tutti noi.
Il libro di Neemia si conclude con questi versetti:
Neh 13:30-31  Così purificai il popolo da ogni elemento straniero, e ristabilii i vari servizi dei sacerdoti e dei Leviti, assegnando a ciascuno il suo lavoro.  (31)  Diedi anche disposizioni circa l’offerta della legna ai tempi stabiliti, e circa le primizie. Ricòrdati di me, mio Dio, per farmi del bene!
Dopo il completamento delle mura Neemia continua a lavorare per il bene del popolo e per la gloria del Signore. Le ultimissime parole di Neemia sono una preghiera, come spesso è successo nella sua vita. Alla fine del suo lavoro Neemia non si rivolge al popolo per ricevere la sua ricompensa, ma si rivolge al Creatore per ricevere la sua ricompensa. Può sembrare quasi che la sua preghiera sia pretenziosa e troppo diretta. Invece credo che le parole di Neemia siano la naturale conseguenza di un uomo che ha servito Dio, che ha conosciuto Dio, che ha vissuto per Dio e che a Dio si rivolge sapendo che solo Lui può e vuole ricordarsi di lui per l’eternità e per l’eternità fargli del bene. Mettiamo, come singoli e come chiesa, Dio al primo posto nella nostra vita, prima delle nostre famiglie e delle nostre relazioni, dei nostri averi e delle nostre abitudini e anche noi potremo unirci alle parole di Neemia e dire “Ricordati di noi, nostro DIO, per farci del bene!”

RIEMPIRE MURA VUOTE ASCOLTANDO LA LEGGE…

Tanto i popoli quanto gli individui conoscono alti e bassi. Tanto i popoli quanto gli individui hanno momenti di punizione, di sofferenza e momenti di riforma. Quello che leggiamo oggi nel libro di Neemia è un magnifico esempio di come sia giusto intraprendere un nuovo cammino, dopo aver conseguito un qualche tipo di successo materiale. Neemia è arrivato a completare la missione per cui è partito: ricostruire le mura di Gerusalemme. Queste mura non staranno in piedi da sole. Hanno bisogno di persone, le cui mura interiori sono a loro volta ricostruite e rinnovate, cosa per cui sono richiesti strumenti opportuni. Essendo i capitoli 7,8,9,10,11 caratterizzati da lunghi elenchi e da diverse parti narrative, cercheremo di coglierli nel loro insieme, precisando il senso degli elenchi, e soprattutto il collante che li tiene insieme: siamo davanti ad una splendida lettura della Parola di Dio che rivoluziona, riforma e rilancia un popolo prima afflitto e poi risollevato. Questo è il tema di questi capitoli. Le mura non stanno in piedi da sole. C’è bisogno di una legge che continui a tenerle in piedi. 
1. Il piacere di contare. Dal capitolo 7 di Neemia. 
4 La città era spaziosa e grande; ma dentro vi era poca gente e non si costruivano case. 5 Il mio Dio mi ispirò di radunare i notabili, i magistrati e il popolo, per farne il censimento.
Trovai il registro genealogico di quelli che erano tornati dall’esilio la prima volta e vi trovai scritto quanto segue:
66 La comunità nel suo totale era di quarantaduemila trecentosessanta persone, 67 oltre ai loro schiavi e alle loro schiave in numero di settemila trecentotrentasette. 
Una prima costatazione di Neemia riguarda la pochezza della popolazione di Gerusalemme. Nonostante ci siano le infrastrutture, manca chi le popola. Neemia decide dunque di vedere su chi può contare e fa un censimento, ripetendo la stessa lista che già Esdra aveva redatto. (Esdra 2). Questi elenchi su cui passiamo velocemente non conoscendo di persona i nomi che vi sono riportati, stanno in realtà ad indicare la ricchezza di essere umani, di anime di cuori che costituiranno il futuro della Gerusalemme rinnovata. Si tratta di un bel numero totale, 42360 persone, ma pochi in Gerusalemme. Immagino che questo elenco di a Neemia un certo coraggio in quanto si rende conto che benché ci sia poca gente a Gerusalemme, può contare su alcune persone per un nuovo sogno: ripopolare Gerusalemme. Non si tratta di carnale gioia dei numeri, di vedere delle quantità, ma della gioia di vedere che degli essere umani tornano a popolare dei luoghi rimasti tristemente in rovina. 
Credo che lo stesso sogno debba animare noi. Se Neemia aveva a cuore di ripopolare la Gerusalemme terrestre, a noi sta davanti il sogno di ripopolare la Gerusalemme celeste! E questa sarà costituita da tutte quelle persone che nelle innumerevoli città di oggi risponderanno positivamente al vangelo: quando prego per le persone della mia chiesa e prendo i membri ad uno a uno, sono preso da una grande gioia perché per quanto si possa essere pochi, so che Dio può contare su certe persone. E questo mio piccolo censimento mi fa sognare che un grande popolo di persone della mia città, delle città vicine sarà scritto non nel censimento di Neemia, ma nel libro della vita! 
