martedì 15 settembre 2015

Luca 13,1-9. Il male

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Luca 13, 1-9
Il problema del male
Qualsiasi religione, sistema filosofico e qualsiasi visione che ne deriva finisce per porsi il problema del male. Che lo sminuisca per ottimismo o lo si assolutizzi per pessimismo il male è un dato di fatto della nostra esperienza di vita che tocca o noi direttamente o comunque il mondo in cui ci troviamo. Ne consegue che chiunque attraverso una visione del mondo fideistica o filosofica vuole tentare di spiegare la realtà in cui viviamo prima o poi arriva a chiedersi da dove questo male venga.
Durante questa settimana siamo rimasti tutti impressionati dall’immagine di un bambino di due anni morto annegato su una spiaggia in Turchia, e sembra che l’impatto di questa immagina abbia condizionato le decisioni di importanti leader europei, come il premier inglese, che fino a pochi giorni prima era più chiuso rispetto all’idea di accettare profughi in Inghilterra.
Il dialogo che abbiamo in questo piccolo passo del vangelo di Luca pone un problema che non è difficile ricondurre a quello più grosso del male, e che ci mostra uno spaccato delle risposte che al tempo di Gesù venivano fornite riguardo ad esso. Probabilmente oggi ci si potrebbe chiedere: di chi è la colpa della morte di quel bambino turco? Era un profugo? Era il figlio di immigrati economici che non sfuggiva alcuna guerra? Perché è morto in quel modo atroce? E, domanda classica che conclude sempre simili discorsi, dov’è Dio in tutto ciò? Non è certo la domanda diretta che questo testo rivolge ai suoi primi lettori, visto che il senso immediato era piuttosto quello di ricordare che il male non colpisce solo quelli che riteniamo i peggiori peccatori. Tuttavia le implicazioni che il crollo di una torre o la violenza di un dittatore pongono riconducono sempre al più vasto problema del male che opera liberamente, nonostante la presenza e l’onnipotenza di un Dio buono che dice di lottare contro questo male. Cerchiamo di trarre qualche pista di riflessione rispetto a questa grossa problematica partendo da questi due brevi esempi offerti da Gesù, contrappuntati dalla parabola del fico.
  1. 1.      Il problema del male e le sue risposte.
Tutta colpa dell’uomo. Il testo presenta due tipi di mali: quello che deriva da un uomo (Pilato) e quello che deriva da un incidente. Il giudaismo del primo secolo per spiegare diversi tipi di male faceva ricorso all’idea di “giusta retribuzione”: il male colpisce coloro che in qualche modo hanno delle responsabilità, quindi sia quelli uccisi da Pilato che quelli della torre di Siloe sono probabilmente dei peccatori che in parte meritavano quelle sciagure. La colpa del male ricade tutta sull’uomo e Dio in tutto ciò c’entra poco. E’ una spiegazione del male non del tutto sbagliata e nelle Scritture troviamo spesso situazioni in cui Dio corregge gli uomini con qualche sciagure per portarli a pentirsi: pensiamo semplicemente all’esilio babilonese o al caso di Anania e Saffira nel nuovo testamento (Atti 5). Tuttavia non spiega la totalità del male e se la spiegasse implicherebbe un paradosso: se il male è sempre corretto da un intervento punitivo, nei secoli sarebbe dovuto già sparire da tempo… Invece persiste ed è per questo che Gesù nega la validità di questa interpretazione: no, non sono più peccatori di altri!
