martedì 15 settembre 2015

Luca 13,1-9. Il male

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Luca 13, 1-9
Il problema del male
Qualsiasi religione, sistema filosofico e qualsiasi visione che ne deriva finisce per porsi il problema del male. Che lo sminuisca per ottimismo o lo si assolutizzi per pessimismo il male è un dato di fatto della nostra esperienza di vita che tocca o noi direttamente o comunque il mondo in cui ci troviamo. Ne consegue che chiunque attraverso una visione del mondo fideistica o filosofica vuole tentare di spiegare la realtà in cui viviamo prima o poi arriva a chiedersi da dove questo male venga.
Durante questa settimana siamo rimasti tutti impressionati dall’immagine di un bambino di due anni morto annegato su una spiaggia in Turchia, e sembra che l’impatto di questa immagina abbia condizionato le decisioni di importanti leader europei, come il premier inglese, che fino a pochi giorni prima era più chiuso rispetto all’idea di accettare profughi in Inghilterra.
Il dialogo che abbiamo in questo piccolo passo del vangelo di Luca pone un problema che non è difficile ricondurre a quello più grosso del male, e che ci mostra uno spaccato delle risposte che al tempo di Gesù venivano fornite riguardo ad esso. Probabilmente oggi ci si potrebbe chiedere: di chi è la colpa della morte di quel bambino turco? Era un profugo? Era il figlio di immigrati economici che non sfuggiva alcuna guerra? Perché è morto in quel modo atroce? E, domanda classica che conclude sempre simili discorsi, dov’è Dio in tutto ciò? Non è certo la domanda diretta che questo testo rivolge ai suoi primi lettori, visto che il senso immediato era piuttosto quello di ricordare che il male non colpisce solo quelli che riteniamo i peggiori peccatori. Tuttavia le implicazioni che il crollo di una torre o la violenza di un dittatore pongono riconducono sempre al più vasto problema del male che opera liberamente, nonostante la presenza e l’onnipotenza di un Dio buono che dice di lottare contro questo male. Cerchiamo di trarre qualche pista di riflessione rispetto a questa grossa problematica partendo da questi due brevi esempi offerti da Gesù, contrappuntati dalla parabola del fico.
  1. 1.      Il problema del male e le sue risposte.
Tutta colpa dell’uomo. Il testo presenta due tipi di mali: quello che deriva da un uomo (Pilato) e quello che deriva da un incidente. Il giudaismo del primo secolo per spiegare diversi tipi di male faceva ricorso all’idea di “giusta retribuzione”: il male colpisce coloro che in qualche modo hanno delle responsabilità, quindi sia quelli uccisi da Pilato che quelli della torre di Siloe sono probabilmente dei peccatori che in parte meritavano quelle sciagure. La colpa del male ricade tutta sull’uomo e Dio in tutto ciò c’entra poco. E’ una spiegazione del male non del tutto sbagliata e nelle Scritture troviamo spesso situazioni in cui Dio corregge gli uomini con qualche sciagure per portarli a pentirsi: pensiamo semplicemente all’esilio babilonese o al caso di Anania e Saffira nel nuovo testamento (Atti 5). Tuttavia non spiega la totalità del male e se la spiegasse implicherebbe un paradosso: se il male è sempre corretto da un intervento punitivo, nei secoli sarebbe dovuto già sparire da tempo… Invece persiste ed è per questo che Gesù nega la validità di questa interpretazione: no, non sono più peccatori di altri!
Estirpare il male. Mi sembra che il nostro testo proponga un’altra soluzione al male che i contemporanei di Gesù avrebbero potuto immaginare. Non è ben chiaro chi sia il proprietario del campo e potrebbe essere anche Dio padre che ascolta le suppliche del Figlio. Propongo una lettura diversa: mi pare di intravedere nell’uomo che è stanco di aspettare che il fico produca un atteggiamento che pensa di risolvere il male, in questo caso rappresentato dalla mancanza di frutti, con la sua estirpazione. Se il fico non produce strappiamolo! E’ una soluzione apparentemente efficace, che non risolve però quello dell’assenza di frutti che comunque non ci saranno visto che il fico verrà estirpato. Mi pare una soluzione ampiamente praticata nel nostro immaginario collettivo o in qualsiasi tentativo di risolvere velocemente situazioni difficili. Quante volte si sente dire: io in Libia ci tirerei una bomba, si rade tutto al suolo e si parte da zero! Oppure: l’ISIS va raso al suolo e basta. Sono soluzioni apparentemente efficaci che trascurano la portata del male: la Siria è sostenuta da Cina Russia ed Iran e non è facile sterminare 4 stati senza tenere conto dei danni che si fanno… Ben vengano soluzioni dure nei confronti dell’Isis, ma anche lì il problema dei civili va posto… Capita anche nei gruppi chiusi, ed anche nelle chiese che la soluzione di un problema posto dal una persona scomoda, che commette grossi errori, sia quello di metterla al bando ed isolarla. Non dico che non sia possibile in alcuni casi, ma se diventa il modo per risolvere qualsiasi dissenso anche se piccolo, temo che non sia proprio quello che Gesù auspica per la chiesa. Ma più in generale capita in tante situazioni, come nelle famiglie che si divorziano, tra persone che litigano o tra soci: ad un certo punto la soluzione migliore è tagliare l’albero. La parabola non ci dice che sia impossibile, ma ci dice che prima dobbiamo essere sicuri di avere coltivato e concimato…
Il limite maggiore di questo metodo è che spesso chi estirpa pensa di essere in qualche modo estraneo al male che combatte, mentre le parole di Gesù son sono così rassicuranti per gli estirpatori…
Perché mi devo ravvedere? Se guardiamo ancora meglio tra le righe del testo potremmo intravedere un’altra potenziale soluzione al male data dagli uomini del tempo di Gesù: se Gesù dice: “se non vi ravvedete”, significa che molte persone che lo ascoltano non avvertono minimante la necessità di ravvedersi. Il male c’è, opera, ma è colpa di altri… Nella fattispecie potrebbe essere colpa di Pilato che è un leader cattivo, o dei costruttori della torre che l’hanno progettata male, o di chi intorno alla torre ha fatto scavi o altre costruzioni che hanno compromesso la costruzione. E qui andiamo pienamente nella nostra attualità: non c’è notizia di disgrazia che non implichi una ricerca accurata di tutte e responsabilità che cerchino di inquadrare quella disgrazia: anche questa è una ricerca giusta perché è importante stigmatizzare gli errori di chi non ha lavorato bene nella società civile. Serve a capire che molti mali sono evitabili, ma non risolve il problema del male né è giusto tirarsene fuori, come se attribuendo le responsabilità a qualcuno si potesse risolvere qualcosa.
Di questo modo di pensare esiste anche una versione più moderna che è quella di dire che il male è invitabile, che siamo imperfetti nella nostra natura, dicendo sì che il male è connaturato a noi, ma diventando in ultima analisi innocenti rispetto a qualsiasi male.
  1. 2.      La risposta di Gesù.
Rispetto a queste tre soluzioni, Gesù oppone una soluzione diversa. Da un lato nega la prima soluzione, dicendo “No vi dico”. Non sono più peccatori di altri; dall’altro pur negando una responsabilità diretta di un certo male su una persona, parla di ravvedimento, quindi di qualcosa che ha a che veder con il peccato. Il discorso di Gesù è breve, ma ha presuppostimolto lontani: le morti evocate dai suoi interlocutori sono tragiche ed improvvise. Nondimeno prima o poi tutti moriremo, anche se non in modo tragico ed improvviso. Ora, Gesù per quanto neghi che chi muore in modo improvviso e tragico sia più peccatore di altri, sa bene che la morte è il salario del peccato, la conseguenza delle scelte dei nostri progenitori di violare la legge di Dio. Se il nostro rapporto con Dio è buono, la morte non ci coglierà in modo improvviso e tragico perché saremo preparati. Il male, per quanto rimanga tale, sarà meno spaventoso e terribile. Ravvedersi significa proprio ristabilire un buon rapporto con Dio, preparandosi ad incontrarlo dopo la morte. Chi si ravvede davanti a Dio non sarà colto dalla morte in maniera improvvisa e tragica come le persone dei casi evocati.
In cosa consiste quindi la soluzione di Gesù? Non è una dissertazione filosofica che spieghi il perché del male. Non è neppure un discorso teologico che potrebbe perfettamente essere costruito sulla base delle Scritture, spiegando che i nostri progenitori hanno peccato ed ora vengono puniti. Non ci sono risposte sui perché del male, ed è un bene, visto che il male rimane sempre indefinibile. E’ una semplice risposta sul come uscire dalla conseguenze del male, da come cambiare la propria vita perché non sia più vissuta sotto il segno del male. La soluzione sta nel dire che è vero che siamo tutti peccatori, ma che esiste uno spazio di ravvedimento.
Questo messaggio è esattamente lo stesso che vogliamo e dobbiamo dare e dire oggi. Noi potremmo passare delle ore a tentare di spiegare perché un certo episodio capita a certi e non ad altri, perché è morto un bambino di due anni turco o sono annegati tanti profughi nel canale di Sicilia, o sono rimasti vittime di un terremoto tremendo migliaia di nepalesi. Non troveremo risposte definitive… Abbiamo però una risposta universalmente valida che consiste nel dire: questa morte non ha l’ultima parola, se ci ravvediamo davanti al Signore nostro Dio ristabilendo il nostro rapporto con lui.
  1. 3.      La promessa di Gesù: zappare e concimare il campo.
Se nel primo episodio abbiamo una descrizione di quello che dobbiamo fare noi, la parabola mi sembra una vera e propria promessa a garanzia di tutto il tempo che precede e segue il ravvedimento. Io credo che Gesù sia il servitore che ha detto al padrone che zapperà e concimerà dando tempo al fico di dare frutto. Mi pare una meravigliosa metafora del tempo che viviamo ancora oggi perché da 2000 anni Gesù continua a zappare e a concimare aspettando il ravvedimento dei suoi. Il nostro cuore è proprio come un campo di terra che ha bisogno di essere smosso e dissodato, perché dei macigni fatti di resistenze, di fissazioni, di abitudini, di ideologie, di peccati, vietano al fico di portare frutto. E’ una metafora geniale che riguarda in primo luogo Israele a cui si rivolgeva Gesù al suo tempo, spesso rappresentato da un fico: Gesù ha a lungo zappato e concimato Israele per vedere se uscivano frutti. Ha poi zappato e concimato la chiesa e continua a farlo ancora oggi per farle portare i frutti che deve. Concima a e zappa il cuore di ogni uomo, vedendo se si decide a ravvedersi aprendogli il proprio cuore, e ristabilendo il suo rapporto con Dio. Viviamo in un epoca di grazia in cui Gesù aspetta di vedere i frutti del fico e la sua pazienza attende il ravvedimento.
E’ vero però che questo tempo di attesa non è infinito. Il padrone tra un anno potrà tornare e tagliare il fico che non dà frutto. Ripensando alle persone dell’episodio precedente, si può dire che la morte è arrivata e ciò che avevano scelto è valso davanti a Dio: chi si era ravveduto con Dio, chi no senza Dio. Piaccia o no, oltre alla prospettiva del ravvedimento e della grande pazienza di Dio c’è anche la minaccia di un suo ritorno che è meraviglioso per chi si è ravveduto, ma tragico per chi ha rifiutato di arrendersi al Signore.
Gesù vive per dare opportunità di ravvedimento ed annunciare una fine. Ogni credente deve fare suo questo mandato, vivendo come concimatore di un fico che prima o poi verrà tagliato se non dà frutto ma sforzandosi in tutti i modi possibili di salvare più alberi possibile. Ci sono molte campagne per salvare gli alberi, e ci incoraggiano in genere ad usare meno carta. Dovremo fare una campagna chiamata: salviamo alberi umani, prima che vengano rasi. Dio ama questi alberi e per questo cerca il loro frutto.

