mercoledì 22 ottobre 2014

Dio in campeggio

Esodo 25
1 Il Signore disse a Mosè: 2 «Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un'offerta. La raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore. 3 Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e rame, 4 tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, 5 pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, 6 olio per il candelabro, balsami per unguenti e per l'incenso aromatico, 7 pietre di ònice e pietre da incastonare nell'efod e nel pettorale. 8 Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. 9 Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi.

I titoli, si sa, servono ad attirare i lettori, e sarà opportuno dire subito che Dio non va in campeggio, oppure che ci va ma non più che in altri luoghi. Quello che però ci colpisce nel libro dell’Esodo è che la parte relativa al “Tabernacolo” – e il tabernacolo è un specie di tenda da montare e smontare come quelle che si usano in campeggio – occupa circa un terzo del libro! I capitoli 25-31 e 35-40, cioè 13 capitoli su 40 parlano proprio di questa tenda mobile. Come lettori moderni che non hanno neppure mai visto un tabernacolo dobbiamo interrogarci su questa importanza, capirne il perché e scoprire se è tale anche per noi.

1. Offrire di cuore.
Quando il Signore parla a Mosè all’inizio di questo capitolo, prima ancora di pronunciare la parola “santuario” o “tabernacolo” parla di “offerta” (v.2). Dunque prima ancora di capire cosa sia il tabernacolo, e pensando semplicemente che è un qualcosa che riguarda la presenza di Dio, possiamo dire che è importante perché fa parte di un’offerta che Dio chiede al popolo di fare.
Ma tipo di offerta deve essere per essere accettata? Ha due caratteristiche: deve essere fatta con il cuore, e deve essere fatta di certi metalli, certe stoffe, certe pelli, certi tipi di olio e di pietre. Potrebbe sembrare una contraddizioni quella di chiedere la spontaneità ed il coinvolgimento e al contempo porre dei limiti sul tipo di offerta: chi offre col cuore, potrebbe pensare di offrire quello che gli pare a lui… In realtà le indicazioni servono per evitare che il donatore creda sia che il dare di per sé possa piacere a Dio, sia che faccia un’offerta priva di valore, ingannandosi. Chi dà con tutto il cuore, non dà oggetti di scarso valore.  E qui non siamo in un contesto in cui sono presenti classi sociali e poveri tra le persone del popolo, anzi, ricordiamo che uscendo dall’Egitto gli ebrei hanno preso agli egiziani i loro gioielli. La prima cosa che anche noi moderni possiamo imparare dal tabernacolo è che siamo chiamati a dare, anche materialmente a Dio, per il funzionamento di chiese, opere missioni. In questo dare Dio ci ricorda che dobbiamo metterci il cuore, sentire fino in fondo i progetti per cui diamo; al contempo ci esorta a non dare gli scarti o le cose di poco valore, ma cose preziose come i metalli elencati. Credo che l’apostolo Paolo, quando esortava i Corinzi a donare, seguisse proprio questo spirito: “Dia ciascuno come ha deliberato in cuor suo: non di forza, né di malavoglia, perché Dio ama un donatore gioioso”. (2 Cor 9,7)

2. Una nuova concezione della presenza di Dio
Il tabernacolo è quindi il risultato di un comandamento e di un’offerta, ma dobbiamo ancora capire perché è così importante. Potremmo dire che segna un vero e proprio cambiamento della presenza di Dio in mezzo al popolo. Nel corso degli anni Dio ha scelto di fare avvertire la sua presenza in modi diversi, ed oggi è sicuramente diverso da come era al tempo di quel tabernacolo; nondimeno il tabernacolo rappresenta una tappa importante che va in una direzione a cui siamo arrivati, forse, solo oggi.
Innanzi tutto la presenza di Dio non è più occasionale, ma diventa costante. Finora abbiamo visto Dio che parla o con angeli, o con apparizioni, o ancora dal monte in momenti precisi e solo con Mosè. Da adesso invece il tabernacolo rappresenterà il luogo in cui si incontra Dio, e sarà costantemente presente con il popolo. Sarà inoltre più vicino e non più osservabile a distanza sulla vetta della montagna. Inoltre sarà mobile, cioè si sposterà assieme al popolo camminando con lui. Tornerà a diventare fissa quando il popolo si stabilirà nella terra promessa, e quindi si fermerà, ma per ora segue il popolo nel suo cammino.
Possiamo dire che il tabernacolo, pur essendo un’istituzione transitoria, tra le altre cose ricca di valore simbolico, va in quella direzione per cui Dio si manifesta come sempre più vicino agli uomini, chiamandoli ad un incontro che avviene nell’interiore del loro cuore. Questo però avviene per tappe: il fatto di essere ora costante, vicino ed in cammino con Dio, è un passo avanti, che prefigura le tappe successive. La prossima sarà il santuario, che è molto simile solo che è stabile. La successiva è Gesù stesso che dice di essere il tempio (disfate questo tempio in tre giorni e lo rifarò), seguita da quella tappa in cui Dio invia il suo spirito in noi, rendendoci tempio dello Spirito Santo:
“Ho ancora molte cose da dirvi ma non sono ancora a portata vostra. Quando sarà venuto lui però, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annuncerà le cose a venire” (Giov 16,12-14).
“ Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo” (I Cor 6,19).
Tutto ciò fa parte della storia della rivelazione di Dio, del mondo in cui lui sceglie di farsi percepire dagli uomini. Noi guardando a distanza il tabernacolo che rappresenta la presenza del Signore, possiamo solo dire grazie ad un Dio che si è progressivamente avvicinato a noi, fino ad essere in chi lo riconosce come Signore, rendendo inutile la presenza di santuari e templi, che pure sono stati una tappa importante di questo cammino di interiorizzazione del divino nell’uomo.