La desolazione di Gerusalemme ricostruita ma priva di persona dovrebbe colpire il cuore degli europei più che quello di altri popoli. Viviamo in un’Europa post-cristiana che ha creduto per molti secoli di essere cristiana (quanto lo fosse in verità Dio solo lo sa), e che oggi porta ben pochi cittadini alla Gerusalemme celeste… Il materialismo che avanza, il raffreddamento della fede di molti, l’indifferenza alle cose dello Spirito ci devono spingere proprio a seguire i passi di Neemia: facciamo in censimento per vedere su chi possiamo contare, e sognano di ripopolare le città, di anime incendiate dal vangelo! 
2. Su che basi si ripopola la città? Dal capitolo 8: 1-3
1 Allora tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque e disse ad Esdra lo scriba di portare il libro della legge di Mosè che il Signore aveva dato a Israele. 2 Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.3 Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci di intendere; tutto il popolo porgeva l’orecchio a sentire il libro della legge. 
Finora abbiamo insistito sul ruolo importante di Neemia, su come egli, seppure umilmente, abbia saputo motivare, incoraggiare, difendere ed agire. Questo capitolo si apre su un fatto assolutamente centrale: la rivalutazione della Legge, della parola di Dio. Non è certo la prima volta che una riforma è determinata dal ritorno alla parola di Dio: si pensi alle riforme di Asa, di Ezechia, di Giosia, in cui la legge svolge sempre un ruolo determinante. Quando si dà importanza alla Parola di Dio, qualcosa si smuove… 
Notiamo qualcosa di fondamentale: 1) Torna in scena Esdra, il sacerdote che aveva avuto un ruolo tanto importante nel far tornare la comunità degli esuli in Israele. Ma adesso l’iniziativa di leggere la Legge non è di Esdra, ma del popolo ! È il popolo che si raduna come un solo uomo, e che chiede di portare il libro della legge e di leggerlo! Non è lui il leader carismatico che li convince, è il popolo stesso che chiede! 2) Ad ascoltare la lettura e le spiegazioni sono proprio tutti, senza distinzioni di sesso e di età. È un fatto bello ed incredibilmente moderno. Donne e bambini nel mondo antico non avevano un grandissima considerazione, ma qui sono esplicitamente esposti all’ascolto e alla spiegazione della Scrittura. 
Possiamo pensare alla Riforma protestante. È nata perché non un solo uomo, ma più persone insieme hanno riconsiderato l’importanza della Bibbia nei sui scritti originali, ed hanno ricominciato a studiarla. Possiamo pensare ai diversi risvegli avvenuti a più ondate nelle chiese protestanti: hanno avuto luogo quando si è voluto rimettere al centro della vita la Parola di Dio. Dobbiamo allora pensare a noi, alla nostra vita personale e di chiesa: non mettiamo mai di lato la lettura e la spiegazione della Scrittura, perché sommersi da mille attività, magari ottime e benedette. Per avere una città piena di persone vive spiritualmente bisogna partire dalla Scrittura, ed esporre alla Scrittura tutti: uomini, donne bambini, che hanno desiderio di ascoltare. 
3. Gli effetti della lettura della Legge. Dal capitolo 8: 8-18
8 Essi leggevano nel libro della legge di Dio a brani distinti e con spiegazioni del senso e così facevano comprendere la lettura. 9 Neemia, che era il governatore, Esdra sacerdote e scriba e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Perché tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge10 Poi Neemia disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». 11 I leviti calmavano tutto il popolo dicendo: «Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!». 12 Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri e a far festa, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate.13 Il secondo giorno i capifamiglia di tutto il popolo, i sacerdoti e i leviti si radunarono presso Esdra lo scriba per esaminare le parole della legge. 14 Trovarono scritto nella legge data dal Signore per mezzo di Mosè, che gli Israeliti dovevano dimorare in capanne durante la festa del settimo mese. 15 Allora fecero sapere la cosa e pubblicarono questo bando in tutte le loro città e in Gerusalemme: «Andate al monte e portatene rami di ulivo, rami di olivastro, rami di mirto, rami di palma e rami di alberi ombrosi, per fare capanne, come sta scritto». 16 Allora il popolo andò fuori, portò i rami e si fece ciascuno la sua capanna sul tetto della propria casa, nei loro cortili, nei cortili della casa di Dio, sulla piazza della porta delle Acque e sulla piazza della porta di Efraim. 17 Così tutta la comunità di coloro che erano tornati dalla deportazione si fece capanne e dimorò nelle capanne. Dal tempo di Giosuè figlio di Nun fino a quel giorno, gli Israeliti non avevano più fatto nulla di simile. Vi fu gioia molto grande. 18 Esdra fece la lettura del libro della legge di Dio ogni giorno, dal primo all’ultimo; la festa si celebrò durante sette giorni e l’ottavo vi fu una solenne assemblea secondo il rito. 
