mercoledì 31 ottobre 2012


Galati 2: 11-21. Giustificati

11 Ma quando Pietro venne in Antiochia, io gli resistei in faccia, perché era da riprendere. 12 Infatti prima che venissero alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con i gentili; ma quando giunsero quelli, egli si ritirò e si separò, temendo quelli della circoncisione.13 E anche gli altri Giudei fingevano assieme a lui, tanto che anche Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia.14 Ma quando io vidi che non camminavano rettamente secondo la verità dell'evangelo, dissi a Pietro in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi alla gentile e non alla giudaica perché costringi i gentili a giudaizzare?».15 Noi, di nascita Giudei e non peccatori fra i gentili,16 sapendo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge ma per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù, affinché fossimo giustificati mediante la fede di Cristo e non mediante le opere della legge, poiché nessuna 17Or se, cercando di essere giustificati in Cristo, siamo trovati anche noi peccatori, è forse Cristo ministro del peccato? Così non sia.18 Se infatti edifico di nuovo le cose che ho distrutto, io mi costituisco trasgressore,19 perché per mezzo della legge io sono morto alla legge, affinché io viva a Dio.20 Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.21Io non annullo la grazia di Dio perché, se la giustizia si ha per mezzo della legge, allora Cristo è morto invano.

Unità apostolica ed accordo. Ma senza compromessi. In questo passo celebre della lettera ai Galati Paolo ci offre uno spaccato della chiesa primitiva alquanto interessante. Innanzi tutto è uno spaccato che demistifica l'alone di perfezione che spesso si costruisce intorno alla chiesa dei primi anni: era una chiesa di uomini semplici e litigiosi che in questo caso, benché apostoli e portavoce del vangelo si scontrano.
In secondo luogo introduce uno dei concetti chiave della fede cristiana, quello di giustificazione. L'episodio di Pietro serve come anti-esempio per parlare poi della vera giustificazione ed il termine compare tre volte, ed il v. 21 culmina con la parola "giustizia".
  1. Pietro, una testa dura.
Immaginiamo qualcuno che non sia mai venuto in Italia e che non sappia sa cosa sia il cristianesimo. Vedendo il posto che gli viene dato in alcune chiese come la cattolica, la megabasilica a lui dedicata, le pubblicità della Lavazza che ce lo fanno vedere con le chiavi in mano accanto a Dio, immaginerà che sia una specie di supercredente, di uomo dalla fede perfetta. C'è del resto una teologia che tende ad idealizzare questo primo confessore della fede cristiana dimenticando quanto le scritture mostrino il suo lato più umano. E vero che Pietro ha confessato Gesù, per primo tra i discepoli. Ma Pietro ha anche rinnegato Gesù per tre volte, è stato più volte impetuoso e violento, e nonostante Gesù lo abbia riabilitato vediamo da questo breve passo che, anche se credente da diversi anni, anche se investito di responsabilità importanti, continuava a sbagliare. In questo caso lo vediamo macchiarsi di un peccato piuttosto vistoso: l'ipocrisia. Sa che la legge non è più importante, ma per accontentare il cosiddetto "partito della circoncisione", un gruppo di persone che raccontavano tra le chiese della Galazia che questa usanza comandata dalla legge di Mosè come altre erano indispensabili alla salvezza, comincia a fingere ed a comportarsi in modo ipocrita. D'altra parte Paolo, benché abbia ragione non sembra comportarsi in modo proprio amorevole: lo riprende "in presenza di tutti". Ha fatto bene a riprendere Pietro e Barnaba in pubblico? Non sarebbe stato meglio farlo in privato? Non lo so, e la lettera non lo dice, ma tanto basti per dire che l'umanità di quella chiesa, come di tutte le chiese nel corso della storia era evidente. Fatte di persone che sbagliano, peccano, si scontrano e poi discutono. Non lamentiamoci se vediamo che anche oggi ci si scontra, perché è persino sano che questo accada: significa che all'interno della chiesa ci sono anticorpi che garantiscono che la chiesa non si lasci ingannare dal desiderio di essere sempre di un unico e solo accordo - cosa che la porterebbe alla piattezza ed al conformismo - ma conosce tensioni che le permettono di correggersi o, come dicevano i riformatori, di essere semper reformanda. Non idealizziamo un passato che in realtà è molto simile al nostro presente e che ha gli stessi militi che hanno gli uomini.