3. Un modello conforme.
Nella parte conclusiva del passo leggiamo che il tabernacolo deve essere conferme ad un certo modello. La descrizione è in effetti molto lunga, come anche nella parte finale del libro è molto lunga la descrizione della costruzione. Ci si potrebbe chiedere perché tanti dettagli ed istruzioni su questa tenda che invece potrebbe lasciare uno spazio più ampio alla creatività umana… Forse però proprio l’osservazione della creatività umana nei vari templi costruiti in altre religioni ci fa vedere che facilmente l’uomo tende all’antropomorfismo, cioè a farsi un dio a propria immagine e somiglianza, con statue, immagini ed altro, che finisce per sminuire Dio ed esaltare l’uomo. Probabilmente dunque tanta precisione ed abbondanza di dettagli viene dal fatto che Dio vuole mettere alla prova la fedeltà del popolo, chiamato a costruire con molta attenzione, secondo un modello preciso, e non arbitrariamente dando luogo a delle mostruosità, come accadrà con il vitello d’oro che infatti è frutto della libera iniziativa e creatività del popolo.
Questo però mi fa pensare ancora una volta che la presenza di Dio è qualcosa di prezioso, di accurato, e che forse è bene che sottostia ad alcune regole. Gesù non ci ha lasciato regole molto precise, se non quelle dell’umiltà, della segretezza del nostro incontro con Dio, della sua interiorità. Credo che siamo liberi di scegliere come ritagliare il nostro tempo con Dio, purché cerchiamo di essere precisi e minuziosi: cerchiamo ogni giorno, proprio come se seguissimo un modello con delle precise regole, di passare del tempo con Dio, magari da darci anche delle scadenze precise, come la lettura di un certo numero di passi, o una lettura panoramica della Bibbia – che non può che sottostare a regole – o ancora di libri. Non credo sia una forzatura paragonare il santuario e la sua precisione, all’attenzione che dobbiamo mettere anche noi oggi a costruire il nostro rapporto con Dio. Perché se viviamo in quella tappa in cui percepiamo Dio in modo più interiore, non possiamo negare che la vita svia, ha le sue pretese e sovrasta facilmente le parole che Dio ci vorrebbe dire. Allora, senza costruire noi tabernacoli concreti, ripensiamo ad un tabernacolo personale, fatto di tempo, o azioni dedicate alla presenza di Dio che ci consenta di crescere di continuo nella fede, secondo il modello perfetto di Gesù Cristo.

Le pietre preziose


Esodo 24. Per leggere Esodo 24 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo24

Adorare sul monte(1-4)
Questo titolo può sembrare comico: cosa c’entrano le pietre con questi avvenimenti dell’Antico Israele? Sostanzialmente poco, eppure il capitolo 24 dell’Esodo sembra scandito dalla presenza di tre tipi di pietre che sono in qualche modo correlate con gli avvenimenti. Il passo si apre con una specie di riassunto di tutto quello che deve accadere: una delegazione di rappresentanti del popolo è chiamata ad avvicinarsi a Dio, ma infine solo Mosè procederà fino in cima al monte. Lo scopo di questo avvicinamento è adorare. L’adorazione è un tema importante di tutto l’Esodo e già altre volte abbiamo visto il popolo adorare (4,31; 12,27; 15, 1-21; 18, 12) E questo ci serve in via introduttiva a ricordare un postulato del libro dell’Esodo: c’è esodo e liberazione, ma questi non sono fini a se stessi: hanno come fine il potersi avvicinare a Dio per adorarlo, missione cruciale dell’esistenza, precondizione di una vera felicità.
  1.    12 pietre d’altare. (4-8)
Le prime pietre che incontriamo sono quelle che Mosè prende per costruire un altare. Su questo sparge del sangue, legge il libro dell’alleanza che ha scritto, ed asperge del resto del sangue il popolo. Troviamo più elementi simbolici in questo breve passo che vale la pena illustrare: il 12 è un numero che rappresenta l’insieme di Israele, le 12 tribù e qui rappresenta proprio l’insieme della chiamata rivolta alla tribù di Israele; la lettura del libro, e la risposta del popolo che si impegna, sono un momento di responsabilizzazione e riconoscimento che la legge viene da YHWH, ed è per questo che è buona. Infine il sacrificio con l’aspersione del sangue rappresenta l’espiazione, cioè l’idea che il peccato degli umani è simbolicamente placato con il versamento del sangue di una vittima animale – innocente.
                Se noi fossimo lì, il messaggio che dovremmo recepire dovrebbe essere qualcosa di questo tipo: il Signore ha operato una salvezza che non riguarda solo me, ma la totalità del mio popolo; mi impegno a seguire i suoi comandamenti; capisco che non sono perfetto e per le mie mancanze offrirò sacrifici.
                Oggi noi leggendo queste parole alla luce di quanto Gesù nel Nuovo Testamento ha operato recepiamo un messaggio la cui portata è ancora più grande. Ed il tipo di rito ci fa pensare ad un contesto che non è poi diverso da quello che noi sperimentiamo quando la domenica consumiamo insieme la cena del Signore, che ha ripreso parole molto simili. Dio non ha lasciato nel Nuovo Testamento molti simboli, tuttavia ha lasciato una cena. Prendendola e pensando che i primi  a prenderla erano 12, pensiamo proprio alla totalità del popolo salvato, che non è più il singolo popolo di Israele, ma che è un grande popolo formato da chiunque riconosce la forza del sacrificio di Cristo. Questo 12 si è moltiplicato per 12 ed ancora all’infinito per chiamare ad un impegno deciso l’umanità. Oggi, prendendo la cena del Signore si pronuncia ugualmente una sorta di impegno. Se non la si prende è perché si percepisce che questo impegno non è ancora chiaro, non è ancora definitivo. Credo che ogni volta che prendiamo la cena del Signore dobbiamo ripensare a quale sia la nostra fedeltà rispetto ai comandamenti di Dio. Ma subito dopo possiamo pensare a quel “sangue che è sparso per molti”, che ha permesso un NUOVO PATTO, nel sangue di Gesù. Capiamo allora che Dio non ci accetta in base alla misura della nostra fedeltà o al rispetto dei comandamenti: ci accetta perché ha versato il sangue di suo figlio Gesù sulla croce, per perdonare i nostri peccati. Le 12 pietre, sono allora il simbolo di un’umanità rinnovata dal sangue, e chiamata ad un nuovo impegno con il Signore.

