mercoledì 12 dicembre 2012


Potenza attraverso la debolezza, di Johan Soderkvist

1 Cor 1:17-2:5
Introduzione
Nel 2007 c'è stato un interessante dibattito fra Richard Dawkins, un noto biologo molecolare di Oxford e John Lennox, matematico e professore a Oxford.
Il primo è un ateo attivo, noto principalmente per i suoi libri in cui attacca il pensiero cristiano e cerca di dimostrare che Dio non serve e non esiste (all'epoca The God Delusion a cui poi sono seguiti anche altri libri).
Il secondo è un cristiano evangelico che è stato anche in Italia più volte predicando in varie chiese e che il prossimo anno avremo al Convegno Nazionale GBU.
Nel dibattito Lennox difende la fede cristiana su alcuni punti dove Dawkins aveva mosso delle critiche.
Ho visto il video di questo dibattito e l'ho trovato molto interessante.

Devo però ammettere che prima di vederlo avevo un po' di paura che Lennox non potessecontrastare Dawkins in maniera convincente,
e mi sono reso conto che a volte evito discussioni/testimonianze con certe persone perché penso di non poter competere con il loro livello culturale/intellettuale, penso di non poter presentare Gesù in modo rilevante a loro.
Questo mi ha portato a riflettere su 1 Cor 1:17-2:5 dove si parla della potenza di Dio manifestata attraverso la debolezza e l'intelligenza di Dio manifestata attraverso la follia.
Leggiamo insieme.
1 Potenza manifestata attraverso la debolezza del Vangelo annunciato (1:17-25)
v22-23a “Poiché i Giudei chiedono un segno e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso.”
Per i giudei è scandalo
Possiamo capire la difficoltà che un ebreo poteva avere davanti a Gesù, figlio di Dio, crocifisso, se andiamo a vedere l'Antico Testamento. In Deut 21:22-23 è scritto Quando uno avrà commesso un delitto passibile di morte, e viene messo a morte, lo appenderai a un albero. Il suo cadavere non rimarrà tutta la notte sull'albero, ma lo seppellirai senza indugio lo stesso giorno, perché il cadavere appeso è maledetto da Dio, e tu non contaminerai la terra che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà come eredità.”
L'uomo appeso ad un albero viene dichiarato “maledetto da Dio” e che la terra che Dio ha dato viene contaminata dal suo corpo. Ecco perché vogliono anche togliere di mezzo il corpo di Gesù il più velocemente possibile dopo la sua morte (Giov 19:31).
Predichi il Figlio di Dio crocifisso: SCANDALO!
Per i greci è follia
La crocifissione era una esecuzione destinata agli schiavi e abitanti di basso rango di solito delle provincie romane, quasi mai per un cittadino romano. Era quindi una morte estremamenteumiliante. Non certo la morte di un maestro tanto meno di un re.
Per quanto riguarda la risurrezione, anche se i Greci credevano che alcune divinità erano morte per poi ritornare in vita, erano credenze che relegavano ai miti.
Predichi il Figlio di Dio crocifisso: Sei SCEMO!
Per quelli che sono chiamati è potenza di Dio e sapienza di Dio
Per chi crede, la crocifissione di Gesù è la vittoria, è il momento in cui il peccato viene sconfitto e possiamo nuovamente riprendere una vita in comunione con Dio.
E' un evento che ci mostra la grande potenza di Dio, la grande sapienza di Dio ma anche il grandeamore di Dio per ognuno di noi.
Giov 3:14-18 “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.”
E oggi?
Sono passati 2000 anni ma ancora oggi l'uomo trova gli stessi ostacoli davanti al messaggio del Vangelo.
Per alcuni è uno scandalo, forse non tanto per la crocifissione che ormai ci sembra una pratica talmente lontana che non ci rendiamo nemmeno conto di cosa implica, ma è uno scandalo per via di ciò che il Vangelo insegna, per molti oggi è:
  • uno scandalo credere nella sacralità della vita dal concepimento,
  • uno scandalo doversi misurare con la visione biblica sul matrimonio,
  • uno scandalo credere che esiste una verità assoluta, ecc
Per altri è una follia, forse non tanto per la crocifissione, ma è una follia per via di ciò che il Vangelo insegna, per molti oggi è:
  • una follia credere che Dio abbia creato l'universo e l'uomo,
  • una follia credere in un Dio buono, onnipotente e onnisciente,
  • una follia credere nella risurrezione, ecc
Invece per chi ha creduto in Gesù il Vangelo è sapienza e potenza la morte di Gesù è ladimostrazione di questo: v25 “poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.”
2 Potenza manifestata attraverso la debolezza dei convertiti (1:26-31)
Situazione a Corinto: “non molti..” (1:26-28)
Le persone che componevano la chiesa di Corinto non appartenevano a nessuna élite. Visti con gli occhi dell'uomo non vi erano molti intellettuali o saggi, non vi erano molti potenti e non vi erano molti nobili. La maggioranza veniva dagli strati sociali bassi e senza particolare educazione.
A Dio questo va bene, lui con i folli vuole svergognare gli intellettuali, con i deboli vuole svergognare i forti, con quelle che non sono niente vuole ridurre al niente quelle che sono.
Perché? (1:29-31)
Il motivo è semplice: Tutta la gloria di quello che Lui ha fatto e di quello che i credenti di Corinto fanno deve andare SOLO a Lui.
Oggi?
Ci sono sicuramente momenti in cui ci sentiamo bravi, forti e intelligenti.
Però la verità è che ci sono pochi potenti fra di noi, ci sono pochi intellettuali. Sono molte le volte in cui ci sentiamo inadeguati non solo davanti a Dio e alla sua verità, ma anche davanti alle molte pretese e le situazioni in cui ci troviamo nella vita di tutti i giorni.
Una delle paure della nostra società è “non so se ce la faccio”. Ci sentiamo spesso inadeguati.
→ TU sei stato scelto!
Non perché fai parte di una elite, ma perché Dio vuole ridurre al niente le cose che sono con te che non sei.
→ TU sei stato scelto perché tu e tutti quelli che sono intorno e ate diano tutta la gloria a Dio e non a te.
Questo ci porta alla umiltà e alla lode!


3 Potenza manifestata attraverso la debolezza del predicatore (2:1-5)
[Per sapere di più su quello che succede a Paolo a Corinto potete leggere Atti 18!]
Quando Paolo venne a Corinto ad annunciare il Vangelo rinunciò sia alla sapienza umana (filosofia) che alle belle parole (retorica). Riuscì a predicare lo stesso con potenza perché:
Al posto della sapienza umana aveva il vangelo di Cristo crocifisso (2:2)
E ne abbiamo già parlato al punto precedente...
Al posto della retorica aveva la potenza dello Spirito Santo (2:4)
  • E' lo Spirito che da' le parole giuste per testimoniare il Vangelo.
  • E' lo Spirito che opera i segni utili a confermare il Vangelo.
  • E' lo Spirito che convince di peccato.
Perché Dio usa un predicatore debole? (v2:5)
La loro fede NON doveva essere fondata sulla sapienza umana, NON doveva essere fondata sulla persuasione fatta solo con ragionamenti umanilogica e con la buona retorica.
Doveva essere fondata sulla potenza di Dio e sulla convinzione di peccato che solo Dio può dare.
E per me e te?
Oggi mi trovo io qui davanti, domenica prossima ci potresti stare tu. Uscendo da qui ci troveremo tutti in situazioni in cui dobbiamo presentare il vangelo ad altri.