Ricominciare: Salomone consacra il tempio. I Re 8, 12-61

Per leggere I re 8, 12-61 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=1Re8

L’estate volge alla fine e con essa le vacanze. Come chiesa riprendiamo le nostre riunioni dopo un mesetto di pausa e l’entusiasmo si mescola alla preoccupazione o al peso di ricominciare. E’ necessario leggere un passo che ci dia il senso del ripartire, del ricominciare, della novità. Il passo in cui Salomone consacra il tempio che ha appena costruito mi pare adatto a questo momento, sebbene noi non siamo davanti ad una partenza completamente nuova, visto che riprendiamo a fare le stesse cose dopo un po’ di pausa. Quanto Salomone dice nella sua preghiera mi ha sempre appassionato perché ha un senso di gran fiduciaunità ad una sana umiltà che sicuramente sono costitutive della fede di oggi, davanti ad ogni nuovo inizio. Leggeremo questo passo ponendoci alcune domande:
  1. 1.       E possibile inserire Dio in un tempio? Lettura I Re 8, 10-21.
Apparentemente la domanda è banale o scontata perché in tutte le religioni si parla di templi, di luoghi di culto, il termine “chiesa”, ha nel tempo preso il senso di luogo fisico che si può visitare più che di assemblea, di gruppo di persone, nel quale abiterebbe Dio. Le parole di Salomone tuttavia fanno capire quanto strana e paradossale sia l’idea di poter costruire qualcosa per Dio. Il discorso comincia dicendo che Dio abita nella spessa oscurità, letteralmente “In una oscurità di nuvole”, chiaro riferimento al fatto che il tempio in quel momento è riempito da una nuvola, e che Dio finora si è presentato al popolo di Israele come sempre coperto da una nuvola, senza la quale la gloria di Dio avrebbe annientato gli uomini. In seguito Salomone precisa che Davide, suo padre, avrebbe voluto costruire, ma non ha potuto (sappiamo da 1 Cr 22,8) e questo è perché ha fatto molte guerre e sparso sangue; infine dice di averla costruita, ed è anche contento della sua opera in cui ha avuto cura di mettere l’arca, simbolo del patto, ma dopo tutto ciò esclama al v. 27 “Ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra?” E’ forse la frase più bella e sincera di Salomone che rivela la profondità della sua fede. Cerchiamo di fare opere visibili, concrete, magnificenti per dare un qualche appiglio alla fede: ma queste opere concrete, palazzi, templi, chiese, possono mai contenere Dio? La risposta di Salomone non c’è perché è chiara: ovviamente NO! E’ molto interessante vedere in un uomo del mondo antico e pieno di ricchezze come Salomone fare questa riflessione sull’impossibilità della materia o dell’opera umana di contenere Dio. Dio nel presentarsi in una nuvola rivela tutta la sua natura che rifiuta di farsi limitare da qualsiasi rappresentazione l’uomo cerchi di fare, come anche da qualsiasi luogo. Samuele capisce che al massimo quel tempio potrà essere un riflesso, un punto di riferimento, ma non potrà rinchiudere Dio e vincolarlo.
            Penso che la nostra chiesa nel cominciare un nuovo periodo in cui faremo programmi di attività, progetti, ed altro per organizzare la nostra vita di chiesa debba vivere di questa consapevolezza: faremo dei grossi sforzi perché Dio abiti in mezzo a noi, e cercheremo di presentarlo alla nostra società, alle persone che ci conoscono, ai nostri quartieri. Nondimeno, ciò che presenteremo sarà sempre in qualche modo velato, parziale, imperfetto; non siamo Dio, e rimaniamo imperfetti, come imperfetto è il tempio di Salomone per quanto bello e sontuoso. Questo lo dico non per scoraggiarci ma per renderci umili. Non ci saranno programmi, progetti ed idee che riescano a rappresentare completamente Dio. Dio non è nostro, non siamo solo noi, non è nostra esclusiva, e non è limitato alla chiesa di Lucca. In un mondo in cui chi parla di Dio pensa spesso di esserne l’unico vero rappresentante in terra, ricordiamoci che Dio va molto al di là di noi e delle nostre opere, e cominciare con questa consapevolezza è cruciale.
  1. 2.      A cosa servono allora ai templi? (Tuttavia dalla tua dimora nei cieli… ascolta e perdona! Lettura I Re 8, 28-30)
Questo “tuttavia” posto nel bel mezzo di un discorso ci illustra ancora meglio la grande intelligenza di Salomone. Come se dicesse: “Ho capito che non sarai realmente in questa casa, e che questo è il luogo dove dimorerai senza che la sua infinità ne sia limitata. TUTTAVIA, anche se le cose stanno così, ti prego, ascolta e perdona! E fallo da dove? Dalla tua vera dimora, quella nei cieli! Ma allora che senso ha questa casa terrena, questo santuario? Ha il senso di far vivere sulla terra l’essenza della fede: ascolto e perdono! La fede è un dialogo con un Dio che ascolta e che per quanto riprenda e corregga nella sua verità è pronto a perdonare. Ciò che segue è infatti una lista di casi in cui il popolo sbaglia, ma Samuele implora Dio affinché quel luogo che lui ha costruito possa diventare un luogo che rappresenta il punto di vista di Dio.
Prima ancora di commentare i cari casi dobbiamo fare un salto in avanti, nel nostro mondo e chiederci se possiamo prendere il tempio come esempio di insegnamento. Ricordiamo che oggi non esistono più i templi perché Gesù ha detto di essere lui il tempio (Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» Gv 2, 19) e Paolo ci ha ricordato che siamo noi credenti il tempio dello Spirito Santo: Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (I Cor 3,16) Possiamo dunque dire che la Chiesa come corpo di Cristo, e l’insieme dei credenti come templi dello Spirito siano oggi il vero tempio di Dio. Allora come chiesa e come singoli credenti possiamo prendere questo passo per dire: vorrei che la mia chiesa, per quanto imperfetta, incapace e peccatrice, sia in grado di risaltare certe caratteristiche di Dio essendo luogo di perdono in cui chiunque possa sentirsi ascoltato da Dio.
Lettura da 31 a 53.
  • V. 31-32. Invocazione che il tempio sia un luogo di giustizia dove si sa chiaramente discriminare tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra chi ha torto e chi ha ragione. Samuele invoca Dio perché dall’alto intervenga per fare giustizia. Conosciamo la saggezza di Salomone che riesce a capire chi sia la vera madre di un figlio conteso. E’ bello vederlo invocare la saggezza da Dio per giudicare perché invece che confidare nella sua saggezza ne chiede ancora a Dio.
