martedì 15 settembre 2015

Ricominciare: Salomone consacra il tempio. I Re 8, 12-61

Per leggere I re 8, 12-61 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=1Re8

L’estate volge alla fine e con essa le vacanze. Come chiesa riprendiamo le nostre riunioni dopo un mesetto di pausa e l’entusiasmo si mescola alla preoccupazione o al peso di ricominciare. E’ necessario leggere un passo che ci dia il senso del ripartire, del ricominciare, della novità. Il passo in cui Salomone consacra il tempio che ha appena costruito mi pare adatto a questo momento, sebbene noi non siamo davanti ad una partenza completamente nuova, visto che riprendiamo a fare le stesse cose dopo un po’ di pausa. Quanto Salomone dice nella sua preghiera mi ha sempre appassionato perché ha un senso di gran fiduciaunità ad una sana umiltà che sicuramente sono costitutive della fede di oggi, davanti ad ogni nuovo inizio. Leggeremo questo passo ponendoci alcune domande:
  1. 1.       E possibile inserire Dio in un tempio? Lettura I Re 8, 10-21.
Apparentemente la domanda è banale o scontata perché in tutte le religioni si parla di templi, di luoghi di culto, il termine “chiesa”, ha nel tempo preso il senso di luogo fisico che si può visitare più che di assemblea, di gruppo di persone, nel quale abiterebbe Dio. Le parole di Salomone tuttavia fanno capire quanto strana e paradossale sia l’idea di poter costruire qualcosa per Dio. Il discorso comincia dicendo che Dio abita nella spessa oscurità, letteralmente “In una oscurità di nuvole”, chiaro riferimento al fatto che il tempio in quel momento è riempito da una nuvola, e che Dio finora si è presentato al popolo di Israele come sempre coperto da una nuvola, senza la quale la gloria di Dio avrebbe annientato gli uomini. In seguito Salomone precisa che Davide, suo padre, avrebbe voluto costruire, ma non ha potuto (sappiamo da 1 Cr 22,8) e questo è perché ha fatto molte guerre e sparso sangue; infine dice di averla costruita, ed è anche contento della sua opera in cui ha avuto cura di mettere l’arca, simbolo del patto, ma dopo tutto ciò esclama al v. 27 “Ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra?” E’ forse la frase più bella e sincera di Salomone che rivela la profondità della sua fede. Cerchiamo di fare opere visibili, concrete, magnificenti per dare un qualche appiglio alla fede: ma queste opere concrete, palazzi, templi, chiese, possono mai contenere Dio? La risposta di Salomone non c’è perché è chiara: ovviamente NO! E’ molto interessante vedere in un uomo del mondo antico e pieno di ricchezze come Salomone fare questa riflessione sull’impossibilità della materia o dell’opera umana di contenere Dio. Dio nel presentarsi in una nuvola rivela tutta la sua natura che rifiuta di farsi limitare da qualsiasi rappresentazione l’uomo cerchi di fare, come anche da qualsiasi luogo. Samuele capisce che al massimo quel tempio potrà essere un riflesso, un punto di riferimento, ma non potrà rinchiudere Dio e vincolarlo.
            Penso che la nostra chiesa nel cominciare un nuovo periodo in cui faremo programmi di attività, progetti, ed altro per organizzare la nostra vita di chiesa debba vivere di questa consapevolezza: faremo dei grossi sforzi perché Dio abiti in mezzo a noi, e cercheremo di presentarlo alla nostra società, alle persone che ci conoscono, ai nostri quartieri. Nondimeno, ciò che presenteremo sarà sempre in qualche modo velato, parziale, imperfetto; non siamo Dio, e rimaniamo imperfetti, come imperfetto è il tempio di Salomone per quanto bello e sontuoso. Questo lo dico non per scoraggiarci ma per renderci umili. Non ci saranno programmi, progetti ed idee che riescano a rappresentare completamente Dio. Dio non è nostro, non siamo solo noi, non è nostra esclusiva, e non è limitato alla chiesa di Lucca. In un mondo in cui chi parla di Dio pensa spesso di esserne l’unico vero rappresentante in terra, ricordiamoci che Dio va molto al di là di noi e delle nostre opere, e cominciare con questa consapevolezza è cruciale.