→ Ti senti inadeguato?
Pensi che serva una certa proprietà di linguaggio per poter parlare di Dio?
Pensi che non hai ancora abbastanza conoscenza?
Hai paura e tremore come aveva Paolo? (v2:3)
Non pensi di poter essere convincente?
Allora rileggi insieme a me 2:1-5 “E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunziarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.”
Riassunto
Abbiamo visto come la potenza di Dio si manifesta attraverso un terzetto di debolezze:
debolezza del messaggio, debolezza del messaggere, debolezza degli ascoltatori.
Conclusione
Per concludere dove ho cominciato posso dirvi che il dibattito è stato molto interessante.
Lennox è stato capace di difendere la fede in maniera molto convincente, smontando uno a uno i punti di Dawkins mostrando che Dio è una ipotesi valida e plausibile.
Quello che però mi ha colpito di più era la faccia sbalordita di Dawkins (e in video si vede molto bene) quando Lennox afferma di credere davvero che Gesù è morto e poi risuscitato.
Su questo e altri argomenti Lennox lo ha spiazzato talmente tanto che poi sono seguiti altri colloqui più informali fra i due.

Lennox non ha avuto paura di mostrare chiaramente la follia del Vangelo, mostrando così anche la sua follia nel crederci...
Questo è quello che ha colpito maggiormente Dawkins: un uomo intellettualmente solido che afferma di credere nel Vangelo!
Il vangelo sembra debole ma è FORTE e noi siamo deboli, ma grazie al Vangelo e allo Spirito Santosiamo FORTI!
Lasciamoci usare da Lui!