Vorrei che la nostra chiesa possa essere un posto in cui senza pretendere di riuscirci sempre proviamo a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le chiese stesse vivono conflitti, liti separazioni. Dobbiamo imparare non ad essere dei superesperti, ma ad invocare il Signore, come lo sta invocando Samuele perché ci renda capaci di distinguere il bene dal male realtà che la società in cui viviamo cerca spesso di confondere.
  • 33-40. Se per una serie di atteggiamenti irresponsabili e peccaminosi il popolo incorre in guerre, catastrofi ambientali, epidemie ed altro, perdonalo! Ma quando? Quando riconoscerà la piaga del proprio cuore. Samuele vorrebbe quindi che il tempio fosse un luogo in cui ci si pente, rendendosi conto dei propri errori, ed in cui si invoca il perdono. Luogo di pentimento e perdono. Immaginiamo nella storia antica e presente quanti santuari sono stati eretti, quanti ex voto affissi con la pretesa di una risposta automatica e superstiziosa a richieste diversificate verso divinità inesistenti…Salomone molto prima aveva capito che l’importante non era il luogo, ma il cuore dell’uomo che si recava in quel luogo e l’intervento di Dio in quel luogo. Io vorrei che le nostre chiese fossero luoghi in cui siamo in grado di trasmettere due cose: la nostra responsabilitàin ciò che ci capita, la capacità di guardare le piaghe del proprio cuore, ma anche luogo di perdono in cui tutti si sentono accettati.
  • 41-43. Lo straniero. Questo tempio non è esclusivo e non è al solo uso e consumo degli ebrei. Persino lo straniero che invoca avrà risposte affinché il nome di Dio sia conosciuto sulla terra. Anche questa apertura mi sembra tipica dell’intelligenza di Salomone: le guerre etniche esistevano ed esistono ancora oggi, e lo stesso popolo di Israele aveva il compito di sterminare i suoi nemici. Nondimeno Dio era aperto a tutti, stranieri compresi, cosa che significa che questo tempio aveva qualcosa di universale capace di attrarre tutti i popoli.
Agli uomini piace mettere delle barriere e spesso si pensa di risolvere con queste i problemi del mondo. Oggi molti stranieri arrivano fuggendo o la fame o la persecuzione politica e religiosa. Se la società non è capace di essere un luogo di accoglienza per loro le chiese che vogliono seguire Dio devono rifarsi al modello del tempio, ed essere capaci di dare risposte a tutti, soprattutto a questi stranieri che gridano.
  • 44-45. Salomone sapeva che per il  popolo di Israele ci sarebbe stato  un confronto con dei nemici sia in senso offensivo che difensivo perché la guerra era una realtà continua, anche se il regno di Salomone fu particolarmente pacifico. Il tempio diventa quindi un luogo da cui si trae forza. Ed è ovvio che a noi la guerra spiace e vorremmo evitarla in tutti i modi, nondimeno continua ad essere una realtà inevitabile. Pensiamo oggi al califfato dell’ISIS? E’ possibile pensare ad evitare qualsiasi forma di guerra? E se dei soldati partono non sarebbe giusto invocare su di loro protezione e vittoria per limitare i mali a tutta l’umanità? Come credenti tuttavia possiamo pensare ad una traduzione spirituale di questa guerra: si parla molto di conflitto spirituale, di guerra che facciamo con le forze del male, sia a livello personale per vivere una vita santa, pacifica e piena di spirito, sia a livello di chiesa, nel nostro far avanzare il regno di Dio. Che ogni chiesa, possa essere un luogo che rinnova le forze di chi combatte spiritualmente. Che chi non riesce a liberarsi da una qualche dipendenza, da una qualche schiavitù, invocando qui il Signore possa trovare la forza di liberarsi.
  • 46-51. Il peccato del popolo, che è un dato continuo, quasi inevitabile (non c’è uomo che non pecchi v. 46) potrà forse portarlo a forme di prigionia, di esilio, come è effettivamente capitato nella storia di Israele. Se questo capita il tempio dovrà funzionare come punto di riferimento, come luogo originario a cui tornare, anche dopo un viaggio triste come quello dell’esilio o della deportazione. Questo è particolarmente adatto a noi che torniamo dalle vacanze, quindi abbiamo goduto anziché essere puniti, ma speriamo che la nostra chiesa sia un luogo a cui ci fa piacere tornare. Tuttavia possiamo pensare a chiunque si trovi in solitudine, in isolamento, in una condizione di esclusione che per qualche motivo ha abbandonato la chiesa trovi oggi la forza di tornare all’origine. Ci sono persone che hanno peccato e si sentono troppo in colpa per tornare a Dio, immaginando che il loro proprio peccato sia più grande dell’amore divino. Salomone nella sua casistica in cui non risparmia l’uso del termine peccato è altrettanto prodigo nell’uso del termine “perdono” perché la porta è sempre aperta a chi vuole tornare indietro.
  1. 3.      La benedizione finale 54-61
Samuele finisce di rivolgersi al Signore per il tempio e pensa adesso all’assemblea. Il suo sogno è che l’assemblea rispetti le leggi di Dio, lo segua in tutto e per tutto. E’ consapevole del ruolo speciale in mezzo a tutti i popoli del popolo di Israele. Ma per incoraggiare a questo non fa affidamento sulle forze del popolo. Non libera un discorso moralista facendo appello al valore del popolo, alla forza dei singoli e alle capacità di ognuno, ma affida il popolo a Dio perché riesca a rispettare l’impegno.  Ci faccia volgere i nostri cuori verso di Lui! E’ quello che invochiamo anche noi all’inizio di questo anno perché i propositi indicati non ci sembrino troppo grandi. Noi invochiamo il Signore perché veramente riusciamo a rispettare quanto abbiamo letto in questo passo, consapevoli di essere limitati ed imperfetti, ma volenterosi di camminare con Dio.
Lo scopo di tutto è che i popoli della terra riconoscano che il Signore è Dio e che non ce ne sono altri. Noi oggi abbiamo lo stesso scopo. Sappiamo che il ruolo che un tempo aveva il popolo di Israele adesso ce l’ha la chiesa che deve fare vivere le sue verità. Con Samuele rimettiamo questo anno nelle sue mani pregando che alla fine del prossimo saremo ancora molti di più a riconoscere che è Dio e che non ce ne sono altri.

giovedì 23 luglio 2015

Per leggere Luca 12, 49-54 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php
Il vangelo pullula di termini come riconciliazione, unità, fratellanza, incontrarsi e simili che evocano l'idea della vicinanza tra persone. Passi come quello che leggiamo oggi sembrano andare in controtendenza rispetto a questi, perché parlano di "fuoco" da intendersi come espressione di ira di Dio e giudizio e di divisione. E' bello leggere il vangelo punto per punto proprio perché questo ci preserva dall'errore di tralasciare questi passi scomodi che pure ci sono e che devono parlarci tanto quanto gli altri, altrimenti presentiamo un vangelo mutilato.

