lunedì 3 settembre 2012


Quanto vale un seme?

Vangelo di Marco capitolo 4:1-20

1 Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. 2 Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3 «Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. 4 Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono.5 Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; 6 ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. 7 Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8 E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». 9 E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!».
10 Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: 11 «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole,12 perché:
guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».
13 Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole? 14 Il seminatore semina la parola. 15 Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro.16 Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, 17 ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono.18 Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, 19 ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. 20 Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno».


Dopo un bel periodo di semina, come quello che abbiamo trascorso insieme ai nostri amici francesi, credo sia bello riprendere la parabola del seminatore che, appunto, parla di seminare. Per una settimana, abbiamo infatti cercato di seminare in modo più “intensivo” di quanto non facciamo di solito, distribuendo volantini sulla nostra chiesa, e annunciando la parola con diverse attività di evangelizzazione. Pensando a tanti semi lanciati, sotto forma di fogli, parole ed incontri, possiamo trovare un senso a quanto fatto meditando le parole del vangelo di Marco.
Perché Gesù tra le tante metafore che avrebbe potuto scegliere prende proprio quella del seme ? -  che non è poi la sola a cui equipara il vangelo. Tento una risposta: il seme, in primo luogo, ci colpisce per la sua piccolezza e per la fragilità del suo destino. Un seme lanciato da un seminatore è esposto al vento, agli uccelli, all’impossibilità di vedere sotto i terreni e quindi può cadere nel buono, ma anche nel cattivo terreno. Mi colpisce proprio il fatto che non ci sono grossissime garanzie che un seme lanciato produca frutto. Potrebbe esserci siccità, eccesso di piogge, potrebbe essere mangiato appunto dagli uccelli, e niente ci garantisce che faccia crescere una pianta. Il vangelo, paradossalmente, è anche così; o meglio, l’evangelizzazione è più simile ad una semina tradizionale, che ad un’operazione di agricoltura intensiva. In modo delicato, come un seme, si insinua tra le zolle di un campo e aspetta di essere accolto bene. C’è una gran fragilità nel suo affermarsi. Mi viene da pensare a quanto poco siano invasivi i semi, alla loro discrezione. L’evangelizzazione non è quindi una rumorosa ed impositiva campagna pubblicitaria che impone un messaggio. Dio non si impone agli uomini con violenza, e non si manifesta con aggressività, ma si propone come un seme. Tuttavia, questo seme impone ai terreni di rivedere completamente la loro consistenza, proprio come le parabole non impongono niente, ma per essere capite richiedono uno sforzo interpretativo. “Chi ha orecchi per intendere”, dice Gesù! Perché il seme possa portare frutto non c’è bisogno di pesticidi che sconfiggano le piante del campo o di irrigazione intensiva che faccia crescere dove è impossibile: c’è bisogno che i terreni siano pronti ad accogliere, quindi di una trasformazione dei terreni. Ecco perché, nella spiegazione, Gesù dice che parla in parabole: per costringere le persone a riflettere sulla loro condizione. Quindi fragilità, delicatezza, soffio: ma non perché il vangelo non sia potente! Semplicemente perché questo modo di porsi del vangelo, costringe a cercare, a pensare, a scoprire. E chi non vuole aprire il proprio cuore al seme della parola, rimane un terreno sterile che non porta frutto.
Uccelli. Possiamo riprendere le immagini di questa parabola e vedere quanto siano attuali ed utili a spiegare la precarietà della semina: il seme sulla strada viene portato via dagli uccelli, che rappresentano satana che porta via la parola. La società in cui viviamo è caratterizzata da una quantità infinita di informazioni che circolano e di canali che le fanno circolare: i media che abbiamo oggi permettono di seminare idee buone e cattive in modo più ampio e veloce di quanto non accadesse al tempo di Gesù. Come credenti abbiamo la gran responsabilità di seminare tanto perché i semi vengono facilmente spazzati via da altre idee o da altri canali. Infiliamo dépliant di evangelizzazione accanto al catalogo dell’IKEA, alla pubblicità di un ristorante, a mille altre proposte che concorrono. Dobbiamo esserne consapevoli, e non stancarci di seminare. Ma dobbiamo anche pensare a noi stessi: riceviamo la parola adeguatamente o lasciamo che venga portata via dal primo uccello che passa? La parola che leggiamo da soli, quella che ascoltiamo la domenica, quella che leggiamo in un libro, che cosa facciamo perché attecchisca? Se ci limitiamo ad ascoltarla superficialmente, senza tornarci sopra durante la settimana, senza parlarne, senza riprenderla, probabilmente finirà per essere mangiata dagli uccelli...