Estirpare il male. Mi sembra che il nostro testo proponga un’altra soluzione al male che i contemporanei di Gesù avrebbero potuto immaginare. Non è ben chiaro chi sia il proprietario del campo e potrebbe essere anche Dio padre che ascolta le suppliche del Figlio. Propongo una lettura diversa: mi pare di intravedere nell’uomo che è stanco di aspettare che il fico produca un atteggiamento che pensa di risolvere il male, in questo caso rappresentato dalla mancanza di frutti, con la sua estirpazione. Se il fico non produce strappiamolo! E’ una soluzione apparentemente efficace, che non risolve però quello dell’assenza di frutti che comunque non ci saranno visto che il fico verrà estirpato. Mi pare una soluzione ampiamente praticata nel nostro immaginario collettivo o in qualsiasi tentativo di risolvere velocemente situazioni difficili. Quante volte si sente dire: io in Libia ci tirerei una bomba, si rade tutto al suolo e si parte da zero! Oppure: l’ISIS va raso al suolo e basta. Sono soluzioni apparentemente efficaci che trascurano la portata del male: la Siria è sostenuta da Cina Russia ed Iran e non è facile sterminare 4 stati senza tenere conto dei danni che si fanno… Ben vengano soluzioni dure nei confronti dell’Isis, ma anche lì il problema dei civili va posto… Capita anche nei gruppi chiusi, ed anche nelle chiese che la soluzione di un problema posto dal una persona scomoda, che commette grossi errori, sia quello di metterla al bando ed isolarla. Non dico che non sia possibile in alcuni casi, ma se diventa il modo per risolvere qualsiasi dissenso anche se piccolo, temo che non sia proprio quello che Gesù auspica per la chiesa. Ma più in generale capita in tante situazioni, come nelle famiglie che si divorziano, tra persone che litigano o tra soci: ad un certo punto la soluzione migliore è tagliare l’albero. La parabola non ci dice che sia impossibile, ma ci dice che prima dobbiamo essere sicuri di avere coltivato e concimato…
Il limite maggiore di questo metodo è che spesso chi estirpa pensa di essere in qualche modo estraneo al male che combatte, mentre le parole di Gesù son sono così rassicuranti per gli estirpatori…
Perché mi devo ravvedere? Se guardiamo ancora meglio tra le righe del testo potremmo intravedere un’altra potenziale soluzione al male data dagli uomini del tempo di Gesù: se Gesù dice: “se non vi ravvedete”, significa che molte persone che lo ascoltano non avvertono minimante la necessità di ravvedersi. Il male c’è, opera, ma è colpa di altri… Nella fattispecie potrebbe essere colpa di Pilato che è un leader cattivo, o dei costruttori della torre che l’hanno progettata male, o di chi intorno alla torre ha fatto scavi o altre costruzioni che hanno compromesso la costruzione. E qui andiamo pienamente nella nostra attualità: non c’è notizia di disgrazia che non implichi una ricerca accurata di tutte e responsabilità che cerchino di inquadrare quella disgrazia: anche questa è una ricerca giusta perché è importante stigmatizzare gli errori di chi non ha lavorato bene nella società civile. Serve a capire che molti mali sono evitabili, ma non risolve il problema del male né è giusto tirarsene fuori, come se attribuendo le responsabilità a qualcuno si potesse risolvere qualcosa.
Di questo modo di pensare esiste anche una versione più moderna che è quella di dire che il male è invitabile, che siamo imperfetti nella nostra natura, dicendo sì che il male è connaturato a noi, ma diventando in ultima analisi innocenti rispetto a qualsiasi male.
  1. 2.      La risposta di Gesù.
Rispetto a queste tre soluzioni, Gesù oppone una soluzione diversa. Da un lato nega la prima soluzione, dicendo “No vi dico”. Non sono più peccatori di altri; dall’altro pur negando una responsabilità diretta di un certo male su una persona, parla di ravvedimento, quindi di qualcosa che ha a che veder con il peccato. Il discorso di Gesù è breve, ma ha presuppostimolto lontani: le morti evocate dai suoi interlocutori sono tragiche ed improvvise. Nondimeno prima o poi tutti moriremo, anche se non in modo tragico ed improvviso. Ora, Gesù per quanto neghi che chi muore in modo improvviso e tragico sia più peccatore di altri, sa bene che la morte è il salario del peccato, la conseguenza delle scelte dei nostri progenitori di violare la legge di Dio. Se il nostro rapporto con Dio è buono, la morte non ci coglierà in modo improvviso e tragico perché saremo preparati. Il male, per quanto rimanga tale, sarà meno spaventoso e terribile. Ravvedersi significa proprio ristabilire un buon rapporto con Dio, preparandosi ad incontrarlo dopo la morte. Chi si ravvede davanti a Dio non sarà colto dalla morte in maniera improvvisa e tragica come le persone dei casi evocati.