A corollario di quanto detto, notiamo che il ruolo di Pietro, seppure prevedeva delle responsabilità e delle caratteristiche di guida, sicuramente non si configurava come quello di un leader indiscusso ed unico. Nella guida della chiesa primitiva c'era pluralità, e le guida tra di loro si riprendevano. L'idea che Pietro fosse un capo della chiesa, che fosse il primo papa, o cose simili è del tutto infondata, antistorica e non trova alcun riscontro né negli Atti né nelle lettere di Paolo, né in quelle di Pietro stesso dove l'elemento dell'umiltà emerge con forza.
  1. Giustificati
In cosa sta l'errore di Pietro? Nell'aver prima creduto ed affermato che il principio di giustificazione è Cristo e la fede in Cristo, e poi nel comportarsi poi come se ciò non fosse vero. E su questo problema Paolo spende parecchie pagine. L'argomento centrale lettera, che finora è rimasto nascosto dalla biografia di Paolo e dalla rivendicazione della sua autorità apostolica, comincia a delinearsi chiaramente. Al centro dell'epistola ai Galati abbiamo un concetto straordinario e fondamentale: la giustificazione. E che cos'è? La giustificazione è quel meccanismo per cui ogni essere umano può essere ritenuto giusto davanti a Dio. E ci si chiede quindi: come si fa ad essere giusti davanti a Dio? Bisogna comportarsi bene? Bisogna seguire un codice? Il pio ebreo del tempo di Gesù e di Paolo avrebbe risposto: per poter essere giustificati davanti a Dio bisogna seguire la legge. Quindi applicare i dieci comandamenti e le ulteriori norme raccomandate dalla legge divina. La risposta dell'uomo comune nel 2000 sarebbe solo in parte diversa. Molti risponderebbero: "ammesso che ci sia un Dio, per essere giustificati davanti a Lui, bisogna comportarsi bene: non uccidere, non rubare ecc. " Ora il vangelo di Gesù ci dice che questo non basta. Perché in realtà per quanto ci sforziamo non riusciamo a comportarci sempre bene; e perché anzi spesso, ci comportiamo proprio male, o eccedendo in moralismo, o in permissivismo. Gesù ci dice allora che il principio in base a cui saremo giustificati non è il numero di comandamenti della legge che abbiamo rispettato, che è sempre insufficiente; ma che il principio della giustificazione è la sua morte sulla croce. Siccome non riusciamo a comportarci rispettando tutte queste regole e rimaniamo "debitori" verso Dio, ci pensa Lui a pagare il prezzo della nostra giustificazione, dando la sua vita al posto della nostra. In questo il testamento è Nuovo! Perché cambia il principio di giustificazione. In questo quadro si muovono gli argomenti di Paolo nei versi 15-20. Questo gruppo di "disturbatori" che avevano seminato zizzania e critiche contro Paolo tra le chiese della Galazia cosa diceva? Non lo sappiamo di preciso e lo possiamo al massimo dedurre dalle risposte di Paolo, ma presumibilmente all'idea centrale che bisogna rispettare la legge aggiungevano che, chi si convertiva al cristianesimo doveva comunque continuare a seguire una serie di regole previste dalla legge mosaica, chiamate opere della legge, tra le quali la circoncisione. Potremmo parafrasare quanto Paolo dice al 15 nel modo seguente: "noi che siamo ebrei di nascita potremmo pensare che la legge basti a giustificare. In realtà abbiamo imparato sia dallo stesso antico testamento in Salmi come il 142,2 che nessuno è giusto davanti a Dio, e sia dalla nostra conversione a Cristo che il nuovo principio di giustificazione è la fede in Cristo: il fatto di credere che non è la forza del mio rispetto delle regole che mi salva, ma la forza di Cristo che mi attrae a Lui e che mi cerca. Questo significa che ebrei e non ebrei - che consideriamo peccatori - alla fine davanti a Cristo sono tutti uguali. Sono tutti dei semplici peccatori, ed hanno bisogno, per essere giustificati, di fede, non di regole da rispettare.
