mercoledì 22 ottobre 2014

Le pietre preziose


Esodo 24. Per leggere Esodo 24 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo24

Adorare sul monte(1-4)
Questo titolo può sembrare comico: cosa c’entrano le pietre con questi avvenimenti dell’Antico Israele? Sostanzialmente poco, eppure il capitolo 24 dell’Esodo sembra scandito dalla presenza di tre tipi di pietre che sono in qualche modo correlate con gli avvenimenti. Il passo si apre con una specie di riassunto di tutto quello che deve accadere: una delegazione di rappresentanti del popolo è chiamata ad avvicinarsi a Dio, ma infine solo Mosè procederà fino in cima al monte. Lo scopo di questo avvicinamento è adorare. L’adorazione è un tema importante di tutto l’Esodo e già altre volte abbiamo visto il popolo adorare (4,31; 12,27; 15, 1-21; 18, 12) E questo ci serve in via introduttiva a ricordare un postulato del libro dell’Esodo: c’è esodo e liberazione, ma questi non sono fini a se stessi: hanno come fine il potersi avvicinare a Dio per adorarlo, missione cruciale dell’esistenza, precondizione di una vera felicità.
  1.    12 pietre d’altare. (4-8)
Le prime pietre che incontriamo sono quelle che Mosè prende per costruire un altare. Su questo sparge del sangue, legge il libro dell’alleanza che ha scritto, ed asperge del resto del sangue il popolo. Troviamo più elementi simbolici in questo breve passo che vale la pena illustrare: il 12 è un numero che rappresenta l’insieme di Israele, le 12 tribù e qui rappresenta proprio l’insieme della chiamata rivolta alla tribù di Israele; la lettura del libro, e la risposta del popolo che si impegna, sono un momento di responsabilizzazione e riconoscimento che la legge viene da YHWH, ed è per questo che è buona. Infine il sacrificio con l’aspersione del sangue rappresenta l’espiazione, cioè l’idea che il peccato degli umani è simbolicamente placato con il versamento del sangue di una vittima animale – innocente.
                Se noi fossimo lì, il messaggio che dovremmo recepire dovrebbe essere qualcosa di questo tipo: il Signore ha operato una salvezza che non riguarda solo me, ma la totalità del mio popolo; mi impegno a seguire i suoi comandamenti; capisco che non sono perfetto e per le mie mancanze offrirò sacrifici.
                Oggi noi leggendo queste parole alla luce di quanto Gesù nel Nuovo Testamento ha operato recepiamo un messaggio la cui portata è ancora più grande. Ed il tipo di rito ci fa pensare ad un contesto che non è poi diverso da quello che noi sperimentiamo quando la domenica consumiamo insieme la cena del Signore, che ha ripreso parole molto simili. Dio non ha lasciato nel Nuovo Testamento molti simboli, tuttavia ha lasciato una cena. Prendendola e pensando che i primi  a prenderla erano 12, pensiamo proprio alla totalità del popolo salvato, che non è più il singolo popolo di Israele, ma che è un grande popolo formato da chiunque riconosce la forza del sacrificio di Cristo. Questo 12 si è moltiplicato per 12 ed ancora all’infinito per chiamare ad un impegno deciso l’umanità. Oggi, prendendo la cena del Signore si pronuncia ugualmente una sorta di impegno. Se non la si prende è perché si percepisce che questo impegno non è ancora chiaro, non è ancora definitivo. Credo che ogni volta che prendiamo la cena del Signore dobbiamo ripensare a quale sia la nostra fedeltà rispetto ai comandamenti di Dio. Ma subito dopo possiamo pensare a quel “sangue che è sparso per molti”, che ha permesso un NUOVO PATTO, nel sangue di Gesù. Capiamo allora che Dio non ci accetta in base alla misura della nostra fedeltà o al rispetto dei comandamenti: ci accetta perché ha versato il sangue di suo figlio Gesù sulla croce, per perdonare i nostri peccati. Le 12 pietre, sono allora il simbolo di un’umanità rinnovata dal sangue, e chiamata ad un nuovo impegno con il Signore.

