martedì 14 maggio 2013


Esodo 3.Conversione

1 OraMosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, econdusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. 2 L'angelodel Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egliguardò ed ecco: il roveto bruciava nel fuoco, ma non bruciava... 3 Mosè pensò: «Voglioavvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4 Il Signore vide chesi era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!».Rispose: «Eccomi!».5 Riprese:«Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tustai è una terra santa!».6 Edisse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Diodi Giacobbe». Mosè allora nascose il viso, perché aveva paura di guardare versoDio.
7 IlSignore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito ilsuo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. 8 Sono sceso perliberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso unpaese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso illuogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo,il Gebuseo. 9 Oradunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho vistol'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. 10 Ora va'! Io timando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 11 Mosè disse a Dio:«Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gliIsraeliti?». 12 Rispose:«Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fattouscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte».
13 Mosèdisse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostripadri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosarisponderò loro?». 14 Diodisse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti:Io-Sono mi ha mandato a voi». 15 Dioaggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, ilDio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questoè il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato digenerazione in generazione.
16 Va'!Riunisci gli anziani d'Israele e di' loro: Il Signore, Dio dei vostri padri, miè apparso, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, dicendo: Sono venuto avedere voi e ciò che vien fatto a voi in Egitto. 17 E ho detto: Vi faròuscire dalla umiliazione dell'Egitto verso il paese del Cananeo, dell'Hittita,dell'Amorreo, del Perizzita, dell'Eveo e del Gebuseo, verso un paese dovescorre latte e miele. 18 Essiascolteranno la tua voce e tu e gli anziani d'Israele andrete dal re di Egittoe gli riferirete: Il Signore, Dio degli Ebrei, si è presentato a noi. Ci siapermesso di andare nel deserto a tre giorni di cammino, per fare un sacrificioal Signore, nostro Dio.19 Ioso che il re d'Egitto non vi permetterà di partire, se non con l'intervento diuna mano forte.20 Stenderòdunque la mano e colpirò l'Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo adesso, dopo egli vi lascerà andare.
21 Faròsì che questo popolo trovi grazia agli occhi degli Egiziani: quando partirete,non ve ne andrete a mani vuote. 22 Ognidonna domanderà alla sua vicina e all'inquilina della sua casa oggetti diargento e oggetti d'oro e vesti; ne caricherete i vostri figli e le vostrefiglie e spoglierete l'Egitto».

1. Una conversione milleconversioni.
Da come comincia il passopossiamo capire che Mosè è diventato un pastore. Il suo percorso verso il bassoda desideroso liberatore di popoli a guardiano di un pozzo è arrivato alcapolinea: adesso pascola pecore. Ma proprio durante l'esercizio di questolavoro umile ecco che gli accade qualcosa di meraviglioso.
            Cisono molti dettagli in questo testo che sono volutamente meravigliosi, ma nonfacili da descrivere. Dio infatti non si manifesta in modo completamenteesplicito, tuttavia si manifesta. Si manifesta in un fuoco, ma non è il fuocostesso; si tratta poi di un fuoco che brucia, ma non brucia, quindi che non siconsuma eppure rifulge di una fiamma simile al fuoco. C'è poi l'angelo delSignore, che non viene definito in modo più preciso e che indica che c'è unamediazione. Mosè viene chiamato, ed invitato al rispetto di un luogo sacro.Siamo sul monte Horeb, un monte che sarà in seguito molto importante per gliisraeliti, e non si tratta di un luogo santo di per sé, ma santificato dallamanifestazione del Signore.
            Inquesta manifestazione miracolosa di Dio scopriamo qualcosa di importante sulDio di Israele, e sul suo modo di relazionarsi agli uomini. E' un Dio che non èuna delle forze della natura, come credevano alcune popolazioni vicine; non èil fuoco ad esempio, ma in queste si manifesta. E soprattutto è un Dio diparola. Al di là dei segni meravigliosi ciò che conta in questa visione è chequesto Dio parla a Mosè in un mondo chiaro e comprensibile. Finora nel capitolosi è solo parlato di Dio. Ora Dio parla non limitandosi a dare segni miravigliosi.
            Questascena credo che possa diventare il paradigma di quello che è l'incontro di ogniuomo con Dio. Non sappiamo molto dell'educazione religiosa di Mosè, ma vistoche si menziona Dio e che le levatrici lo temettero, possiamo pensare che suamadre, e le persone della sua famiglia gli abbiano parlato di Dio. Tuttavia, aldi là dell'istruzione religiosa che si può aver ricevuto, c'è un momentoimportante, centrale della vita in cui si incontra Dio direttamente. Non èdetto che sia secondo le stesse modalità di Mosé, con fiamme di fuoco e su unmonte che diventa sacro. Ognuno di noi ha il suo Horeb, ed il Signore è cosìgrande da trasformare in luogo santo, in cui si manifesta, un qualsiasi spaziodella nostra società, sia esso naturale o modificato dall'uomo. Una stanza, unparco di città, una fabbrica, un cinema o una sala di culto... Poco importadove sia. Quel Dio che si è manifestato a Mosè, che va al di là delle formuledi istruzione religiosa, che chiama per nome, che invita al dialogo eall'obbedienza, che si percepisce anche se non si può vedere è lo stesso, eoggi chiama anche te.
            Questadi Mosè è una conversione o chiamata diversa da quella di altri personaggibiblici: Isaia si sente in colpa: "Guai a me sono perduto! Perché io sonoun uomo dalle labbra impure e abito in mezzo ad un popolo dalle labbra impure:e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore delgi eserciti" (Is 6, 5).Ezechiele ha visioni ben più meravigliose (Ez. 1) Paolo invece sta andando aduccidere i cristiani ed una luce lo acceca (Atti 9). Mosè invece pascola dellepecore e scopre qualcuno che non aveva mai visto. Il Signore non tratta gliesseri umani come oggetti tutti uguali, ma incontra ognuno di noi nella suavita secondo uno specifico cammino. Ma il contenuto è lo stesso: incontrare Dioè qualcosa che spaventa, ma che trasforma la vita totalmente, al punto che Mosèda questo momento non sarà più lo stesso. Posso dire lo stesso di me: non sonostato più lo stesso dopo aver incontrato Dio, e lo possono dire tutti coloroche hanno incontrato Dio. Che sia così per ognuno di quelli che ora ascoltano.