Questo ragionamento poteva far subito scattare nel cuore degli ascoltatori due obiezioni: se si relativizza il rispetto della legge, e quindi tutti sono uguali, tutti peccatori tanto quelli che la rispettano che quelli che non la rispettano, allora questo cambiamento del principio di giustificazione rischia di diventare un qualcosa che favorisce il peccato. Sia perché tutti ne sono macchiati, anche quegli ebrei che pensavano di essere immuni dal peccato, sia perché sminuendo l'importanza della legge si rischia di far credere che si può far quel che si vuole, tanto ci pensa Cristo. Questo tipo di ragionamenti poteva aver portato alcuni a dire che allora Cristo è un servitore del peccato, nel senso di ministro del peccato (la parola greca è diacono). Cioè uno che fa un favore al peccare, all'allontanarsi da Dio anziché all'avvicinarsi. Ma no di certo! Risponde Paolo. Perché Cristo non relativizza né annulla la legge. Dà a questa tutta la sua importanza ed il suo valore nel mettere in luce la volontà di Dio per l'uomo, ma ricorda che non è la legge il principio di giustificazione. Riedificare ciò che si è demolito, significa riedificare il principio di giustificazione in base alle opere della legge. Sembrerebbe una critica verso Pietro, che dopo la sua visione (atti 10) che lo ha portato a mangiare di tutto con tutti, ricomincia a mangiare solo con giudei, quindi riedifica un vecchio sistema che Dio stesso lo aveva portato a demolire.
Non dobbiamo stancarci anche oggi di ripetere che annunciare che la salvezza è per sola fede non significa che l'etica sia relativa, che il comportamento non conti o che operare bene sia superfluo. Paolo qui si scaglia contro il rispetto ossessivo di piccole regole formali che danno soddisfazione apparente e idea di aver fatto qualcosa per Dio, come i segni nella carne lasciati dalla circoncisione, ma che in fondo sono vuote. La fede è molto di più. La fede va al di là del rispetto di una regola e di una lista di comandamenti. Perché la fede è la vita, di cui Paolo ora, riprendendo il suo esempio dice di essersi appropriato.
  1. Quanto a me...
Paolo ci invita a non confondere due concetti che si nascondo dietro il termine legge: uno è quello che la considera una raccolta di articoli e libri che esprimono la volontà di Dio; l'altro è il considerarla il mezzo per poter apparire giusti davanti a Dio. Questo secondo è sbagliato, mentre il primo vale. Per questo Paolo può dire che "Per mezzo della legge è morto alla legge" La legge stessa contiene numerosi passi che ricordano che non è rispetto formale di norme che conta, ma il cuore rinnovato, l'amore per Dio e per il prossimo, la fiducia nel Signore. Possiamo pensare ad Isaia, a Geremia, a Ezechiele ed agli altri profeti: se si affliggono per il mancato rispetto della legge di Dio e per l'idolatria, è perché vedono falsità dietro culti che apparentemente inneggiano a Dio. La legge stessa, se letta bene, ci fa morire al falso uso della legge.
Paolo è stato crocifisso in Cristo. Ed in questa immagine meravigliosa troviamo il riassunto della vita di chi ha deciso di diventare Cristiano: non sono più io che vivo, ma il Cristo vive in me! Paolo, un ebreo iperosservante, scrupoloso ed ossessivo nel rispettare la legge, era in realtà un morto spiritualeche andava ad uccidere cristiani pensando di fare del bene. Ha scoperto che la sua interpretazione della legge era sbagliata, falsa! E ha capito che doveva morire a quel modo di interpretare, crocifiggerlo sulla croce, per lasciare che Cristo lo facesse rivivere in una vita vera e pienamente giustificata. Non per i suoi meriti, ma per quelli di Cristo morto per lui. Se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, la morte di Cristo sarebbe inutile. Ma la giustizia per mezzo della legge non si ottiene, e quindi la morte di Cristo è necessaria per la salvezza dell'umanità.