  1.   La pietra trasparente di zaffiro. Dio si può vedere
 E’ nuovamente una pietra a rappresentare l’incontro con Dio: uno zaffiro trasparente. Si tratta di una pietra che tende al colore blu e che è piuttosto trasparente e su questa viene detto che Dio poggia i suoi piedi. Aronne, 70 anziani, due figli di Aronne Nadab e Abiuh e Mosè stesso sono chiamati ad avvicinarsi. Comprendiamo il senso di questa scelta in una funzione ed in un ruolo che ognuno di questi aveva all’interno di un popolo che non è una massa piatta ed uniforme, ma che deve crescere e maturare. Questi vivono un’esperienza straordinaria: vedono Dio, sopravvivono, mangiano e bevono. Credo che questa scena abbia un fortissimo valore anticipatorio: è lì per dire che un giorno sarà così per tutti, e che verrà un tempo in cui chi crede è sacerdote ed è degno di vedere Dio. Allora oggi dobbiamo gridare che questo tempo della presenza trasparente, senza veli, di Dio è arrivata e che chiunque è chiamato a presentarsi davanti a lui. Ma non solo: lo stare in presenza di Dio non è un’esperienza puramente trascendente, fatta di rarefazione e spiritualità: si mangia e si beve! La convivialità assume tutto il suo valore, e fa assumere ai beni della creazione, cibi e bevande, tutta la loro carica spirituale. Incontrare Dio è un’esperienza collettiva, conviviale in cui si vede l’Altissimo ed in sua presenza si mangia e si beve. Forse non c’è niente di più spirituale di fare delle cose molto ordinarie e comuni, come una cena, ma con la certezza della presenza di Dio. Chi di noi non apprezza il piacere di ritrovarsi a cena con amici? Quando la domenica prendiamo la cena del Signore siamo sempre condizionati da una qualche ritualità che culturalmente ci influenza: ma Gesù ha scelto di istituire un momento simbolico come quello della cena, perché lo spirito della cena è proprio quello di ricreare un incontro amichevole, conviviale, e trasparente con il Dio della vita.

  1.  Le pietre della legge.
Infine abbiamo le pietre della legge che Dio dà a Mosè chiamandolo in cima al monte dove lui solo si reca. La funzione che hanno è anch’essa molto adeguata al materiale di cui sono costituite: se è vero che le cose scritte rimangono mentre quelle solo dette possono volare via, appare ancora più forte la permanenza di cose scritte sulla pietra, che per essere cancellate richiedono cataclismi o rotture e sono quindi ben più solide della carta o dei supporti elettronici di cui ci serviamo oggi. Proprio questa permanenza della Parola di Dio mi pare sottolineata dal formato scelto da Dio per conservarla. E’ vero che in seguito la Bibbia sarà scritta e tramandata in rotoli, ma l’idea di mettere su pietra dei comandamenti rinforza la loro solidità. Vagheggiando un po’ intorno a questa forma, potremmo pensare a quanto sia importante oggi ricordare che questa Parola contiene principi che non passano, che sono validi sempre, che permangono e che propongono ad ogni uomo una chiara esposizione della volontà di Dio.
                Tuttavia, questa immagine della legge scritta su tavole di pietra è stata ripresa nel Nuovo Testamento dall’apostolo Paolo in funzione apparentemente negativa: “La nostra lettera, scritta nei nostri cuori, siete voi, lettera conosciuta e letta da tutti gli uomini; è noto che voi siete una lettera di Cristo scritta non con inchiostro, ma con lo spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne.” (II Cor 3, 2-3). Non credo che Paolo volesse sminuire il valore della pietra: piuttosto voleva dire che quelle leggi scritte nella pietra si devono vedere nella vita, quindi essere impresse in cuori di carne che le rendono vive.
                Mosè che rimane in presenza di Dio 40 giorni e 40 notti, e Paolo che ci ricorda il modo in cui la legge di pietra deve essere assimilata dai cuori, ci portano a fare una considerazione fondamentale sulla legge: la legge può essere bella, duratura, profondamente morale, umanamente ineccepibile: ma non serve a niente finché rimane sulle tavole. Mosè è rimasto lì 40 giorni e 40 notti per parlare con Dio e penetrare a fondo i principi della legge; Paolo ci esorta a viverli per diventare delle specie di lettere da cui il fine della legge traspare. Quello di renderci sempre più simili a Dio, e a farcelo adorare di continuo. AMEN

Verità senza condizioni

Esodo 23: senza condizioni.

  1.        Verità e doveri senza condizioni.
1 Non spargerai false dicerie;
non presterai mano al colpevole per essere testimone in favore di un'ingiustizia.

2 Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo per deviare verso la maggioranza, per falsare la giustizia.
3 Non favorirai nemmeno il debole nel suo processo.
4 Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre.
5 Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo.

6 Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo.
7 Ti terrai lontano da parola menzognera.

Non far morire l'innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole.
8 Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti.
9 Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d'Egitto.

