mercoledì 31 ottobre 2012


Galati 2: 11-21. Giustificati

11 Ma quando Pietro venne in Antiochia, io gli resistei in faccia, perché era da riprendere. 12 Infatti prima che venissero alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con i gentili; ma quando giunsero quelli, egli si ritirò e si separò, temendo quelli della circoncisione.13 E anche gli altri Giudei fingevano assieme a lui, tanto che anche Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia.14 Ma quando io vidi che non camminavano rettamente secondo la verità dell'evangelo, dissi a Pietro in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi alla gentile e non alla giudaica perché costringi i gentili a giudaizzare?».15 Noi, di nascita Giudei e non peccatori fra i gentili,16 sapendo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge ma per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù, affinché fossimo giustificati mediante la fede di Cristo e non mediante le opere della legge, poiché nessuna 17Or se, cercando di essere giustificati in Cristo, siamo trovati anche noi peccatori, è forse Cristo ministro del peccato? Così non sia.18 Se infatti edifico di nuovo le cose che ho distrutto, io mi costituisco trasgressore,19 perché per mezzo della legge io sono morto alla legge, affinché io viva a Dio.20 Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.21Io non annullo la grazia di Dio perché, se la giustizia si ha per mezzo della legge, allora Cristo è morto invano.

Unità apostolica ed accordo. Ma senza compromessi. In questo passo celebre della lettera ai Galati Paolo ci offre uno spaccato della chiesa primitiva alquanto interessante. Innanzi tutto è uno spaccato che demistifica l'alone di perfezione che spesso si costruisce intorno alla chiesa dei primi anni: era una chiesa di uomini semplici e litigiosi che in questo caso, benché apostoli e portavoce del vangelo si scontrano.
In secondo luogo introduce uno dei concetti chiave della fede cristiana, quello di giustificazione. L'episodio di Pietro serve come anti-esempio per parlare poi della vera giustificazione ed il termine compare tre volte, ed il v. 21 culmina con la parola "giustizia".
  1. Pietro, una testa dura.
Immaginiamo qualcuno che non sia mai venuto in Italia e che non sappia sa cosa sia il cristianesimo. Vedendo il posto che gli viene dato in alcune chiese come la cattolica, la megabasilica a lui dedicata, le pubblicità della Lavazza che ce lo fanno vedere con le chiavi in mano accanto a Dio, immaginerà che sia una specie di supercredente, di uomo dalla fede perfetta. C'è del resto una teologia che tende ad idealizzare questo primo confessore della fede cristiana dimenticando quanto le scritture mostrino il suo lato più umano. E vero che Pietro ha confessato Gesù, per primo tra i discepoli. Ma Pietro ha anche rinnegato Gesù per tre volte, è stato più volte impetuoso e violento, e nonostante Gesù lo abbia riabilitato vediamo da questo breve passo che, anche se credente da diversi anni, anche se investito di responsabilità importanti, continuava a sbagliare. In questo caso lo vediamo macchiarsi di un peccato piuttosto vistoso: l'ipocrisia. Sa che la legge non è più importante, ma per accontentare il cosiddetto "partito della circoncisione", un gruppo di persone che raccontavano tra le chiese della Galazia che questa usanza comandata dalla legge di Mosè come altre erano indispensabili alla salvezza, comincia a fingere ed a comportarsi in modo ipocrita. D'altra parte Paolo, benché abbia ragione non sembra comportarsi in modo proprio amorevole: lo riprende "in presenza di tutti". Ha fatto bene a riprendere Pietro e Barnaba in pubblico? Non sarebbe stato meglio farlo in privato? Non lo so, e la lettera non lo dice, ma tanto basti per dire che l'umanità di quella chiesa, come di tutte le chiese nel corso della storia era evidente. Fatte di persone che sbagliano, peccano, si scontrano e poi discutono. Non lamentiamoci se vediamo che anche oggi ci si scontra, perché è persino sano che questo accada: significa che all'interno della chiesa ci sono anticorpi che garantiscono che la chiesa non si lasci ingannare dal desiderio di essere sempre di un unico e solo accordo - cosa che la porterebbe alla piattezza ed al conformismo - ma conosce tensioni che le permettono di correggersi o, come dicevano i riformatori, di essere semper reformanda. Non idealizziamo un passato che in realtà è molto simile al nostro presente e che ha gli stessi militi che hanno gli uomini.
A corollario di quanto detto, notiamo che il ruolo di Pietro, seppure prevedeva delle responsabilità e delle caratteristiche di guida, sicuramente non si configurava come quello di un leader indiscusso ed unico. Nella guida della chiesa primitiva c'era pluralità, e le guida tra di loro si riprendevano. L'idea che Pietro fosse un capo della chiesa, che fosse il primo papa, o cose simili è del tutto infondata, antistorica e non trova alcun riscontro né negli Atti né nelle lettere di Paolo, né in quelle di Pietro stesso dove l'elemento dell'umiltà emerge con forza.