Tanti di noi oggi possono dire di sperimentare in profondità il senso delle parole di Paolo. Possono di dire di aver vissuto questa morte a se stessi e questa resurrezione ad una vita nuova in Cristo. Eppure dopo l'entusiasmo è importante valutare giorno per giorno la portata di queste parole. Paradossalmente, anche se non si deve fare niente, essere crocifissi e lasciar vivere Cristo in noi è più difficile che cercare di essere giustificati dalla legge... Sì, in fondo rispettare qualche regola è facile. Potremmo decidere di fare come questi disturbatori dei Galati e raccomandare un taglietto nel prepuzio, la separazione dai pagani, qualche norma igienica, e ci sentiremmo poi a posto davanti a Dio. La vera vede ci chiede molto di più del rispetto di qualche regola. La vera vede nel Cristo che vive in chi decide di morire alla legge e quindi a se stesso, e di avere una nuova vita nella fede del Figlio, è difficile: possiamo veramente dire che le persone intorno a noi vedano sempre in noi questo Cristo che vive? Possiamo veramente dire ogni giorno che amiamo come il Cristo ci ha amati e che ci comportiamo come Lui? Possiamo dire che non c'è un minuto in cui la nostra fede e fiducia in Dio crolla e che siamo sempre costantemente fedeli? Temo proprio di no. Ma questa stessa difficoltà ci riporta a dire che Cristo non è morto inutilmente. E' morto perché le stesse persone che vorrebbero portarlo non ne sono degne e non sanno farlo. E quindi ha senso che muoia per loro, per perdonare il modo in cui erano ed il modo in cui continuano ad essere. Come Pietro che continua a sbagliare...


mercoledì 24 ottobre 2012


Galati2, 1-10

Paolo, dopo aver spiegato per il tutto il primo capitolo che il vangelo che predica lo ha ricevuto da Dio, e dopo aver sottolineato che la sua scarsa frequentazione di Gerusalemme comprova che non è lì che ha imparato il vangelo, ci mostra ora l'altra faccia della medaglia: quella del perfetto accordo del suo vangelo con quello degli apostoli di Gerusalemme. E lo fa raccontandoci il suo viaggio a Gerusalemme, accompagnato da Barnaba e da Tito. Possiamo trovare in Atti 11 la descrizione di questo episodio e rilevare l'importanza di questo incontro privato a Gerusalemme tra Paolo ed alcuni apostoli. Alcuni ritengono che il viaggio che Paolo descrive in Galati sia quello che troviamo in Atti 15, ma a mia opinione le due riunioni sono piuttosto diverse: questa è privata, e ben si accorda con Atti11, mentre quella di Atti 15 è una specie di sinodo, di grande incontro tra più persone, che torna a discutere su una questione già aperta in Atti 11.
1 Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: 2 vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3 Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. 4 E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5 Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
6 Da parte dunque delle persone più ragguardevoli - quali fossero allora non m'interessa, perché Dio non bada a persona alcuna - a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7 Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi - 8 poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani - 9 e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10 Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.
Di questo incontro a Gerusalemme, che è un'intensa discussione tra Paolo e gli apostoli vorrei rilevare tre aspetti significativi.