Questo primo gruppo di norme potrebbe essere accomunato da un’idea: “Non farti condizionare da niente”. Che si tratti di stabilire il torto e la ragione in un processo o che si tratti di aiutare qualcuno l’invito di questi testi è ad agire senza condizionamenti esterni. In ogni tentativo di stabilire la giustizia o di aiutare qualcuno ci sono dei condizionamenti. E’ facile lasciarsi andare a maldicenza o a parole che non riportano l’esatta verità contro un nemico; è facile schierarsi dalla parte della maggioranza, perché è più comodo; è facile anche farsi influenzare da una certa categoria, perché più debole e quindi giustamente oggetto di maggior considerazione. E’ facile anche farsi influenzare da doni o favori, pratica che nell’Italia di tangentopoli abbiamo visto imperversare. E’ facile anche farsi influenzare al contrario da preconcetti su stranieri. Ugualmente, è facile farsi influenzare dalla rabbia che si ha contro un nemico per venire meno ai doveri di assistenza che si hanno nei suoi confronti.
Questo gruppo di versi mi ha fatto venire in mente un passo importante della lettera ai Romani in cui l’apostolo Paolo, con altre parole, esorta a non lasciarsi condizionare:
“Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la buona gradita e perfetta volontà di Dio. (Rom 12,2).
Il popolo liberato e rigenerato da Dio deve tenere duro per mantenere la sua libertà, rinunciando a compromessi con quelle pulsioni dell’animo umano verso l’accomodamento, o verso la via più facile. Partendo dal presupposto che la cultura in cui viviamo ci influenza, assieme alla nostra estrazione sociale, alla nostra famiglia, alla nostra formazione, dobbiamo leggere in questi passi un forte segnale d’allarme che di ricorda che la nostra mente va rinnovata. Non basta nasconderci dietro la nostra sincerità, la nostra buona fede o la nostra educazione, sia essa o meno evangelica. La parola di Dio ci chiama ad uno sforzo sovrannaturale di oggettività. Sicuramente non siamo giudici, e quindi non siamo chiamati ad emettere sentenze. Tuttavia, potremmo essere chiamati a fare da testimoni, e nella quotidianità ci capita di continuo di valutare situazioni in cui c’è chi ha torto e chi ha ragione. Capita in famiglia nelle liti tra due fratelli o sorelle, capita nei luoghi di lavoro, capita in chiesa… Dobbiamo allora chiederci di continuo: cosa guida il nostro giudizio?
    2. Il valore del riposo.

      10 Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, 11 ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto.
      12 Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché possano goder quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero.

      Se nel decalogo si parla di un giorno di riposo speciale, quello del sabato per santificare il nome del Signore, vediamo che in questo passo viene aggiunto un riposo ogni sette anni che permetta riposo alla terra e beneficio ai poveri, ed alle bestie selvatiche. Nel commentare il quarto comandamento abbiamo rilevato di quanto sia importante trovare un momento da consacrare al Signore, e quindi l’esigenza di una giornata in cui non si lavora ma si pensa soprattutto a Dio. In queste norme viene messo in valore il senso di questo riposo ed è sorprendente vedere che Dio sembra preoccuparsi di cose che noi spesso trascuriamo: terra, poveri ed animali. Nel salmo 8, il salmista si domanda chi sia l’uomo perché il Signore debba preoccuparsi di lui, ma in questo comandamento vediamo che Dio non solo si preoccupa degli uomini: ha una grande attenzione per tutti i componenti della creazione, terra piante ed animali compresi. Se nei nostri tempi alcuni movimenti animalisti hanno esagerato l’attenzione posta all’ambiente finendo per divinizzarlo, non dobbiamo aver paura di affermare che la Bibbia ha una vera e propria teologia degli animali reperibile in diversi passi come questo, che non è l’unico. Gli animali sono oggetto della grazia di Dio e Dio vuole che al grande riposo contemplativo prendano parte anche loro. Non conosco molti movimenti cristiani che pongano attenzione agli animali, e ho scoperto una confessione di peccato nei confronti degli animali fatta dalle chiese evangeliche tedesche a Clamberg nel 1988. Amare gli animali significa amare il creato. Ciò non impone immediatamente il vegetarianesimo, e la Bibbia che pure non prevedeva il consumo di carne prima del peccato, permette sia che se ne mangino, sia che vengano uccisi in sacrifici. Tuttavia, mai viene permessa della violenza gratuita sugli animali, e l’attenzione posta agli animali deve fare riflettere gli uomini sul fatto che ci sono limiti: limiti al lavoro e limiti allo sfruttamento del creato. Poco più avanti si vieta addirittura di cuocere un capretto nel latte di sua madre, quasi a far capire che l’animale benché morto, non è un semplice oggetto con cui fare quello che vogliamo, a un figlio che è nato da una madre. Non ci si deve permettere di sfruttare qualsiasi entità che sembri più facilmente dominabile o subordinata: animali, poveri e schiavi. La Bibbia ricorda al ricco abbiente, al possessore di schiavi, campi, bestiame e de denaro che nessuno di noi è creatore e che tutto appartiene a Dio e che il lavoro nobilitante e degno diventa idolatria e dipendenza senza il riposo ed il riconoscimento di un limite.
                      Oggi il lavoro manca ed il problema della disoccupazione si accompagna a quello della sovraoccupazione. Ci sarebbe da chiedersi se forse questo squilibrio nel mondo della produzione e del lavoro non derivi anche dal fatto che si voglia produrre troppo, ottimizzando troppo e violando dei ritmi naturali che la terra, gli animali e l’uomo hanno…

        3. Il valore del ricordo. Ricordarsi di Dio in ogni circostanza. Liberazione, raccolta, nascite.
          13 Farete attenzione a quanto vi ho detto: non pronunciate il nome di altri dèi; non si senta sulla tua bocca!