Galati 4,21-31. Fecondazione spiritualmente assistita

Galati 4, 21-31
Attorno alla figura della mamma esiste in ogni cultura un ricco campionario di espressioni, credenze, ricorrenze, pregiudizi, o tradizioni: si afferma che di mamma ce n'è una sola, per dire che indipendentemente da come si comporta la mamma è sempre la mamma; si celebra la festa della mamma per ricordarla a scuola; gli italiani sono famosi per certo "mammismo" che oltralpe ha dato vita al luogo comune dell'italiano sempre attaccato alla mamma o della famiglia italiana con la mamma che ha sempre tanti figli - stereotipo ancora vivo in Francia, benché siamo attualmente uno degli stati con meno nascite per famiglia; e ancora proverbi, come quello che ci dice che: "Ogni scarrafone è bello a mamma sua!", per dire che il cuore di mamma vede bello anche un figlio orribile e via dicendo.
Anche Paolo nel discorso conclusivo della sua lunga argomentazione che oppone la FEDE alle OPERE DELLA LEGGE fa leva su questa figura cruciale di ogni cultura, la madre, la genitrice, colei che ci ha dato la vita. E quanto dice è molto forte perché, senza minimamente screditare la figura materna, rimette in discussione in modo critico un dato antropologicamente indiscutibile della maternità. La maternità è un dato biologico, ma da un punto di vista spirituale c'è più della biologia.
Il lungo discorso di Paolo non è sempre semplice da seguire perché i termini usati affondano nell'immaginario ebraico e nelle convenzioni usate dai rabbini del tempo di Paolo, ma tenteremo di addentrarci in questo testo, per altro molto ricco.
Appello. Prima ancora di cominciare il suo ragionamento Paolo apostrofa i suoi interlocutori: "voi che volete essere sotto la legge". Vale la pena ricordare che non si tratta qui soltanto di quei personaggi infiltratisi tra le chiese dei galati nell'intento di rimettere in piedi la legge di Mosè nelle chiese cristiane, tentando quindi un sincretismo curioso tra circoncisione e croce; si tratta di un appello a tutti coloro che tentano di aggiungere qualcosa alla sola fede, inventando un qualche meccanismo di giustificazione davanti a Dio, diverso dal credere che Gesù ha pagato per ognuno di noi sulla croce.
L'episodio di Sarah ed Agar. Trattandosi di un discorso in primis rivolto a degli ebrei convertiti al cristianesimo che tentano di ripristinare alcuni elementi della religione giudaica che secondo Paolo non hanno più ragion d'essere, le immagini ed il linguaggio usati affondano nell'Antico Testamento. Paolo ricorda dunque l'episodio dei due figli di Abramo: uno, Ismaele, figlio di Agar, serva di Sarah e mandata esplicitamente da Abramo da Sara stessa, sterile, per concepire. L'altro Isacco, figlio di Sara, concepito da Sara che era sterile ed in vecchiaia. Agar ed Ismaele vengono allontanati dalla famiglia di Abramo perché Agar si era insuperbita una volta incinta del figlio, e perché anni dopo il figlio sembra aver schernito Isacco. E' importante sapere che per gli ebrei essere i veri discendenti di Abramo, e di Isacco era un motivo di forte orgoglio. Ricordiamo bene di quei giudei che nel vangelo di Giovanni (8) rispondevano a Gesù che li accusava di essere schiavi del peccato : "Noi non siamo mai stati schiavi di nessuno, Noi abbiamo Abramo come padre!", e che pensavano che questo li rendesse di per sé liberi. Paolo vuole distruggere questo loro vanto di tipo biologico, genealogico con un argomento molto forte: la genealogia non conta niente, perché non tutti i figli sono i figli della promessa! Seguiamo il suo ragionamento:
1. Due madri diverse. 23-24
Il primo elemento che differenzia Sara ed Agar è il loro statuto: la prima è libera, è la moglie del patriarca, la seconda è la servitrice di Sara. Questa differenza di statuto fa sì che anche i loro figli saranno o servi o liberi a seconda da chi nascono. Sono anche diverse per il modo in cui partoriscono: Agar partorisce in modo assolutamente naturale: viene messa incinta da Abramo e poi partorisce. Sara anche partorisce naturalmente, tuttavia la sua fecondazione ha qualcosa di miracoloso, qualcosa che in qualche modo anticipa già la nascita di Gesù: partorisce in modo quasi soprannaturale, in virtù di una promessa fatta ad Abramo: potremmo ironicamente chiamare questa fecondazione "spiritualmente assistita", nel senso che al processo perfettamente naturale della fecondazione si affianca l'assistenza dello spirito ad una donna anziana e sterile che non aveva mai concepito.
Ecco dunque il primo colpo sferrato da Paolo contro l'orgoglio giudaizzante: credete di essere figli di Abramo e di Isacco, ma non è così, perché invece di credere per fede che Dio genera figli spiritualmente, promettendo, vi attaccate alla biologia, alla genealogia. Ed essere figli di qualcuno non vi serve a niente. Essere figli di qualcuno serve molto nei paesi corrotti per trovare lavoro, per farsi aprire le porte del potere e sistemarsi. Ma nel mondo dello spirito non conta di chi si è figli, non conta la discendenza, conta solo il rapporto che abbiamo con Dio in virtù delle sue promesse.
Come evangelici abbiamo anche noi dei padri spirituali di cui possiamo essere più o meno fieri. Ammiriamo la Riforma protestante, i personaggi che l'hanno animata e nel corso degli anni tutti quegli uomini e quelle donne di Dio che hanno lavorato per il suo regno in modo tenace ed esemplare. La domenica vicina al 31 ottobre a me piace ricordare l'episodio dell'affissione (leggendaria o reale che sia) dell'affissione delle 95 tesi sulla cattedrale di Wittemberg. Ma guardiamoci dal farne un vanto, un motivo di fierezza per cui basterebbe rivendicare la paternità riformata per sentirsi a posto davanti a Dio, perché cadremmo nello stesso errore dei sovvertitori dei Galati. A loro Paolo dice che sono figli di Agar, che sono schiavi delle loro tradizioni e che quindi non sono più figli di Abramo secondo Isacco, ma lo sono solo secondo Ismaele... Non sono rigenerati, sono semplicemente generati geneticamente. A noi potrebbe dire la stessa cosa se l'attaccamento alle figure storiche di riferimento dovesse diventare un vanto.