In cosa consiste quindi la soluzione di Gesù? Non è una dissertazione filosofica che spieghi il perché del male. Non è neppure un discorso teologico che potrebbe perfettamente essere costruito sulla base delle Scritture, spiegando che i nostri progenitori hanno peccato ed ora vengono puniti. Non ci sono risposte sui perché del male, ed è un bene, visto che il male rimane sempre indefinibile. E’ una semplice risposta sul come uscire dalla conseguenze del male, da come cambiare la propria vita perché non sia più vissuta sotto il segno del male. La soluzione sta nel dire che è vero che siamo tutti peccatori, ma che esiste uno spazio di ravvedimento.
Questo messaggio è esattamente lo stesso che vogliamo e dobbiamo dare e dire oggi. Noi potremmo passare delle ore a tentare di spiegare perché un certo episodio capita a certi e non ad altri, perché è morto un bambino di due anni turco o sono annegati tanti profughi nel canale di Sicilia, o sono rimasti vittime di un terremoto tremendo migliaia di nepalesi. Non troveremo risposte definitive… Abbiamo però una risposta universalmente valida che consiste nel dire: questa morte non ha l’ultima parola, se ci ravvediamo davanti al Signore nostro Dio ristabilendo il nostro rapporto con lui.
  1. 3.      La promessa di Gesù: zappare e concimare il campo.
Se nel primo episodio abbiamo una descrizione di quello che dobbiamo fare noi, la parabola mi sembra una vera e propria promessa a garanzia di tutto il tempo che precede e segue il ravvedimento. Io credo che Gesù sia il servitore che ha detto al padrone che zapperà e concimerà dando tempo al fico di dare frutto. Mi pare una meravigliosa metafora del tempo che viviamo ancora oggi perché da 2000 anni Gesù continua a zappare e a concimare aspettando il ravvedimento dei suoi. Il nostro cuore è proprio come un campo di terra che ha bisogno di essere smosso e dissodato, perché dei macigni fatti di resistenze, di fissazioni, di abitudini, di ideologie, di peccati, vietano al fico di portare frutto. E’ una metafora geniale che riguarda in primo luogo Israele a cui si rivolgeva Gesù al suo tempo, spesso rappresentato da un fico: Gesù ha a lungo zappato e concimato Israele per vedere se uscivano frutti. Ha poi zappato e concimato la chiesa e continua a farlo ancora oggi per farle portare i frutti che deve. Concima a e zappa il cuore di ogni uomo, vedendo se si decide a ravvedersi aprendogli il proprio cuore, e ristabilendo il suo rapporto con Dio. Viviamo in un epoca di grazia in cui Gesù aspetta di vedere i frutti del fico e la sua pazienza attende il ravvedimento.
E’ vero però che questo tempo di attesa non è infinito. Il padrone tra un anno potrà tornare e tagliare il fico che non dà frutto. Ripensando alle persone dell’episodio precedente, si può dire che la morte è arrivata e ciò che avevano scelto è valso davanti a Dio: chi si era ravveduto con Dio, chi no senza Dio. Piaccia o no, oltre alla prospettiva del ravvedimento e della grande pazienza di Dio c’è anche la minaccia di un suo ritorno che è meraviglioso per chi si è ravveduto, ma tragico per chi ha rifiutato di arrendersi al Signore.
Gesù vive per dare opportunità di ravvedimento ed annunciare una fine. Ogni credente deve fare suo questo mandato, vivendo come concimatore di un fico che prima o poi verrà tagliato se non dà frutto ma sforzandosi in tutti i modi possibili di salvare più alberi possibile. Ci sono molte campagne per salvare gli alberi, e ci incoraggiano in genere ad usare meno carta. Dovremo fare una campagna chiamata: salviamo alberi umani, prima che vengano rasi. Dio ama questi alberi e per questo cerca il loro frutto.