          14 Tre volte all'anno farai festa in mio onore:
          15 Osserverai la festa degli azzimi: mangerai azzimi durante sette giorni, come ti ho ordinato, nella ricorrenza del mese di Abib, perché in esso sei uscito dall'Egitto.
          Non si dovrà comparire davanti a me a mani vuote.
          16 Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di ciò che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine dell'anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi.
          17 Tre volte all'anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio.

          18 Non offrirai con pane lievitato il sangue del sacrificio in mio onore e il grasso della vittima per la mia festa non starà fino al mattino.
          19 Il meglio delle primizie del tuo suolo lo porterai alla casa del Signore, tuo Dio.
          Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre.

          Noi evangelici “liberi” abbiamo una certa ritrosia rispetto a tutto ciò che è liturgico. Non riconosciamo feste particolari perché non ne troviamo nel Nuovo Testamento e perché non ce ne sono di “comandate”, e insistiamo sull’importanza di vivere ogni giorno la festa della profonda comunione con Dio, nostro salvatore. Qualcuno ha detto però un qualcosa di provocatorio ed utile: “Pregare quando si vuole è bene, pregare ad ore fisse è meglio”… Tanto per dire che è bene fare qualcosa quanto si sente di farlo, ma è anche meglio imporsi qualche scadenza per leggere la parola, per pregare o per incontrarsi, altrimenti la nostra indole poco riconoscente finisce per trascurare la vita spirituale. Questo gruppo di insegnamenti che ricordano l’importanza di ricordarsi di Dio in momenti significativi della vita quotidiana mi fa scattare immediatamente alcune domande, che penso bastino per commentare ed attualizzare il passo:
          -          Chi si è convertito dando a Dio la propria vita, gli viene mai mente di fare una piccola festa familiare o anche in grande per ricordare del giorno in cui il Signore lo ha chiamato?
          -          Ci viene mai in mente di indire una piccola riunione di ringraziamento familiare quando mensilmente riceviamo lo stipendio, o quando a dicembre arriva la tredicesima ? Chi ha un lavoro in un mondo in cui ce n’è così poco in quanto mal distribuito, ci viene mai in mente di ringraziare per quel banale versamento che ci consente di vivere e di nutrirci?
          -          Visto che festeggiamo i compleanni dei nostri figli, ci viene mai in mente di fare delle riunioni familiari di preghiera per ringraziare Dio di averceli dati e per pregare specialmente per loro?
          -          E infine: ci viene mai in mente che tutto ciò va in qualche modo “restituito” a Dio dandogli il primo posto nella nostra vita?

            4. Non farti condizionare

              20 Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. 21 Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. 22 Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi avversari.
              23 Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare presso l'Amorreo, l'Hittita, il Perizzita, il Cananeo, l'Eveo e il Gebuseo e io li distruggerò, 24 tu non ti prostrerai davanti ai loro dèi e non li servirai; tu non ti comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire e dovrai frantumare le loro stele.
              25 Voi servirete al Signore, vostro Dio. Egli benedirà il tuo pane e la tua acqua. Terrò lontana da te la malattia. 26 Non vi sarà nel tuo paese donna che abortisca o che sia sterile. Ti farò giungere al numero completo dei tuoi giorni.
              27 Manderò il mio terrore davanti a te e metterò in rotta ogni popolo in mezzo al quale entrerai; farò voltar le spalle a tutti i tuoi nemici davanti a te.
              28 Manderò i calabroni davanti a te ed essi scacceranno dalla tua presenza l'Eveo, il Cananeo e l'Hittita. 29 Non li scaccerò dalla tua presenza in un solo anno, perché il paese non resti deserto e le bestie selvatiche si moltiplichino contro di te. 30 A poco a poco li scaccerò dalla tua presenza, finché avrai tanti figli da occupare il paese.
              31 Stabilirò il tuo confine dal Mare Rosso fino al mare dei Filistei e dal deserto fino al fiume, perché ti consegnerò in mano gli abitanti del paese e li scaccerò dalla tua presenza. 32 Ma tu non farai alleanza con loro e con i loro dèi; 33 essi non abiteranno più nel tuo paese, altrimenti ti farebbero peccare contro di me, perché tu serviresti i loro dèi e ciò diventerebbe una trappola per te».

              Il passo è cominciato con un invito a non farsi condizionare nei giudizi di ordine morale, e si conclude con un esortazione molto simile. Il popolo entrerà in un paese in cui vivono popoli lontani dalla parola di Dio. Dio ha scelto questo modo critico, problematico di correggere l’umanità che prevede anche il giudizio anticipato di molti popoli che responsabilmente hanno optato di non schierarsi con Jahve. Israele, scelto per portare una parola di libertà non deve farsi condizionare. Ha da Dio una grazia speciale, ma questa grazia non è a buon mercato: implica da loro una continua fedeltà, che consiste nel riconoscere in Javhe l’unico vero Dio.
              Questo passo non legittima certamente guerre ed operazioni militari perché è circoscritto a quel contesto di preparazione di una terra santa per portare una buona notizia e lì finisce. Noi ne cogliamo però il profondo senso spirituale ripetendo quello che diceva Paolo nel versetto iniziale: è facile essere influenzati da molte idee, ma la fede deve trovare la sua ispirazione nella Parola di Dio. Per le scelte della vita, per l’educazione dei figli, per capire cosa fare l’unico riferimento valido è una fedeltà condizionata a quel Dio biblico che si è rivelato in Gesù Cristo.

              Esodo 22: Persone o cose?