2. Una missione, millemissioni

Sentiamo ora cosa dice di precisoil Signore a Mosè: "Ho visto! Ho udito! Sono sceso a liberare!". Setorniamo un momento al capitolo precedente ricorderemo che si diceva che legrida dei figliuoli di Israele salivano al cielo. E l'ordine delle percezionidi Dio cambia: Dio udì, poi si ricordò del suo patto, quindi vide i figli diIsraele e infine ne ebbe compassione. Forse adesso capiamo che questo passo delcapitolo 2 (Es 2:23-24) non riporta propriamente le percezioni di Dio, maquelle degli israeliti rispetto a Dio. Nel passo che leggiamo oggi leggiamo cheDio ha visto, anzi ha veramente visto (in ebraico il verbo viene ripetuto, perrafforzare). Non si è svegliato da una distrazione temporanea per ricordarsidel patto: ha sempre visto ed avuto presente, quindi decide di scendere eliberare. Per questo espone a Mosè il suo progetto di portare il popolo in unpaese fertile per darlo loro. Mosè, rispetto a tutto ciò ha una missione moltogrande, ma anche molto semplice: si racchiude in un semplice:"Va!".Deve andare dal Faraone per fare uscire il popolo.
            Possiamoosservare una cosa: rispetto al grande progetto di Dio l'azione di Mosè è tuttosommato molto limitata: si limita a fare uscire il popolo dalla schiavitùdell'Egitto , ma questo non è che l'inizio di un progetto infinito che è lastoria della salvezza. Gli uomini non sono che piccole tessere nell'immensomosaico della salvezza di Dio e per quanto possano essere stati grandi e attoridi grandi gesta sono sempre piccoli uomini che hanno contribuito al piano piùvasto di Dio.
            Questodeve farci pensare nuovamente alla nostra condizione. Abbiamo in qualche modoequiparato la conversione di Mosè a quella di una qualunque persona che oggiviene chiamata da Dio. Fin lì ci possiamo anche stare. Sarà però difficile chequalcuno di noi si senta investito della stessa missione che ha avuto Mosè,quella enorme di traghettare un popolo intero, numeroso fuori da uno degliimperi più potenti dell'antichità. Se pensiamo che una missione, un mandato daparte del Signore possa essere solo questo, ci sentiremo sempre troppo piccolied insignificanti per poter pensare di servire a qualcosa nel piano di Dio. Ma lastoria di Mosè ci aiuta a capire che il popolo di Dio agisce in modo collegatoe che ogni piccolo sforzo è significativo. Abbiamo visto che Mosè è rimasto invita grazie a delle levatrici che hanno temuto Dio; sappiamo che ha ricevutouna qualche educazione ebraica grazie a sua sorella che lo guardava sulle acquee che ha fatto in modo che venisse allattato da sua madre; abbiamo visto cheviene accolto da un sacerdote madianita, esterno al popolo di Dio; eppure tuttequeste persone hanno avuto una missione significativa per l'avvento di unconduttore che libererà il popolo. Allora dobbiamo chiederci oggi quale sia lanostra missione. A cosa ci chiama Dio nel nostro Horeb? Cosa ci chiede di fareper Lui, per la sua opera?  Chi ha capitoun messaggio potente come quello del vangelo ha una grande responsabilità inmezzo al popolo in cui si trova. Siamo tessere di un mosaico più grande che ilSignore sta costruendo sulla terra, che si chiama Regno di Dio. Siamoneconsapevoli!.

3. Un'obiezione, milleobiezioni.

L'incontro con Dio non è mai unacosa neutra. Spaventa per il suo carattere trascendente e diverso da quellodella realtà a cui siamo abituati. Ricevere da Lui una missione è ancora piùdifficile. Mosè tra le tante ne tira subito fuori due. E' normale. In fondopoteva benissimo essersi abituato alla comoda vita di nomade madianita, conSefora, Gersom, nonno Ietro e compagnia bella, a pascolare pecore in giro peril medio-oriente... Chi glielo fa fare di tornare in Egitto, da un faraone chelo perseguita, da un popolo che lo ha già rifiutato una volta per una missioneche è sicuramente più faticosa di quella che fare il pastore.
            Chisono io? Le sue obiezioni sono piuttosto semplici: "Chi sono io".Davanti ad un compito difficile pecchiamo tutti di modestia eccessiva e cisottovalutiamo. Non riconosciamo il Mosè assetato di giustizia che ha ucciso unegiziano e che voleva fare il giudice. Ma questa modestia è molto utile anche achiarire la sua identità. Perché la risposta del Signore è: vai perché io sonocon te. Quindi tu sei qualcuno insieme a cui il Signore dichiara di voleragire. Il segno a prima vista può sembrare strano: che segno è il fatto cheserviranno qui sul monte? E' un segno di liberazione per anticipazione. Diointende dire che verranno liberati ed il segno è che si rivedranno con tutto ilpopolo, libero, sul monte Horeb per lodare.
            Diorisponde anche alle nostre domande di identità. Ci sentiamo sempre incapaci dimissioni che richiedono sforzi e sacrificio, ma la risposta del Signore è: sonocon te. Ed il segno è che la missione riuscirà. Il Signore non ci chiede coseimpossibili, ci chiede cose alla nostra portata secondo la conoscenza che ha diognuno di noi. Ma la sua promessa più grande è che egli è con noi!Cerchiamospesso chi siamo, quale sia la nostra missione, ed il Signore ha una rispostapiù alta: sei uno insieme a cui io sono. E lo proverò con atti concreti.
            Chiè Lui? La seconda obiezione è più complessa. In realtà è una domanda lungaed indiretta per dire a Dio: "Chi sei tu?" Ma siccome sarebbe troppobrutale porla in questo modo diretto, allora Mosè fa un lungo giro: se gliebrei chiedono chi è lui, cosa devo dire io? Ed abbiamo qui una risposta moltoprofonda, non facile neppure da tradurre. C'è chi propone: "io sono coluiche sono", chi "sarò quel che sarò". Preferisco il presente, macredo che il senso principale di questa affermazione sia che Dio è l'esserestesso, e che è ciò che vuole essere. E' talmente trascendente che non haattributi particolari o definibili. Certo, in altri passi sappiamo che Dio èamore, giustizia, bontà, e che ha una serie di caratteristiche esplicite. Maqui ci dice che anche se inquadrabile in quelle caratteristiche egli è coluiche è, ed è indipendentemente da tutto. E' l'essere puro, la fonte stessadell'essere, l'indeterminabile e l'inafferrabile. Mosè ha nascosto la suafaccia perché non poteva guardare ciò che è per natura inosservabile fino infondo.
            Inutileallora voler rendere conto di Dio in un modo esaustivo e completo. Dio èl'indefinibile, e lo possiamo presentare come l'"io sono", colui percui tutto ciò che è ha esistenza e senso. Ma al di là di questa sua totaletrascendenza che non è speculazione ma pura capacità di essere molto al disopra delle vicissitudini umane, Dio è anche profondamente unito a queste. E'colui che libererà concretamente dalla schiavitù. Insomma Dio è l'infinito el'infinito non si coglie: ma questo infinito è profondamente intriso di finito,si mischia nel finito e lo salva.
            Abbiamoallora obiezioni davanti al Dio che ci chiama? Ci risponde che siamo coloro concui Egli è: ci risponde che seppure indeterminabile è colui che interviene pernoi e che, se rispondiamo affermativamente sarà con noi. Questo è il Dio deipadri, ed il Dio che si è rivelato in Gesù. E' lo stesso Dio che oggi cichiama. Ascoltiamolo. 

Esodo 2. Dallaparte degli oppressi

Nel breve capitolo che leggiamooggi sono riassunti molti anni della vita di Mosè. Assistiamo alla nascitaseguita da un primo atto di salvezza quasi miracoloso, ad un secondo momento dietà matura per finire con il matrimonio. Il narratore non nomina mai Dio inqueste tre tappe della vita di Mosè  esolo alla fine, scartando la persona di Mosè e tornando sugli ebrei in Egittosi dice che il Signore ascolta il loro grido. Eppure quello che scopriamo inquesto capitolo è che nonostante il silenzio di Dio, la sua presenza nella vitadi Mosè è evidente! Un po' come in tante vite o tanti momenti della nostra vitain cui ci sembra che Dio si sia scordato di noi, mentre ad un'analisi piùattenta scopriamo che è stato decisamente presente.