1. Paolo si confronta
In primo luogo Paolo ci precisa (v.2) che sale a Gerusalemme non tanto per parlare della questione di cui parlerà nel resto dell'epistola, cioè del problema dell'infiltrazione di "giudaizzanti" che vorrebbero imporre il rispetto di leggi giudaiche (in particolare la circoncisione) ai nuovi convertiti cristiani, ma per un altro motivo, legato ad una rivelazione. Se non ci sbagliamo a dire che l'episodio corrisponde a quello di Atti 11, potrebbe darsi che la rivelazione sia quella fatta dal profeta Agabo che annunciava una carestia su tutta la Giudea, in seguito alla quale Paolo e Barnaba, per l'appunto, sono inviati dalla chiesa di Antiochia a Gerusalemme per portare soccorsi. A Gerusalemme, tuttavia, prende occasione anche per parlare con gli apostoli. Questa sua volontà di parlare con loro è molto importante perché finora Paolo si è basato solo sul suo personale rapporto con Dio, che è fondamentale. Ora viene il momento del confronto, che è altrettanto importante, ed infatti concludono capendo che il loro vangelo è unico. Se ci fossero state grosse differenze tra il vangelo predicato da Paolo e quello predicato dagli apostoli, allora ci sarebbe stato da preoccuparsi, nel senso che sarebbe stato evidente che uno dei due non parlava da parte dello Spirito. Invece c'è accordo, e questo è un principio che dobbiamo considerare come valido anche nella chiesa di oggi. E' bene che le convinzioni importanti, come quelle che riguardano intere categorie di persone, vengano da Dio che ognuno le maturi nella preghiera e nella meditazione. In questo caso, il fatto di considerare ancora valide o meno alcune prescrizioni mosaiche, era molto importante per quelle persone. Quindi è bene prima di pronunciarsi maturare in preghiera come risolvere. Ma una volta concluso un dialogo "verticale" è importante confrontarsi con gli altri fratelli per confermare o rivedere quello che si è ricevuto. Questo non significa che ci voglia la "maggioranza" per decidere cosa vuole Dio da noi, altrimenti l'idea di rivelazione scompare. Proprio in merito alla questione del vangelo rivolto ai Pagani, possiamo ricordare che Pietro, che per primo ebbe una rivelazione sulla necessità di annunciare il vangelo ai non ebrei, inizialmente fu criticato. Ma condivise la sua rivelazione con i fratelli, che furono convinti e la sua minoranza diventò maggioranza. Possiamo anche notare come in questo caso sia presente Tito, un testimone vivente della conversione di un pagano, che non è circonciso e tuttavia è un servitore fedele al quale infatti non viene imposto di circoncidersi. Vedremo che non è sempre facile arrivare ad un accordo e che non mancano le tensioni. Questo incontro privato però ci potrebbe fare pensare che trovare un punto d'incontro è possibile e che maturare le proprie convinzioni rimanendo aperti a quello che dicono gli altri, prima di irrigidirsi, è una via per costruire un'intesa tra fratelli.
La chiesa di oggi non è divisa sulla circoncisione, ma non mancano elementi di divisione. Ci sono divergenze sul modo di vedere la fine del mondo, le sue origini, sul modo in cui lo Spirito Santo comunica con i singoli, sul ruolo di Israele; sul ruolo dei credenti in politica, su diverse questioni etiche, sull'omosessualità, sull'ispirazione della Scrittura.. ecc. Purtroppo mancano spesso gli spazi di confronto sereni, come quello rappresentato da questo piccolo incontro tra Paolo ed apostoli. Non è la soluzione al problema della ovvie divergenze che ci sono nella chiesa, ma deve farci pensare.
2. Le colonne
Nel corso del suo discorso Paolo sottolinea più volte di aver parlato con delle persone un po' speciali. Le chiama: "le persone più ragguardevoli" o "stimate", e poi le chiama "colonne". Si tratta in effetti di tre figure carismatiche e fondamentali per il cristianesimo delle origini, cioè Pietro, Giovanni e Giacomo. Parla con loro perché non vuole "rischiare di aver corso invano", cioè non vuole che tutto il suo lavoro fatto tra i pagani vada perso, qualora si trovasse in contrasto con il resto della chiesa. Quindi parla con persone da cui è sicuro di essere capito e nelle quali sicuramente troverà interlocutori validi. E' possibile che "i giudaizzanti" abbiano screditato il vangelo di Paolo, esaltando gli apostoli - a torto - e quindi Paolo sottolinea il suo accordo proprio con loro per mostrare che il suo vangelo non è una sua invenzione, ma è in pieno accordo con quanto detto da questi stessi apostoli. L'immagine della "colonna" per indicare queste persone è particolarmente significativa e forte. Significa che grazie a loro la chiesa ha un sostegno, nonché un ornamento. E questo mi fa pensare che ci sia un principio molto bello di cui tenere conto. E' importante che nella chiesa ci siano delle colonne. Delle persone capaci di dare esempi, di essere di riferimento per chi si converte, di essere punti fermi su cui si sa di poter contare. Per quanto i credenti siano tutti uguali davanti a Dio, ci sono innegabilmente delle differenze ed alcuni sono chiamati ad un ruolo di colonna portate. Ognuno di noi si deve interrogare chiedendosi se Dio non lo chiami ad essere in qualche modo colonna per una realtà più piccola, come quella della sua chiesa, essendo riferimento per gli altri, per i bambini, per i giovani; e comunque si deve interrogare sul rispetto dovuto a delle figure che nella loro imperfezione umana hanno comunque mandato avanti un messaggio. Paolo avrebbe potuto dire: "Mi importa poco di quel che dicono gli apostoli, perché tanto il mio vangelo l'ho ricevuto da Dio". Ma non lo dice, e anzi fa notare il consenso trovato insieme. La ricerca della vocazione di "colonna" per una certa sfera, ed il rispetto per le colonne che troviamo dovrebbero emergere dalla riflessione su questi passi, senza per questo portarci a nascondere errori conclamati di persone in vista, e credo di poter dire che purtroppo nelle chiese evangeliche attuali non è sempre così. Facilmente attacchiamo e facilmente litighiamo. Questo esempio ci fa ancora una volta riflettere, benché vedremo che anche Paolo litigherà con Pietro...