1. Scelta fuoco e divisione. Il fuoco nell'Antico come nel Nuovo testamento è un simbolo di presenza di Dio, ma di una presenza che esprime la collera di Dio, ed il suo giudizio. Se la prima venuta di Gesù è stata per la salvezza la seconda oltre a conferire questa salvezza a chi ha creduto e si è convertito alla verità, sarà una venuta di giudizio e di espressione dell'ira di Dio. E difficile per le nostre orecchie moderne sentire questi termini, la presunta emancipazione o maturità umana raggiunta ci fa pensare che non saremo giudicati da nessuno e che siamo noi stessi gli ultimi responsabili di ciò che facciamo. Non è così: per il male compiuto sulla terra da ogni uomo, ci sarà un giudizio. Per il sangue versato, per le offese fatte, per gli scandali che abbiamo dato, per come abbiamo gestito il pianeta e in ultima analisi se abbiamo preso posizione o no rispetto al nostro Dio ci sarà un giudizio.
Perché Gesù aspetta con ansia questo fuoco dicendo che vorrebbe che fosse già acceso (altra traduzione possibile del v. 49: come vorrei che fosse già acceso) ? Dobbiamo saper distinguere tra mezzi e fini: il fine è la salvezza, ma il mezzo è il fuoco... Il fine è la pace, ma il mezzo è la croce... Non c'è un bene se non c'è un prezzo pagato dall'unico che lo può pagare, e non c'è vita se non siamo disposti ad accettare una sofferenza qui sulla terra. Gesù è ansioso di vedere la sua missione per la salvezza concludersi e il male sparire dalla terra.
La missione di Gesù sulla terra implica una  decisione da parte degli uomini e questa comporta una divisione: una divisione persino tra i legami più profondi che abbiamo come quelli della famiglia. E' curioso vedere tante associazioni cattoliche idolatrare un concetto come quello della famiglia, che è fondamentale ma che nel vangelo non è mai un fine in sé: il fine è la famiglia spirituale! Ciò che decideremo rispetto al fuoco purtroppo allontanerà da noi anche le persone della sua famiglia, e temo che chiunque è qui presente abbia avuto qualche conflitto in famiglia quando ha scelto Cristo. Gesù ci dice che questo non solo è normale, ma che lui stesso è venuto a determinarlo perché senza questa divisione non c’è vero annuncio e vera evangelizzazione.
2. Scelta, ipocrisia e libertà. (54-57)
Certamente molti degli ascoltatori di Gesù rispetto a questi discorsi si trovavano davanti ad una scelta: riconoscere che il messia che aspettavano era arrivato, cosa evidente dalle parole che diceva e dalle opere che faceva, oppure rimanere sottomessi alle loro guide, i farisei o i sadducei che negavano che Gesù fosse il messia. Gesù li tratta da ipocriti perché benché sappiano bene che Gesù è verità, e che le sue parole sono vere, fanno finta di non sentire, temendo le loro guide. Ci sono verità assolute alle quali ognuno di noi è chiamato a rispondere personalmente. Non possiamo permettere che qualcuno pensi al posto nostro o decida cosa sia la fede al posto nostro. Le questioni più profonde della vita, come chi siamo, chi è Dio, dove andiamo dopo la morte, che senso ha la vita, sono questioni a cui Gesù ha dato delle risposte chiare. Decidere di non rispondere o far dare la risposta ad altri è un grosso errore, perché Gesù chiede ad ognuno di noi di rispondere direttamente.
Noi viviamo in un paese dove l’esercizio dello scaricare barili è di estrema frequenza. C’è chi pensa di avere fede perché la sua famiglia gliel’ha trasmessa, chi pensa di essere a posto davanti a Dio perché ha una nonna che va in chiesa; chi dice che il massimo che può fare in ambito di fede e seguire le funzioni di una chiesa istituzionale, e che la responsabilità ultima sarà del clero di quella chiesa. Gesù invece chiama ognuno di noi ad essere responsabile per sé delle scelte che fa davanti a Dio, libero da ogni vincolo:  Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”  (57)
3. Scelta di riconciliarsi o meno.
Spesso, usando il parallelo con il capitolo 5 del vangelo di Matteo si dà per scontato che il nemico in cui si parla qui, sia una persona con cui si sono avuti litigi, e con cui sia opportuno rappacificarsi. Non si capisce bene cosa c’entri questo in questo contesto visto che Gesù non sta parlando di rapporti tra persone, ma di rapporto con Dio e di decisioni ultime rispetto a lui. Certo che parlare di una riconciliazione tra uomini prima del giudizio avrebbe un senso. Ma vista l’insistenza sulla scelta rispetto al messia sarebbe meglio pensare che il nemico di cui si parla sia proprio Gesù… Ma come può essere Gesù un nemico? Ne abbiamo un’immagine irenica, come di un uomo pacifico che mai farebbe guerra a nessuno, e che difficilmente si pone come un nemico. Lasciando perdere che quest’immagine è falsa perché Gesù ha mostrato anche la sua ira, e la sua condanna quando è stato necessario, sarà opportuno qui rilevare che quando la scelta di uomo è quella di non riconciliarsi con Dio, rispetto a Gesù, non è un amico ma un nemico… Gesù è l’amico supremo di chi alla sua prima venuta ha fatto i conti con lui e lo accettato nella propria vita. Ma se questo non avviene Gesù è un nemico… Non perché non ami le persone che vivono disconoscendolo, ma perché queste decidono deliberatamente di essere suoi nemici.
Fuoco, divisione e inimicizia sono quindi termini che troviamo nel vangelo e che fanno pienamente parte dell’annuncio di Gesù: è importante che ognuno di noi li riceva, li valuti bene e che tenga conto che il giudizio, l’unità e la pace non sono cose scontate. Sono costate caro a Gesù che ha dato la sua vita per noi sulla croce, e sono possibili solo a quel prezzo perché non si vive se qualcuno non prende il male del mondo sulle sue spalle per cominciare un’operazione di liberazione mondiale dal male. Noi però possiamo scegliere bene, cioè scegliere Gesù. Possiamo sfuggire al fuoco e bere l’acqua viva, possiamo scrollarci di dosso le distorsione inserite da altri nella nostra cultura e trovare Cristo direttamente nelle pagine della Scrittura. Possiamo vivere il vangelo integralmente, consapevoli che questo sarà anche oggetto di fuoco e divisione, ma sicuri che il suo orizzonte ultimo sarà quello della vittoria.

In attesa... Luca 12:35-40


Luk 12:35 "I vostri fianchi siano cinti,e le vostre lampade accese;
Luk 12:36 siate simili a quelli che aspettanoil loro padrone quando tornerà dalle nozze, per aprirgli appena giungerà ebusserà.
Luk 12:37 Beati quei servi che il padrone,arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà levesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
Luk 12:38 Se giungerà alla seconda o allaterza vigilia e li troverà così, beati loro!
Luk 12:39 Sappiate questo, che se il padronedi casa conoscesse a che ora verrà il ladro, veglierebbe e non si lascerebbescassinare la casa.
Luk 12:40 Anche voi siate pronti, perché ilFiglio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate".


Viviamo in un mondo in cui molto spesso siamo costrettiad aspettare ma, nonostante questa caratteristica, l’attesa ci rende spessonervosi, agitati, scortesi, irrequieti. Ogni volta che entriamo in un ufficiopostale ci lamentiamo per le lunghe attese, quando andiamo a fare la spesacontrolliamo nervosamente la fila accanto alla nostra, per vedere quale è piùveloce. Aspettiamo dal dottore, in aeroporto, al casello. Aspettiamo che ilprofessori arrivi all’appuntamento e che lo stipendio venga pagato, aspettiamoche il nuovo capitolo del nostro film preferito esca e che il vestito ordinatosu internet arrivi. Non so se l’avete notato ma questa settimana ha fattoveramente caldo. Io aspetto con ansia che le temperature scendino perché honotato che l’afa mi indebolisce e non mi fa ragionare come mio solito. Inquesti giorni sono particolarmente fiacco e questa situazione ha avuto ilculmine quando sono andato dal benzinaio con la mia moto. Invece di metterebenzina ho riempito il serbatoio di diesel! Di conseguenza ho dovuto portare lamoto dal meccanico e dover aspettare una giornata prima di poterla riprendere equesta inaspettata attesa ha scombussolato tutti i miei piani. Viviamo in unasocietà che ci dice costantemente che se non stiamo facendo qualcosa di benspecifico, se non stiamo lavorando a qualcosa, se non siamo impegnati inqualcosa allora non stiamo facendo la cosa giusta. Eppure la Bibbia ci sembramostrare qualcosa di leggermente diverso. Nella Parola di Dio troviamoinnumerevoli episodi e racconti di persone che hanno dovuto aspettare per ore,giorni, anni, decenni e secoli.
Alcuni rapidi esempi:
Vi ricordate di Israele, quando si ritrova con ilMar Rosso davanti e l’esercito egiziano alle spalle? Nell’immaginariocollettivo spesso si crede che il Mar Rosso si sia diviso in un attimo per farpassare gli ebrei. Ma non è esattamente così che è andata:

Exo 14:10 Quando il faraone si avvicinò, ifigli d'Israele alzarono gli occhi; ed ecco, gli Egiziani marciavano alle lorospalle. Allora i figli d'Israele ebbero una gran paura…Exo14:19 Allora l'angelo di Dio, cheprecedeva il campo d'Israele, si spostò e andò a mettersi dietro a loro; anchela colonna di nuvola si spostò dalla loro avanguardia e si fermò dietro a loro,
Exo 14:20 mettendosi fra il campo dell'Egittoe il campo d'Israele. La nuvola era tenebrosa per gli uni, mentre rischiaravagli altri nella notte. Il campo degli uni non si avvicinò a quello degli altriper tutta la notte.
Exo 14:21  Allora Mosè stesela sua mano sul mare e il SIGNORE fece ritirare il mare con un forte ventoorientale, durato tutta la notte, e lo ridusse in terra asciutta. Le acque sidivisero,
Exo 14:22 e i figli d'Israele entrarono inmezzo al mare sulla terra asciutta; e le acque formavano come un muro alla lorodestra e alla loro sinistra.

Gli israeliti, appena usciti dall’Egitto, rimaseroper ore ad aspettare che il mare si dividesse, sapendo che alle loro spalle,dietro le nuvole, c’erano i loro nemici.
Un altro esempio: Paolo, o Saulo, sulla via perDamasco.

Act 9:3  E durante ilviaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d'improvviso, sfolgoròintorno a lui una luce dal cielo
Act 9:4 e, caduto in terra, udì una voceche gli diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?"
Act 9:5 Egli domandò: "Chi sei,Signore?" E il Signore: "Io sono Gesù, che tu perseguiti. [Ti è durorecalcitrare contro il pungolo.
Act 9:6 Egli, tutto tremante e spaventato,disse: Signore, che vuoi che io faccia? Il Signore gli disse:] Àlzati, entranella città e ti sarà detto ciò che devi fare".
Act 9:7 Gli uomini che facevano il viaggiocon lui rimasero stupiti, perché udivano la voce, ma non vedevano nessuno.
Act 9:8 Saulo si alzò da terra ma, apertigli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono aDamasco,
Act 9:9 dove rimase tre giorni senza vederee senza prendere né cibo né bevanda.