              Per leggere Esodo 22, clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo22

              Continua il nostro viaggio tra le leggi antiche della parte centrale dell’Esodo, ed anche oggi, dietro leggi peculiari e piene di elementi non più presenti oggi, cogliamo principi di saggezza divina a cui possiamo ispirare la nostra condotta.
              1. 1.       Persone o cose? (1-15)
              Il primo gruppo di leggi, dal v.1 al 15 riguarda una casistica di furti, o di responsabilità inerenti al prestito di oggetti, animali o all’uso di proprietà. Qui viene affermato con forza un principio centrale: i beni materiali sono importanti, e rubarli comporta delle sanzioni; tuttavia le persone sono più importanti delle cose. Al di là dei singoli casi, ogni furto viene punito con un risarcimento che tiene conto della possibilità di provare o meno il fatto. Interessante il valore del giuramento davanti a Dio, che chiama Dio a testimone della propria innocenza e che ritroviamo anche oggi nelle formule un po’ stereotipate dei processi.
              L’insieme di queste leggi fa pensare a due verità di cui tenere conto ancora oggi, opposte ma entrambe valide: in primo luogo, l’uso di ogni bene comporta una responsabilità. I beni nostri e quelli degli altri sono preziosi, spesso – proprio in virtù del comandamento non rubare -  sono il frutto di quella nobile fatica che è il lavoro. Rubare è sbagliato ed è giusto che il furto venga punito. Tuttavia nessun bene è superiore ad un essere umano. Sembra una verità molto banale, ma uno sguardo alla cronaca di può fare notare quanto sia smentita: per le proprietà, il possesso di oggetto, i furti si commettono crimini, e siamo abituati a difendere con i denti ciò che abbiamo. Possiamo ricordare che Gesù disse: “a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello” (Matteo 5,40). Il furto, l’arroganza, la violenza indispettiscono e provocano altrettanta collera. Ma lo sforzo dell’amore che Gesù richiede consiste nel vedere dietro al sottrattore di beni la persona creata da Dio, che è più di un oggetto. Per questo nell’antico testamento la massima pena per un furto è la restituzione maggiorata, ma mai la vita.
              1. 2.       Dote e matrimonio (16-17)
              Lo si voglia o no, la donna israelita era considerata come una specie di proprietà prima di suo padre e poi di suo marito. Questo non la rendeva un oggetto, nel senso che sia in materia di eredità che di diritti umani, viene considerata in molte leggi alla pari del marito, tuttavia la sua esistenza è in qualche modo dipendente da quella di uomini. Questa legge pone un principio di responsabilità e serietà nei rapporti tra sessi. Si parla di un seduttore, quindi di qualcuno che probabilmente si avvicina ad una fanciulla vergine non con intenzioni serie cioè di matrimonio, ma puramente sessuali. Il nostro tempo, contraddistinto da una grande libertà in termini di rapporti tra persone, non deve certo cercare di ripristinare la dipendenza delle fanciulle dai propri genitori, ma può imparare che una gran serietà nei rapporti che riguardano la costruzione di un’intera vita, e la non superficialità delle relazioni è un principio su cui riflettere. Ancora una volta il passo ci fa riflettere sul fatto che gli umani sono persone che interagiscono, non cose che si prendono e lasciano liberamente.
              1. 3.       Tre cose gravi: magia, perversione, idolatria.
              Rispetto al gruppo precedente di leggi, tornano casi in cui si parla di punizione capitale. Abbiamo già visto che la pena di morte viene autorizzata nell’Antico Testamento, ma rivista nel nuovo (Giovanni 9), ma cerchiamo di capire la gravità di questi tre fatti. Per “strega” si intende qualcuno che con magie opera sulla realtà, come i magi d’Egitto facevano per imitare Mosè. Il fatto è grave perché la pratica della magia riporterebbe il popolo ad essere prigioniero dell’idea che per risolvere i problemi della vita ci si possa rifare a delle pratiche magiche, quindi a degli oggetti, anziché a Dio. Ugualmente l’idolatria è grave perché riporta immediatamente ad una forma di dipendenza da divinità finte, fatte di materia che non danno alcuna libertà. Gravissimo anche accoppiarsi con gli animali perché si tratta di sovvertire un rapporto creazionalmente definito: l’accoppiamento con animali può derivare o da un desiderio insaziabile di novità e questo è offensivo per gli animali che non sono fatti per la soddisfazione dei bisogni degli uomini, ma hanno una loro dignità; ma è anche degradante per l’essere umano che riduce il rapporto ad assoluta fisicità, trascurando la dimensione emotiva, affettiva e spirituale dell’atto di unione.
              Forse un elemento che accomuna questi tre peccati è proprio la loro attualità: un’indagine rivela una certa quantità di uomini politici che consulta i maghi per prendere le loro decisioni e che 4 italiani su 10 si recano dal mago. Ho letto anche di una notizia della nascita in Danimarca di “bordelli animali” , anche se non si capisce che è una bufala. Inutile sottolineare la profusione di falsa religione che accompagna la giustissima laicità. Nessuno si sognerebbe oggi di mettere a morte chi fa queste pratiche, tuttavia rendersi conto della loro gravità sarebbe un’iniezione di saggezza per il nostro mondo pseudo-laico, ed in verità molto religioso e superstizioso in forme nascoste e striscianti. Cogliamo allora da questi passi l’esortazione a condannare queste pratiche e ad allertare laddove scoprissimo che vengono in qualche modo praticate.
              1. 4.       I deboli (21-27) : e gridano a me, io udrò
              Straniero, vedova, orfano e povero sono categorie protette. Ma è bello vedere che in questo passo godono di una protezione speciale, non solo giuridica: viene detto che hanno un canale privilegiato di comunicazione con Dio  che punirà chi li opprime. Dopo una serie di norme abbastanza circostanziate, il codice dell’alleanza punta i riflettori sulla parte debole del suo popolo ed enuncia un principio, che è quello che il Signore è dalla loro parte. Non c’è quindi nessuna legge, ma una specie di imperativo morale che dice che vanno rispettati. Si scrivono molti trattati di economia e di sociologia, ma ci si potrebbe chiedere se molti mali del mondo non derivino proprio da questo: molte ricchezze sono costruite sulle spalle di categorie di deboli oppresse e vessate. E’ una verità sia nei rapporti tra nord e sud del mondo che tra persone ricche e povere all’interno di uno stesso stato, e la crisi ci insegna che la forbice delle differenze aumenta. Non sarà che tanti mali vengono proprio dal fatto che Dio è arrabbiato di tutto ciò?
              1. 5.       Dio al di sopra di tutto.
              Il capitolo è iniziato con delle norme sul furto ed abbiamo detto che queste insegnano che le persone sono più importanti delle cose. Si conclude adesso con un’ulteriore sottolineatura: non solo le cose stanno sotto le persone, ma la realtà funziona bene se postuliamo che Dio sta al di sopra di tutto ciò che c’è in essa. I raccolti, i figli, il bestiame e tutto ciò che per gli israeliti rappresentava un bene ed un valore non deve mai diventare più importante di Dio. Il meglio di ognuna di queste cose è per Dio, gli appartiene di diritto.
              Gesù, parlando del non preoccuparsi troppo del domani e di come sopravvivere disse: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte” (Mt 6, 33). Dopo la lettura di queste leggi disparate, che riguardano i beni materiali, gli esseri umani, e qualche grossa distorsione della realtà, c’è un principio che governa tutta la vita della fede: cerchiamo prima il suo regno e la sua giustizia. Cercare il regno significa considerare gli uomini più delle cose, risarcire danni, servire i deboli e non dare mai a niente più importanza dell’Altissimo. A Lui punta tutta la legge. AMEN