Quando si legge la legge del Signore in modo profondo, ascoltando profondamente, e lasciando che un po’ come uno specchio questa ci riveli chi siamo, ed un po’ come una spada ci corregga, ecco che qualcosa di forte si smuove dentro il cuore dei singoli o dentro un’intera comunità: il dolore ed il pianto vengono naturali, perché si prende coscienza della gravità della condizione umana. Il popolo capisce chi veramente è. E questo capita a chiunque legga la Bibbia: ci sarà la gioia, ma c’è anche la convinzione di errore, di peccato, e della posizione in cui siamo rispetto a ciò che Dio chiede. Tuttavia il giorno in cui Neemia ed Esdra leggono la Bibbia, e ricominciano a celebrare la festa delle capanne è un giorno di gioia. Prima ancora di disperarsi, e di sentirsi schiacciati dal peso della colpa ci deve poggiare sulla bontà di Dio! Sebbene la comunità sia una comunità che ha commesso errori e che viene da un popolo di peccatori, Dio ha permesso la ricostruzione ed il ritorno. Prima ancora di pentirsi ci si deve rallegrate per questa grazia! 
Non è facile schematizzare le fasi di un pentimento, o di un riavvicinamento a Dio, ma di sicuro un motivo di forza e di gioia è quello di sapere che: «Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito » (Rom 5,6). Benché carichi di sensi di colpa sappiamo di avvicinarci ad un Dio di persono, che invita in quel giorno a celebrarlo, e a condividere cibo e letizia con gli altri. Un vero pentimento può cominciare dalla gioia di sapere che il perdono è già stato dato, e che la ricostruzione è possibile, altrimenti c’è solo disperazione e il timore di mettersi le mani di un Dio giudice. Il Dio che Neemia annuncia è un Dio di grazia che accetta un popolo che sta esaminando il proprio cuore, ma che può reggere all’esame della Scrittura proprio perché sa di essere giudicato da un Dio severo ma amorevole che perdonerà. 
È quanto predichiamo anche oggi, nel momento in cui ci riavviciniamo a Dio. 
4. Confessione e preghiera. Capitolo 9
1 Il ventiquattro dello stesso mese, gli Israeliti si radunarono per un digiuno, vestiti di sacco e coperti di polvere. 2 Quelli che appartenevano alla stirpe d’Israele si separarono da tutti gli stranieri, si presentarono dinanzi a Dio e confessarono i loro peccati e le iniquità dei loro padri. 3 Poi si alzarono in piedi nel posto dove si trovavano e fu fatta la lettura del libro della legge del Signore loro Dio, per un quarto della giornata; per un altro quarto essi fecero la confessione dei peccati e si prostrarono davanti al Signore loro Dio 
33 Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è avvenuto, poiché tu hai agito fedelmente, mentre noi ci siamo comportati con empietà. 34 I nostri re, i nostri capi, i nostri sacerdoti, i nostri padri non hanno messo in pratica la tua legge e non hanno obbedito né ai comandi né agli ammonimenti con i quali tu li scongiuravi. 35 Essi mentre godevano del loro regno, del grande benessere che tu largivi loro e del paese vasto e fertile che tu avevi messo a loro disposizione, non ti hanno servito e non hanno abbandonato le loro azioni malvagie. 36 Oggi eccoci schiavi nel paese che tu hai concesso ai nostri padri perché ne mangiassero i frutti e ne godessero i beni. 37 I suoi prodotti abbondanti sono dei re ai quali tu ci hai sottoposti a causa dei nostri peccati e che sono padroni dei nostri corpi e del nostro bestiame a loro piacere, e noi siamo in grande angoscia». 
«A causa di tutto questo noi vogliamo sancire un impegno stabile e lo mettiamo in iscritto. Sul documento sigillato vi siano le firme dei nostri capi, dei nostri leviti e dei nostri sacerdoti». 
Questa gioia non esclude un reale pentimento. Queste persone stanno 6 ore ad ascoltare la lettura della legge! Seguono 6 ore di confessione di peccato. Ripercorrono tutta la storia di Israele, fino ad arrivare alla loro presente situazione. Mi pare che questo percorso sia caratterizzato da diversi elementi.: 1)Una grande pazienza (6 ore di ascolto, e sei di pentimento) ; 2) Una grande lucidità su se stessi: siamo noi ad aver peccato! 3) Un presa di responsabilità rigorosa: Dio non c’entra, il peccato lo hanno commesso loro. 4) La volontà di cambiare in concreto: nuovo impegno e sottoscrizione di intenti. 