3. La mano ed i poveri.
Paolo e gli apostoli vengono quindi ad accordarsi. Nessuno impone niente a Tito, un non circonciso, e la stretta di mano simbolizza un accordo ed una benedizione nella comunione. Il vangelo di Paolo non è considerato monco, mutilato, ma pieno e conforme a quello predicato a Gerusalemme. Semplicemente ognuno si occuperà di un certo destinatario: a Gerusalemme i circoncisi, cioè gli ebrei, e ad Antiochia dei non circoncisi, cioè i pagani e difatti da lì partono tutte le missioni di Paolo. Ma mi colpisce molto la frase finale: ricordatevi dei poveri, richiamo alla rivelazione iniziale, quella per cui Agabo aveva predetto una carestia ed in seguito alla quale Paolo e Barnaba erano venuti a Gerusalemme. Il vangelo vive della verità, e questa verità è una ed indivisa. Non ci sono mille vangeli, ma uno solo ed è lo stesso per Paolo e per gli apostoli: questa mano stretta ci ricorda questa forte unità che molta teologia moderna cerca di contestare, parlando di un vangelo petrino, di uno giovanneo, di uno marciano ecc. Ma no, il vangelo è unico: se i destinatari sono diversi ci possono essere accentuazioni diverse, ma la sostanza non cambia ed è la stessa: Dio salva per fede degli uomini peccatori che chiama a ravvedersi. Ma questa verità non è mai separata dall'amore e dall'attenzione verso gli ultimi. Dopo aver parlato di circoncisione, di incirconcisione e altro, ricordatevi dei poveri, altrimenti il vostro vangelo è monco. Lo stesso forse dovremmo dirci oggi: dopo aver parlato delle questione che ho elencato sopra, e che spesso sfiorano la disputa sterile, come i tempi e i modi del ritorno di Cristo, le esatte dinamiche della creazione del mondo, la politica ecc. ricordiamoci dei poveri e dei bisogni di tanta umanità.


lunedì 1 ottobre 2012


Galati 1, 11-24: Il vangelo di nessun uomo.

11 Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; 12 infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. 13 Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, 14 superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri. 15 Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque 16 di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, 17
 senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
18 In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; 19 degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. 20 In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. 21 Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia.22 Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; 23 soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». 24 E glorificavano Dio a causa mia.
Quando parliamo di uomini di Dio, intendendo con questi persone che hanno una sorta di rapporto privilegiato con Dio, pensiamo a persone capaci di vivere momenti di forte vicinanza con Dio e di saperli poi trasmettere agli altri. Il passo che leggiamo oggi si inserisce in quella sezione della lettera ai Galati in cui Paolo rivendica l'origine divina del suo vangelo. Abbiamo già osservato i versetti 11 e 12 rilevando che un vero vangelo non può che essere "disumano", dotato cioè di una componente spirituale che fa sentire il soffio di Dio in ciò che proclama; ed abbiamo anche detto che Paolo non può avere prove schiaccianti e vincolanti "esterne", che diano credibilità invincibile al suo vangelo; tuttavia in vangelo che lo porta dalla violenza alla pace, dal particolarismo giudaico all'universale umano, e dal etnocentrismo all'annuncio a tutti i popoli, ha una forte credibilità: è disumano perché elimina quegli aspetti bassi dell'umanità per elevarla ad una spiritualità divina, facendola essere allora la vera umanità rigenerata dalla Parola che Dio vuole formare.