Ricominciare: Salomone consacra il tempio. I Re 8, 12-61

Per leggere I re 8, 12-61 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=1Re8

L’estate volge alla fine e con essa le vacanze. Come chiesa riprendiamo le nostre riunioni dopo un mesetto di pausa e l’entusiasmo si mescola alla preoccupazione o al peso di ricominciare. E’ necessario leggere un passo che ci dia il senso del ripartire, del ricominciare, della novità. Il passo in cui Salomone consacra il tempio che ha appena costruito mi pare adatto a questo momento, sebbene noi non siamo davanti ad una partenza completamente nuova, visto che riprendiamo a fare le stesse cose dopo un po’ di pausa. Quanto Salomone dice nella sua preghiera mi ha sempre appassionato perché ha un senso di gran fiduciaunità ad una sana umiltà che sicuramente sono costitutive della fede di oggi, davanti ad ogni nuovo inizio. Leggeremo questo passo ponendoci alcune domande:
  1. 1.       E possibile inserire Dio in un tempio? Lettura I Re 8, 10-21.
Apparentemente la domanda è banale o scontata perché in tutte le religioni si parla di templi, di luoghi di culto, il termine “chiesa”, ha nel tempo preso il senso di luogo fisico che si può visitare più che di assemblea, di gruppo di persone, nel quale abiterebbe Dio. Le parole di Salomone tuttavia fanno capire quanto strana e paradossale sia l’idea di poter costruire qualcosa per Dio. Il discorso comincia dicendo che Dio abita nella spessa oscurità, letteralmente “In una oscurità di nuvole”, chiaro riferimento al fatto che il tempio in quel momento è riempito da una nuvola, e che Dio finora si è presentato al popolo di Israele come sempre coperto da una nuvola, senza la quale la gloria di Dio avrebbe annientato gli uomini. In seguito Salomone precisa che Davide, suo padre, avrebbe voluto costruire, ma non ha potuto (sappiamo da 1 Cr 22,8) e questo è perché ha fatto molte guerre e sparso sangue; infine dice di averla costruita, ed è anche contento della sua opera in cui ha avuto cura di mettere l’arca, simbolo del patto, ma dopo tutto ciò esclama al v. 27 “Ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra?” E’ forse la frase più bella e sincera di Salomone che rivela la profondità della sua fede. Cerchiamo di fare opere visibili, concrete, magnificenti per dare un qualche appiglio alla fede: ma queste opere concrete, palazzi, templi, chiese, possono mai contenere Dio? La risposta di Salomone non c’è perché è chiara: ovviamente NO! E’ molto interessante vedere in un uomo del mondo antico e pieno di ricchezze come Salomone fare questa riflessione sull’impossibilità della materia o dell’opera umana di contenere Dio. Dio nel presentarsi in una nuvola rivela tutta la sua natura che rifiuta di farsi limitare da qualsiasi rappresentazione l’uomo cerchi di fare, come anche da qualsiasi luogo. Samuele capisce che al massimo quel tempio potrà essere un riflesso, un punto di riferimento, ma non potrà rinchiudere Dio e vincolarlo.
            Penso che la nostra chiesa nel cominciare un nuovo periodo in cui faremo programmi di attività, progetti, ed altro per organizzare la nostra vita di chiesa debba vivere di questa consapevolezza: faremo dei grossi sforzi perché Dio abiti in mezzo a noi, e cercheremo di presentarlo alla nostra società, alle persone che ci conoscono, ai nostri quartieri. Nondimeno, ciò che presenteremo sarà sempre in qualche modo velato, parziale, imperfetto; non siamo Dio, e rimaniamo imperfetti, come imperfetto è il tempio di Salomone per quanto bello e sontuoso. Questo lo dico non per scoraggiarci ma per renderci umili. Non ci saranno programmi, progetti ed idee che riescano a rappresentare completamente Dio. Dio non è nostro, non siamo solo noi, non è nostra esclusiva, e non è limitato alla chiesa di Lucca. In un mondo in cui chi parla di Dio pensa spesso di esserne l’unico vero rappresentante in terra, ricordiamoci che Dio va molto al di là di noi e delle nostre opere, e cominciare con questa consapevolezza è cruciale.