Lo stesso si potrebbe dire nelle famiglie che sono credenti da più generazioni: ringrazino per la benedizione della continuità della fede, ma non diano mai niente per scontato! Perché non è per educazione e discendenza diretta che si diventa cristiani: si diventa cristiani per mezzo della promessa, rivolta ad Abramo e realizzata in Cristo! Che siamo nati naturalmente o meno, ci deve essere chiaro che nella vita dello Spirito necessitiamo tutti di quella fecondazione assistita dallo Spirito che solo Cristo, con il suo Spirito garantisce. E per questa non c'è bisogno di fare viaggi all'estero, essendo in Italia proibita, basta rivolgersi direttamente a Dio, ovunque ci si trovi!
2. Il piano allegorico: due patti. 24-28
Queste due donne non sono diverse solo sul piano dello statuto civile e nel modo in cui procreano, ma anche sul piano allegorico, poiché rappresentano due patti: Agar rappresenta l'antico Patto legato al monte Sinai in Arabia, e gli abitanti dell'Arabia erano noti al tempo come figli di Agar. Paradossalmente la Gerusalemme terrena è legata a questo monte ed a Agar, perché rifarsi alla Gerusalemme terrena come emblema dell'ebraismo della Legge, e come motivo di orgoglio dell'identità giudaica significa voler rimanere schiavi della legge. Dico paradossalmente perché si pensa che siano i musulmani ad essere figli di Ismaele, mentre qui Paolo sostiene che sul piano allegorico chiunque non riconosce Cristo, in cui tutte le promesse rivolte all'Israele terreno sono realizzate, è allegoricamente figlio di Ismaele... Di nuovo, la genealogia, la biologia non contano niente! Non è che essendo figli di qualcuno si eredità la sua salvezza!
C'è quindi un altro patto, che è quello di Sara, che allegoricamente rappresenta la Gerusalemme celeste, che unisce cristiani ed ebrei convertiti. E Paolo cita qui Isaia 54, in un passo che fa riferimento al ritorno dall'esilio babilonese, promettendo che il popolo tornerà ad essere fecondo e numeroso. Paolo rovescia dunque completamente la comprensione letterale delle promesse, ed afferma che il fatto di essere ebreo per discendenza non conta niente, mentre tutto consiste nell'essere ebreo nel cuore, cioè cittadino della Gerusalemme celeste in cui si entra con la chiamata di Cristo. Questa Gerusalemme celeste è come una partoriente che per tempo è stata sterile, ma che ora genera figli con abbondanza.
Attualità. Credo sarebbe molto interessante oggi leggere questo testo nel bel mezzo dei territori di Israele e della Palestina, con il rischio magari di essere linciati: chissà cosa penserebbero oggi palestinesi ed ebrei che si fanno la guerra, di Paolo che li mette esattamente sullo stesso piano: ebrei come musulmani sono alla pari figli di Agar e di Ismaele! Ricordiamoci delle parole di Paolo in qualche capitolo fa: "non c'è più ne giudeo né greco", ed affianchiamole a queste parole che pongono la Gerusalemme terrena sotto la stessa categoria dei figli di Agar. Le promesse realizzate in Cristo ci fanno vedere dal grandezza del nuovo patto che è veramente universale, ed universalizzabile. Annullare le distinzioni etniche dicendo che sono vane davanti a Dio, e dire che l'unica cosa che conta è incontrare questo Dio, è un'operazione di una portata straordinaria che rivoluziona il giudaismo del tempo e che gli fa fare il salto da religione a fede.
3. Persecuzione. 28-31
Chi ha letto la Genesi ricorda che i rapporti tra Ismaele ed Isacco non erano buoni, perché sembra che il primo schernì il secondo, motivo per cui furono cacciati lui e la madre. Paolo, perseguitato per il vangelo che sta annunciando, e perseguitato per mano ebrea, fa notare come questa lotta atavica continui fino al suo tempo. La lettura del libro degli Atti ci ha fatto vedere come Paolo ha incontrato persecuzioni durante i suoi viaggi da parte dei suoi fratelli ebrei. Cosa dice dunque: cita il passo della Genesi che dice: "Manda via la schiava" (Gn 21,10). Con questo non conclude che quindi si debba fare guerra ai figli della schiava, anzi, vediamo che nella pratica Paolo ha continuato ad ad andare a parlare nelle diverse sinagoghe per annunciare il messia, ma che è opportuno mandare via allegoricamente ogni istanza che tenta di ridurre in schiavitù chi ha gustato la libertà in Cristo.
Oggi forse non ci esprimeremmo con le stesse parole di Paolo, visto che la persecuzione degli ebrei nel corso della storia ha dominato, per quanto una rapida disamina del web mi ha fatto scoprire che esistono persecuzioni delle minoranze cristiane in Israele anche oggi, tali per cui esiste anche una risoluzione del Parlamento Europeo in materia. Tuttavia credo che il problema non sia più da porre in termini etnici. Paolo è stato perseguitato perché ha sconvolto un sistema religioso, che portava a gonfiare l'orgoglio umano e a confidare nelle opere. Oggi, attaccare i credi religiosi che riducono l'individuo in schiavitù può ugualmente produrre persecuzione. E' per questo che preghiamo spesso per la chiesa perseguitata. Se l'allegoria di Paolo ha un senso, questa significa proprio che i figli della schiava, di ogni nazione, di ogni etnia e di ogni credo, tendono a perseguitare quelli della libera, perché c'è un'opposizione radicale tra chi accetta Cristo come Signore della propria vita e chi non lo accetta. A volte si traduce in guerra e persecuzione, come nei molti paesi che perseguitano i cristiani (Korea del Nord, Iran, Afghanistan, Pakistan, Nigeria tra le prime, ma con molti altri). A volte è semplicemente scherno e screditamento della fede. Per noi rimane un monito: quando non siamo affatto perseguitati e quindo nel mondo in cui siamo tutto fila liscio, probabilmente abbiamo abbandonato quel messaggio radicale e critico che Paolo portava senza mezze parole. Se vogliamo veramente essere i figli di Sara dobbiamo accettare anche la persecuzione e lo scherno che Sara visse.