  1. Giustificati
In cosa sta l'errore di Pietro? Nell'aver prima creduto ed affermato che il principio di giustificazione è Cristo e la fede in Cristo, e poi nel comportarsi poi come se ciò non fosse vero. E su questo problema Paolo spende parecchie pagine. L'argomento centrale lettera, che finora è rimasto nascosto dalla biografia di Paolo e dalla rivendicazione della sua autorità apostolica, comincia a delinearsi chiaramente. Al centro dell'epistola ai Galati abbiamo un concetto straordinario e fondamentale: la giustificazione. E che cos'è? La giustificazione è quel meccanismo per cui ogni essere umano può essere ritenuto giusto davanti a Dio. E ci si chiede quindi: come si fa ad essere giusti davanti a Dio? Bisogna comportarsi bene? Bisogna seguire un codice? Il pio ebreo del tempo di Gesù e di Paolo avrebbe risposto: per poter essere giustificati davanti a Dio bisogna seguire la legge. Quindi applicare i dieci comandamenti e le ulteriori norme raccomandate dalla legge divina. La risposta dell'uomo comune nel 2000 sarebbe solo in parte diversa. Molti risponderebbero: "ammesso che ci sia un Dio, per essere giustificati davanti a Lui, bisogna comportarsi bene: non uccidere, non rubare ecc. " Ora il vangelo di Gesù ci dice che questo non basta. Perché in realtà per quanto ci sforziamo non riusciamo a comportarci sempre bene; e perché anzi spesso, ci comportiamo proprio male, o eccedendo in moralismo, o in permissivismo. Gesù ci dice allora che il principio in base a cui saremo giustificati non è il numero di comandamenti della legge che abbiamo rispettato, che è sempre insufficiente; ma che il principio della giustificazione è la sua morte sulla croce. Siccome non riusciamo a comportarci rispettando tutte queste regole e rimaniamo "debitori" verso Dio, ci pensa Lui a pagare il prezzo della nostra giustificazione, dando la sua vita al posto della nostra. In questo il testamento è Nuovo! Perché cambia il principio di giustificazione. In questo quadro si muovono gli argomenti di Paolo nei versi 15-20. Questo gruppo di "disturbatori" che avevano seminato zizzania e critiche contro Paolo tra le chiese della Galazia cosa diceva? Non lo sappiamo di preciso e lo possiamo al massimo dedurre dalle risposte di Paolo, ma presumibilmente all'idea centrale che bisogna rispettare la legge aggiungevano che, chi si convertiva al cristianesimo doveva comunque continuare a seguire una serie di regole previste dalla legge mosaica, chiamate opere della legge, tra le quali la circoncisione. Potremmo parafrasare quanto Paolo dice al 15 nel modo seguente: "noi che siamo ebrei di nascita potremmo pensare che la legge basti a giustificare. In realtà abbiamo imparato sia dallo stesso antico testamento in Salmi come il 142,2 che nessuno è giusto davanti a Dio, e sia dalla nostra conversione a Cristo che il nuovo principio di giustificazione è la fede in Cristo: il fatto di credere che non è la forza del mio rispetto delle regole che mi salva, ma la forza di Cristo che mi attrae a Lui e che mi cerca. Questo significa che ebrei e non ebrei - che consideriamo peccatori - alla fine davanti a Cristo sono tutti uguali. Sono tutti dei semplici peccatori, ed hanno bisogno, per essere giustificati, di fede, non di regole da rispettare.
Questo ragionamento poteva far subito scattare nel cuore degli ascoltatori due obiezioni: se si relativizza il rispetto della legge, e quindi tutti sono uguali, tutti peccatori tanto quelli che la rispettano che quelli che non la rispettano, allora questo cambiamento del principio di giustificazione rischia di diventare un qualcosa che favorisce il peccato. Sia perché tutti ne sono macchiati, anche quegli ebrei che pensavano di essere immuni dal peccato, sia perché sminuendo l'importanza della legge si rischia di far credere che si può far quel che si vuole, tanto ci pensa Cristo. Questo tipo di ragionamenti poteva aver portato alcuni a dire che allora Cristo è un servitore del peccato, nel senso di ministro del peccato (la parola greca è diacono). Cioè uno che fa un favore al peccare, all'allontanarsi da Dio anziché all'avvicinarsi. Ma no di certo! Risponde Paolo. Perché Cristo non relativizza né annulla la legge. Dà a questa tutta la sua importanza ed il suo valore nel mettere in luce la volontà di Dio per l'uomo, ma ricorda che non è la legge il principio di giustificazione. Riedificare ciò che si è demolito, significa riedificare il principio di giustificazione in base alle opere della legge. Sembrerebbe una critica verso Pietro, che dopo la sua visione (atti 10) che lo ha portato a mangiare di tutto con tutti, ricomincia a mangiare solo con giudei, quindi riedifica un vecchio sistema che Dio stesso lo aveva portato a demolire.