Chi si vuole pentire di un qualche errore che sente gravare sulla propria coscienza, proprio come capita a questa comunità, deve seguire le stesse tappe. Non serve correre e sfuggire ai propri sensi di colpa nella fretta di essere perdonati. Non serve girare intorno alle proprie colpe, cercando di scaricarle su qualcuno, né rendere il Dio sovrano di tutto responsabile dei nostri errori. Non so come si faccia oggi a vestirsi di sacco, e a cospargersi il capo di polvere, e posso suggerire che potrebbe trattarsi di avere un atteggiamento contenuto e sobrio, proprio perché chi sta lavorando dentro se stesso alla luce della parola di Dio è bene che sia un po’ riservato, un po’ come non si vedono gli esterni e gli esterni dei palazzi che qualcuno sta restaurando e che copre con dei pannelli… Non si tratta di nascondersi, anzi, qui le persone mostrano pubblicamente la loro afflizione, ma dopo essere rallegrati nella festa viene il momento, doloroso forse, di lavorare. Di considerare passo per passo gli errori fatti che la Scrittura dichiara tali. Loro ripercorrono le tappe del popolo di Israele, noi possiamo percorrere quelli delle nostre chiese, delle nostre società e quelli della nostra vita. Sta di fatto che il percorso non è un percorso leggero, ma un percorso lungo, faticoso ed in quanto tale duraturo. 

CONCLUSIONE

NEEMIA 11, 1

1 I capi del popolo si sono stabiliti a Gerusalemme; il resto del popolo ha tirato a sorte per far venire uno su dieci a popolare Gerusalemme, la città santa; gli altri nove potevano rimanere nelle altre città. 
Siamo partiti dalla necessità di ripopolare la città su solide basi. La conclusione è che il popolo ha fatto un percorso umano, spirituale ed anche demografico: una volta rinnovati fanno un calcolo percentuale per cui il 10% di ogni tribù andrà a ripopolare la città santa. 
Vediamo ancora che il sogno di Neemia è un sogno completo: è una missione materiale, ma ha un valore spirituale. Ricostruisce le mura fisiche, ma le riempie di uomini vivi. Questi uomini non sono solo vivi, sono vivificati dal confronto con la Parola di Dio. Noi vogliamo operare per la gloria della Gerusalemme celeste annunciando, praticando, e seguendo la Parola di Dio, che sia sempre al centro della nostra vita. AMEN

LE MURA SONO PRONTE! MA A QUALE PREZZO? Neemia 6

I tre complotti contro Neemia
Per leggere Neemia capitolo 6 clicca qui:
Sarebbe istruttivo cominciare a leggere il capitolo 6 da un verso che è quasi alla fine, il 15: «Or, le mura furono condotte a termine il venticinquesimo giorno del mese di Elul, in cinquantadue giorni». È un’affermazione apparentemente sobria e di semplice costatazione, ma in realtà risuona come una vera e propria celebrazione! La missione per cui Neemia è partito da Susa, lasciando il suo lavoro ed ascoltando la voce di Dio, è andata a buon fine! Ha avuto successo, e la rapidità dei lavori è stata impressionante. Ci si potrebbe soffermare sulla potenza di Dio che opera fedelmente, consentendo azioni che hanno del miracoloso, e lo faremo, ma è bene guardare cosa sia successo prima. Prima del successo, Neemia ha conosciuto le minacce, gli attacchi, e le difficoltà. Lo abbiamo già visto negli scorsi capitoli, ma in ogni parte del libro cogliamo un carattere diverso. Ci ricordiamo inoltre che quanto leggiamo è in perfetta armonia con quanto succede oggi con la predicazione del vangelo: questa non avviene mai nella totale tranquillità e nel coronamento di continui successi. È sempre accompagnata da persecuzione o lotta in varie forme e in questo capitolo lo vedremo bene. 
1. Il tranello di Samballat e Geshem: minare il rapporto tra Neemia e Artaserse
Inizialmente i nemici di Neemia hanno tentato di fermare l’opera di ricostruzione. Ora si trovano davanti all’evidenza dei fatti, perché le mura sono ricostruite e la missione ha avuto successo. Tentano dunque di ricorrere ad altri espedienti per screditare Neemia, e danneggiare quanto è già stato fatto. Dopo qualche tranello per allontanarlo dal lavoro e affrontarlo da solo in un posto lontano, vedendo che persino l’insistenza con Neemia non funziona, scelgono di cambiare tattica: raccontare una calunnia secondo cui Neemia vorrebbe autoproclamarsi re di Giuda, rompendo quel rapporto di fiducia istaurato con il re Artaserse. v. «Queste cose saranno riferite al re! Vieni e consultiamoci insieme». Oltre alla calunnia si aggiunge la falsità, in quanto Samballat e Geshem qui si fingono amici, sembra che vogliano aiutare Neemia a sfuggire da queste eventuali accuse. 
È invece importante osservare la fedeltà e la dirittura morale di Neemia che non cede a queste pressioni, ma che soprattutto rimane fedele al re – pagano – di cui è servitore e che lo ha aiutato. Per Neemia il fine non giustifica i mezzi. Si potrebbe pensare che una volta ricostruita Giuda, una volta fortificata la città indebolita, una volta rinfrancato il senso di comunità dei Giudei assieme al popolo rimpatriato, si potrebbe tranquillamente pensare di disfarsi del giogo persiano e tornare alla libertà. Le profezie di Ezechiele sulla resurrezione di Israele erano già state scritte e politicamente parlando ci sarebbero stati abbondanti argomenti per ricostruire un Israele indipendente. Ma Neemia non lo fa e rimane fedele alla relazione con Artaserse sebbene si tratti di un re che non adora lo stesso suo Dio e che dall’oggi all’indomani potrebbe morire o cambiare idea, con il rischio che suoi eventuali successori mandino all’aria quanto fatto da Neemia. 