Rocce: seminiamo in un terreno che spesso ha terra solo in superficie e sotto è fatto di rocce. È una bella immagine per descrivere la superficialità umana. Ci si entusiasma facilmente, ma solo del contorno del messaggio, non della sua essenza. Capita spesso di vedere nelle chiese persone che si avvicinano con entusiasmo, che magari fanno professioni di fede  e battesimi, che dichiarano la loro fede con forza, e che poi si fermano alla prima prova. La scarsità di terreno, la superficialità è una pecca tipica della nostra società. Sentiamo talmente tante voci che non riusciamo ad approfondirne nessuna, quindi ci lanciamo con entusiasmo verso cose nuove, ma non le assimiliamo. Anche qui dunque cerchiamo di essere consapevoli che la semina prevede di queste false partenze... Ma lasciando chi abbandona le chiese e pensando a chi invece rimane:  quanto approfondiamo le parole che il Signore ci dà? Quanto lavoriamo perché si radichino profondamente dentro di noi per portare il frutto di una vita rinnovata?
Spine. L’attualità di quest’ultima immagine mi sconcerta. Preoccupazioni e bramosie del mondo, ricchezza, tendenze che in un mondo materialista e consumistico come il nostro vengono portate alla massima esaltazione. Mi spaventa sempre di più il problema del senso che riceviamo dai prodotti della nostra società: siamo incoraggiati a comprare e siamo in crisi perché non produciamo e non compriamo... Il capitalismo ci abitua ad essere consumatori in primo luogo. E confesso che l’acquisto di un bene mi procura gioia, mi fa sempre pensare che potrò stare meglio. Una macchina nuova più grande, un computer nuovo più rapido, una lavatrice nuova... Non possiamo uscire dal mondo in cui siamo e fare a meno dei beni di consumo, ma dobbiamo essere consapevoli del loro potere “soffocante”. Quando diventano fini a se stessi ci hanno soffocato, e hanno sottomesso la nostra vita al consumo. Dio non vuole dei consumatori, vuole persone che portino frutto, e che fioriscano nella gioia spirituale di conoscerlo. Vuole persone che sappiano usare i beni di questo mondo per la sua gloria ed il suo regno, non che li distraggano dal fine della vita. Consapevoli che molti semi verranno soffocati dalle spine del mondo consumistico in cui viviamo, stiamo attenti a tagliare i rovi intorno a noi!
La potenza del messaggio. Quanto detto potrebbe spaventarci o comunque farci stare sull’attenti, perché se il messaggio è così precario potremmo temere di perderlo, di non riceverlo, di seminare invano o ancora potremmo immaginare che la ricezione del messaggio sia del tutto arbitraria. Eppure la parabola ha un gran messaggio incoraggiante: nonostante la piccolezza e la fragilità il seme nasconde un’infinita potenza. Ed è impressionante pensare che piante enormi, come le sequoie o i baobab, ma anche dei semplici pomodori o delle zucche, vengano fuori da piccoli semini che hanno in sé una misteriosa forza che li fa crescere. Se l’aspetto della fragilità ci ha preoccupati, facendoci temere che le parole possano volare senza utilità, possiamo stare certi che ogni seme di vangelo depositato non è deposto invano. Nasconde in sé una forza che va avanti da sola, e che per quanto vada annaffiata è lasciata in mano alla natura. Durante questa settimana abbiamo lanciato molti semi, ed altri amici ci hanno aiutato a lanciarne. Questi semi hanno una loro forza intrinseca che non dipende da noi e dalla nostra volontà, e possiamo avere fede in Dio che cresceranno. Non sappiamo in quali terreni, ma certamente cresceranno perché il vangelo contiene una sua forza autonoma, quella dello spirito santo che fa crescere le parole seminate. Non vedremo crescere molti dei semi seminati, eppure cresceranno in un modo che noi non immaginiamo.
E possiamo anche pensare che se siamo stati un giorno buon terreno ed abbiamo accolto il seme della parola, questo seme continua ad andare avanti. La parabola parla del seme nella sua prima fase, ma già nello stesso capitolo una parabola successiva che non abbiamo letto parla della forza dell’albero che cresce da sé. Se abbiamo scelto di camminare con Dio, ci siamo convertiti ed abbiamo dato la nostra vita a lui, possiamo stare certi che questa vita continua.
Se la parabola poggia sulle due idee di fragilità e potenza del seme, credo che noi potremmo pensare di identificarci sia con il seminatore che con la terra che riceve: abbiamo ricevuto un seme lanciato da altri; sforziamoci di coltivare il nostro proprio terreno, dissodandolo, ripulendolo, tenendo lontani uccelli, spine e quant’altro ci impedisca di ricevere ogni giorno la parola di Dio. Ed identifichiamoci anche nel seminatore, perché come abbiamo ricevuto i semi vogliamo darne, seminando nelle vite di chi ci sta intorno e fiduciosi nella potenza del seme del vangelo: il vangelo è la parola di Dio che rivolge un invito agli uomini ad incontrarlo e a convertirsi per una vita di crescita spirituale, opposta ad una vita di aridità.


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