  1.   La pietra trasparente di zaffiro. Dio si può vedere
 E’ nuovamente una pietra a rappresentare l’incontro con Dio: uno zaffiro trasparente. Si tratta di una pietra che tende al colore blu e che è piuttosto trasparente e su questa viene detto che Dio poggia i suoi piedi. Aronne, 70 anziani, due figli di Aronne Nadab e Abiuh e Mosè stesso sono chiamati ad avvicinarsi. Comprendiamo il senso di questa scelta in una funzione ed in un ruolo che ognuno di questi aveva all’interno di un popolo che non è una massa piatta ed uniforme, ma che deve crescere e maturare. Questi vivono un’esperienza straordinaria: vedono Dio, sopravvivono, mangiano e bevono. Credo che questa scena abbia un fortissimo valore anticipatorio: è lì per dire che un giorno sarà così per tutti, e che verrà un tempo in cui chi crede è sacerdote ed è degno di vedere Dio. Allora oggi dobbiamo gridare che questo tempo della presenza trasparente, senza veli, di Dio è arrivata e che chiunque è chiamato a presentarsi davanti a lui. Ma non solo: lo stare in presenza di Dio non è un’esperienza puramente trascendente, fatta di rarefazione e spiritualità: si mangia e si beve! La convivialità assume tutto il suo valore, e fa assumere ai beni della creazione, cibi e bevande, tutta la loro carica spirituale. Incontrare Dio è un’esperienza collettiva, conviviale in cui si vede l’Altissimo ed in sua presenza si mangia e si beve. Forse non c’è niente di più spirituale di fare delle cose molto ordinarie e comuni, come una cena, ma con la certezza della presenza di Dio. Chi di noi non apprezza il piacere di ritrovarsi a cena con amici? Quando la domenica prendiamo la cena del Signore siamo sempre condizionati da una qualche ritualità che culturalmente ci influenza: ma Gesù ha scelto di istituire un momento simbolico come quello della cena, perché lo spirito della cena è proprio quello di ricreare un incontro amichevole, conviviale, e trasparente con il Dio della vita.

  1.  Le pietre della legge.
Infine abbiamo le pietre della legge che Dio dà a Mosè chiamandolo in cima al monte dove lui solo si reca. La funzione che hanno è anch’essa molto adeguata al materiale di cui sono costituite: se è vero che le cose scritte rimangono mentre quelle solo dette possono volare via, appare ancora più forte la permanenza di cose scritte sulla pietra, che per essere cancellate richiedono cataclismi o rotture e sono quindi ben più solide della carta o dei supporti elettronici di cui ci serviamo oggi. Proprio questa permanenza della Parola di Dio mi pare sottolineata dal formato scelto da Dio per conservarla. E’ vero che in seguito la Bibbia sarà scritta e tramandata in rotoli, ma l’idea di mettere su pietra dei comandamenti rinforza la loro solidità. Vagheggiando un po’ intorno a questa forma, potremmo pensare a quanto sia importante oggi ricordare che questa Parola contiene principi che non passano, che sono validi sempre, che permangono e che propongono ad ogni uomo una chiara esposizione della volontà di Dio.
                Tuttavia, questa immagine della legge scritta su tavole di pietra è stata ripresa nel Nuovo Testamento dall’apostolo Paolo in funzione apparentemente negativa: “La nostra lettera, scritta nei nostri cuori, siete voi, lettera conosciuta e letta da tutti gli uomini; è noto che voi siete una lettera di Cristo scritta non con inchiostro, ma con lo spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne.” (II Cor 3, 2-3). Non credo che Paolo volesse sminuire il valore della pietra: piuttosto voleva dire che quelle leggi scritte nella pietra si devono vedere nella vita, quindi essere impresse in cuori di carne che le rendono vive.
                Mosè che rimane in presenza di Dio 40 giorni e 40 notti, e Paolo che ci ricorda il modo in cui la legge di pietra deve essere assimilata dai cuori, ci portano a fare una considerazione fondamentale sulla legge: la legge può essere bella, duratura, profondamente morale, umanamente ineccepibile: ma non serve a niente finché rimane sulle tavole. Mosè è rimasto lì 40 giorni e 40 notti per parlare con Dio e penetrare a fondo i principi della legge; Paolo ci esorta a viverli per diventare delle specie di lettere da cui il fine della legge traspare. Quello di renderci sempre più simili a Dio, e a farcelo adorare di continuo. AMEN

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