Provate ad immaginarvi la scena! Paulo ha appenaavuto un incontro ravvicinato col Signore e si ritrova a dover aspettare, contutte le sue domande, i suoi dubbi, i suoi interrogativi. Notate bene: ilSignore aveva ordinato a Paolo di entrare a Damasco e non gli aveva detto necosa ne quando qualcosa sarebbe successo. Paolo aveva appena scoperto di averservito, tutta la sua vita, il padrone sbagliato e Dio gli ordina di starsenebuono, in attesa.

Un ultimo esempio. Uno dei versetti che sento piùusare è il seguente:
Jer 29:11 Infatti io so i pensieri che meditoper voi", dice il SIGNORE: "pensieri di pace e non di male, per darviun avvenire e una speranza.

Molti, però, sembrano dimenticarsi del contestodel versetto. È incredibilmente vero che il Signore ha il desiderio di darciuna speranza e un avvenire, ma questo desiderio a volte si esprime in formediverse rispetto il nostro piano d’azione. Guardiamo insieme i versetti cheprecedono e seguono quello che abbiamo letto.

Jer 29:10  Poiché così parlail SIGNORE: "Quando settant'anni saranno compiuti per Babilonia, io vivisiterò e manderò a effetto per voi la mia buona parola facendovi tornare inquesto luogo.
Jer 29:11 Infatti io so i pensieri che meditoper voi", dice il SIGNORE: "pensieri di pace e non di male, per darviun avvenire e una speranza.
Jer 29:12 Voi m'invocherete, verrete apregarmi e io vi esaudirò.
Jer 29:13 Voi mi cercherete e mi troverete,perché mi cercherete con tutto il vostro cuore;
Jer 29:14 io mi lascerò trovare da voi",dice il SIGNORE; "vi farò tornare dalla vostra prigionia; vi raccoglieròda tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho cacciati", dice ilSIGNORE; "vi ricondurrò nel luogo da cui vi ho fatti deportare".

Il Signore, in questo caso specifico, promette aisuoi che saranno liberati ma promette anche che resteranno in esilio per 70anni.
Di esempi ce ne sarebbero tanti altri nellaBibbia. Ma se dovessimo analizzare gli anni passati in prigione da Giuseppe, oin esilio da Davide e Mosè, o i quaranta anni nel deserto di Israele la vostrasarebbe una lunghissima attesa prima del pranzo. Ma mi sembra evidente cheaspettare sia qualcosa che il Signore ci chiede di fare molto spesso. Magaripensate di non essere d’accordo con questa affermazione ma vi posso assicurareche tutti i credenti hanno qualcosa in comune: l’attesa del ritorno di GesùCristo. Ci sono credenti che stanno aspettando da migliaia di anni. Ed èproprio di questo che Gesù parla nei versetti che abbiamo letto questa mattina.Nelle nostre vite ci possono essere tante attese ma le nostre esistenze devonoessere caratterizzate dall’attesa del ritorno di Gesù. Il Signore ci hapromesso una cosa: egli ritornerà! E allora come dobbiamo vivere in attesa delsuo ritorno?

Credo che la risposta a questa domanda si troia intanti versetti del capitolo 12 che stiamo studiando insieme.
Innanzitutto dobbiamo riconoscere Gesù come Figliodi Dio:

Luk 12:8  Or io vi dico:chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomoriconoscerà lui davanti agli angeli di Dio;

inoltre dobbiamo accumulare dei tesori in cielo e non in terra (versetti 20e 21), smettere di preoccuparci in continuazione perché tutto viene da Dio edegli vuole provvedere ai nostri bisogni (versetti 29-31).

Nei versetti 35-40 Gesù spiega in che modo dobbiamo aspettare. Come sappiamo bene non si tratta di unaattesa passiva, pigra, disinteressata. Non possiamo pensare di sederci in unangolo, osservare il mondo mentre corre verso la perdizione e aspettare ilritorno di Gesù. Ecco alcune caratteristiche dell’attesa del ritorno di Gesù daparte dei credenti.

1-     I vostri fianchi siano cinti: o, in altre parole,rimboccatevi le maniche. AI tempi diGesù era normale per gli uomini indossare delle lunghe tuniche. Cingere ifianchi voleva dire piegare i bordi delle tuniche intorno alla vita. Ma perchési faceva questa cosa? Perché altrimenti la tunica sarebbe stata d’impicciodurante il lavoro o si sarebbe sporcata durante un cammino. Così come i serviin quell’epoca dovevano preparare e sistemare i loro indumenti in modo poterlavorare, in modo da essere operativi, anche noi dobbiamo prepararci per poterservire il Signore in attesa del suo ritorno. Questo vuol dire che dobbiamofare delle scelte in modo tale da essere pronti a lavorare per il Signore, aservire il Signore.  Accettare il Signorecome proprio Salvatore è la prima scelta che ci rende “arruolabili” come servidel Signore. Ma ci sono altre cose che dobbiamo fare per essere con i fianchicinti, per essere pronti: abbandonare dipendenze che non ci fanno bene,allontanarci da compagnie che ci influenzano negativamente e che non riusciamoa cambiare, essere disposti ad iniziare un cammino di discepolato e viadicendo.
2-    Le vostre lampade accese. Se i fianchi cinti indicano illavoro di preparazione le lampade accese ci ricordano che il lavoro continuafino a quando non ritorna il Signore. Oggi siamo abituati a spingere unpulsante ed ad avere la lampadina perennemente accesa, fino a quando non va viala corrente o smettiamo di pagare la bolletta. Ma come abbiamo visto l’ultimavolta, le lampade usate all’epoca avevano bisogno di essere controllate, l’olioche bruciava doveva essere riempito. Lo stesso vale nella nostra vita. Lapreparazione, le scelte che abbiamo fatto nel passato non devono rimanere unbel ricordo, ma devono avere un impatto sulla vita di tutti i giorni, le nostreazioni devono costantemente essere giudicate alla luce della Parola di Dio. Lostudio della Bibbia, la preghiera, la comunione con Dio e con i nostrifratelli, l’impegno quotidiano per il prossimo sono l’olio che deve farbruciare le nostre lampade in attesa del ritorno di Cristo.
3-    Siate simili a quelli che aspettano il padrone. Secingere i fianchi e mantenere le lampade accese sono due azioni pratiche questaterza esortazione tocca il nostro atteggiamento. Come deve essere il nostrospirito mentre aspettiamo? Gesù ci ha promesso di tornare e coloro che sono giàfigli di Dio devono vivere di conseguenza. Coloro che, invece, questa sceltaancora non l’hanno presa, dovrebbero riflettere sulla promessa di Gesù. Viveresapendo che il Re sta per tornare vuol dire mettere ogni cosa nella giustaprospettiva, vuol dire vivere gioiosamente nell’attesa e anche nei momentidifficili perché sappiamo che Lui sta tornando, come il padrone che tornafestoso dalle nozze. Vuol dire dover rendere conto a Lui e non a coloro che,visto la sua apparente assenza, pensano di essere a capo. Vuol dire vivere conla consapevolezza che non importa quale sia la situazione noi siamo più chevincitori, quindi possiamo essere fiduciosi, speranzosi, gioiosi senzadiventare fastidiosi o orgogliosi.

Una delle cose più incredibilidel Signore è che egli, pur non dovendoci niente, è estremamente generoso. IlSignore potrebbe limitarsi ad ordinarci di aspettare. Invece ci promette che alsuo ritorno i servitori fedeli saranno trattati come amici, avranno l’onore disedere alla stessa tavola del padrone ed essere addirittura serviti da Lui.Voglio chiudere con questa immagine. Il Signore ha promesso che saremo con Luiun giorno e, come fratelli e amici, spenderemo l’eternità insieme. Spero cheoggi non solo ci è stato ricordato come aspettare e vivere durante la nostraattesa più importante ma anche ci è stato ricordato che cosa ci aspetta. Spessodobbiamo affrontare delle situazioni che sembrano essere senza via d’uscita, otroppo difficili da essere vere. A volte non capiamo perché il Signore permettadeterminate cose: un figlio che si allontana, un coniuge che viene a mancare,una malattia. Ma, ogni situazione, alla luce del ritorno di Cristo, ha lagiusta dimensione. Spesso in queste situazioni Dio ci chiede di aspettare.Anche quando gli chiediamo urlando di cambiare la situazione in cui citroviamo. Dio ci chiede di aspettare. “Sta' in silenzio davanti al SIGNORE, e aspettalo” e "Fermatevi",dice, "e riconoscete che io sono Dio” sono due ottimi consigli che riceviamo daisalmisti. Ma come abbiamo visto oggi l’attesa deve esser vissuta nella manieregiusta: non facendo finta che il padrone non ritornerà ma nemmeno disperandociperché egli è lontano. Cingere i fianchi, la preparazione, mantenere le lampadeaccese, l’impegno costante nel tempo, ed avere un animo simile a quello diservi che aspettano il loro padrone, il nostro atteggiamento, sono aspettifondamentali della nostra attesa. Continuiamo ad aspettarLo, ma nel modogiusto. Continuiamo ad aspettarLo, sapendo che ritornerà. Continuiamo adaspettarLo, mettendo in pratica nella vita di tutti i giorni quello cheimpariamo da questa attesa. Continuiamo ad aspettarLo, vivendo come se Luifosse già tornato.