Mi pare un esempio importante per dire che oggi la predicazione del regno di Dio, l’annuncio del vangelo non può non essere accompagnato da esempi di coerenza e di stili di vita capaci di creare relazioni di sincera lealtà. Probabilmente non ci capita oggi di essere investiti di missioni richieste da qualcuno che non è cristiano. Ci capita però di ricevere come singoli fiducia da un datore di lavoro, da un superiore. È importante sapere e ricordare che nel momento in cui facendo il nostro lavoro annunciamo il vangelo, ci sarà qualcuno che minerà questo rapporto di fiducia insinuando che stiamo portando avanti interessi personali. Accadrà alle chiese che quando cercano di fare qualcosa di buono per la loro città, aiutando bisognosi in varie forme, vengano accusate di proselitismo, minando il rapporto tra chiese e autorità della città… Tutto questo avverrà e il libro di Neemia, nonostante la sua diversità di contesto è lì a ricordarci che Neemia non si è fermato, ma è andato avanti rimanendo onesto. 
Non solo non si è fermato ma, come abbiamo visto sin dall’inizio del libro, ha trovato in Dio la forza di resistere. Il v. 9, esplicita il fine del complotto dei nemici: fermare le mani. Neemia risponde con una preghiera che chiede a Dio di fortificargli le mani. Più è forte l’attacco più Neemia ricorre a Dio chiedendo forza, aprendo la stessa strada che vogliamo seguire noi. Pregare e continuare ad agire. Né agire senza pregare, né pregare senza agire, ma agire pregando e pregare agendo!
2. Il complotto di Semaia: minare il rapporto tra Neemia e Dio. (10-14)
Non riuscendo ad infrangere il rapporto tra Neemia ed Artaserse il trio nemico trova un nuovo espediente. Quello di pagare un amico di Neemia convincendolo ad enunciare una falsa profezia sull’eventuale morte di Neemia, per spaventarlo e dissuaderlo dal continuare i lavori. Il tradimento è tragico in quanto sembra essere Neemia che va da Scemaia, forse per chiedere soccorso, e proprio questo lo tradisce, facendogli una proposta che Neemia ritiene inaccettabile: rifugiarsi nel tempio. Perché inaccettabile? I primo acchito si potrebbe pensare ad una violazione del luogo santissimo a cui avevano accesso solo i sacerdoti, con l’aggravante che la funzione del tempio viene distorta: diventa un rifugio e non un luogo per lodare Dio. A meglio guardare il problema è probabilmente un altro: «Potrebbe un uomo simile a me entrare nel tempio per avere salva la vita?» Accettare di entrare nel tempio, di starsene lì rinchiuso come Semaia, significa molto chiaramente abbandonare il campo di battaglia, il completamento dell’opera di ricostruzione che manca ancora di qualche elemento (i battenti), e quindi, in ultima analisi, mancare di fiducia nei confronti di Dio. E se i nemici riescono a rompere questo rapporto tutto è finito, perché manca il vero mandante della missione, che ne è anche il fine ultimo. 
Quando Gesù fu tentato da Satana nel deserto il Diavolo uso una strategia simile: «se tu sei il figlio di Dio…» quasi a minare la sua identità. Quando predicheremo il vangelo e lo annunceremo in modo radicale, profondo, tagliente come è tagliente la spada a due tagli della parola di Dio (Ebrei 4), ci saranno mille tentativi di minare questo rapporto tra noi e Dio, che ci spingono a «privatizzare la fede», a vivercela nel tempio che non è più un luogo di promulgazione ma di protezione. Il nostro secolo è in parte riuscito a convincere i credenti a starsene chiusi nelle chiese, quasi a doversi difendere da un mondo avverso e cattivo, facendo dimenticare loro che il lavoro è fuori, per ricostruire le mura, e soprattutto facendo loro dimenticare che la fedeltà di Dio si vede soprattutto fuori, tra i rischi, tra le difficoltà, non nel clima protetto delle mura delle chiese. 
Questa volta la preghiera conclusiva di Neemia non è dolce ed amorevole, ma indignata per la gravità dell’attacco subito. Neemia non mostra di essere vendicativo quando dice «Ricordati di Tobia e di Sambalat, e di Noadiah», ma semplicemente di aver capito quanto sia blasfemo tentare di intaccare il rapporto di una persona con il suo Dio. Per altro si tratta di una preghiera in cui Neemia evita di reagire, di trattare i suoi avversari rispondendo loro per le rime, ed in cui rimette la loro sorte nelle mani di Dio, invocando giustizia. Sono preghiere che possiamo prendere proprio quando abbiamo subito un torto o quando qualcosa ci indigna, rispetto a cui chiediamo a Dio di intervenire, come i martiri nell’apocalisse gridano: «Signore fino a quando?». Sono testimonianza di una preghiera viva, che grida a Dio nel successo come nella paura. 