1. La nascita: rischio epresenza (1-11)
Una storia simile sembra segnatadalla precarietà e dal rischio: il bambino nasce e, a cose normali, dovrebbeessere ucciso per la legge decisa dal faraone nei confronti degli ebrei. Unasituazione che evoca gli scenari di alcune politiche di controllo della nascitache vietano di avere più di un figlio, come la politica del figlio unicocinese, che comportava anche aborti forzati con iniezioni. Quindi deve rimanerenascosto in casa col rischio di essere scoperto. In seguito la madre, pur disalvarlo lo lascia nel fiume, protetto da un canestro di giunchi e pece, mezzotutt'altro che sicuro: potrebbe rovesciarsi, o essere mangiato da uncoccodrillo del Nilo, o preso da qualche malintenzionato. E' in qualche modolasciato alla "deriva" come usa dire per il mare. Infine finiscenelle mani di chi? Peggio non avrebbe potuto capitare: della figlia di coluiche ha ordinato di sterminare i bambini degli ebrei... E invece miracolo. Nonsolo non viene scoperto, non solo il canestro rimane a galla e nessun animaleviene a rapirlo, ma la figlia di faraone invece di fare il suo dovere civicodecide di disobbedire. Un po' come Antigone, preferisce obbedire alla voce delcuore, ad un istinto materno che le fa vedere la bellezza del bambino e provarecompassione per lui. E allora non solo lo salva ma per una serie di traversiefinisce per ridarlo a sua madre. Successivamente lo fa crescere alla corteegiziana. Sembra quasi che il povero faraone si sia fregato con le sue stessemani: fa una legge per sterminare i bambini degli ebrei e si ritrova in casa unebreo che avrà il privilegio di nascere in un misto di cultura ebraica edegiziana, elemento che sarà strategico per la sua formazione.
            Lavolta scorsa abbiamo visto che Dio ha realizzato le promesse della Genesi,moltiplicando il suo popolo. Questo secondo capitolo ci invita a considerareche nelle vicende apparentemente più precarie e strane il Signore non si scordadei suoi. E' vero che questa affermazione giunge solo alla fine del capitolo,ma nei fatti vediamo come il Signore sia profondamente all'opera in ogni anellodella catena della vita di Mosè: perfino nel faraone che volendo il male siritrova questo male ritorto contro se stesso. Il suo ordine è obbedito, perchéin effetti Mosè finisce nel fiume... Ma invece di morire darà vita ad un popolodi liberi.
            Vicapita mai di pensare: ma dov'è Dio? Non è una cosa da poco vivere in un paesein cui si ordina per legge di sterminare dei bambini di una certa etnia. Perfettamentepossibile che qualcuno si chieda come Dio possa permettere cose simili. Seppureil Signore ha lasciato agli uomini la libertà di agire, quindi anche discegliere il peggiore dei mail, non si scorda di noi, e vigila sulla vita dichi ha scelto deliberatamente di fare parte del suo popolo, in risposta allasua chiamata. E soprattutto vigila sulla vita dei deboli, degli innocenti comei neonati, di chi è vittima di poteri assoluti che prima o poi farà cessare.
            Credoche questa precarietà apparente sia il tratto che maggiormente avvicina Mosè aGesù che ugualmente entra nel mondo con molti rischi, passando non in uncanestro ma in una stalla, con il rischio già visto di essere massacrato daErode. Ma il Signore porta avanti il suo piano in mezzo a questa fragilità

2. L'età adulta:dalla parte dei deboli, per finire debole... (11-17)

La seconda tappa ci mostra Mosèin età adulta. Non ci è dato sapere quale sia stata la sua adolescenza, comesia riuscita la figlia del faraone a far accettare a suo padre che un ebreocrescesse nel palazzo reale, né che studi abbia fatto.  Il narratore ci presenta Mosè direttamente inazione, e vediamo che ha coscienza della sua identità ebraica, quindi va atrovare i suoi fratelli. Ci colpisce da subito la sua disponibilità eschierarsi dalla parte dei deboli ed i suo desiderio di fare giustizia: inprimo luogo interviene in difesa del suo popolo contro i maltrattamenti di unegiziano; in secondo luogo, all'interno del suo stesso popolo, per calmare unalite, ma riprendendo quello che ha torto; in terzo luogo difende delle donneche vanno a prendere l'acqua dalla prepotenza maschilista di un gruppo dipastori. In tutti e tre gli episodi è pronto a schierarsi dalla parte deideboli mettendo a rischio la sua stessa vita, e nel primo caso con unintervento esagerato, che il narratore non commenta, rischiando di incorrerenella giustizia egiziana. Ma anche nel secondo episodio rischia, perché infondo è un ebreo mezzo egiziano, quindi non del tutto accetto dal suo popolo:notiamo che nell'episodio successivo le figlie di Ietro lo prendono per unegiziano. E anche con i pastori, rischia perché è uno solo contro tanti. Maforse proprio questa sua caratteristica è il tratto che fa sé che Dio lo scelgaper la grande causa di libera il popolo: ha senso della giustizia ed èdisponibile a mettere in gioco la prima persona per una causa giusta.
            Notiamoperò un qualcosa di singolare: ha cominciato come ipotetico liberatore del suopopolo dalla schiavitù egiziana; continua con un ruolo un po' meno importante,fare da arbitro tra due persone del suo popolo; infine finisce per fare ilguardiano di un pozzo... Non è proprio una carriera brillante, piuttostosembrerebbe un decrescendo. Nonostante ciò Mosè va avanti e non è perquesto decrescendo che Dio smetterà di servirsi di lui, come il seguito delracconto ci mostrerà.
            Sesiamo convinti che Dio operi in noi, facciamo veramente attenzione a nonsminuire la sua opera in nessuno dei momenti della nostra vita. Forse qualcunodi noi ha fatto qualche grande progetto, ha avuto un'ambizione molto alta, chepiano piano si è ridotta a molto meno. Forse qualcuno ha sognato di essere unprofessore universitario ed è diventato un maestro d'asilo, forse ha sognato diessere il pastore di una chiesa di 1000 persone, e si è ritrovato a guidare ungruppo di qualche anima, forse qualcun altro ha sognato una famiglia enorme edè rimasto single... Mosè non ha rinunciato a predicare la giustizia e a farlavalere, che fosse per la causa enorme della liberazione di un popolo (da cuipoi un messaggio universale), o per quella minore del rispetto dei turni diprecedenza di un pozzo. Perché il Signore prepara ogni grande uomo di Diofacendolo passare per le strade più umili.