Immagini di libertà, da Galati 4, 1-20. Stefano Molino

1 Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l'erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; 2 ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. 3 Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. 4 Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5 per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. 6 E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! 7 Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
8 Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono;9 ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? 10 Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! 11 Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.
12 Siate come me, ve ne prego, poiché anch'io sono stato come voi, fratelli. Non mi avete offeso in nulla. 13 Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo;14 e quella che nella mia carne era per voi una prova non l'avete disprezzata né respinta, ma al contrario mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù.
15 Dove sono dunque le vostre felicitazioni? Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli. 16 Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? 17 Costoro si danno premura per voi, ma non onestamente; vogliono mettervi fuori, perché mostriate zelo per loro. 18 È bello invece essere circondati di premure nel bene sempre e non solo quando io mi trovo presso di voi, 19 figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi! 20 Vorrei essere vicino a voi in questo momento e poter cambiare il tono della mia voce, perché non so cosa fare a vostro riguardo.



Libertà è una di quelle parole passe-partout che qualunque oratore ha interesse ad usare perché sicuramente fa colpo sull'uditorio. Nel bene e nel male è un concetto che affascina, forse perché tutti ci rendiamo conto di essere soggetti a qualcosa, o forse perché abbiamo l'impressione che qualunque organizzazione, lo stato, la chiesa, i partiti, manchino in qualche modo di sufficiente libertà, e quindi ne ricerchiamo.
Tra gli argomenti che Paolo usa per convincere i Galati a confidare esclusivamente in Cristo per la loro salvezza e non nel merito che pensano di avere rispettando minuziosamente la Legge di Dio, vediamo oggi che compare anche quello della libertà. I Galati, ascoltando maestri che sono arrivati in Galazia dopo Paolo, e che si sono contraddistinti per un insistenza sul rispetto di certe parti della legge di Mosè, di fatto rischiano di perdere la loro libertà. Per questo Paolo, tra gli altri, tratta anche questo concetto.
1. Un altro esempio: schiavi degli elementi
L'esempio preso da Paolo non ci è familiare, ma lo capiamo. In una famiglia i figli sono equiparati ai servitori fintanto che non giungono ad un età prestabilita dal padre, che li renda eredi e partecipi dei beni del padre. Analogamente chi è vissuto prima di Cristo ha vissuto in un regime di simil schiavitù, nel senso che era costretto ad obbedire alla legge, divenendone schiavo. Un po' difficile capire l'espressione "gli elementi del mondo", che per alcuni indica le cose più elementari della legge, come le sue regole da seguire, senza pensare, che se prese come unica ragion di vita imprigionano la persona in un sistema cieco di regole in cui non c'è libertà. C'è chi ha voluto andare più in là e pensare alle divinità che nel mondo arcaico erano associate ai vari elementi materiali del mondo (terra, aria, fuoco, acqua), e ritengono che Paolo dica che persino la legge di Dio se male usata, diventa una sorta di potenza malefica che invece che liberare vincola e riduce in schiavitù.
Rispetto a questo mondo la venuta di Gesù ha comportato una rivoluzione straordinaria: ha permesso tanto agli ebrei che avevano trasformato la Torah in un codice giuridico o in un sistema di regole di trovare libertà, quanto ai gentili che magari vivevano adorando elementi della natura, rimanendo ugualmente schiavi di forze impersonali e cieche, di entrare in un meraviglioso regime di libertà. Non sono gli uomini che devono fare sforzi per piacere a Dio, ma Dio stesso, che nella persona di Gesù, nato sotto la legge, quindi consapevole delle esigenze di questo regime, viene a riscattare ed adotta. In questo movimento di Dio verso l'uomo vediamo bene come si muove il Dio uno e trino: il Padre invia il Figlio; e nella persona del Figlio riscatta, dando la vita per gli uomini, perché prende su di sé la maledizione di chi non rispetta la legge, essendo l'unico che l'ha rispettata; nella persona dello Spirito, entra nei credenti facendoli gridare di Gioia: "Papà!" è il grido dei credenti, essendo questo "Abbà" il termine ebraico affettuoso per indicare il padre. Mi è capitato di sentire alcune testimonianze di bambini adottati in età già consapevole. Dai loro racconti ho capito che in molti orfanotrofi c'è una specie di attesa da parte di questi bambini, nella speranza che un giorno qualcuno venga e voglia diventare loro padre e loro madre. Possiamo immaginare la loro gioia quando arriva qualcuno che li adotta a cui possono liberamente dire: "Papà". Vorrei che chiunque sente che la propria vita è mancante, è mutilata, è schiava di qualcosa, sia di una religione che gli fa credere che espletando alcuni riti e rispettando alcune regole sarà in regola con Dio, sia di una sostanza come la droga, sia di un credo che lo condiziona, sia della sua depressione e delle sue emozioni negative, vorrei che sapesse che la libertà è pronta, e che il Padre lo chiama in Cristo alla libertà di gridare: "Papà, Dio, entra nella mia vita!" Come padre mi capita di emozionarmi quando mio figlio mi chiama: "Papà". E' bene che sappiamo che Dio è un Dio che si emoziona quando un uomo capisce che può sottrarsi dalla schiavitù della legge o di altro per diventare figlio di Dio. Perché non nasciamo figli di Dio: lo diventiamo quando chiediamo al Padre per lo Spirito di adottarci in Cristo.
2. Ritorno alla schiavitù.
Il primo esempio riguardava piuttosto gli ebrei, mentre questo secondo riguarda i pagani: questi hanno sperimentato cosa significhi servire false divinità, quindi fare rituali falsi senza ottenerne niente, salvo poi diventare schiavi di questi rituali stessi. Se servire false divinità era un errore scusabile perché dovuto all'ignoranza, non è scusabile passare dalla conoscenza di Dio (avete conosciuto e siete stati conosciuti) al venerare date particolari e giorni, stagioni. Qui Paolo intende probabilmente l'attenzione smodata al rispetto del sabato, atteggiamento che sappiamo essere stato tipico dei farisei, mesi lunari, feste particolari e forse persino anni sabbatici. Sembra paradossale ma è un errore in cui si casca facilmente. Basti guardare la nostra cultura italiana... Ci sono ricorrenze molto belle, che se vissute nel giusto spirito danno gloria a Dio: momenti come il Natale, la Pasqua, mettiamoci anche festività estranee alla nostra cultura cattolica come il Thanksgiving degli americani o la festa della Riforma protestante dei tedeschi, o ancora la Pentecoste che in Italia passa sempre inosservata. Nella nostra cultura queste feste si sono ridotte a simulacri della fede, unici momenti in cui qualcuno va in chiesa, esempi patetici di suddivisione del tempo in sacro e profano... E Paolo parlando di osservanza probabilmente allude proprio a quell'atteggiamento che ci capita di vedere ancora oggi, di osservanza di quaresima, di venerdì santo, o anche del Ramadan dei mussulmani in cui non si mangia carne o grasso, o dall'alba al tramonto, salvo ingozzarsi di pesce ben più caro o altro non appena il tempo lo consente. Non c'è niente di male a istituire giorni di ricordo o a dare un valore al tempo: ma non appena questo diventa osservanza finalizzata alla salvezza ecco che viene meno. La fede va preservata. Ed il modo migliore per preservarla è vegliare continuamente sul rapporto diretto e continuo con Dio, stando attenti a che tutto ciò che si fa di buono, alle giuste opere che il Signore ci ha chiamati a fare, alle persone che si sono aiutate, ai progetti che si sono organizzati, non diventino mai il motivo vero per cui si va avanti o la sostanza della fede: la sostanza della fede è il rapporto con Dio, il fare che consegue non è che il suo frutto. Necessario ma conseguente!
3. L'appello di Paolo: scegliersi le guide giuste
Dopo diverse spiegazioni esempi ed immagini, Paolo passa ad un appello diretto e personale, ricordando il suo passato e le circostanze del suo incontro con i Galati ed il presente in cui invece lo prendono come nemico. Ed è costretto, suo malgrado, a fare un paragone tra lui e i "Costoro", pieni di zelo, ma uno zelo sbagliato. In un passo che apparentemente sembra solo un semplice sfogo Paolo pone un problema enorme per ogni credente che è quello dell'autorità da seguire. Posto che l'unico pastore, l'unico maestro, l'unico fratello maggiore, l'unico padre è Dio nella persona del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è pur vero che sulla terra abbiamo tutti bisogno di guide e che nelle chiese troviamo pastori, dottori, consulenti ed altro. Non siamo vincolati a loro e dipendenti da loro, altrimenti creiamo un nuova ulteriore forma di schiavitù, ma in queste poche parole credo si possano cogliere due grosse verità, che dovrebbero insegnarci qualcosa sulla scelta delle nostre guide.
Attenti agli zelanti. In primo luogo mi pare che Paolo metta in guardia dalle persone il cui zelo è eccessivo e settario. Ci sono persone che parlano di Dio e della fede in modo naturale, sincero e profondo, e che si comportano di conseguenza ed il loro stile spirituale, il loro zelo per il bene risalta. Ci sono persone che invece parlano di Dio ma paiono preda di ossessioni compulsive e il loro zelo sembra più una copertura di loro nevrosi che non il frutto di un attaccamento a Dio. Questo zelo invece che creare unità tra i diversi rami della chiesa, vorrebbe spingere i Galati a separarsi da Paolo che è colui che per primo li ha evangelizzati. E' uno zelo settario, e possiamo semplicemente dire che è bene guardarsi dai troppo zelanti, che finiscono per essere falsi.
Quando uno dice la verità diventa nemico. Paolo non aveva troppi peli sulla lingua e quando diceva la verità finiva per pagarne le conseguenze. Sembra che anche in questo caso, nonostante la sua paternità, il suo amore per i galati sia messo in discussione. Da chiedersi se quando ci arrabbiamo con un qualcuno per quello che ha detto non sia proprio perché ci ha detto la verità. E nello scegliersi delle guide dire la verità è un aspetto prioritario, che permetterà ai Galati di ritornare alla libertà in Cristo.
Conclusione: lacrime e cammelli
Vorrei concludere con due immagini ad effetto, per ritenere quanto abbiamo letto oggi, prendendo due notizie dell'attualità. La prima riguarda la reazione del governo di Morsi, presidente egiziano, a chi ha protestato contro le sue estensioni del suo potere e limitazione di quello della magistratura. I manifestanti temevano di essere privati di molte loro libertà e quindi hanno protestato e sono stati repressi con dei lacrimogeni. Ricordiamoci questo: non perdiamo mai la libertà che abbiamo conquistato in Cristo, pensando che Dio ci ami con delle condizioni diverse da quella dell'accettare Gesù come Signore della vita, e tornando a vecchi altarini: potremmo pagarlo con delle lacrime!
La seconda è ben più ridicola e comica: ho letto che negli Stati Uniti una cittadina è stata paralizzata perché un cammello è fuggito da un circo ed un sacco di gente si è messa ad inseguirlo congestionando il traffico locale. Questa circostanza ridicola mi ha fatto pensare a come la libertà di un animale può mettere in crisi un sistema organizzato e rigiro come quello del traffico americano. Speriamo che la libertà dei cristiani sia in grado di mettere in crisi sistemi di regole che promettono una salvezza automatica anziché poggiare sulla sola grazia di Dio. AMEN.