  1. 2.      A cosa servono allora ai templi? (Tuttavia dalla tua dimora nei cieli… ascolta e perdona! Lettura I Re 8, 28-30)
Questo “tuttavia” posto nel bel mezzo di un discorso ci illustra ancora meglio la grande intelligenza di Salomone. Come se dicesse: “Ho capito che non sarai realmente in questa casa, e che questo è il luogo dove dimorerai senza che la sua infinità ne sia limitata. TUTTAVIA, anche se le cose stanno così, ti prego, ascolta e perdona! E fallo da dove? Dalla tua vera dimora, quella nei cieli! Ma allora che senso ha questa casa terrena, questo santuario? Ha il senso di far vivere sulla terra l’essenza della fede: ascolto e perdono! La fede è un dialogo con un Dio che ascolta e che per quanto riprenda e corregga nella sua verità è pronto a perdonare. Ciò che segue è infatti una lista di casi in cui il popolo sbaglia, ma Samuele implora Dio affinché quel luogo che lui ha costruito possa diventare un luogo che rappresenta il punto di vista di Dio.
Prima ancora di commentare i cari casi dobbiamo fare un salto in avanti, nel nostro mondo e chiederci se possiamo prendere il tempio come esempio di insegnamento. Ricordiamo che oggi non esistono più i templi perché Gesù ha detto di essere lui il tempio (Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» Gv 2, 19) e Paolo ci ha ricordato che siamo noi credenti il tempio dello Spirito Santo: Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (I Cor 3,16) Possiamo dunque dire che la Chiesa come corpo di Cristo, e l’insieme dei credenti come templi dello Spirito siano oggi il vero tempio di Dio. Allora come chiesa e come singoli credenti possiamo prendere questo passo per dire: vorrei che la mia chiesa, per quanto imperfetta, incapace e peccatrice, sia in grado di risaltare certe caratteristiche di Dio essendo luogo di perdono in cui chiunque possa sentirsi ascoltato da Dio.
Lettura da 31 a 53.
  • V. 31-32. Invocazione che il tempio sia un luogo di giustizia dove si sa chiaramente discriminare tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra chi ha torto e chi ha ragione. Samuele invoca Dio perché dall’alto intervenga per fare giustizia. Conosciamo la saggezza di Salomone che riesce a capire chi sia la vera madre di un figlio conteso. E’ bello vederlo invocare la saggezza da Dio per giudicare perché invece che confidare nella sua saggezza ne chiede ancora a Dio.
Vorrei che la nostra chiesa possa essere un posto in cui senza pretendere di riuscirci sempre proviamo a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le chiese stesse vivono conflitti, liti separazioni. Dobbiamo imparare non ad essere dei superesperti, ma ad invocare il Signore, come lo sta invocando Samuele perché ci renda capaci di distinguere il bene dal male realtà che la società in cui viviamo cerca spesso di confondere.
  • 33-40. Se per una serie di atteggiamenti irresponsabili e peccaminosi il popolo incorre in guerre, catastrofi ambientali, epidemie ed altro, perdonalo! Ma quando? Quando riconoscerà la piaga del proprio cuore. Samuele vorrebbe quindi che il tempio fosse un luogo in cui ci si pente, rendendosi conto dei propri errori, ed in cui si invoca il perdono. Luogo di pentimento e perdono. Immaginiamo nella storia antica e presente quanti santuari sono stati eretti, quanti ex voto affissi con la pretesa di una risposta automatica e superstiziosa a richieste diversificate verso divinità inesistenti…Salomone molto prima aveva capito che l’importante non era il luogo, ma il cuore dell’uomo che si recava in quel luogo e l’intervento di Dio in quel luogo. Io vorrei che le nostre chiese fossero luoghi in cui siamo in grado di trasmettere due cose: la nostra responsabilitàin ciò che ci capita, la capacità di guardare le piaghe del proprio cuore, ma anche luogo di perdono in cui tutti si sentono accettati.
  • 41-43. Lo straniero. Questo tempio non è esclusivo e non è al solo uso e consumo degli ebrei. Persino lo straniero che invoca avrà risposte affinché il nome di Dio sia conosciuto sulla terra. Anche questa apertura mi sembra tipica dell’intelligenza di Salomone: le guerre etniche esistevano ed esistono ancora oggi, e lo stesso popolo di Israele aveva il compito di sterminare i suoi nemici. Nondimeno Dio era aperto a tutti, stranieri compresi, cosa che significa che questo tempio aveva qualcosa di universale capace di attrarre tutti i popoli.