3. Profugo in terra straniera.Maturazione

Mosè dunque da privilegiato ebreocresciuto alla corte del faraone, con una principessa per madre adottiva, siritrova in terra straniera, a fare il guardiano di un pozzo. Ma proprio quiaccadono alcune cose particolarmente significative per la sua vita. Primo sisposa, quindi il suo ulteriore intervento per la giustizia gli porta uncambiamento importante nella sua vita. Non sappiamo molto di sua moglie Sefora,ma possiamo immaginare che da questa unione riceva un importante sostegno econtinui a crescere come uomo. Secondo incontra Ietro suo suocero che è unvalido consigliere, un saggio. Lo rincontreremo più avanti, al capitolo 18, chedà un consiglio utile a Mosè sull'opportunità di delegare i compiti. Terzo,impara l'umiltà. Invece di fare il condottiero abita con suo suocero sacerdotemadianita, ma questo fa parte della sua formazione. Quarto è un immigrato, unasorta di rifugiato politico, aspetto che vediamo emergere nel nome che dà alsuo primogenito, ed anche questa è una condizione che forma. In altre parole,la sua disponibilità non bastava per farlo diventare il liberatore di Israele.Era necessario aggiungere un periodo di formazione per prepararlo ad unamissione più grande.
            Mala cosa più interessante è che solo quando Mosè è a Madian, cioè lontanodall'Egitto dove risiede il popolo che dovrà liberare ci viene detto che ilSignore ascoltò il lamento degli israeliti che gridano a Lui e che gemono perl'oppressione degli egiziani. Per quanto Mosè si sia distinto per avere a cuorela causa dei sui fratelli e che possa agire come rappresentante, come leadercapace di guidare una rivolta, chi muove i fili della sorte del popolo è ilSignore. E' lui che permette a Mosè di fare gli incontri che farà e di rimanerea distanza e in preparazione.

Pensiamoci per la nostra vita difede: molti di noi pensano di avere un peso decisivo per i contesti in cui sitrovano. Che sia in chiesa, nel lavoro, nella propria famiglia, tra i propriamici. Pensiamo di essere indispensabili e ci chiediamo come le cose possanoandare avanti senza il nostro contributo. Ma se vogliamo essere veramented'aiuto al Signore nella costruzione del suo regno in tutti gli ambiti citati,dobbiamo essere prima pronti a passare per Madian, a stare un po' in disparteperché il Signore prepari direttamente la sua opera in noi e nei campi in cuivorremmo agire, facendoci percepire i nostri limiti, e facendo maturare lenostre qualità.

Tra di noi oggi ci sono pochepersone originarie di questa città. In un certo senso siamo tutti un po'profughi e stranieri. Il Signore ci invita a riflettere sul senso di questanostra permanenza qui a Lucca, in una città in cui tanti non sono nati, ma incui probabilmente siamo stati messi dal Signore per formarci e trovare unanostra missione che solo Lui conosce. Forse rimarremo sempre qui, forse invecepasseremo altrove. L'importante è percepire che il Signore è stato presentenella precarietà della nostra vita e che ha lasciato il suo segno. 

Esodo 1. Il popolonumeroso

Introduzione.
Il titolo del libro checominciamo a studiare ha qualcosa di inappropriato: Esodo. Sarebbe forse megliodire E-duzione, che più che fuga dà l'idea dell'essere condotti fuori daqualcosa. Tuttavia si tratta di un titolo che non troviamo nell'originaleebraico che secondo la consuetudine usata per gli altri 4 libri della Torah usale prime parole del libro: "Ecco i nomi...".
Perché ci interessa? L'Esodo perIsraele è una rinascita. Un nuovo nascere abbandonando la schiavitù. Per ognichiesa come anche per ogni individuo e per il popolo di Dio in generale, l'idea di lasciare qualche tipo dischiavitù per rinascere ad una nuova libertà è una sfida continua ed è sempreattuale. E' particolarmente appropriata per chi come noi è giovane,  sente il bisogno di partire versoqualcosa, di avere un motivo per crescere.

1. La condizione degli ebreiin Egitto (1-7). La benedizione della moltiplicazione
Secondo Esodo 12:40 gli ebreihanno passato 430 anni in Egitto, quindi dalla morte di Giuseppe sono passaticirca 400 anni. Questa data basta per spiegare perché il nuovo faraone nonconoscesse niente di Giuseppe e perché la vecchia generazione fosse sparita. Ilnarratore sottolinea tuttavia un dato: dai 70 figli di Israele, "uscitidai lombi di Giacobbe" è venuto fuori un gruppo di persone molto numerosoe fecondo. L'idea di moltiplicazione è sottolineata a più riprese. L'inizio dellibro dell'Esodo insiste proprio sulla realizzazione delle promesse fatte nellaGenesi ai figli di Israele: ricordiamo la promessa fatta ad Abramo (Gn 12,2:13,6 "Come la polvere della terra..."; 15,5 "Come le stelle delcielo") e rinnovata a suo figlio Isacco (Gn 26:4, 24) e a suo nipoteGiacobbe (la scala di Bethel Gn 28, 13-14: polvere della terra). Si trattasempre di una promessa di prosperità, di continuità del nome e di benedizioneche finalmente si è realizzata.
Nonsolo: il faraone ora parla di questi figli di Israele come di un"popolo". Questo termine non si era mai usato per riferirsi agliebrei nella Genesi, perché erano considerati famiglie, figli di patriarchi,personaggi importanti. Ora hanno acquisito la dimensione di popolo.
Questosemplice e meraviglioso fatto è di per sé motivo di incoraggiamento per ilpopolo di Dio. Le promesse del Signore si realizzano. Il nostro Signore nonrisponde sempre subito e non sempre come vorremmo: ma le sue promesse sirealizzano, sia verso il suo popolo di ieri che verso quello di oggi, che è lostesso. A questi ebrei fu promesso che si sarebbero moltiplicati, e chesarebbero diventati forti e questo succede. Non solo, succede che non soltantoper  430 anni, che sono pur sempreun periodo piuttosto corto, ma per mille anni la loro storia procede. Noi oggidobbiamo prendere queste stesse promesse e farle nostre. Soprattutto nella nostra dimensione di chiese nel mondosecolarizzato, post-moderno e post-industriale nel quale la fede conoscecammini difficili. La chiesa cresce esplosivamente in molti paesi del terzomondo e lì la promessa del Signore si realizza pienamente; nei nostri paesiquesta crescita è ben più contenuta, spesso nascosta e facilmente ci sidimentica dei "Giuseppe" che hanno fatto il bene anche della nostrasocietà. Nella nostra Lucca pochi ricordano i meriti di un Pietro Martire Vermigli,di un Bernardino Ochino, di un Giovanni Diodati ed altri che hanno contribuitoa mettere in discussione l'ottusità del cattolicesimo medievale proponendo unafede evangelica autentica e rinnovata. E le loro tracce si sono perse neltempo. Eppure oggi esistono a Lucca delle chiese evangeliche, e sono più unitedi quanto non lo fossero 20 anni fa. Il Signore mantiene le sue promesse econtinuerà a mantenerle!