Viste queste premesse sulla divinità del vero vangelo e sulla sua unicità, nel passo di oggi vediamo quegli argomenti che Paolo stesso usa, presentano la propria biografia. Rivolgendosi alle diverse chiese presenti in Galazia sta dicendo: quello che vi ho detto su Gesù Cristo, il fatto che sia Figlio di Dio e che ci regali una salvezza attraverso la nostra semplice adesione, fatta di fede e non di opere della legge, viene da Dio. Ora ve lo provo.
1. Prima della conversione: nessun uomo avrebbe potuto cambiarmi 13-14
Paolo sottolinea i tratti fanatici che caratterizzavano la sua vita di attivista ebreo nei confronti delle chiese. Intolleranza e violenza nei confronti dei cristiani, orgoglio giudaico e competizione personale con i suoi connazionali, zelo tradizionalista e conservatore. Difficile cambiare un uomo simile che ha investito tutto in una causa, e che crede che Cristo ed i cristiani siano degli impostori, che usano abusivamente il titolo di Messia. Ne consegue che la forza che lo libera da quel fanatismo non può essere che una forza divina. Non c'è uomo che lo potrebbe cambiare, e solo Dio può intervenire.
Quanto Paolo dice è vero anche oggi, ed è per questo che preghiamo e non ci stanchiamo di pregare soprattutto per chi è estremamente convinto di essere nel giusto quando semina violenza, odio e fanatismo. I fanatici sono presenti in tutte le religioni, ci sono fondamentalismi cristiani, islamici, ebrei, e per quanta rabbia possiamo provare nei confronti della loro intolleranza, l'esempio di Paolo ci deve fare pensare che anche lui, prima di convertirsi è stato proprio così. Un violento ed un fanatico. Allora convertiamo la nostra rabbia in preghiera e speranza, convinti che Dio cura i malati e non cerca i perfetti. Del resto, tralasciando il piano del fanatismo religioso, il mondo è pieno di fanatismi di vario tipo, intendendo con essi idee ossessive e continue che guidano la vita di chi le sposa. C'è un fanatismo materialista, un fanatismo consumista, un fanatismo egoista, un fanatismo politico, un fanatismo sessuale, un fanatismo illegale e potremmo aggiungerne ancora tanti. Il Signore Gesù è morto proprio per queste persone fanatiche, immorali, ossessionate dal guadagno o dal desiderio di imporsi, e spesso va a scegliere proprio loro per far crescere il suo regno, dopo averle cambiate.
2. Durante la conversione: nessun uomo, neppure io stesso, poteva operarla. 15-16a
E' Dio che cambi i cuori, i caratteri e le vite, non gli altri uomini. E questo è tanto vero che Paolo arriva a dire che Dio lo aveva scelto fin dal seno di sua madre, cioè quando non era ancora nato. Leggendo un simile passo potremmo perderci in infinite discussioni sul libero arbitrio e sul senso di una vita che è già anticipatamente scelta da Dio, ma credo che quello Paolo voglia dirci qui è altro: vuole significare che la sua conversione è interamente opera di Dio, ha un'origine interamente divina. E' talmente estranea a una qualche azione o decisione o volontà umana che precede addirittura la formazione della persona, ed agisce già in pancia, laddove un feto, un essere non ancora completo e sicuramente incapace di scegliere e di volere è già destinato ad essere chiamato ad una salvezza, prima ancora di entrare nel mondo in cui troverà numerosi elementi da cui doversi salvare.