Agli uomini piace mettere delle barriere e spesso si pensa di risolvere con queste i problemi del mondo. Oggi molti stranieri arrivano fuggendo o la fame o la persecuzione politica e religiosa. Se la società non è capace di essere un luogo di accoglienza per loro le chiese che vogliono seguire Dio devono rifarsi al modello del tempio, ed essere capaci di dare risposte a tutti, soprattutto a questi stranieri che gridano.
  • 44-45. Salomone sapeva che per il  popolo di Israele ci sarebbe stato  un confronto con dei nemici sia in senso offensivo che difensivo perché la guerra era una realtà continua, anche se il regno di Salomone fu particolarmente pacifico. Il tempio diventa quindi un luogo da cui si trae forza. Ed è ovvio che a noi la guerra spiace e vorremmo evitarla in tutti i modi, nondimeno continua ad essere una realtà inevitabile. Pensiamo oggi al califfato dell’ISIS? E’ possibile pensare ad evitare qualsiasi forma di guerra? E se dei soldati partono non sarebbe giusto invocare su di loro protezione e vittoria per limitare i mali a tutta l’umanità? Come credenti tuttavia possiamo pensare ad una traduzione spirituale di questa guerra: si parla molto di conflitto spirituale, di guerra che facciamo con le forze del male, sia a livello personale per vivere una vita santa, pacifica e piena di spirito, sia a livello di chiesa, nel nostro far avanzare il regno di Dio. Che ogni chiesa, possa essere un luogo che rinnova le forze di chi combatte spiritualmente. Che chi non riesce a liberarsi da una qualche dipendenza, da una qualche schiavitù, invocando qui il Signore possa trovare la forza di liberarsi.
  • 46-51. Il peccato del popolo, che è un dato continuo, quasi inevitabile (non c’è uomo che non pecchi v. 46) potrà forse portarlo a forme di prigionia, di esilio, come è effettivamente capitato nella storia di Israele. Se questo capita il tempio dovrà funzionare come punto di riferimento, come luogo originario a cui tornare, anche dopo un viaggio triste come quello dell’esilio o della deportazione. Questo è particolarmente adatto a noi che torniamo dalle vacanze, quindi abbiamo goduto anziché essere puniti, ma speriamo che la nostra chiesa sia un luogo a cui ci fa piacere tornare. Tuttavia possiamo pensare a chiunque si trovi in solitudine, in isolamento, in una condizione di esclusione che per qualche motivo ha abbandonato la chiesa trovi oggi la forza di tornare all’origine. Ci sono persone che hanno peccato e si sentono troppo in colpa per tornare a Dio, immaginando che il loro proprio peccato sia più grande dell’amore divino. Salomone nella sua casistica in cui non risparmia l’uso del termine peccato è altrettanto prodigo nell’uso del termine “perdono” perché la porta è sempre aperta a chi vuole tornare indietro.
  1. 3.      La benedizione finale 54-61
Samuele finisce di rivolgersi al Signore per il tempio e pensa adesso all’assemblea. Il suo sogno è che l’assemblea rispetti le leggi di Dio, lo segua in tutto e per tutto. E’ consapevole del ruolo speciale in mezzo a tutti i popoli del popolo di Israele. Ma per incoraggiare a questo non fa affidamento sulle forze del popolo. Non libera un discorso moralista facendo appello al valore del popolo, alla forza dei singoli e alle capacità di ognuno, ma affida il popolo a Dio perché riesca a rispettare l’impegno.  Ci faccia volgere i nostri cuori verso di Lui! E’ quello che invochiamo anche noi all’inizio di questo anno perché i propositi indicati non ci sembrino troppo grandi. Noi invochiamo il Signore perché veramente riusciamo a rispettare quanto abbiamo letto in questo passo, consapevoli di essere limitati ed imperfetti, ma volenterosi di camminare con Dio.
Lo scopo di tutto è che i popoli della terra riconoscano che il Signore è Dio e che non ce ne sono altri. Noi oggi abbiamo lo stesso scopo. Sappiamo che il ruolo che un tempo aveva il popolo di Israele adesso ce l’ha la chiesa che deve fare vivere le sue verità. Con Samuele rimettiamo questo anno nelle sue mani pregando che alla fine del prossimo saremo ancora molti di più a riconoscere che è Dio e che non ce ne sono altri.