2. La maledizione dellamoltiplicazione...
Benedizione e moltiplicazione nonsignificano perfezione. Nonostante la crescita sia stata una benedizione perquello che è oramai il popolo di Israele, proprio questa infastidisce ilfaraone che vede in un popolo numeroso una minaccia. Le parole stesse delfaraone sono iperboliche ed esagerate, visto che dice che gli ebrei sono unpopolo più numeroso e più forte degli egiziani. E' ovvio che non è così, èun'accusa eccessiva ed impossibile, perché se così fosse sarebbe molto facileper gli ebrei prendere in mano l'Egitto. Semplicemente, la paura lo porta afare considerazioni allucinate, un po' come Hitler che vedeva negli ebrei lacausa di tutti i mail della Germania, esagerando enormemente la portata dellaloro influenza sul piano economico. Non è quindi un popolo più grande, ma unaminoranza che cresce fortemente. Capita spesso che le minoranze con unmessaggio forte facciano paura e in questo caso il faraone escogita diversemisure vessatorie per limitarne la crescita, ma tutte falliscono: il popolo sicontinua a moltiplicare. Sorveglianza, costrizione alla schiavitù, inasprimentodei lavori... Infine anche il tentativo di eliminare fisicamente  i maschi, una sorta di pulizia etnicache anche in questo caso non riesce.
I dittatori, o comunque gliuomini investiti di poteri forti che hanno interesse a proteggere le loromaggioranze ed i loro popoli usano spesso astuzie nei confronti di minoranzebenedette. Nel corso della storia questo ritornello si ripete nei confronti delpopolo di Dio: la chiesa primitiva è stata pesantemente perseguitata, la chiesanascosta, quella chiamata "eretica" dalle ortodossie ha subitovessazioni simili, ed ha conosciuto moltiplicazione mista a persecuzione.Ultimamente, proprio in relazione all'elezione di un papa che proviene da unpaese in cui le chiese evangeliche hanno avuto un grossissimo successo, diversetestate giornalistiche hanno posto il problema del timore cattolico rispetto alcrescere del fenomeno evangelico - soprattutto di stampo pentecostale.Consapevolezza quindi: le promesse del signore si realizzano e il suo popolocrescerà e si moltiplicherà; tuttavia questo non avverrà senza dolori e con ilrisultato di creare uno stato forte che sopraffarà gli egiziani per vincere illoro paese! Già ai tempi dell'Esodo il messaggio della promessa di Dio eralegato alla libertà spirituale, non al possesso del paese.
Noi che vogliamo annunciare ilvangelo e che aspettiamo la realizzazione delle promesse di Dio, che aspettiamorisvegli in Italia e nel mondo, dobbiamo avere questa consapevolezza: ilrisveglio sarà accompagnato da dolori e da persecuzioni, perché andrà a toccarepoteri forti che non staranno zitti.

3. La fedeltà dellamoltiplicazione

Rispetto al popolo di Israeleemergono da questo racconto le figure di due donne, che vengono anche nominate:Scifrah e Puah. Sono le levatrici, le ostetriche che si occupano di farpartorire gli ebrei, e non è chiaro se si tratta di donne ebree o no, visto chesi potrebbe anche tradurre: "levatrici che si occupano degli ebrei",e che senza problemi fanno un paragone irriverente tra egiziane ed ebreedavanti al faraone. Queste donne trovano modo di disattendere l'ordine delfaraone con un espediente astuto: quel "vigorose" potrebbe ancheessere tradotto come "animale" nel senso che fanno come animali chenon hanno bisogno di ostetriche per partorire. Di queste levatrice viene dettoche ebbero timore di Dio, e che agirono di conseguenza; e che Dio le benedisse.
La storia del popolo di Dioprocede grazie alla grande fedeltà di Dio che sconvolge i piani di azione degliuomini che riesce, attraverso l'opera di persone piccole e minori, come duesemplici ostetriche, a cambiare i piani del faraone. Noi credenti dobbiamoessere consapevoli di questo. Oltre a credere alle promesse di Dio, dobbiamorenderci conto che il nostro timore di Dio si misura con la messa in pratica diquesto timore. Esempi di una vera "disobbedienza civile", nonscendono a compromessi col faraone, e non obbediscono a quelle che impone loro.Questa loro fedeltà è un anello nella catena della moltiplicazione continua delpopolo di Dio. Vogliamo essere anelli importanti della crescita del popolo diDio oggi? Impariamo dalle levatrici il timore di Dio e la conseguente azionecoerente, che rifiuta compromessi ed agisce integramente.

4. L'eco del Nuovo Testamento.
Per quanto possibile cercheremoin questa lettura dell'Esodo di individuare i rimandi al Nuovo Testamento cheesso comporta. Il vangelo di Matteo, scritto per lettori del giudaismopalestinese, quindi per le sinagoghe, ha il fine di mostrare Gesù come nuovo Mosè,ed i paralleli con il libro dell'Esodo sono numerosi. Ricordate il passo della"strage degli innocenti" fatta da Erode? Ne parla solo Matteo deiquattro vangeli (Matteo 2: 13-18) e serve a ricordarci questa veritàfondamentale: ogni nuova nascita, ogni esodo da una vita vecchia ad una vitanuova ha aspetti dolorosi. Le forze del male, che in questi episodi sonoincarnate dallo strapotere politico del faraone e di Erode si scatenano,facendo appunto stragi di innocenti. Che ne sarà di questi bimbi uccisi daErode? E di quelli uccisi da faraone? La venuta di un liberatore come Mosèprima e di Cristo dopo sono segnate da inevitabili resistenze. Ma il messaggiofinale è che Dio ha la situazione in mano, che guida da dietro tutto e che lasua azione trionferà. Il popolo sarà liberato dalla schiavitù egiziana; ed ilpopolo palestinese capirà che il vero messaggio non è essere liberatidall'invasore romano, ma trovare la salvezza in Cristo Gesù, che è una salvezzaancora più grande. E' una libertà da noi stessi, dal peccato di cui tutti siamovittime responsabili, che ci consente l'accesso ad una nuova vita di amiciziacon Dio. Abbiamo tutti bisogno di un esodo. Di una e-duzione, che ci porti viadalla pochezza del nostro io per farci scoprire la grandezza di Dio.

Genesi 2


1 Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l'esercito loro. 2 Il settimo giorno, Dio compì l'opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l'opera che aveva fatta. 3 Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l'opera che aveva creata e fatta.



Il settimo giorno è il giorno del riposo di Dio ed in genere quando si parla di creazione si rschia di focalizzare tutta l'attenzione sull'opera creata dando meno importanza a questo giorno in cui Dio si riposa. A ben guardare, anche per il suo numero, simbolo di perfezione, si tratta del giorno per eccellenza, quello in cui tutto culmina. 
Mentre è poco importante che sia di sabato, di domenica o di altri giorni, è molto importante capirne il senso. Viene infatti detto che è un giorno benedetto e santificato. Capire il senso profondo del 7 giorno significa quindi ricevere delle benedizioni: sentire che Dio approva e dice del bene, si rallegra di quello che abbiamo fatto. E significa vivere in modo santificato, cioè ben centrato sull'unico perno dell'universo: Dio stesso, che ci riserverà un rapporto particolarmente fecondo e profondo con lui. 