A che serve la legge? Galati 3

Galati 3:14-29
A che serve la legge di Dio?
Il tentativo di Paolo di mostrare ai Galati che i personaggi dell'Antico testamento avevano già chiara l'importanza della fede continua. E se nella prima parte del passo ha sottolineato l'importanza dei personaggi, adesso procede cercando di mostrare il ruolo stesso della Scrittura. Potremmo sintetizzare tutto il passo di oggi come la risposta ad una domanda importante per i cristiani di ogni tempo: Che rapporto c'è tra legge e promessa? E più precisamente, tra la legge di Mosè, con i suoi comandamenti, e la promessa di salvezza rivolta ad Abramo e realizzatasi in Cristo? Paolo ci illustra prima il problema, spiega in seguito le sue case, per arrivare alla sua soluzione.
1. Tra legge e promessa c'è continuità
Paolo sta rivolgendosi a persone che danno una forte importanza alla legge di Mosè. Il primo punto che cerca quindi di mettere in chiaro è che la legge di Mosè non può annullare la promessa rivolta ad Abramo. Prende l'esempio dai documenti giuridici del tempo, forse da contratti di tipo commerciale, forse dai testamenti lasciati da chi muore, e fa notare come non possono essere cambiati. Quanto promesso ad Abramo, quindi, non può essere cambiato dalla legge di Mosè. Se ad Abramo è stato promesso che avrà una progenie numerosa come le stelle del cielo, e se questa promessa si realizza in Cristo, che rivolge un messaggio universale a tutta l'umanità rendendola una davanti a Dio, non si può pensare dice Paolo, che ci siano più progenie, alcune a cui è rivolta una promessa (figli di Abramo e cristiani) e ad altre che invece seguiranno la legge (seguaci di Mosè). Il popolo di Dio è uno solo, non sono tanti! E la linea di continuità comincia in Abramo, attraversa Mosè ed arriva a Cristo. Prima ancora di spiegare perché dopo la promessa venga aggiunta una legge, Paolo vuole che sia chiaro che non ci deve essere tensione tra legge e promessa; che non bisogna esaltare l'una a scapito dell'altra.
Possiamo allora chiederci: ci capita nella nostra fede di provare una tensione tra legge e fede? Ci sono diverse persone che hanno problemi di di sensi di colpa: violano la legge di Dio, magari per una lite con i propri genitori, o perché hanno offeso qualcuno, o ancora perché hanno desiderato le cose del prossimo. Sono chiare contravvenzioni di comandamenti della legge mosaica, che spesso portano a forme di depressione che offuscano la promessa. E la depressione può essere tanto più forte quanto più forte è la sanzione sociale di chiese che insistono legalisticamente sul rispetto di certe regole. Paolo con le sue parole ci incoraggia a non mettere in contrasto rispetto della legge e promessa. Ci invita a non trasgredire la prima, ma a non trasformarla in una condizione per ricevere la seconda.
2. Tra legge e promessa c'è complementarietà.
Si pone ora la grande domanda: perché fu data la legge? E in quale rapporto sta con la promessa rivolta ad Abramo? E la risposta che Paolo dà credo sia illuminante per noi cristiani che non vogliamo mettere in contrasto l'Antico Testamento con il nuovo, la legge con la grazia, e Mosè con Gesù, ma vedere come ognuno di loro abbia un preciso senso nel piano di Dio. La legge è stata data per le trasgressioni. Cioè i peccati, le violazioni del codice etico e teologico di rapporto con Dio, le distorsioni umane della perfetta armonia tra Dio e uomo. Proprio questo suo ruolo negativo la rende in qualche modo in una condizione di inferiorità rispetto alla promessa che è invece il fine di tutto.
  • Inferiorità in quanto è di seconda mano: viene attraverso un mediatore, Mosè, e tramite questo al popolo. La promessa invece è diretta, mette in comunicazione Abramo e Dio, e successivamente Cristo ed i credenti. Questo è probabilmente il senso della frase un po' oscura: Dio è uno. Nel senso che nel promettere lo fa direttamente, senza un mediatore.
  • Inferiorità in quanto provvisoria. La legge ha un ruolo preparatorio. Serve a preparare il popolo finché non arrivi la generazione a cui è rivolta la promessa, quindi è limitata nel tempo.
Ciò detto la legge non è inutile né contraria alle promesse. E se non ha un ruolo salvifico, serve a far risaltare il senso dell'errore. Il suo ruolo è illuminante perché serve a far prendere coscienza dei peccati, a capire cosa significa sbagliare davanti a Dio. Ieri come oggi, come credenti per conoscere e capire la volontà di Dio andiamo a consultare la sua Parola che è tanto nelle pagine scritte da Mosè quanto in quelle scritte da Paolo o dagli evangelisti. La legge, nel suo analizzare i diversi tipi di colpe e crimini, e nel attribuire ad ognuno delle pene ci fa prendere atto di cosa significhi trasgredire. Le due immagini prese, quella di una prigione, e di un precettore, non sono belle, perché rimandano all'idea di un apprendimento sofferente, punitivo. Nondimeno necessario per capire bene cosa ci sia in gioco. Non si capisce Cristo senza prima essersi stati rinchiusi sotto la legge. Per capire la libertà ed il perdono offerti da Cristo bisogna prima capire quante e quali fossero le esigenze della legge, per rendersi conto degli irrimediabili limiti umani. Chi di noi può dire di aver sempre rispettato e di rispettare nel cuore e nella pratica i dieci comandamenti? Di non aver mai desiderato niente che sia di un altro; di non aver mai ucciso, magari a parole? Di non aver mai mancato di rispetto ai propri genitori, di non aver mai tradito Dio, dando più importanza ad una persona, ad un passatempo, ad una passione, rendendola un idolo che ha rivalizzato con Dio. Chi può dirsi perfetto grazie alla legge? Eppure senza quella legge non ci si rende conto dell'infinito amore di Dio.
Noi oggi viviamo in un epoca ed in una nazione in cui il rispetto della legge, quella umana, è veramente banalizzato. Come cristiani dovremo fare attenzione a non annunciare un vangelo che va direttamente al perdono e alla gioia, senza passare dalla prigione e dal precettore della legge che invece ha avuto un ruolo fondamentale. Posto che la legge non giustifica e non rende giusti davanti a Dio, volerla saltare significa non capire qual è l'oggetto della promessa. La promessa è che malgrado ciò che siamo Dio ci accetta. Ma senza la legge non capiamo quale sia la nostra pochezza e quali siano i nostri limiti. Ben venga quindi la legge, forse anche non quella di Mosè, ma una serie di principi che anche in contesti lontani dalla fede si apprendono. Come umani, osserviamo come i nostri figli abbiamo qualche fatica a rispettare delle regole. E da ultimo saremmo tristi se loro pensassero che l'unica cosa che conta nella vita è rispettare queste regole. tuttavia queste regole rivelano loro cosa è giusto e cosa è sbagliato, permettendo loro di crescere. La legge di Dio ha per ogni uomo un ruolo simile. Per questo, sebbene di un rango inferiore, è complementare alla promessa della libertà e del perdono in Cristo.
3. La conseguenza dell'arrivo della promessa: essere progenie.
Indubbiamente i giudaizzanti, coloro che infastidivano i galati con il loro attaccamento a Mosè, avevano un forte problema di identità. Si volevano distinguere dagli altri rivendicando l'importanza di Mosè, un po' come quei credenti che a Corinto si reclamavano di Paolo, di Cefa ecc. In tutta l'umanità capita spesso di trovare elementi di diversità che diventano motivi di orgoglio, e che possono riguardare differenze di sesso, di ceto sociale, di appartenenza. Paolo giunge all'apice del suo ragionamento ricordando che il superamento della legge significa anche fondare la propria identità non su un progenitore come Mosè e sul rispetto ossessivo della sua legge, ma solo ed unicamente in Cristo. E l'identità di chi crede è ora plasmata dall'appartenenza alla famiglia del popolo di Dio. In questa crollano le distinzioni di razza e nazionalità, di sesso, e di ceto sociale. Non sono affermazioni da poco per la mentalità del tempo: equiparare tutti, dicendo che non esiste più un popolo ebraico con qualche prerogativa particolare, ma un'unica famiglia; che non ci sono più donne e uomini con tutte le diversità che ingiustamente inventiamo, ma un'unica famiglia; che non ci sono più liberi e schiavi, con tutto ciò che questo implica come violazioni dei diritti umani, ma un'unica famiglia; dire tutto è questo è rivoluzionario. Ma la promessa di Dio è rivoluzionaria, perché ci porta a rivoluzionare le nostre distinzioni umane.
Il messaggio della promessa fatta ad Abramo, rivolta a tutte le famiglie della terra, è ancora oggi di portata rivoluzionaria e vediamo bene come il pensiero di Paolo anticipa ampiamente il multiculturalismo, il femminismo, l'egalitarismo. Ed è un appello meraviglioso a qualunque uomo a cui si rivolge questa domanda: vuoi entrare in Cristo, ricevendo il perdono per i tuoi peccati, e superando tutte quelle barriere tra razze diverse, tra nazioni diverse, tra religioni diverse che la società impone? Vieni e ricevi la promessa rivolta ad Abramo!
I temi toccati nell'ultimo verso mi sembrano particolarmente pregnanti relativamente ad alcuni argomenti di attualità. Abbiamo letto: "non c'è più giudeo né greco", eppure assistiamo in questi giorni ad ulteriori violenze nel territorio di Gaza con opposizione tra israeliani e palestinesi; tristemente molti cercano di prendere parte di dire chi ha torto e chi ha ragione, ma 0oviamente non ha ragione nessuno e una sola invocazione può essere rivolta ad Israeliani e Palestinesi: superate il vostro orgoglio nazionale, e entrate in Cristo per scoprire che niente vi separa e che in lui la pace è possibile.
Nelle scorse settimane si è molto discusso di violenza sulle donne, per quel tristissimo omicidio di Palermo in cui un assassino di 22 anni ha ucciso due sorelle. Oltre a condannare questo crimine odioso, crediamo che sia importante annunciare questo: che già 2000 anni fa Paolo diceva che in Cristo non c'è più uomo né donna. Questo non esclude gli omicidi, come le proteste e le manifestazioni di solidarietà non salvano chi è morto, ma tutto fa parte di una grande opera di sensibilizzazione della società: la distinzione uomo donna è culturale, non teologica!
Infine le differenze di statuto sociale. Se il cristianesimo degli inizi, fede di una minoranza assoluta, non si è impegnata per abolire la schiavitù, ha nondimeno posto un principio di assoluta uguaglianza, nuovo e rivoluzionario che anni dopo è sfociato nell'abolizione di questo istituto. L'entrata nella grande famiglia di Dio comporta il crollo di queste distinzioni, e un'identità fondata unicamente in Cristo.