3. Il complotto delle lettere: minare il rapporto tra Neemia e la comunità
Rileggiamo ora il verso che abbiamo citato all’inizio, che annuncia il successo. L’opera compiuta in 52 giorni è qualcosa di eccezionale e tutti ne sono stupiti. Si potrebbe pensare che la comunità sia finalmente contenta e che Neemia non abbia più problemi. Non è così! I complotti continuano con delle lettere nel tentativo adesso di rovinare il rapporto tra Neemia e la sua comunità. I notabili probabilmente tentano di far passare per un amico questo Tobia che amico non è o di nascondere quanto successo. Le fratture tra Giudei e popolo ritornato riemergono e la gestione della città, benché le mura siano pronte, e tutt’altro che facile. 
Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se avessero avuto a disposizione le e-mail o whatsapp che oggi sono capaci di spostare i voti delle elezioni…
Ne traiamo una lezione molto importante. Per realizzare qualcosa di bello per il Signore è imprescindibile lavorare insieme, e le chiese devono fare questo, imparare a lavorare insieme, come una squadra. In questa cooperazione ci saranno sicuramente incomprensioni, fraintendimenti, offese, e modi diversi di vedere, che i vari Samballat, Geschem e Tobia prenderanno come pretesti per dividere e rovinare. Più si costruirà, più si crescerà come chiesa e più questi rischi aumenteranno. Non illudiamoci che il regno di Dio arrivi ad un punto per cui si possa dire che ci si può fermare, che il lavoro svolto è compiuto e che non c’è più niente da temere. Le difficoltà continuano, e la chiesa cresce insieme alla gramigna. 
Questa volta non c’è una preghiera conclusiva di Neemia, tuttavia il passo è celebrativo: le nazioni sono costrette a riconoscere l’opera di Dio, e sono spaventate dalla sua forza. È una preghiera di lode implicita che la comunità fa, e che porta anche chi non ne fa parte a prendere atto che c’è un Dio che fa delle opere. La nostra speranza è che ciò che portiamo avanti e che viene dal Signore abbia la stessa eco. 
Conclusione
I nemici di Dio hanno un progetto ben chiaro: vogliono impedire che Dio venga glorificato. In tutto il passo compare più volte il termine «spaventare», «incutere timore»; oltre ai termini: disprezzo, vergogna, che ricadrebbero su Neemia. La fine è invece trionfante e lo è non tanto per la costruzione delle mura in sé, ma perché ora ad essere abbattuti e spaventati sono i nemici. 
Possiamo lottare nella consapevolezza che il nostro Dio, pur permettendo i complotti che abbiamo visto, ci porterà lungo un cammino in cui ciò che facciamo andrà alla sua gloria.

NEEMIA 5: IL NEMICO INTERNO

Per leggere il capitolo 5 del libro di Neemia clicca qui:
Introduzione: il popolo e i giudei
Per quanto molti popoli riescano ad unirsi intorno ad un sentimento nazionale, ad un’identità capace di rendere uno un popolo o paese, spesso le stesse persone che si sentono unite da qualcosa trovano facilmente modo di dividersi su molte altre cose. Gli italiani ad esempio si sentono tutti uniti quando gioca la nazionale dell’Italia o il primato della pizza, ma gli stessi che tifano per l’Italia una settimana prima odiavano gli stessi giocatori che invece che nella nazionali giocavano in una quadra a loro avversa, ed i mangiatori di pizza sono pronti a farsi la guerra se si tratta di stabilire se la pizzeria X faccia la pizza meglio della pizzeria Y… Passando su un terreno più serio, ci sono paesi africani come la Liberia, in cui gli «ex schiavi» deportati in America con la tratta dei neri, una volta rientrati in Africa grazie a movimenti anti-schiavisti di liberazione (da cui il nome Liberia) dopo tre secoli, hanno messo in piedi un sistema segregante e discriminatorio nei confronti degli stessi neri che dalla Liberia non si erano mai mossi… Apartheid tra neri in uno stato che porta il nome libertario di «Liberia»! 
Una situazione simile si verifica nel libro di Neemia al capitolo 5. Nei primi quattro capitoli abbiamo avuto l’impressione di un popolo coeso ed unito che conosce come unico elemento di disunità la minaccia esterna dei nemici stranieri. Ora vediamo per la prima volta, già dal primo versetto, che il popolo interessato alla ricostruzione delle mura di Gerusalemme non si presenta così unito come sembrava: da un lato abbiamo «il popolo», dall’altro i «giudei». Che differenza c’è tra questi due gruppi? I giudei sono quelli che sono sempre rimasti nella terra di Israele: quando nel 722 a.C. molti ebrei del regno dei Nord furono deportati in Assiria dal re Sennacherib II, rimasero diversi Giudei in Israele. Anche nelle successive deportazioni a Babilonia, come prigionieri esiliati dal re Nebucadnetsar, alcuni rimasero. In seguito tuttavia cominciarono a tornare. Con il «popolo», dunque, Neemia intende coloro che a più riprese sono tornati in patria: prima con Zorobabel, poi con Ezdra e adesso con Neemia. Dai primi due versetti vediamo che c’è una separazione tra questi due gruppi – un po’ come nel libro degli Atti (At 6) leggiamo di una separazione tra cristiani provenienti dall’ebraismo ed altri provenienti dal ellenismo – e che un gruppo si sente maltrattato dall’altro. Il problema di fondo è che chi torna in patria versa in situazioni economiche instabili e è nel bisogno e non trova l’aiuto dei «giudei» di quelli che sono sempre stati lì. 