              Esodo 21: Schiavitù, pena di morte e rispetto della vita.


              Per leggere Esodo 21 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo21



              Introduzione: una legge per cuori duri.
              La legge non è fine a se stessa e benché “piova dall’alto” cioè dell’alto del monte Sinai, si colloca in mezzo ad una storia – quella del popolo di Israele – ed in un mondo, quello della Mesopotamia antica. Leggere questi testi oggi, può lasciare molti di noi perplessi e portarci a chiederci perché un testo che riteniamo “Parola di Dio”, parli della schiavitù senza rimetterla in discussione, o perché ordini la pena capitale. Proprio per introdurci a questi testi così antichi credo sia opportuno guardarli con gli occhi con cui Gesù stesso suggeriva di guardarli: ricordiamo di quando i farisei gli chiedono perché Mosè abbia autorizzato il divorzio e Gesù risponde che era “per la durezza dei loro cuori, ma in principio non era così”. (Matteo 19,8) Si può dunque pensare che mentre il decalogo esprime proprio la volontà di Dio, queste “Procedure applicative”, o norme che abbiamo nei capitoli 20-23, fanno i conti con quella malattia umana che è la “durezza del cuore” (sclerocardia in greco!), e che quindi non rivelano la volontà di Dio in assoluto, ma sono un tentativo di ovviare ad una situazione umana nel modo meno dannoso possibile.
              1. 1.      La schiavitù esclude l’uguaglianza tra uomini?  Esodo 20:1-11
              I primi 11 versi di questo capitolo parlano di schiavitù e la prima riflessione che questo a me, come uomo moderno, suscita è perché questa venga accettata e regolamentata e non abolita. Probabilmente proprio perché la schiavitù era un istituto presente nelle società del tempo, per altro attestata in tutti i codici giuridici precedenti e coevi. Si potrebbe anche osservare che l’abolizione della schiavitù è veramente recente, avviene verso l’inizio dell’’800 grazie alle pressioni di William Wilberforce, un parlamentare britannico evangelico, e solo nel 1948 viene iscritta nella dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art.4)  Mosè avrebbe potuto  eliminarla, è vero; gli stessi ebrei escono dall’Egitto per non essere più schiavi. Probabilmente, la saggezza divina non procede per affronti diretti ad un certo istituto, con un processo che, forse – è solo un’ipotesi – avrebbe prodotto danni o sarebbe risultati inapplicabile. Preferisce istituire una serie di norme che a ben guardare garantiscono una serie di diritti per gli schiavi, soprattutto rispetto alla loro possibilità di affrancarsi o alla loro eventuali condizione di debolezza se sono donne o figli. Se paragoniamo questo con una legge più antica della Torah – che datiamo verso il XIV ac, ma la datazione non è certa – come il codice di Hammurabi (1750 a.C.) , troviamo una serie di norme sugli schiavi che non garantiscono niente per loro, e che anzi aumentano le loro punizioni in caso di fuga. Alcuni esempi:

              16. Qualora qualcuno riceva in casa sua uno schiavo fuggitivo (maschio o femmina) della corte, o di un uomo liberato, e non lo porti fuori alla pubblica proclamazione del capo della casa, il padrone della casa sia messo a morte.
              17. Qualora qualcuno trovi schiavi (maschi o femmine) fuggitivi in aperta campagna e li riporti al padrone, il padrone degli schiavi lo ricompensi con due shekels d'argento.
              18. Qualora lo schiavo non fornisca il nome del padrone, il ritrovatore lo porti al palazzo; segua un ulteriore ricerca, e lo schiavo sia restituito al suo padrone.

