mercoledì 22 ottobre 2014

Esodo 21: Schiavitù, pena di morte e rispetto della vita.


Per leggere Esodo 21 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Esodo21



Introduzione: una legge per cuori duri.
La legge non è fine a se stessa e benché “piova dall’alto” cioè dell’alto del monte Sinai, si colloca in mezzo ad una storia – quella del popolo di Israele – ed in un mondo, quello della Mesopotamia antica. Leggere questi testi oggi, può lasciare molti di noi perplessi e portarci a chiederci perché un testo che riteniamo “Parola di Dio”, parli della schiavitù senza rimetterla in discussione, o perché ordini la pena capitale. Proprio per introdurci a questi testi così antichi credo sia opportuno guardarli con gli occhi con cui Gesù stesso suggeriva di guardarli: ricordiamo di quando i farisei gli chiedono perché Mosè abbia autorizzato il divorzio e Gesù risponde che era “per la durezza dei loro cuori, ma in principio non era così”. (Matteo 19,8) Si può dunque pensare che mentre il decalogo esprime proprio la volontà di Dio, queste “Procedure applicative”, o norme che abbiamo nei capitoli 20-23, fanno i conti con quella malattia umana che è la “durezza del cuore” (sclerocardia in greco!), e che quindi non rivelano la volontà di Dio in assoluto, ma sono un tentativo di ovviare ad una situazione umana nel modo meno dannoso possibile.
  1. 1.      La schiavitù esclude l’uguaglianza tra uomini?  Esodo 20:1-11
I primi 11 versi di questo capitolo parlano di schiavitù e la prima riflessione che questo a me, come uomo moderno, suscita è perché questa venga accettata e regolamentata e non abolita. Probabilmente proprio perché la schiavitù era un istituto presente nelle società del tempo, per altro attestata in tutti i codici giuridici precedenti e coevi. Si potrebbe anche osservare che l’abolizione della schiavitù è veramente recente, avviene verso l’inizio dell’’800 grazie alle pressioni di William Wilberforce, un parlamentare britannico evangelico, e solo nel 1948 viene iscritta nella dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art.4)  Mosè avrebbe potuto  eliminarla, è vero; gli stessi ebrei escono dall’Egitto per non essere più schiavi. Probabilmente, la saggezza divina non procede per affronti diretti ad un certo istituto, con un processo che, forse – è solo un’ipotesi – avrebbe prodotto danni o sarebbe risultati inapplicabile. Preferisce istituire una serie di norme che a ben guardare garantiscono una serie di diritti per gli schiavi, soprattutto rispetto alla loro possibilità di affrancarsi o alla loro eventuali condizione di debolezza se sono donne o figli. Se paragoniamo questo con una legge più antica della Torah – che datiamo verso il XIV ac, ma la datazione non è certa – come il codice di Hammurabi (1750 a.C.) , troviamo una serie di norme sugli schiavi che non garantiscono niente per loro, e che anzi aumentano le loro punizioni in caso di fuga. Alcuni esempi:

16. Qualora qualcuno riceva in casa sua uno schiavo fuggitivo (maschio o femmina) della corte, o di un uomo liberato, e non lo porti fuori alla pubblica proclamazione del capo della casa, il padrone della casa sia messo a morte.
17. Qualora qualcuno trovi schiavi (maschi o femmine) fuggitivi in aperta campagna e li riporti al padrone, il padrone degli schiavi lo ricompensi con due shekels d'argento.
18. Qualora lo schiavo non fornisca il nome del padrone, il ritrovatore lo porti al palazzo; segua un ulteriore ricerca, e lo schiavo sia restituito al suo padrone.