1. Il giorno del completamento e del riposo. 
La prima cosa che ci viene detta è che Dio nel settimo giorno "compì" l'opera che aveva fatta. Non è del tutto chiaro cosa significhi visto che ha già finito di fare tutto, e potremmo capirlo come un portare a compimento, completare. Ma in che senso? Cosa mancava ancora a quella creazione? Possiamo immaginare che questo compimento finale, dopo il quale Dio si riposa, sia un po' come la firma che un architetto o un ingegnere mettono alla fine di un progetto: non sono parti ulteriori del progetto, ma segni che indicano che l'opera appartiene loro. E' solo un'immagine, ma credo proprio che questo completare da parte di Dio stia ad indicare una specie di sua appropriazione di quanto fatto, una contemplazione della bellezza di quest'opera di cui ha già detto sei volte che era buona. Non a caso adesso Dio può riposarsi. E' un'immagine curiosa quella di Dio che si riposa, visto che in genere immaginiamo Dio come lontano dalla vicissitudini umane, quindi non soggetto a fatiche o affanni. Ma credo sia molto bello vedere Dio come una persona che dopo una grande attività durata forse solo sette giorni e forse qualche miliardo di anni, si ferma, mette una firma e si riposa. 

Noi viviamo in un mondo in cui tutto corre, e noi corriamo dietro a questo mondo che corre; abbiamo lavori da fare, orari da rispettare, entrate nei posti di lavoro, merce o lavori da consegnare, scadenze da rispettare. Il riposo è spesso concepito come il momento in cui si dorme su un letto, in cui si smettono le attività che stiamo facendo. E' difficile che ci fermiamo a contemplare quello che abbiamo fatto. E' difficile che troviamo la capacità di osservare il lavoro da noi svolto pensando a quanto sia stato utile, a quanto potrà servire a se lo abbiamo svolto come un atto creativo di cui ora ci riposiamo non tanto per staccarcene, ma per completarlo ed appropriarcelo. Tuttavia la domenica è il giorno in cui molto della nostra società si ferma; non completamente, ma per molte persone. Sarebbe veramente bello che la domenica non ci si fermasse maledicendo il lavoro che facciamo, ma che ci si fermasse pensando a quanto è importante il contributo che abbiamo occasione di dare. 

2. Il giorno della benedizione e della santificazione, che non finisce... 

Ci viene anche detto che proprio perché si riposò in questo giorno Dio benedisse e santificò questo giorno. Cerchiamo di dare un senso chiaro a questi due verbi. Dire che Dio benedice questo giorno significa dire che è un giorno destinato a fare percepire il suo favore, la sua presenza, la sua bontà, in modo speciale. Ovviamente il giorno in sé non ha niente di particolare, ma se la continuità della settimana lavorativa viene interrotta da un momento che impone il riposo, la contemplazione, ecco che questo giorno comincia a portare dei frutti: è un giorno in cui si ha il tempo di fermarsi e di pensare, per riposarsi e per apprezzare il valore stesso di quello che si è fatto. E per noi, si tratta di un fermarsi a contemplare quello che Dio ha fatto. E' inoltre un giorno santificato, quindi consacrato ad uno scopo particolare: quello di dare gloria a Dio, di permettere l'incontro speciale con lui. 

Attenzione però. Di primo acchito saremmo portati a dire che questo giorno è uno dei giorni della settimana e che quindi durante quel giorno capita qualcosa di speciale, per cui è opportuno lodare Dio, santificarlo e lodarlo. In realtà la particolarità di questo giorno è che si tratta di un giorno "aperto". Mentre di tutti gli altri giorni si dice che fu sera e poi fu mattina, alla fine di questo giorno non viene detto niente... Il settimo giorno è un giorno veramente particolare perché non è un giorno che è iniziato e che non finisce più! Dio ha smesso di creare, ed ora vive e si riposa benedicendo e santificando la terra che ha creato! Il suo riposo è ben lontano dal sonnellino pomeridiano; si tratta di un riposo attivo che riversa benedizioni su tutta l'opera creata. 

3. Entrare nel riposo di Dio. 

Tuttavia la storia non è andata come avrebbe potuto. Dio benedice il settimo giorno, quindi benedice la storia che è cominciata, la linea temporale lungo cui ci collochiamo. Ma qualcosa è andato storto. L'uomo, come visto, ha scelto di vivere indipendentemente da Dio, di creare le sue leggi. Di voler essere a Dio nel determinare il bene ed il male, creando un universo di padreterni che decidono cosa sia bene e cosa no, relativizzando la gravità del male e la bellezza del bene. Questo ha comportato che l'umanità intera che avrebbe potuto vivere nel riposo di Dio, ne è uscita fuori, vivendo una vita ridotta e riduttiva, in una dimensione per cui non è stata creata. L'autore dell'epistola agli Ebrei citando il Salmo 95 parla quindi di questo riposo di Dio riferendosi al popolo di Israele nel deserto, ma pone un problema che riguarda tutta l'umanità. 

Ebrei 4: 8-11 Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. 9 È dunque riservato ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio. 10 Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch'egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie.
11 Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza. 

Il mondo in cui viviamo, fatto di conflitti, tensioni, malattie, guerre e mille altre cose che offuscano non poco la bellezza di quel mondo che Dio durante il settimo giorno contemplava riposandosi, è il frutto di questa nostra uscita collettiva dal riposo di Dio. Abbiamo lasciato il riposo di Dio per entrare nella fatica umana, scegliendo il male invece del bene, la morte invece della vita. Ma la grandezza di Dio sta in questo: che in Cristo, nel nuovo Adamo, è possibile rientrare nel riposo di Dio. E' possibile tornare in uno stato di benedizione e consacrazione di tutta la vita e non di un solo giorno alla settimana, fatto di comunione profonda con il nostro creatore e di ritorno ad una condizione di creaturalità appagata e felice: bisogna accettare che Dio ha fatto per noi quello che nessuno poteva fare, facendo morire suo figlio in croce per i nostri peccati. Dio ha pagato il prezzo che nessuno poteva pagare, ha compiuto quella fatica che nessuno poteva compiere. Per questo adesso possiamo entrare nel suo riposo, riposandoci dalla nostre opere: perché non dobbiamo faticare per essere salvati. C'è una certa asimmetria tra uomo e Dio in questo riposarsi. Dio ha realmente lavorato e si riposa; per noi invece entrare nel riposo sabbatico significa ritrovare la pace con Dio senza aver fatto delle opere particolari, ma semplicemente accettando gratuitamente la sua salvezza. 
Perché sforzarsi? Perché arrivare alla fede e capire che tutto è gratuito è uno sforzo enorme. Capire che non contiamo niente e che possiamo solo entrare nel riposo di Dio, è un lavoro ed uno sforzo enorme, che oltrepassa la nostra intelligenza. 

Oggi è domenica. Contempliamo la creazione di Dio e difendiamola perché è un'opera meravigliosa. Viviamo vino in fondo il riposo dai nostri lavori, cercando di capirne il valore profondo. Ma soprattutto, riposiamoci con Dio in una salvezza eterna che comincia sulla terra e continua per l'eternità.

SALMO 22

1 Al maestro del coro. Sull'aria: «Cerva dell'aurora».
Salmo. Di Davide.
2 «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
3 Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.
4 Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5 In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6 a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.
7 Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
8 Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
9 «Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».
10 Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11 Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
12 Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.
13 Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
14 Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
15 Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
16 È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
17 Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
18 posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
19 si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
20 Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
21 Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.
22 Tu mi salverai dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali. Tu hai risposto.
23 Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
24 Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25 perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
26 Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27 I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
«Viva il loro cuore per sempre».
28 Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29 Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30 A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
31 lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32 annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!».
Saremmo stupiti se qualcuno, che ha una certa conoscenza della Bibbia, ci dicesse chenon conosce il Salmo 23. È infatti chiaramentesuddiviso in due parti così diverse nel tono che molti hanno pensato che sitrattasse di due diversi componimenti, successivamente uniti. Io sono convintoinvece che si tratta di un unico salmo che ha questo grande pregio: mostrarciche anche dalla sofferenza più profonda può nascere la gioia. Sarà proprioquesta l'ottica da cui lo leggiamo, cercando in esso chiavi di lettura pernostre eventuali situazioni di sofferenza, come anche per i momenti difelicità, che vogliamo interpretare come motivi di lode a Dio. 