Terapie di fede

Luca 12, 12-34 Terapie di fede. Per leggere Luca 12 clicca qui:http://www.laparola.net/testo.php


Introduzione
Non sono molte le famiglie che non conoscono almeno un caso di litigio per motivi di suddivisione dell’eredità. Nella mia famiglia sia da parte di padre che di madre ci sono stati litigi seri, ed ho dato un’occhiata rapida ai giornali trovando abbondantissimi fatti di cronaca con omicidi finalizzati all’ottenimento dell’eredità, interventi su forum in cui ci si sfoga per torti subiti durante le eredità, e parecchi studi legali che promettono di risolvere questioni legate all’eredità. Ciò prova che è esperienza comune e continua che l’idea di ricevere una grande somma in eredità, magari anche in modo inatteso, solleva passioni molto forti nell’animo umano che possono trasformarsi in follia omicida o anche semplicemente in frustrazione.


Il passo che leggiamo oggi parte proprio da un problema posto da un uomo della folla espresso in una frase molto corta, alla quale Gesù risponde con un lungo discorso che comprende una risposta, un commento alla risposta, una parabola, un discorso istruttivo corredato da immagini, ed un’esortazione finale. Ciò prova che Gesù è molto attento al fatto che l’ossessione per le eredità proprie degli uomini sono un problema del quale vale la pena parlare!


1. La domanda
Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità».
Probabilmente davanti a questa frase rapida la nostra reazione è di disapprovazione, se non di condanna, e l’uomo ci sembra uno eccessivamente interessato ai beni materiali. Ma proviamo ad immaginare meglio chi sia quest’uomo: forse è effettivamente vittima di un’ingiustizia, forse suo fratello è fuggito con l’eredità, forse ha nascosto il testamento del padre o quanto da lui lasciato detto a parole. Non conosciamo le circostanze, ma in assoluto la domanda è legittima. Potrebbe darsi anche che quest’uomo abbia torto, che chieda più di quello che gli spetta. Comunque sia la risposta di Gesù non sembra tenere conto del problema della giustizia o dell’eventuale equità nella suddivisione, e per quanto non manchi certo di saggezza si tira fuori dalla questione di chi abbia torto o ragione:
14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».


Ma se la domanda è legittima perché Gesù non resta sul piano del discorso posto dall’uomo e non dice: accontentati di quello che ti hanno dato, oppure, rivolgiti ad un giudice? Il lungo commento che segue ci risponde: quella domanda legittima rivela in realtà un problema del cuore di quell’uomo che, indipendentemente dall’avere torto o ragione, ha commesso due grossi errori nel modo di gestire la sua vita.


2. Gli errori che suscitano la domanda.
2. 1. Cupidigia/avarizia. Illusione di gioia duratura attraverso i beni. Quest’uomo, nel domandare l’eredità, rivela di credere che quell’eredità possa dargli una gioia consistente nell’avere molti beni per molti anni. Accecato dal possesso di eventuali beni (le eredità danno alla testa, soprattutto se sopraggiungo inaspettatamente) dimentica che quella dei “molti beni per molto tempo è un’illusione”. I beni possono rovinarsi velocemente (furti, incendi, catastrofi naturali distruggono quello che abbiamo costruito in poco tempo) e la vita può finire impedendoci di fruirne. Quindi non vede la finitezza di ogni gioia terrena. Il problema dei beni materiali è proprio che hanno una capacità magica di nascondere la loro natura precaria e finita, dando illusione di felicità. A ben pensare gli oggetti, i possedimenti, e qualunque bene materiale possiamo immaginare, non ha alcun valore in sé, e questo valore dipende dal sistema in cui scegliamo di valutarlo. Quando gli indiani di America videro arrivare i colonizzatori si lasciarono facilmente conquistare da piccoli oggetti che per gli europei non avevano valore e li scambiavano con oro, e altri oggi che invece erano ritenuti preziosi. Gesù svela proprio la tendenza che noi umani abbiamo di dare un valore alla materia al punto che ciò che in noi è immateriale, come le emozioni, la capacità di essere tristi o allegri, o le qualità morali, come la voglia di condividere, venga sottomesso alla materia: stiamo bene dentro se abbiamo qualcosa fuori... Ci lasciamo determinare dalle nostre cose.
Se questo ragionamento era vero al tempo di Gesù, lo è tanto più nella nostra società dei consumi che per sopravvivere ha bisogno di alimentarsi continuamente di nuovi oggetti e di produrne di nuovi da vendere perché se ne possano comprare e consumar altri. Chi di noi non ha provato il fascino di qualche bene materiale, di qualche vestito, qualche strumento tecnologico, qualche macchina o qualche casa? Anche chi di noi non è ricco in una società come la nostre subisce il fascino della potenziale serenità data da ogni acquisto.
A questa illusione Gesù non oppone la distruzione della materia o la meditazione ascetica, come se scordarsi del materiale potesse liberarci da questa tentazione di fare del materiale un fine ultimo. Ci ricorda che esiste un'altra ricchezza, che è la ricchezza davanti a Dio. Qualche citazione ci può ricordare in cosa consista questa ricchezza:
Saggezza ed intelligenza:
Proverbi 3, 14-15. Beato l'uomo che ha trovato la saggezza, l'uomo che ottiene l'intelligenza!14 Poiché il guadagno che essa procura è migliore a quello dell'argento, il profitto che se ne trae vale più dell'oro fino.
I Pietro 1, 18-1918 sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, 19 ma con il prezioso sangue di Cristo
La ricchezza spirituale consiste nel saper assumere una saggezza profonda che ci faccia individuare ciò che veramente conta nella vita. Un celebre novella come quella di Mazzarò scritta dal Verga che racconta di un uomo reso folle per il suo amore per i beni materiali, ci fa capire che anche la semplice intelligenza umana arriva a capire la limitatezza dei beni materiale. La riflessione di Gesù va più in là e ci invita a diventare dei “miliardari spirituali” capendo che la maggiore ricchezza sulla terra è il dono della salvezza che Gesù ci ha fatto versando il suo sangue per noi, che nessun oggetto prezioso avrebbe potuto produrre.


2.2. Illusione di guarire l’ansia attraverso i beni.
Continuando a leggere il testo (22-23) quest'uomo ha commesso anche un secondo errore: credere che un’eredità giustamente suddivisa, e quindi un aumento delle ricchezze, sia capace di guarire l’ansia del domani, la paura di non farcela, di non avere da mangiare e da coprirsi. Nella nostra società l'ansia ci viene anche da molte altre fonti, come la riuscita a scuola, la vittoria di una gara, il semplice fatto di perdere il treno, quella di non trovare l'amore della vita. Non è un caso che possiamo trovare numerosi libri che insegnano a controllare l'ansia, nonché programmi internet, riviste ecc. Gesù dà dei consigli ai discepoli che apparentemente sono una terapia anti-ansiogena da svolgersi in tre tempi:




3. Guarire dagli errori: la terapia di Gesù.
3. 1. Contemplare fiori e corvi per capire chi li nutre. All’ingozzamento di beni materiali Gesù propone la terapia della contemplazione dei fiori e dei corvi. Non si tratta di una contemplazione fine a se stessa, come se i fiori ed i corvi fossero delle divinità o i portatori di un'energia speciale. Vanno contemplati perché sono evidenti segni della grazia di un Dio che si dà pena del suo creato e che se si dà pena per gli organismi inferiori, se ne darà ancora di più per quelli superiori. Contemplare fiori e corvi ci svela il problema del cuore umano: siamo portati a litigare per un'eredità, perché crediamo che i beni ci garantiscano qualcosa, e perché li abbiamo messi al posto di Dio nella nostra vita. Chi va in ansia per il mangiare e per il bere è perché in fondo non crede che ci sia un Dio che sa che abbiamo bisogno e che si occupa anche di chi ha meno valore dei discepoli, come i fiori ed i corvi. C'è da notare che la parabola non parla di un padre povero e disperato che non sa come arrivare in fondo al mese per sfamare la sua famiglia, perché in questo caso, forse, una certa ansia sarebbe comprensibile. La parabola parla di un uomo che ha già raccolti che vanno bene, ma che vuole sempre di più e la cui ansia deriva dal volere sempre di più e verrà consumato dall'ansia quando non ci riuscirà. Se dietro i fiori ed i corvi vediamo la mano di Dio che opera, nutrendo e vestendo, allora rimetteremo Dio al centro della nostra vita e non avremo bisogno di specifiche terapie ansiolitiche , perché la radice dell'ansia è sconfitta.