Non dobbiamo stancarci anche oggi di ripetere che annunciare che la salvezza è per sola fede non significa che l'etica sia relativa, che il comportamento non conti o che operare bene sia superfluo. Paolo qui si scaglia contro il rispetto ossessivo di piccole regole formali che danno soddisfazione apparente e idea di aver fatto qualcosa per Dio, come i segni nella carne lasciati dalla circoncisione, ma che in fondo sono vuote. La fede è molto di più. La fede va al di là del rispetto di una regola e di una lista di comandamenti. Perché la fede è la vita, di cui Paolo ora, riprendendo il suo esempio dice di essersi appropriato.
  1. Quanto a me...
Paolo ci invita a non confondere due concetti che si nascondo dietro il termine legge: uno è quello che la considera una raccolta di articoli e libri che esprimono la volontà di Dio; l'altro è il considerarla il mezzo per poter apparire giusti davanti a Dio. Questo secondo è sbagliato, mentre il primo vale. Per questo Paolo può dire che "Per mezzo della legge è morto alla legge" La legge stessa contiene numerosi passi che ricordano che non è rispetto formale di norme che conta, ma il cuore rinnovato, l'amore per Dio e per il prossimo, la fiducia nel Signore. Possiamo pensare ad Isaia, a Geremia, a Ezechiele ed agli altri profeti: se si affliggono per il mancato rispetto della legge di Dio e per l'idolatria, è perché vedono falsità dietro culti che apparentemente inneggiano a Dio. La legge stessa, se letta bene, ci fa morire al falso uso della legge.
Paolo è stato crocifisso in Cristo. Ed in questa immagine meravigliosa troviamo il riassunto della vita di chi ha deciso di diventare Cristiano: non sono più io che vivo, ma il Cristo vive in me! Paolo, un ebreo iperosservante, scrupoloso ed ossessivo nel rispettare la legge, era in realtà un morto spiritualeche andava ad uccidere cristiani pensando di fare del bene. Ha scoperto che la sua interpretazione della legge era sbagliata, falsa! E ha capito che doveva morire a quel modo di interpretare, crocifiggerlo sulla croce, per lasciare che Cristo lo facesse rivivere in una vita vera e pienamente giustificata. Non per i suoi meriti, ma per quelli di Cristo morto per lui. Se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, la morte di Cristo sarebbe inutile. Ma la giustizia per mezzo della legge non si ottiene, e quindi la morte di Cristo è necessaria per la salvezza dell'umanità.
Tanti di noi oggi possono dire di sperimentare in profondità il senso delle parole di Paolo. Possono di dire di aver vissuto questa morte a se stessi e questa resurrezione ad una vita nuova in Cristo. Eppure dopo l'entusiasmo è importante valutare giorno per giorno la portata di queste parole. Paradossalmente, anche se non si deve fare niente, essere crocifissi e lasciar vivere Cristo in noi è più difficile che cercare di essere giustificati dalla legge... Sì, in fondo rispettare qualche regola è facile. Potremmo decidere di fare come questi disturbatori dei Galati e raccomandare un taglietto nel prepuzio, la separazione dai pagani, qualche norma igienica, e ci sentiremmo poi a posto davanti a Dio. La vera vede ci chiede molto di più del rispetto di qualche regola. La vera vede nel Cristo che vive in chi decide di morire alla legge e quindi a se stesso, e di avere una nuova vita nella fede del Figlio, è difficile: possiamo veramente dire che le persone intorno a noi vedano sempre in noi questo Cristo che vive? Possiamo veramente dire ogni giorno che amiamo come il Cristo ci ha amati e che ci comportiamo come Lui? Possiamo dire che non c'è un minuto in cui la nostra fede e fiducia in Dio crolla e che siamo sempre costantemente fedeli? Temo proprio di no. Ma questa stessa difficoltà ci riporta a dire che Cristo non è morto inutilmente. E' morto perché le stesse persone che vorrebbero portarlo non ne sono degne e non sanno farlo. E quindi ha senso che muoia per loro, per perdonare il modo in cui erano ed il modo in cui continuano ad essere. Come Pietro che continua a sbagliare...


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