Che dire oggi di tutto ciò? Il mondo è cambiato molto, ma la schiavitù in forme diverse esiste ancora. Sia sotto forma di condizioni di lavoro ingiuste in paesi sviluppati che conoscono la crisi, quindi salari molto bassi, mancanza di feri, laboratori clandestini, donne vittime della tratta della prostituzione, che sotto forma di violazioni di diritti umani in paesi in cui il lavoro non ha le stesse garanzie che da noi. Il messaggio biblico consisterà quindi anche oggi a ricordare che gli uomini sono uguali e che nessuno ha diritto di tenere altri in schiavitù, incoraggiando qualsiasi legge, politica o movimento che limita le nuove forme di schiavitù. Ci incoraggia inoltre ad impegnarci a combatterle per come possiamo.  Tuttavia il messaggio biblico del nuovo testamento ci ricorda che esiste anche una schiavitù spirituale: seppure siamo liberi da forme di schiavitù umane, siamo schiavi spiritualmente del peccato, cioè di un’indole ribelle che non vuole vivere in armonia con Dio e che preferisce la propria autonomia ed autodeterminazione. Gesù disse: “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato… Se dunque il figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Giovanni 8, 34,36). Abbiamo allora tutti bisogno di essere liberati da qualche schiavitù, e la parola di Gesù che ha limitato la schiavitù un tempo, ci invita oggi ad una piena libertà spirituale nel dare la nostra vita a Gesù, perché la renda realmente libera.
  1. 2.      La pena di morte contrasta il comandamento di non uccidere?
Abbiamo letto nei comandamenti che l’esplicita volontà di Dio è che non si uccida. Tuttavia le norme che vanno dal v.12 alla fine prevedono indiscutibilmente la pena capitale. Perché? I casi descritti riguardano azioni che hanno dell’innaturale, e che mostrano la violazione di alcuni principi creazionali fondamentali: la vita è di Dio, nessuno ha il diritto di toglierla, e chi la toglie la perde. I genitori sono coloro che danno la vita, quindi – senza distinzione di sesso, padre e madre – oltraggiarli significa negare la vita. Credo sia utile ancora una volta qualche raffronto con testi come il codice di Hammurabi, in cui si trovano numerosissimi casi di pena capitale per azioni apparentemente meno gravi, come la falsa accusa, il furto e simili, quindi non attentati alla vita. Possiamo dire che quindi già nella Bibbia l’uso della pena capitale viene limitato a certi casi estremi. Credo che Gesù nel nuovo testamento abbia esplicitamente rivisto la possibilità di uccidere altri uomini, dicendo che chi è senza peccato scagli la prima pietra (Giov 9). Questo ci ricorda che seppure il principio in assoluto ha un senso, la sua applicazione da parte di tribunali umani è quantomeno problematica.
Tuttavia cerchiamo di capire bene il principio: togliere la vita a qualcuno è estremamente grave e rispetto a questo anche gli schiavi sono equiparati agli altri (v.20). Se quindi crediamo che queste norme vadano superate nella loro applicazione, il principio che permane e che dovrebbe essere ricordato oggi è che si vorrebbe vedere maggior rigore nella punizione di una serie di crimini; siamo abituati in Italia a vedere casi di delinquenti che grazie a sanatorie, premi, leggi fatte male ed altro, finiscono per uscire dal carcere pur avendo distrutto delle vite, e questo significa che se un tempo si è ecceduto nel rigore oggi si eccede nel lassismo. Certo, questo discorso non riguarda noi semplici cittadini che non interveniamo nelle leggi, ma può orientare le nostre opinioni.
Ancora una volta però, parlando di una cosa simile è opportuno ricordare una cosa: ricordiamoci che Gesù, innocente, ha preso su di sé per noi, una pena capitale doppiamente ingiusta. Lottiamo in ogni modo per l’eliminazione della pena di morte, quasi sempre applicata in modo maldestro ed ingiusto, e gridiamo per una giustizia rigorosa con i criminali, ma chiediamoci sempre: siamo pronti a perdonare ogni criminale come Gesù ci ha perdonato prendendo la pena capitale su di sé, per gli omicidi di ogni tempo e per noi?
  1. 3.      La gravità delle pene.
Diffuso in tutto il capitolo si può trovare il principio per cui ogni caso richiede valutazione e non ci sono solo i risultati, ma di tutto vanno viste le cause: distinzione quindi tra omicidio volontario e colposo, proporzionalità rispetto alle parti del corpo colpite (occhio per occhio), libertà agli schiavi che hanno subito danni fisici (mentre nel codice di Hammurabi si compensava in denaro), precauzione sugli animali o su opere come le cisterne. Alcuni di questi comandamenti fanno un po’ sorridere ma sono di grande attualità  se pensiamo alle normative sulla sicurezza e alla grande attenzione che c’è oggi in materia, con la distinzione tra rischio, pericolo, infortunio ecc. Senza entrare nello specifico di ogni norma, credo che la saggezza della Parola di Dio ci ispiri un principio di responsabilità: dobbiamo stare attenti alla vita. Non basta non uccidere, è importante vegliare affinché la vita, prezioso ed unico dono di Dio sia protetta. Strumenti apparentemente banali come le cinture di sicurezza o il casco hanno salvato delle vite. Sono il frutto di un’attenzione che come credente dovremmo avere, perché non possiamo dire come Caino: “sono forse il guardiano di mio fratello?” (Genesi 4,9) Guidare in stato di ebrezza non è poi molto diverso dal lasciare libero un toro noto per la sua violenza, perché in entrambi i casi pregiudico la vita di altri.
Anche qui, non possiamo non estendere il principio alla nostra vita spirituale: questi passi dell’Antico testamento ci esortano a vegliare sulla vita e dobbiamo farlo. Siamo però anche incoraggiati a vegliare sulle nostre vite spirituali, ad incoraggiarci come chiesa-comunità affinché ognuno di noi cresca, stia bene ed abbia vita in abbondanza nella comunione con Gesù. AMEN

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