Galati: cretini o spirituali?

Galati 3,1-14
1 O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi davanti ai cui occhi Gesù Cristo fu rappresentato crocifisso? 2 Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? 3 Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? 4 Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! 5 Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?
6 Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia. 7 Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. 8 E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: In te saranno benedette tutte le genti. 9 Di conseguenza, quelli che hanno la fede vengono benedetti insieme ad Abramo che credette. 10 Quelli invece che si richiamano alle opere della legge, stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle. 11 E che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che il giusto vivrà in virtù della fede. 12 Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario dice che chi praticherà queste cose, vivrà per esse. 13 Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, 14 perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.

A nessuno di noi piacerebbe sentirsi dare del cretino. Ed anche se invece che "cretino", qualcuno indorasse la pillola, usando un soprannome più leggero, tipo "sciocchino" o, come leggiamo nella prima parola dell'epistola di oggi: "insensato", le cose non cambierebbero. Chi ci parla ci sta dicendo che non abbiamo cervello, che siamo di fuori, che non capiamo niente, e questo ci darebbe fastidio. Eppure l'apostolo Paolo comincia il passo che leggiamo oggi proprio con una parola un po' forte, apostrofando i suoi discepoli come "insensati", cioè persone prive di discernimento che si sono lasciate facilmente ingannate. E può farlo solo perché è stato il padre spirituale di queste persone e perché in fondo le ama, e non può sopportarle di vederle perdersi. Riassumiamo in poche frase il contenuto delle puntate precedenti: Paolo, che ha annunciato il vangelo in Galazia, regione prossima all'attuale Turchia, ha saputo che alcuni "seduttori" sono entrati nelle chiese di questa terra denigrando la sua autorità e insegnando dottrine nuove. Queste dottrine consistono nel voler rivalutare la legge mosaica e nel volerla imporre a chi si converte al cristianesimo non essendo ebreo. Paolo risponde dicendo che non è la fedeltà con cui si rispetta la legge che porta a Dio, ma la fede nel Cristo che ha dato se stesso per noi e che ora vive in noi. Questo per lui è talmente importante che si permette di dire "insensato" a chi pur avendo capito la grandezza della fede, la mette da parte. Se siamo pronti ad accettare queste parole forti per raddrizzare la nostra fede questo capitolo 3 dell'epistola fa per noi.
1. Lo Spirito viene dalla fede.
Per convincere i Galati del loro errore Paolo comincia con un elemento inatteso: un forte richiamo allo Spirito Santo. Se i Galati hanno ripristinato l'idea che si possa essere giustificati (resi giusti davanti a Dio) grazie al rispetto delle opere della legge (circoncisione, sul modo di consumare animali morti, sul modo di rapportarsi al sangue ecc.) a scapito della fede Paolo per provocarli chiede loro: ma lo Spirito da dove è venuto? Sta parlando a persone che hanno vissuto una profonda trasformazione interiore dal momento in cui si sono convertiti a Cristo e che hanno individuato la causa di questa trasformazione nel lavoro fatto dallo Spirito Santo in loro. La domanda è se questo spirito sia venuto da un atto di fede, da un grido rivolto a Dio con un cuore disposto a ricevere, dal credere in quell'uomo chiamato Gesù, oppure nel rispetto rigoroso di una serie di regole. Ed aggiunge da dove siano venuti i miracoli, le opere potenti e soprannaturali: guarigioni esteriori ed interiori, vite cambiate, corpi sanati... La domanda è retorica, sono venuti dalla fede. Se però la risposta di questa domanda retorica è scontata, il modo di trattare il problema lo è un po' di meno, soprattutto per noi.
Noi evangelici abbiamo giustamente fatto della fede la nostra bandiera. Insistiamo che la salvezza è per sola fede, non per mezzo delle opere, e non perché siamo evangelici ma perché cerchiamo di prendere sul serio quanto detto da Paolo. Tuttavia, in molti discorsi sul rapporto fede ed opere, può capitare che resti offuscata l'importanza dello Spirito di Dio, che invece risalta in questo passo. Ci ricordiamo tutti che alla fine dell'epistola Paolo parla di frutti della carne e frutti dello Spirito, ma non sempre ci rendiamo conto che questa opposizione Paolo la tira fuori già nel capitolo 3:3, mentre sta argomentando in modo per così dire teorico. Voler sostituire la legge alla fede significa cominciare con lo Spirito e finire con a carne. Significa cessare di lasciarsi trasportare dallo Spirito per riaffermare il principio umano per cui i più rigorosi, i più rispettosi i più fedeli alla lettera della legge sono i migliori. Significa quindi rovesciare il vangelo per cui gli ultimi sono i primi; per cui ha un valore chi ha confessato di non averne. Questo linguaggio per noi potrebbe essere molto poco familiare: come è possibile giudicare carnale il rispetto rigoroso della legge? Per noi carnale significa il contrario: carnale è uno che ama i piaceri sensibili, corporei come il cibo, il vino a volontà, il sesso, i soldi... Paolo invece considera carnali dei suoi correligionari ossessionati dal rispetto ossessivo di leggi che vietano tutto ciò... Se esiste una carnalità fatta di compiacimento nel piacere corporeo ne esiste una che consiste in un'eccessiva fiducia dell'uomo. La carne è il credere che l'uomo con le sue forze ed i suoi meriti da solo si salvi; o che se anche riconosce la grazia di Dio, è grazie ai suoi sforzi che si mantiene salvo. E' proprio quello che Paolo vuole distruggere con questa epistola. Leggendo questo teniamo quindi bene presente una realtà: fede e spirito sono due concetti distinti, eppure sono talmente legati che negare l'uno significare anche l'altro. Ed ogni discussione sulla fede, sul rapporto di questa con le opere, deve portare a sentirsi rinnovati nello Spirito che grazie alla fede si riceve, altrimenti stiamo facendo chiacchiere.
2. Lo Spirito era annunciato nella Scrittura.
Per contrastare i "disturbatori" della chiese della Galazia, Paolo scende sul loro terreno: visto che sono attaccati alla legge, scende sul loro terreno, quello del Antico Testamento. Fede e spirito sono concetti che per essere compresi vanno assimilati personalmente. Perché non possiamo basare il nostro rapporto con Dio soltanto su quello che vivono altri. Tuttavia la solidità della fede sta anche nel fatto che questa non è solo un'esperienza individuale: ognuno di noi rivive in qualche modo la storia di alcuni personaggi biblici facendo proprie delle verità condivise dal popolo di Dio. Per questo Paolo nel tentativo di convincere i Galati cita una serie di passi della Scrittura in base ai quali cerca di dimostrare la profonda unità tra passato e presente, tra Antico e nuovo testamento, e quindi l'attualità di questa stessa Scrittura. Soprattutto ci fa scoprire che la fede non era un concetto estraneo ai personaggi dell'Antico Testamento, anzi: l'idea che sia la fede a salvare affonda le radici nella storia antica del popolo di Israele, partendo dal patriarca Abramo. E che lo Spirito che i Galati hanno ricevuto è un frutto diretto di quella fede che per primo ebbe Abramo. Seguiamo in dettaglio le tappe del suo ragionamento:
  • Abramo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia. (Gs 15,9)
Si fa riferimento al momento in cui Abramo crede alle promesse di Dio, per l'esattezza promesse di avere una discendenza numerosa come le stelle nonostante la moglie sterile. Il contenuto della fede di Abramo è diverso dal nostro, visto che riguarda un fatto futuro, mentre noi crediamo in un Gesù morto per noi nel passato. Ma è comune la dinamica dello Spirito che consiste nell'affidarsi pienamente a Dio. Abramo è dunque il padre di tutti coloro che si abbandonano con fede a Dio, e che di conseguenza, come ci ricorda commentando lo stesso passo Giacomo, agiscono.
  • In te saranno benedette tutte le nazioni. (Gs 12,3)
Per quanto siamo agli albori della nascita del popolo di Israele, i cui confini etnici si sarebbero man mano definiti con forza, fino all'esagerazione questo passo propone una prospettiva universale, multietnica sin dall'inizio. Proprio perché ciò che salva è una dimensione dello Spirito, la fede, e non una serie di opere che certificano dell'appartenenza ad un popolo, chiunque vive l'esperienza di affidarsi esclusivamente a Dio è benedetto in Abramo, anche se non appartiene formalmente al popolo uscito direttamente da Abramo. L'idea che a salvare sia la fede è quindi antica come Abramo, non è una novità di Paolo
  • Maledetto chiunque non si attiene a (tutte) le cose scritte nel libro della legge per metterle in pratica (Deut 27,26)
Posto che la fede nasce con Abramo, Paolo passa ora ad un secondo gruppo di citazioni scritturali che partono dal Deuteronomio, libro per eccellenza di esaltazione della legge. Citando dalla traduzione in greco dell'Antico Testamento, la Settanta, Paolo legge questo passo che è posto a conclusione di una serie di maledizioni che riguardano precisi crimini, e che riguarda quindi tutte le parole della legge enunciata. Per quanto nello stesso capitolo il popolo sia invitato a dire AMEN ad ogni parola, Mosè è molto realista e il Signore gli annuncia che Israele non rispetterà la legge data: "Io conosco il tuo spirito ribelle e la durezza del tuo cuore. Ecco, oggi mentre sono ancora vivente tra di voi siete stati ribelli contro il Signore, quanto più lo sarete dopo la mia morte..." (Dt 31,27). Paolo sta tentando di dimostrare che perfino Mosè che ha dato la legge al popolo, sapeva che non sarebbe riuscito a rispettarla. Ma per incoraggiare al rispetto lancia queste maledizioni che sono effettive: chi si vantasse dicendo che rispetta la legge a menadito e senza infrazioni, sappia che laddove venisse meno, è maledetto!
  • Il giusto vivrà per fede (Abacuc 2,4)
Apparentemente si tratta del passo più complicato da inserire in questa argomentazione, perché si cita il profeta Abacuc che pronuncia questa frase in un contesto in cui l'opposizione legge/fede non c'entra niente: la fede per cui vivrà il giusto di cui parla Abacuc è una fede nell'attesa fiduciosa dell'intervento di Dio. Ma a ben guardare siamo di nuovo sul piano di Abramo: affidarsi! Lasciare che per qualsiasi tipo di salvezza sia Dio ad intervenire. In questo caso si tratta di fermare gli assiri che stanno devastando il popolo di Israele. Ma è pur sempre una situazione che domanda una salvezza, e contribuisce a corroborare la tesi di Paolo: la fede era fonte di salvezza anche al tempo dei profeti! E dava vita anche al tempo dei profeti.
  • Chi avrà messo in pratica queste cose vivrà per mezzo di esse. (Levitico 18, 5).
Paolo torna adesso alla Torah, quindi a Mosè, citando un passo che precede una serie di norme relative all'incesto, all'omosessualità e all'idolatria, ma che possiamo considerare come relativo a tutte le norme del libro: la vita qui non deriverebbe dalla fede, ma dalla pratica di queste leggi. Siamo davanti a qualcosa di paradossale. Non è impossibile praticare quello che c'è scritto, ma è un qualcosa che di fatto nessuno ha mai applicato in modo completo e totale. Se uno fosse perfetto, privo di peccato, allora avrebbe anche una perfetta comunione con Dio e riuscirebbe a rispettare completamente la legge. Ma la legge c'è proprio perché non siamo perfetti; e se serve a contenere non può servire a dare vita
  • Maledetto chiunque è appeso al legno: Cristo, maledizione per noi! (Dt 21,23)
Dopo una lunga argomentazione ecco l'esplosione finale, contenente il vangelo: Cristo si è fatto maledizione per noi. Avremmo dovuto essere maledetti noi, perché nessuno di noi è stato in grado di rispettare la legge nei suoi dettagli. Ma Cristo ha preso su di se questa maledizione, morendo appeso, tipo di morte che anche dalla legge era considerata come maledizione. Doppiamente infamante quindi la morte di Cristo. Infamante agli occhi della società del I secolo, in quanto la morte di croce era riservata ai disgraziati, ai ladri; infamante alla luce delle parole della legge di Dio. Ma questa doppia maledizione che Cristo ha preso su di sé ha tolto la maledizione da chiunque ha accettato di fare come Abramo, come Abacuc, come Paolo: di affidarsi pienamente nelle mani di Dio, per ricevere la benedizione di Abramo quindi lo spirito santo.
Credo sia importante che ogni credente mediti bene queste parole. Perché se siamo onesti davanti a noi stessi ci rendiamo conto di quanto siamo imperfetti. E non per un'imperfezione intrinseca della nostra natura, ma per una deliberata voglia di affermare il nostro io, di prevaricare gli altri, o di far valere i nostri diritti al di là della loro legittimità. Molti di noi si sentono in colpa perché hanno fatto qualcosa di male, e tanti, di contro, non riescono ad abbandonare l'idea che per quanto la fede sia centrale, una certa resistenza al peccato sia in fondo un nostro merito che ci fa graditi davanti a Dio. Nell'ambito ristretto di una stessa comunità molti credono di essere meglio degli altri, di rispettare più degli altri, di obbedire Dio più degli altri, di servirlo più degli altri, di avere insomma una qualche particolarità che li rende un po' meglio. E rischiano di crederci davvero e di pensare che in fondo sono dei bravi credenti. Questa epistola ci ricorda di continuo in chi dobbiamo confidare: le maledizioni che sia le nostre azioni, sia in nostri pensieri di sufficienza attraggono su di noi sono inchiodate sulla croce con Cristo. Se capiamo questo e ci accontentiamo di venire davanti a Dio a mani vuote, con la sola voglia di affidarci a Lui, pioverà su di noi la benedizione di Abramo e la pioggia dello Spirito promesso fin dall'antichità.