  1. 2.      A cosa servono allora ai templi? (Tuttavia dalla tua dimora nei cieli… ascolta e perdona! Lettura I Re 8, 28-30)
Questo “tuttavia” posto nel bel mezzo di un discorso ci illustra ancora meglio la grande intelligenza di Salomone. Come se dicesse: “Ho capito che non sarai realmente in questa casa, e che questo è il luogo dove dimorerai senza che la sua infinità ne sia limitata. TUTTAVIA, anche se le cose stanno così, ti prego, ascolta e perdona! E fallo da dove? Dalla tua vera dimora, quella nei cieli! Ma allora che senso ha questa casa terrena, questo santuario? Ha il senso di far vivere sulla terra l’essenza della fede: ascolto e perdono! La fede è un dialogo con un Dio che ascolta e che per quanto riprenda e corregga nella sua verità è pronto a perdonare. Ciò che segue è infatti una lista di casi in cui il popolo sbaglia, ma Samuele implora Dio affinché quel luogo che lui ha costruito possa diventare un luogo che rappresenta il punto di vista di Dio.
Prima ancora di commentare i cari casi dobbiamo fare un salto in avanti, nel nostro mondo e chiederci se possiamo prendere il tempio come esempio di insegnamento. Ricordiamo che oggi non esistono più i templi perché Gesù ha detto di essere lui il tempio (Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» Gv 2, 19) e Paolo ci ha ricordato che siamo noi credenti il tempio dello Spirito Santo: Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (I Cor 3,16) Possiamo dunque dire che la Chiesa come corpo di Cristo, e l’insieme dei credenti come templi dello Spirito siano oggi il vero tempio di Dio. Allora come chiesa e come singoli credenti possiamo prendere questo passo per dire: vorrei che la mia chiesa, per quanto imperfetta, incapace e peccatrice, sia in grado di risaltare certe caratteristiche di Dio essendo luogo di perdono in cui chiunque possa sentirsi ascoltato da Dio.
Lettura da 31 a 53.
  • V. 31-32. Invocazione che il tempio sia un luogo di giustizia dove si sa chiaramente discriminare tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra chi ha torto e chi ha ragione. Samuele invoca Dio perché dall’alto intervenga per fare giustizia. Conosciamo la saggezza di Salomone che riesce a capire chi sia la vera madre di un figlio conteso. E’ bello vederlo invocare la saggezza da Dio per giudicare perché invece che confidare nella sua saggezza ne chiede ancora a Dio.
Vorrei che la nostra chiesa possa essere un posto in cui senza pretendere di riuscirci sempre proviamo a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le chiese stesse vivono conflitti, liti separazioni. Dobbiamo imparare non ad essere dei superesperti, ma ad invocare il Signore, come lo sta invocando Samuele perché ci renda capaci di distinguere il bene dal male realtà che la società in cui viviamo cerca spesso di confondere.
  • 33-40. Se per una serie di atteggiamenti irresponsabili e peccaminosi il popolo incorre in guerre, catastrofi ambientali, epidemie ed altro, perdonalo! Ma quando? Quando riconoscerà la piaga del proprio cuore. Samuele vorrebbe quindi che il tempio fosse un luogo in cui ci si pente, rendendosi conto dei propri errori, ed in cui si invoca il perdono. Luogo di pentimento e perdono. Immaginiamo nella storia antica e presente quanti santuari sono stati eretti, quanti ex voto affissi con la pretesa di una risposta automatica e superstiziosa a richieste diversificate verso divinità inesistenti…Salomone molto prima aveva capito che l’importante non era il luogo, ma il cuore dell’uomo che si recava in quel luogo e l’intervento di Dio in quel luogo. Io vorrei che le nostre chiese fossero luoghi in cui siamo in grado di trasmettere due cose: la nostra responsabilitàin ciò che ci capita, la capacità di guardare le piaghe del proprio cuore, ma anche luogo di perdono in cui tutti si sentono accettati.
  • 41-43. Lo straniero. Questo tempio non è esclusivo e non è al solo uso e consumo degli ebrei. Persino lo straniero che invoca avrà risposte affinché il nome di Dio sia conosciuto sulla terra. Anche questa apertura mi sembra tipica dell’intelligenza di Salomone: le guerre etniche esistevano ed esistono ancora oggi, e lo stesso popolo di Israele aveva il compito di sterminare i suoi nemici. Nondimeno Dio era aperto a tutti, stranieri compresi, cosa che significa che questo tempio aveva qualcosa di universale capace di attrarre tutti i popoli.