Questo Dio chiama per grazia, non per meriti personali, e nel chiamare rivela il Figlio. Ed ecco che arriva il paradosso: Paolo diventa l'apostolo degli stranieri, cioè di quelle persone che maggiormente in quanto non giudei gli stavano sullo stomaco... Non solo diventa cristiano, ma diventa uno specialista del contrario di quello di cui si vantava prima: proprio perché per lui c'erano solo i giudei ora invece va ad annunciare ai non giudei, ai gentili o pagani che dir si voglia. Ma non si tratta di un contrappasso, ma semplicemente della conferma del senso del vangelo che Paolo ha scoperto: prima giudicavi gli uomini in base alla loro appartenenza ad un popolo etnicamente identificabile. Adesso sei chiamato a cercare proprio quegli uomini che non fanno parte di quel popolo perché hai capito che questa appartenenza non conta niente e che l'unico criterio è conoscere Cristo.
Chissà chi abbiamo odiato prima di convertirci? Quali categorie ci sono state particolarmente antipatiche, quali abbiamo perseguitato? I ricchi? I poveri? I comunisti o i fascisti? Gli extracomunitari e gli zingari? I fumatori o i drogati? Ci sarà pure qualcuno che ci è stato sullo stomaco! Se abbiamo capito con Paolo che solo Cristo conta, perché ci ha scelti dal grembo di nostra madre dobbiamo rivedere anche quei criteri umani di giudizio che avevamo precedentemente adottato. Perché se il Signore ci ha scelti a prescindere da criteri di appartenenza umani, e se ha scelto tutti indipendentemente dalla loro appartenenze, anche noi dobbiamo "scegliere" di evangelizzare gli altri, soprattutto quelli che abbiamo in qualche modo sminuito, in base ai nostri criteri di giudizio umani.
3. La solitudine. Nessun uomo ha parlato con me. 16b-24
Infine un ultimo criterio, che non è certo il minore. Proprio perché la rivelazione è venuta dall'alto e perché non è il frutto di insegnamento ricevuto da altri Paolo insiste sul fatto che nei primi anni della sua vita da convertito, da credente in Cristo, non ha parlato con nessuno. E' piuttosto sorprendente notare che il suo vangelo non si oppone al vangelo predicato dagli apostoli, con cui vedremo la conformità. CI precisa che non parla con nessuno! Se ne va in Arabia, forse ad evangelizzare, o ancora più probabilmente a meditare, poi a Damasco, per tre anni. Oggi che di Damasco sentiamo tristemente parlare di stragi e omicidi, possiamo pensare che in quella stessa città Paolo cercava Dio nella solitudine, e si adoperava per evangelizzare, come sappiamo da Atti. E' un periodo formativo di tre anni, un po' come il ministero degli apostoli con Gesù dura tre anni. Infine fa una visita a Gerusalemme, ma è rapida, solo 15 giorni, e vede solo due degli apostoli. Ed anche in Siria e Cilicia, dove va per cominciare ad evangelizzare, come sappiamo da Atti 9, insiste su questa sua dimensione lontana dagli apostoli di Gerusalemme, con i quali invece comunicherà a fondo più tardi.
Credo che il confronto fra fratelli sia molto importante, e credo anche che quando ci si converte e si incontra il Signore Gesù Cristo, è importante stare in una comunità che ci aiuti a crescere. Ma credo anche che sia fondamentale non trascurare la dimensione solitaria, di ricerca personale di Dio e di intenso dialogo con cui su cui Paolo insiste per garantire l'origine divina del suo vangelo. Non siamo tutti uguali e quel Saulo che conosceva bene le scritture era già pieno di conoscenze su Dio prima ancora di averlo conosciuto a fondo. Non è quindi detto che tutti dobbiamo isolarci per tre anni e starcene da soli a parlare con Dio. Ma dico che è opportuno che ognuno di noi, anche se convertitosi tanti anni fa, non trascuri quella dimensione personale ed isolata della fede che in questo momento per Paolo è un vanto. Proprio perché il vangelo non è un'ideologia o una filosofia che altri di devono spiegare. E' lo Spirito Santo stesso che parla e forma chi vuole camminare con Dio, senza che manchi tuttavia il confronto con gli altri fratelli.
Oggi, leggendo le parole di Paolo a 2000 anni di distanza, vediamo come queste rimangano attuali. E speriamo di avere una settimana per cui la nostra testimonianza possa dire ciò che Paolo diceva in conclusione di questo passo: che le chiese glorificavano Dio a causa sua! AMEN