Questo problema si impone al leader Neemia, che occupa una posizione mediana: è anch’egli un rimpatriato, uno che viene da fuori e che ha a cuore la sorte di Gerusalemme, proprio come gli esponenti del «popolo»; al contempo è sostenuto finanziariamente dal re Artaserse ed è un benestante quindi non ha problemi, come non ne hanno «I giudei». Per un leader che vuole rilanciare un popolo la sfida è difficile: è riuscito a convincere tutti dell’importanza di un progetto straordinario, quello della ricostruzione delle mura; è riuscito ad ottenere coraggio ed unità nella sconfitta dei nemici esterni; ora si trova davanti ad un nemico interno, quello della divisione… Per vedere come il Signore lo guida per tenere unito il popolo, vediamo su quali fattori insiste. 
1. Un uso saggio (riflettuto) del riferimento comune: la legge.
Il problema che si trova ad affrontare Neemia è complicato. Ci sono tre gruppi di persone, uno che chiede da mangiare, l’altro che è pronto ad impegnare i propri beni, e l’altro ancora che ha già impegnato i propri beni e persino venduto i propri figli come schiavi. Alcuni si sono venduti ai pagani, altri tra ebrei. Questi gruppi constatano l’ingiustizia e ne sono rattristati: è una stessa «carne» una stessa stirpe, uno stesso sangue, che non si aiuta, ma si sfrutta. C’è qualcosa che mi sorprende nella reazione di Neemia: prima si indigna, e potremmo aspettarci scatti di collera contro gli ingiusti; poi però comincia a riflettere. Invece dopo l’indignazione Neemia non procede immediatamente all’azione, ma va alla riflessione. 
Il problema non è banale perché ciò che i giudei hanno fatto nei confronti del popolo non è completamente proibito e risolvibile sul piano giuridico. La legge mosaica consentiva all’interno del popolo di vendersi come schiavi, per salvare famiglie impoverite. (Es 21,2-11; 22,24-26; Lev 25; Deut 15; 24, 10-13). Consentiva anche il prestito ma vietava l’interesse. Ne consegue che «i giudei» non avevano propriamente violato la legge di Mosè, o comunque l’avevano violata solo in parte, nella misura in cui esigevano degli interessi, e non avevano praticato la remissione ogni 6 anni. È possibile che stessero aspettando i sei anni e non facessero di tutto per favorire la liberazione dei loro fratelli, o che avessero visto una forma di guadagno nell’interesse applicato sui prestiti. Qualunque fosse la situazione non la si risolve semplicemente prendendo la Legge in mano e facendo notare l’errore. Che fare? La prima risposta è mettersi a riflettere. Fermarsi. Pensare. Neemia non agisce d’impulso, ma pieno di indignazione riflette. È probabile che avesse pronti i passi dell’AT che impongono la liberazione degli schiavi ed il condono dei prestiti, ma non sceglie di sbandierarli davanti al popolo. Preferisce prima riflettere. 
Come il popolo di Israele è capace di divisioni al suo interno, così la chiesa nei secoli ha visto numerose divisioni. Divisioni basate sul errori probabilmente chiari alla luce delle scritture, ma non facili da gestire. Forse in molti casi sono mancati dei leader capaci di riflettere dopo essersi indignati, e forse le parti avverse si sono fermate all’indignazione senza passare ad un momento di riflessione. Forse Neemia nella sua riflessione ha soppesato e meditato sui passi della Legge mosaica che permettevano prestito e schiavitù, ma al contempo li limitavano, ed ha poi invitato i suoi fratelli a soppesare i problemi. Di tutto il passo, rimango colpito dalla forza di quest’uomo che benché indignato trova la calma per rifletter tenere il popolo unito, e credo che egli sia un modello valido anche oggi. È valido anche per ognuno di noi che davanti ad imprese ben più piccole rispetto a quella di tenere unito un popolo si trova confrontato a diversi tipi di lotte e situazioni avverse, nelle quali riuscire a riflettere invece di esplodere di rabbia sarebbe certamente un primo passo verso la vittoria. 