              Che dire oggi di tutto ciò? Il mondo è cambiato molto, ma la schiavitù in forme diverse esiste ancora. Sia sotto forma di condizioni di lavoro ingiuste in paesi sviluppati che conoscono la crisi, quindi salari molto bassi, mancanza di feri, laboratori clandestini, donne vittime della tratta della prostituzione, che sotto forma di violazioni di diritti umani in paesi in cui il lavoro non ha le stesse garanzie che da noi. Il messaggio biblico consisterà quindi anche oggi a ricordare che gli uomini sono uguali e che nessuno ha diritto di tenere altri in schiavitù, incoraggiando qualsiasi legge, politica o movimento che limita le nuove forme di schiavitù. Ci incoraggia inoltre ad impegnarci a combatterle per come possiamo.  Tuttavia il messaggio biblico del nuovo testamento ci ricorda che esiste anche una schiavitù spirituale: seppure siamo liberi da forme di schiavitù umane, siamo schiavi spiritualmente del peccato, cioè di un’indole ribelle che non vuole vivere in armonia con Dio e che preferisce la propria autonomia ed autodeterminazione. Gesù disse: “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato… Se dunque il figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Giovanni 8, 34,36). Abbiamo allora tutti bisogno di essere liberati da qualche schiavitù, e la parola di Gesù che ha limitato la schiavitù un tempo, ci invita oggi ad una piena libertà spirituale nel dare la nostra vita a Gesù, perché la renda realmente libera.
              1. 2.      La pena di morte contrasta il comandamento di non uccidere?
              Abbiamo letto nei comandamenti che l’esplicita volontà di Dio è che non si uccida. Tuttavia le norme che vanno dal v.12 alla fine prevedono indiscutibilmente la pena capitale. Perché? I casi descritti riguardano azioni che hanno dell’innaturale, e che mostrano la violazione di alcuni principi creazionali fondamentali: la vita è di Dio, nessuno ha il diritto di toglierla, e chi la toglie la perde. I genitori sono coloro che danno la vita, quindi – senza distinzione di sesso, padre e madre – oltraggiarli significa negare la vita. Credo sia utile ancora una volta qualche raffronto con testi come il codice di Hammurabi, in cui si trovano numerosissimi casi di pena capitale per azioni apparentemente meno gravi, come la falsa accusa, il furto e simili, quindi non attentati alla vita. Possiamo dire che quindi già nella Bibbia l’uso della pena capitale viene limitato a certi casi estremi. Credo che Gesù nel nuovo testamento abbia esplicitamente rivisto la possibilità di uccidere altri uomini, dicendo che chi è senza peccato scagli la prima pietra (Giov 9). Questo ci ricorda che seppure il principio in assoluto ha un senso, la sua applicazione da parte di tribunali umani è quantomeno problematica.
              Tuttavia cerchiamo di capire bene il principio: togliere la vita a qualcuno è estremamente grave e rispetto a questo anche gli schiavi sono equiparati agli altri (v.20). Se quindi crediamo che queste norme vadano superate nella loro applicazione, il principio che permane e che dovrebbe essere ricordato oggi è che si vorrebbe vedere maggior rigore nella punizione di una serie di crimini; siamo abituati in Italia a vedere casi di delinquenti che grazie a sanatorie, premi, leggi fatte male ed altro, finiscono per uscire dal carcere pur avendo distrutto delle vite, e questo significa che se un tempo si è ecceduto nel rigore oggi si eccede nel lassismo. Certo, questo discorso non riguarda noi semplici cittadini che non interveniamo nelle leggi, ma può orientare le nostre opinioni.
              Ancora una volta però, parlando di una cosa simile è opportuno ricordare una cosa: ricordiamoci che Gesù, innocente, ha preso su di sé per noi, una pena capitale doppiamente ingiusta. Lottiamo in ogni modo per l’eliminazione della pena di morte, quasi sempre applicata in modo maldestro ed ingiusto, e gridiamo per una giustizia rigorosa con i criminali, ma chiediamoci sempre: siamo pronti a perdonare ogni criminale come Gesù ci ha perdonato prendendo la pena capitale su di sé, per gli omicidi di ogni tempo e per noi?
              1. 3.      La gravità delle pene.
              Diffuso in tutto il capitolo si può trovare il principio per cui ogni caso richiede valutazione e non ci sono solo i risultati, ma di tutto vanno viste le cause: distinzione quindi tra omicidio volontario e colposo, proporzionalità rispetto alle parti del corpo colpite (occhio per occhio), libertà agli schiavi che hanno subito danni fisici (mentre nel codice di Hammurabi si compensava in denaro), precauzione sugli animali o su opere come le cisterne. Alcuni di questi comandamenti fanno un po’ sorridere ma sono di grande attualità  se pensiamo alle normative sulla sicurezza e alla grande attenzione che c’è oggi in materia, con la distinzione tra rischio, pericolo, infortunio ecc. Senza entrare nello specifico di ogni norma, credo che la saggezza della Parola di Dio ci ispiri un principio di responsabilità: dobbiamo stare attenti alla vita. Non basta non uccidere, è importante vegliare affinché la vita, prezioso ed unico dono di Dio sia protetta. Strumenti apparentemente banali come le cinture di sicurezza o il casco hanno salvato delle vite. Sono il frutto di un’attenzione che come credente dovremmo avere, perché non possiamo dire come Caino: “sono forse il guardiano di mio fratello?” (Genesi 4,9) Guidare in stato di ebrezza non è poi molto diverso dal lasciare libero un toro noto per la sua violenza, perché in entrambi i casi pregiudico la vita di altri.
              Anche qui, non possiamo non estendere il principio alla nostra vita spirituale: questi passi dell’Antico testamento ci esortano a vegliare sulla vita e dobbiamo farlo. Siamo però anche incoraggiati a vegliare sulle nostre vite spirituali, ad incoraggiarci come chiesa-comunità affinché ognuno di noi cresca, stia bene ed abbia vita in abbondanza nella comunione con Gesù. AMEN