Lettura.

Prima parte

1. Un tripliceabbandono.
Abbandonato da Dio.(1-2)
Il vero dramma di questo orante, chel'intestazione identifica con Davide, ma che potrebbe anche riguardare altripersonaggi, è la sensazione di un abbandono da parte di Dio. Se per moltiuomini il dramma per eccellenza è la mancanza di senso nell'universo, o la mancanzadi un affetto, o ancora, la mancanza di mezzi di sostentamento o di lavoro, perchi, come questo salmista, conosce il Signore la peggior esperienza che sipossa fare è quella di vivere in una situazione in cui tutto fa pensare che Diosia lontano, silenzioso e che ci abbia abbandonati. Non è un caso che Gesù nelmomento di massima sofferenza gridi proprio queste parole. Da come sonoformulate possono sembrare quasi un grido di protesta, oltre che di angoscia:"Ma come, io sono sempre stato fedele! Ho creduto, ti ho seguito! E tu miabbandoni?". Eppure il suo grido, o il suo "ruggito" come diceil testo ebraico, non arriva al Signore ed è inutile, lontano dal salvare.

Abbandonato dal popolo,dalla società. (6-8)
L'abbandono è però ancora più profondo. Ilsalmista si sente abbandonato non solo da Dio, ma anche dagli uomini, e dalpopolo di cui fa parte. E forse tra i due tipi di abbandono c'è un circolovizioso, nel senso che l'essere schernito e disprezzato dal popolo gli confermache Dio lo ha abbandonato, viceversa la sua condizione di sofferenza fa dire alpopolo che sicuramente Dio non è con lui. C'è un perfido sarcasmo nelle paroledel popolo, che dice: "visto che si è affidato all'Eterno, egli loperdonerà..." E' possibile che a dire una simile cosa siano proprio dellepersone che credono in Dio, e lo servono, ma che hanno deciso che questosalmista non ha l'approvazione di Dio. Essere abbandonati da Dio èun'esperienza tragica per chi crede, sicuramente la peggiore. Trovarsi però unintero popolo contro, sentire la lontananza dei propri familiari, di quelli chesi possono vedere e toccare, è altrettanto lacerante e doloroso. Perché siamofatti per stare con gli altri, e la solitudine ci fa male. Tornando a Gesù,proprio i suoi amici più intimi, gli apostoli, nell'ora della sofferenza lohanno, appunto, lasciato solo.

Abbandonato dal corpo(12-21)
Oltre ad essere abbandonato dal popolo ilsalmista incontra l'attacco di una serie di nemici che vengono rappresentaticome belve feroci: tori di Basan, cani, leoni... è anche possibile vedere inqueste forze avverse delle potenze demoniache, visto che proprio con animaliferoci si rappresentavano i demoni nell'antico oriente. Ma colpisce in questoattacco da parte dei nemici l'insistenza sulla sofferenza fisica: il corpodiventa acqua e non tiene, la lingua secca è attaccata al palato, la magrezzapermette di contare tutte le ossa... Potremmo dire che il salmista si senteperfino abbandonato dal corpo, che in certi casi può essere un ultimo punto diappoggio. In fondo è in esso che si radica il nostro spirito, la nostra animain modo un po' misterioso ed in condizioni di gran dolore un corpo che almenosia sano potrebbe dare qualche sostegno, qualche garanzia. Se poi questopersonaggio fosse realmente il re Davide, che ci viene descritto come un uomonon colossale, ma comunque vigoroso, questo aspetto della sofferenza fisicasarebbe ulteriormente pregnante. Mi sento di dire che questo tipo di sofferenzaè un'esperienza molto comune fra credenti e non, sicuramente più frequente diquella di trovarsi contrastato da un intero popolo, o completamente abbandonatoda Dio. Le malattie, la sofferenza fisica che se non sperimentiamo noidirettamente sperimentano centinaia e migliaia di persone intorno a noi, sonoesperienze veramente comuni e frequenti.

Prima applicazione:vivere la sofferenza, protestare ed invocare, Dio mio!
 Credoche ognuno di noi, una volta nella sua vita, abbia attraversato una dellesituazioni di gran sofferenza qui descritte: spirituale, sociale o fisica. Operché ne era il diretto interessato o magari per la sofferenza di una personacara, di un figlio, di un amico. Un primo insegnamento che questo salmo cidà  è che si deve gridare a Dio in mododeciso ed esplicito, senza avere paura di esternare le proprio percezioni.Davide, Gesù e chiunque altri si senta male, può arrivare a dire chiaramente aDio che si sente abbandonato da lui. Perché un rapporto vero e vivo, non sirifugia dietro a formule fatte che garantiscono che Dio è fedele, ma osa direproprio quello che sente. Non c'è compiacimento nella descrizione di questasofferenza fisica; né paranoia della descrizione dell'avversione da parte deglialtri. C'è una sincerità arrabbiata, indignata, ma al contempo fiduciosa: ilsalmista, proprio mentre dichiara di sentirsi abbandonato continua a dire: Dio mio. La modernità preferisce dire: siccome Dio non interviene e noi stiamomale, allora non c'è un dio che possa essere dichiarato "mio"; è undio assente e lontano, che abbandona. Invece il salmista si sente abbandonato,ma da un Dio che è pur sempre MIO. Quindi parlare chiaro senza perdere fiducia!

2. Triplice sostegno.
Ho volutamente prelevato dalle parole delsalmista i momenti di descrizione di dolore e di protesta, ma tutti ci siamoaccorti che questo salmo è un po' come una musica che alterna tonalità maggiorie minori: numerosi flash back solari rischiarano l'atmosfera cupa di questaprima parte.

Il popolo che loda. (3)
I momenti di lode vera, fatta in spirito everità, hanno rivelato la presenza di Dio; di quel dio santo che dimora perònella lode del suo popolo. E' un immagine molto bella che probabilmente ècomune anche alla nostra esperienza: quando si loda veramente, in un modoprofondo ed autentico si avverte la presenza del Signore;

I padri confidarono(4-5)
La conoscenza del passato del popolo di Dioracconta numerosi atti di fedeltà di Dio verso il popolo. Buon motivo per cui èutile studiare tutti quei libri storici dell'Antico Testamento, o del nuovocome gli Atti, in cui si scopre che nonostante le numerose attestazioni diinfedeltà umana, Dio rimane fedele e soccorre! La nostra solidità spirituale sinutre anche della consapevolezza di tutto quello che Dio ha fatto e fa versoaltri membri del suo popolo.