Agli uomini piace mettere delle barriere e spesso si pensa di risolvere con queste i problemi del mondo. Oggi molti stranieri arrivano fuggendo o la fame o la persecuzione politica e religiosa. Se la società non è capace di essere un luogo di accoglienza per loro le chiese che vogliono seguire Dio devono rifarsi al modello del tempio, ed essere capaci di dare risposte a tutti, soprattutto a questi stranieri che gridano.
  • 44-45. Salomone sapeva che per il  popolo di Israele ci sarebbe stato  un confronto con dei nemici sia in senso offensivo che difensivo perché la guerra era una realtà continua, anche se il regno di Salomone fu particolarmente pacifico. Il tempio diventa quindi un luogo da cui si trae forza. Ed è ovvio che a noi la guerra spiace e vorremmo evitarla in tutti i modi, nondimeno continua ad essere una realtà inevitabile. Pensiamo oggi al califfato dell’ISIS? E’ possibile pensare ad evitare qualsiasi forma di guerra? E se dei soldati partono non sarebbe giusto invocare su di loro protezione e vittoria per limitare i mali a tutta l’umanità? Come credenti tuttavia possiamo pensare ad una traduzione spirituale di questa guerra: si parla molto di conflitto spirituale, di guerra che facciamo con le forze del male, sia a livello personale per vivere una vita santa, pacifica e piena di spirito, sia a livello di chiesa, nel nostro far avanzare il regno di Dio. Che ogni chiesa, possa essere un luogo che rinnova le forze di chi combatte spiritualmente. Che chi non riesce a liberarsi da una qualche dipendenza, da una qualche schiavitù, invocando qui il Signore possa trovare la forza di liberarsi.
  • 46-51. Il peccato del popolo, che è un dato continuo, quasi inevitabile (non c’è uomo che non pecchi v. 46) potrà forse portarlo a forme di prigionia, di esilio, come è effettivamente capitato nella storia di Israele. Se questo capita il tempio dovrà funzionare come punto di riferimento, come luogo originario a cui tornare, anche dopo un viaggio triste come quello dell’esilio o della deportazione. Questo è particolarmente adatto a noi che torniamo dalle vacanze, quindi abbiamo goduto anziché essere puniti, ma speriamo che la nostra chiesa sia un luogo a cui ci fa piacere tornare. Tuttavia possiamo pensare a chiunque si trovi in solitudine, in isolamento, in una condizione di esclusione che per qualche motivo ha abbandonato la chiesa trovi oggi la forza di tornare all’origine. Ci sono persone che hanno peccato e si sentono troppo in colpa per tornare a Dio, immaginando che il loro proprio peccato sia più grande dell’amore divino. Salomone nella sua casistica in cui non risparmia l’uso del termine peccato è altrettanto prodigo nell’uso del termine “perdono” perché la porta è sempre aperta a chi vuole tornare indietro.
  1. 3.      La benedizione finale 54-61
Samuele finisce di rivolgersi al Signore per il tempio e pensa adesso all’assemblea. Il suo sogno è che l’assemblea rispetti le leggi di Dio, lo segua in tutto e per tutto. E’ consapevole del ruolo speciale in mezzo a tutti i popoli del popolo di Israele. Ma per incoraggiare a questo non fa affidamento sulle forze del popolo. Non libera un discorso moralista facendo appello al valore del popolo, alla forza dei singoli e alle capacità di ognuno, ma affida il popolo a Dio perché riesca a rispettare l’impegno.  Ci faccia volgere i nostri cuori verso di Lui! E’ quello che invochiamo anche noi all’inizio di questo anno perché i propositi indicati non ci sembrino troppo grandi. Noi invochiamo il Signore perché veramente riusciamo a rispettare quanto abbiamo letto in questo passo, consapevoli di essere limitati ed imperfetti, ma volenterosi di camminare con Dio.
Lo scopo di tutto è che i popoli della terra riconoscano che il Signore è Dio e che non ce ne sono altri. Noi oggi abbiamo lo stesso scopo. Sappiamo che il ruolo che un tempo aveva il popolo di Israele adesso ce l’ha la chiesa che deve fare vivere le sue verità. Con Samuele rimettiamo questo anno nelle sue mani pregando che alla fine del prossimo saremo ancora molti di più a riconoscere che è Dio e che non ce ne sono altri.

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