2. Un appello al senso di fraternità
Quale argomentazioni trova Neemia per convincere i «giudei» del loro errore ed aiutarli a correggersi? Segue un percorso in quattro semplici fasi: 
1) In primo luogo dice chiaramente cosa non va. «Come? Prestate ad interesse ai vostri fratelli?» Sottolinea il legame tra giudei ed il popolo e ricorda loro che quando non camminano nel timore di Dio saranno «oltraggiati dai pagani». Neemia prende atto dell’opposizione tra ricchi e poveri, ed anziché radicalizzarla, invitando i poveri a rivoltarsi o cercando di ristabilire la giustizia con una rivoluzione, fa notare al popolo che dovrebbero prendere in considerazione un’altra opposizione: quella tra loro e i pagani. Questo non perché i pagani siano intrinsecamente cattivi o riprovevoli, ma semplicemente perché Neemia sa che Dio raggiungerà anche i pagani attraverso il messaggio che farà passare dal popolo di Israele. Se però il popolo è disunito il popolo viene oltraggiato e con esso il nome di Dio. I giudei, tenendo in schiavitù i loro fratelli hanno dato un pessimo esempio a coloro a cui avrebbero dovuto mostrare la grandezza di Dio. Basando il problema sul piano della legge, i giudei avrebbero potuto dire che la legge permetteva in parte le loro azioni. Ma il contesto più ampio del piano di Dio mostra che anche cose legittime non sono utili e che c’è qualcosa di più alto verso cui puntare, che la semplice legittimità di una pratica. Temere Dio significa capire non solo la regola, ma il senso della regola id il fine più ampio della legge.
2) In secondo luogo Neemia invita a restituire e condonare, sempre in nome del timore di Dio (v.10-11) cosa che i giudei accettano prontamente.
3) Invita ad impegnarsi con un patto davanti ai sacerdoti (v.12)
4) Aggiunge una minaccia per chi non si comporterà secondo l’impegno preso.
Nei secoli a seguire il popolo ha trovato nuovi motivi di disunità, ed in seguito la chiesa, innestata nel popolo di Dio ha ugualmente conosciuto numerose divisioni. Molte di queste sono necessarie e l’unità ad ogni costo dà pessime testimonianze come la disunità. Tuttavia varrebbe la pena osservare come il «metodo Neemia» sia troppo spesso disatteso. Quanto sarebbe bello vedere persone capaci di non adirarsi, capaci di far riconoscere i loro errori agli altri, invocando l’importanza dell’unità, con conseguenti impegni. Quanto sforzo c’è ancora da fare perché il nostro timore di Dio aumenti e perché il nome di Dio non sia oltraggiato… 
3. Un appello a Dio
Tutta la procedura di Neemia poggia su un costante appello a Dio. È il riferimento a Dio che fa la differenza tra il popolo e i pagani; è il timore di Dio che è invocato per convincere dell’errore; è Dio che sarà testimone del patto e che «scuoterà» chi non lo dovesse rispettare. Dopo il pentimento e l’impegno a restituire l’assemblea celebra il Signore (v.13). È molto bello vedere questo popolo che dopo aver ritrovato la sua unità tra uomini, si pone davanti a Dio e lo celebra, ristabilendo anche la sua unità con Dio. Non sappiamo se prima avessero celebrato, ma certamente qualora l’avessero fatto non sarebbe stata una celebrazione che saliva a Dio pacificamente. Per celebrare Dio bisogna prima aver rinsaldato i legami con i fratelli e trovato quella comunione con chi si vede e che viene da chi non si vede. 
Questo ci fa riflettere molto sul nostro modo di fare il culto. Non possiamo fare un culto laddove tra di noi ci siano segni di divisione e di rottura, o ancora peggio di prevaricazione e sfruttamento. Se è impossibile – e probabilmente sbagliato – unire tutte le chiese del mondo in una sola, è invece molto importante, sul piano locale, tra persone che si vedono come quelle del popolo che Neemia guida, essere veramente attenti all’unità, alla collaborazione, all’aiuto. Laddove questo mancherà il possiamo celebrare quanto vogliamo, ma questa celebrazione non salirà al cielo… 
Conclusione
Nella parte finale del capitolo Neemia fornisce un breve spaccato della sua vita. Capiamo bene che quanto ha detto e fatto ha credibilità perché il suo stile di vita è stato coerente. Avrebbe potuto arricchirsi e avvalersi di certi privilegi, ma non l’ha fatto. Può concludere tranquillamente con l’invocazione: Dio ricordati di me per farmi del bene. Sembrano le parole di uno che scrive a posteriori, a cose ormai fatte. Forse molti anni sono passati, ed il popolo si è di nuovo diviso, ed ha conosciuto nuove difficoltà… L’invocazione non significa certo: «Dio mio guarda come sono bravo», ma piuttosto: «ho fatto quello che potevo, vedo che in tante cose non sono riuscito», nondimeno ho provato a fare del bene per il tuo popolo… Ricordati di me! Che questa sia anche la nostra invocazione, nella misura in cui non riusciremo a creare chiese perfette, tutte in comunioni, esenti da problemi. Ma se abbiamo provato a fare delle cose, potremo invocare Dio perché ci ricordi.