Conoscenza fin dalla nascita.(9-10)
In questi passi abbiamo un'altra immaginemolto ricca e perfino audace: Dio viene identificato ad una levatrice,un'ostetrica che estrae il bimbo dalla madre e successivamente ad un padre acui si affida un bambino in segno di adozione. La psicologia del profondoinsegna che la sensazione di accettazione di ognuno di noi nasce proprio daquesti primi atti di affetto nei confronti del neonato, e possiamo pensare chenel profondo di qualsiasi sofferenza possiamo attraversare non ci scorderemo maidi quel Dio che è stato presente alla nostra nascita e che ci ha accompagnatinelle varie fasi del cammino della nostra vita. Anche se non ce ne rendevamoconto, perché ancora inconsapevoli.

Seconda applicazione:vivere la gioia
Proprio grazie al ricordo di questi momentifelici il salmista può invocare. Ma se in primo luogo il salmo ci insegna avivere veramente il dolore e la sofferenza dichiarando a Dio quello che cipesa, qui abbiamo anche un insegnamento forte che ci invita a vivereintensamente la gioia: i momenti di lode, i momenti di comunione con il popolodi Dio, i momenti in cui riconosciamo che Dio è veramente all'origine di ognicosa, devono diventare pietre miliari del nostro cammino, a cui tornare neimomenti di maggior sconforto.
Vaux.

Seconda parte:Rovesciamento e annuncio.

Piccoloproblema di traduzione: al v.22 la Diodati traduce meglio, e segue il testoebraico stabilito.  "Tu hairisposto". Dopo la sofferenza il salmista ha ottenuto risposta alleinvocazioni ripetute, e questa semplice frase, posta in mezzo al salmo, separale due parti: da ora in avanti comincia la lode, per la risposta ottenuta

1. Non gioia egoistica,ma testimonianza esterna. (22-24)
Dopo una così lunga sofferenza ci sipotrebbe aspettare una lunga serie di ringraziamenti o una descrizionespeculare del proprio stato ora di felicità e di serenità: niente di tutto ciò!Il salmista ha come prima preoccupazione quella di annunciare, partendo daquelli che gli sono più vicini: i suoi fratelli, l'assemblea, la discendenza diGiacobbe... Quelli stessi che lo avevano abbandonato, anziché essere maledetti- come per altro capita in altri salmi - qui vengono invitati a contemplare lapotenza del Dio che risponde.

I'Applicazione. Prendiamo questo anche per noi. L'epoca in cui viviamo dà un'importanzasmodata al benessere interiore, al valore del singolo, allo star beneindividualmente. Si cerca guarigione, pace, tranquillità e quando la si trovafacilmente questa diventa un qualcosa rivolta esclusivamente verso se stessi.Siamo invitati a non nascondere quello che il Signore ci ha fatto prendendocome primi destinatari proprio i nostri fratelli, coloro che condividono lafede con noi. Compare più volte nel salmo il termine "misero" o"povero". Gli studi sull'Antico Testamento ritengono che si possavedere dietro a questo semplice aggettivo una vera e propria classe di personeche, all'interno del popolo di Israele, si rendono conto dell'importanza delrapporto con Dio, e lo ricercano di continuo. A questi in primis si rivolge ilsalmista, quasi a dire: abbiate coraggio fratelli, perché il partito di quelliche amano Dio ha delle vittorie! Io sono stato ascoltato, ma questo non valesolo per me. Un primo momento va quindi dall'egoismo della soddisfazionepersonale all'altruismo della condivisione.

2. Non una lode diparole, ma di effetti concreti. (25-28)
C'è di più. Quando parlo con qualcuno chenon è familiare con l'abbiente delle chiese evangeliche, o delle chiese ingenerale, ho qualche reticenza ad usare il termine "lode". Mi chiedoquali atmosfere susciti, se non faccia pensare a qualche forma di misticismo, odi ritualità. Ora, la lode è certamente l'espressione del proprio senso diriconoscenza, nei confronti di Dio, unita alla voglia di dargli importanza, direnderlo grande. Ma questo salmo ci insegna che questa lode ha effetticoncreti. Laddove la lode è reale, è pubblicamente testimoniata e riesce aporre Dio al centro di ogni cosa, le conseguenze sono enormi: poveri chemangiano, vita in abbondanza e conversione delle nazioni. Il salmista haparlato al popolo di Israele, ma le sue parole arrivano alle nazioni e lesconvolgono portandole a riconoscere l'unico Dio come Signore che regna pertutte le nazioni.
Applicazione II. Credo che raramente riusciamo a pensare alla portata della lode cherivolgiamo a Dio. Forse è dovuto anche alla dimensione un po' privata dellenostre chiese, che nella società laica se ne stanno un po' nascoste. Ma la lodenon si limita certo alle riunioni! Perché questo salmo è stato scritto? Proprioperché la lode continuasse ed andasse avanti. Noi facciamo molto bene adintervenire concretamente nella società, con azioni di volontariato, aiutifinanziari a persone in difficoltà ed altro. Dobbiamo però essere continuamenteconsapevoli che l'annuncio di buone notizie, l'evangelizzazione ha anch'essaeffetti concreti fino a permettere che i poveri siano sfamati, e che labenedizione della vita scenda su cui cerca Dio. Nuovamente, la lode non èesaltazione mistica ed individuale, ma desiderio di vedere dio al centro ditutto: convincere il mondo che se Dio è al centro di tutto allora le cosecambiano in meglio è una delle conseguenze più importanti della lode.

3. Una lode che va al dilà del presente e della morte.
Non è finita. Una lodevera va al di là del tempo. Persino i ricchi, (letteralmente i grassi) spessocausa di mali per i poveri verranno all'adorazione. Ma l'aspetto sorprendentedi quest'ultima parte è che sembra che questa lode vada anche al di là deltempo. In qualche modo misterioso questa lode arriva fino ai morti, ed èl'unico passo dell'antico testamento che dice una cosa del genere. Perchéquelli che scendono nella polvere e non possono vivere sono proprio dei morti.Difficile capire cosa questo significhi, se non che una testimonianza cosìpotente va anche indietro nel tempo e che invita alla lode anche chi... è giàmorto... Forse chi è nel seno di Abramo e aspetta..
Ma va anche in avanti,verso il futuro: verrà annunciata alla futura generazione, a chi non è ancoranato.
Applicazione III.Lodare e testimoniare per il futuro. La lode che rendiamo oggi a Dio, se vissuta in verità espirito, è una lode che trascende il tempo e che pone le basi. In fondo oggisiamo qui, con una distanza di forse 3000 anni da quando questo salmo è statoscritto, e lodiamo lo stesso Dio. Ci inscriviamo nello stesso solco ditestimonianza, e continuiamo a pensare al futuro. Perché questa nostra lodesarà continuata da altri nel tempo. (ex. GBU)

Conclusione.
Potremmo prendere questo salmo come unametafora della vita. E' sbagliato vedere la vita tutta in bianco o tutta innero: la vita, proprio come la descrive questo salmo, è un'alternanza tramomenti cupi e momenti solari, tra momenti di acuta sofferenza e momenti dirisposta a cui segue una lode profonda e potente, che non cancella lasofferenza, ma che trae forza anche da quella. Entrambi questi momenti devonoessere vissuti con autenticità senza assolutizzare l'uno dei due dicendosi chela vita è solo dolore o solo rose e fiori, ma cercando di scoprire che,All'Eterno appartiene il regno in ogni momento.