3. 2. Dopo la contemplazione l'azione. Lasciare i beni e possedere il regno.
Se rimettiamo Dio al centro e capiamo che non siamo altro che sudditi del suo regno ci saranno molte cose che vengono automaticamente: per primo capiremo che il mondo non è una sfera che vaga a caso nell'universo senza un fine preciso, ma c'è un Dio che mi vuole bene e sa quali sono i miei bisogni. Per secondo, capiremo che su questo mondo non siamo soli e che i beni che abbiamo vanno condivisi con gli altri. Vendiamo i nostri beni e diamoli in elemosina. Ricordiamo bene che si parla di quest'uomo ricco nella parabola che ha più del necessario e che pensa ad una vita egoistica in cui il fine ultimo è godere dei suoi beni. Possedere il regno invece equivale a mettere Dio al centro, re del regno, ridistribuendo il troppo a chi ha meno e costruendo un tesoro che si estende nel cielo.


Conclusione
Dove è il nostro cuore? L'ultima frase mi ha sempre sconvolto. Il cuore, biblicamente, è la sede dei nostri desideri più profondi, sede della nostra volontà. Può essere maligno e volere il male, o rigenerato e cercare il bene. Secondo questa parabola il nostro cuore è la dove si trova ciò che riteniamo un tesoro, ciò che abbiamo di più caro, per cui siamo pronti a spendere, ad accumulare, ad investire. Dov'è il nostro tesoro? Il nostro tesoro è il sogno della costruzione del regno di Dio? E' nel condividere ciò che abbiamo, nel diffondere una parola che porti i cuori di tutta l'umanità a ruotare intorno a Dio, nel soccorrere chi sta male, oppure è un sogno egoista come quello di quell'uomo, che mira a godere del tanto che ha?
Che il Signore converta il nostro cuore di continuo perché ci facciamo dei tesori eterni.

Immagini di Dio

Per leggere il vangelo di Luca capitolo 12 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php
Immagini di Dio
La Bibbia ci dice che l'uomo è fatto ad immagine di Dio. Non dice mai che le chiese siano immagine di Dio. Tuttavia nella pratica il mondo per farsi un'idea di Dio vede ciò che le chiese fanno, quindi possiamo dire che le chiese non sono ad immagine di Dio, ma presentano un'immagine di Dio. Ogni chiesa deve aver presente questa verità, che Dio è invisibile e ciò che si vede di lui sono proprio quelle chiese che rivendicano di appartenergli. Ne sono un’immagine e il passo di oggi ci parla proprio delle immagini vere o false che possiamo darne.

1. La falsa immagine di Dio.
Nel passo precedente Gesù ha lanciato una vera e propria invettiva contro i farisei, accusandoli di ipocrisia, falsità e cecità spirituale. Adesso il messaggio relativo alla dottrina dei farisei, precedentemente condannata, chiamata lievito, viene rivolto ai discepoli, per far capire loro quale sia la loro responsabilità rispetto a questo messaggio. I farisei erano infatti persone molto popolari, e la loro dottrina era molto diffusa nelle sinagoghe e tra la popolazione palestinese. Parlare di Dio significava per Gesù fare i conti con l’immagine che i farisei avevano dato di Dio. Gesù spiega dunque che il lievito dei farisei è ipocrisia, ma verrà smascherato. Il loro potere è limitato e non vanno temuti perché temendoli si fa il loro gioco. Ci dice che bisogna uscire dal vittimismo, dal dare forza a chi ci ha schiavizzati. Ed in effetti il messaggio della Bibbia, fin dai tempi dell'Antico Testamento è un messaggio di liberazione dalla paura di altri:  le popolazioni che opprimono Israele come l'Egitto, l'Assiria, Babilonia sono sconfitti. Hanno fatto molto male, ma sono sconfitti.
Mai come oggi questo messaggio è attuale e utile per chi vuole parlare di Dio. In venti secoli di storia di cristianesimo l’immagine di Dio è stata distorta e cambiata in mille modi diversi, dai più belli ai più terribili. Dio creatore, Dio padre, Dio uomo in Gesù, Dio che ama e Dio giudice, sono tutte immagini sane e vere, purché tenute tutte insieme. Alcuni hanno insistito solo sul padre d’amore, altri solo sul giudice, altri ancora solo sul liberatore, altri sul sovrano assoluto finendo per mancare qualcosa della totalità di Dio. Per non parlare di chi ha fatto di Dio uno strumento per i suoi fini, infilandolo nella politica o utilizzandolo per legittimare delle ideologie: pensiamo ad uno slogan biblico come “Dio è con noi, Emmanuel”. E’ stato ripreso dall’ordine dei cavalieri teutonici, poi dai re di Prussia, e nella prima guerra mondiale impresso sulle cinture dei soldati tedeschi, per poi finire, con l’aggiunta di un’aquila ed una svastica, nel simbolo del nazismo… Poiché nel corso di questi 20 secoli le chiese si sono spesso unite agli stati diventando chiese di stato queste hanno imposto un’immagine di Dio ufficiale ed univoca con cui ogni cittadino si è dovuto confrontare, con il rischio di essere perseguitato o discriminato laddove questa immagine fosse stata diversa. Indubbiamente la critica portata a questa immagine di Dio da mille fronti è stata giusta e motivata, perché si scagliava contro un dio finto. Tuttavia ha anche prodotto molto ateismo, molti abbandoni della fede, molte delusioni. Ciò che il passo dice a noi oggi sono soprattutto due cose:
  • Non si può rinunciare alla fede perché alcune istituzioni umane hanno presentato una fede distorta e sbagliata. Hanno preso abusivamente il posto di Dio , ma pagheranno, e tutto verrà smascherato. Non temiamo i farisei! Non rinunciamo a Dio se in Italia nelle chiese ufficiali ne abbiamo avuto un’immagine sbagliata, distorta, falsa. Non rinunciamo a Dio perché ci sono preti pedofili, papi corrotti o gerarchi ecclesiastiche che abusivamente prendono il posto di Dio!
  • Ci dice però anche questo: che chi parla di Dio in Italia, ed in modo particolare a Lucca, deve fare i conti con una certa cultura, che è la cultura cattolica: questa ha profondamente influenzato tutte le sfere dell'esistenza, dalla vita quotidiana a quella privata delle persone. Gli stessi teologi cattolici nel tentativo di difendere in qualche modo il cattolicesimo cercano di creare una distinzione tra gerarchie e chiesa fatta dalle persone. Io mi permetto di osservare che questo rapporto, anche se talvolta teso, è in fondo un rapporto in cui l'uno alimenta l'altro. Come evangelico quando parlo di Dio ad un italiano o ad un europeo devo essere consapevole che spesso parlo a qualcuno che è deluso dalle gerarchie e devo decostruire l'immagine sbagliata che la chiesa ha fornito di Dio. Non posso farlo in modo indolore, ho il dovere di usare quelle stesse parole dure che Gesù ha usato contro i farisei, seppur tenendo conto che io non sono Gesù e che posso sbagliare come loro. Guardiamoci dal lievito cattolico!  Questo è il motivo per cui rifiuto qualsiasi intento ecumenico, o collaborativo con il mondo cattolico. Significherebbe appoggiare o approvare chi di Dio ha fornito un'immagine sbagliata.
    Come evangelici italiani, da questo testo, dobbiamo sapere che abbiamo una specifica missione consistente nel ricostruire in base alla Parola di Dio - e non in base alle nostre idee o alle vedute evangeliche - un'immagine di Dio vera.
2. La vera immagine di Dio che dobbiamo avere
Per ricostruire questa immagine dobbiamo insistere su una coppia inscindibile di caratteri che qualificano la nostra relazione con Dio: Timore e amore. Non timore ma amore, o amore, ma timore. Timore e amore! Ricordiamo le parole di Paolo in filippesi che ci esortano a servire Dio con Timore e tremore, cioè non alla leggera, ma con la consapevolezza di essere davanti all'assoluto. Per ben tre volte nel v. 5 Gesù ripete il verbo temere:

“Vi mostrerò chi dovete temere: temete colui che dopo aver ucciso ha il potere di gettare il corpo nella Geenna. Sì, velo dico, temete costui. Dio ha un potere ambivalente: ha il potere non solo di uccidere, ma anche di gettare nella Geenna, termine usato come sinonimo di inferno, cioè luogo di sofferenza e punizione eterna. Sono parole che ci impressionano, eppure non avremmo un'immagine corretta di Dio se non avessimo chiaro che la punizione del male attraverso la morte è una sua invenzione! Non è una fatalità o un caso imprevisto dell'universo. Il male non è venuto da Dio, ma da una scelta responsabile dell'uomo, ma le punizioni conseguenti al male le ha determinate Dio. Ecco perché Gesù parla del padre come di colui che ha il potere di uccidere. Oltre a questo potere di uccidere c'è anche quello di mandare all'inferno, cioè di continuare la vita presente in un'eternità sofferente. Per anni i concetti di inferno e punizione sono stati utilizzati da gerarchie religiose e politiche per i fini peggiori: Per impedire alle masse di ribellarsi, per abusare di singole persone, per estorcere beni e soldi in pratiche come quelle delle indulgenze che determinarono la rabbia di Lutero... Come salvare oggi questi concetti dal ridicolo di cui la critica alla propaganda delle gerarchi li ha coperti? Vedendoli come momenti diresponsabilizzazione. La vita va vissuta non solo con leggerezza, ma anche con timore, perché ciò che facciamo e scegliamo oggi avrà conseguenze eterne. Il mio sì al Dio che può salvare avrà conseguenze di vita, il mio no di morte.
Questo per quanto riguarda il Timore. Segue l’amore, da cui il tono rassicurante con cui il passo finisce: se Dio è in grado di far vivere due passeri, due piccoli animali che non hanno apparentemente senso, si curerà ancora di più di coloro che ha fatto a sua immagine e somiglianza! Voi siete molto di più di due passeri, significa che verso gli umani Dio ha dispiegato e continuerà a dispiegare tutti gli sforzi possibili perché vengano salvati da una vita priva di lui. Lo ha fatto mandando suo figlio Gesù e continuando a far conoscere la sua parola.
Torniamo a ripetere che Dio può anche essere un Dio tremendo perché è un Dio santo che non tollera il male e che lo punisce. Se possiamo sottolineare il bene ed il fatto che Dio è amore, è proprio perché  questo Dio potrebbe mandarci nella Geenna, ma ha fatto di tutto perché questo non accada. Chi di noi non si emoziona guardando il volo degli uccelli? Senza diventare dei fanatici del bird watching siamo sempre affascinati da queste creature che volano e cinguettano decorando il creato. Percepiamo tuttavia che sono in qualche modo inferiori agli uomini, visto che vengono usati per sacrifici, mangiati o cacciati. Eppure hanno un valore, si vendono per alcuni soldi. Ebbene, noi valiamo molto di più. Se hanno valori i passeri, Dio conosce perfino i dettagli della nostra vita, rappresentati dai capelli e nel timore che gli dobbiamo ci avvolge di un amore totale, gratuito e completo. Se per le istituzioni umane che cercano approvazione e sostegno numerico noi siamo numeri, e strumenti, per Dio noi siamo persone e fini ai quali egli fa molta attenzione.
3. La vera immagine di Dio che dobbiamo dare.  
Parlando di immagini di Dio da dare, potremmo forse pensare che saranno capaci di dare una buona immagine di Dio coloro che riescono a distillare una dottrina eccezionale, in opposizione al lievito dei farisei, e che metteranno a punto una teologia chiara, sicura e conforme alla Scrittura. Credo che questa sia la base imprescindibile da cui partire, il minimo che possiamo fare per rendere conto di un Dio da temere ed amare che si presenta nelle Scritture rivolte al suo popolo. Il passo che però leggiamo ci chiede in qualche modo di andare al di là della semplice definizione di una dottrina definibile come sana od ortodossa. Una sana dottrina ci porterà a proclamare Gesù come Figlio di Dio, Figlio dell’uomo – cioè Dio diventato umano benché divino – e come salvatore. Ci porterà a denunciare la dottrina distorta dei farisei o delle attuali chiese ufficiali. Il banco di prova tuttavia non sarà un’aula universitaria in cui dovremmo sostenere una sorta di tesi per provare che abbiamo capito bene chi è Gesù: il banco di prova sarà l’amore e l’attaccamento al Dio che abbiamo creduto nel riconoscerlo davanti agli uomini.
Riconoscere davanti agli uomini: saremo disposti a presentare ciò che Dio dice di sé anche se questo è completamente contrario a quello che gli uomini vogliono sentire? Quello che abbiamo sentito e saputo di Dio non può rimanere nascosto nel nostro cuore. E’ un messaggio da portare ed offrire agli uomini riconoscendo. In molti casi sarà anche ben accetto e molti saranno contenti di recepirlo. Ma in altri incontrerà resistenza, susciterà ironia, scherno o anche persecuzione. Questo è il banco di prova: la mia fede rimane un orientamento interiore o sono disposto alla vergogna, e ad andare contro l’opinione corrente?
Parlare contro il Figlio dell’uomo e contro lo Spirito Santo. Questa distinzione sorprende alcuni che individuano una potenziale disparità nelle persone della Trinità. In realtà la disparità non è tra le persone della trinità, ma tra ciò che implica la relazione tra una persona e loro. Si può anche sbagliare nel modo in cui si parla di Gesù. Si può perfino avere vergogna di lui, esattamente come Pietro che lo ha rinnegato. Si possono fare errori. Ma il problema non sta tanto in questo quanto nel resistere a quell’azione dello Spirito Santo che cerca di convincere gli uomini del loro peccato, del loro bisogno profondo di Dio. In altre parole che cerca di convertire. Parlare contro il figlio dell’uomo è possibile, e molti prima di convertirsi lo hanno fatto, perché resistono all’idea che hanno di Gesù, che come già detto può anche essere sbagliata. Bestemmiare lo Spirito Santo significa respingerlo, impedirgli di entrare nella nostra vita convertendosi. Questo è imperdonabile ed equivale alla non fede!
Lo Spirito Parlerà. E’ questo stesso Spirito Santo che se invece di essere rinnegato e osteggiato viene accettato e fatto abitare nella nostra vita, nei momenti più difficili e davanti a prove estreme, parlerà e sosterrà dicendoci proprio quello che va detto. Se la sfida di non vergognarsi di Gesù appare troppo alta quando ci va di mezzo la vita, confidiamo che lo Spirito andrà oltre le nostre forze. Molti di noi sicuramente pensano di non essere in grado di mantenere la fede se minacciati di morte: questo passo ci promette che lo Spirito interverrà laddove noi non sapremo resistere.
Del resto questo ultimo passo ci deve incoraggiare anche in senso più lato. Come fare a dare una buona immagine di Dio? I farisei sono partiti bene, ma non ci sono riusciti. I cristiani ci hanno provato, ma spessissimo hanno dato delle caricature di Dio più che delle immagini. Ognuno di noi, consapevole della difficoltà del compito di dare un’immagine di Dio reale non può che abbandonarsi allo Spirito Santo invocandolo di aiutarci a dare un’immagine conforme a quella del Dio della Parola.

Partono bene, finiscono male...

Luca 11, 37-54  (per leggere il brano clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php)
Introduzione
Dalla lettura del vangelo di Luca si evince chiaramente che è pericoloso invitare Gesù a mangiare: o meglio, è pericoloso invitarlo e volerlo inserire in una casa con delle regole nostre che non sono le sue! Perché l'occasione del pranzo gli permette di trattare concetti ben più profondi del semplice mangiare e perché dai semplici strumenti che si usano per mangiare, piatti e bicchieri, fa paragoni che riguardano il nostro corpo e la nostra vita. Nel passo che leggiamo oggi è la seconda volta che viene invitato a pranzo da un fariseo. Il primo era Simone (Luca 7), che si scandalizza perché accoglie una peccatrice, e Gesù coglie occasione per mostrare che quella donna, per quanto peccatrice, aveva mostrato più amore di lui che lo aveva invitato a pranzo. Questo fariseo invece si scandalizza perché Gesù non segue alcuni rituali che dovrebbero precedere il pranzo, e dà adito a Gesù di fare una vera e propria sparata contro i farisei, le loro tradizioni ed il loro modo di interpretare la Legge. Per capire bene questo passo è fondamentale bene capire chi siano i farisei, chi i dottori della legge e quali siano le loro usanze.
1. Premessa per capire il nostro testo: chi sono farisei e dottori della legge?
Il popolo di Israele, al tempo di Gesù, non viveva un periodo particolarmente felice: da popolo liberato dagli Egiziani, reso libero in uno stato indipendente a perso questa libertà a più riprese, con l'esilio, con la dominazione dei greci ed ora con quella dei romani. La Palestina è una provincia dell'impero romano e quindi non è più libera, per questo il popolo aspetta un messia che possa liberarli. Tra le persone del popolo ci si pone quindi il problema di come aspettare questo messia. Come tenersi "puri", come essere graditi a Dio per accelerare la venuta del messia, o per far sì che Israele torni ad essere libero. Gli zeloti avevano preso il partito della violenza: con le armi volevano liberarsi dai romani, ma falliscono perché sono inferiori come forza. Gli Esseni, che non vengono mai menzionati, scelgono di andarsene nel deserto, chiudendosi in dei monasteri. I farisei invece rimangono in mezzo al popolo, diventano influenti nelle sinagoghe, e credono che per poter trasformare il popolo, renderlo puro, e preparare il regno messianico ci sia un solo mezzo: la Legge! Per questo la studiano, la interpretano e mettono anche per iscritto le varie interpretazioni che nel corso del tempo i vari maestri farisei hanno dato. E' interessante notare che i farisei sono dei "credenti" nel senso che credono che ci sia un Dio, credono che esista Satana come suo nemico, credono che ci siano un bene ed un male assoluti e non sono affatto relativisti, credono che si debba frequentare la sinagoga e riunirsi per pregare… Insomma credono e fanno una serie di cose che tutti coloro che credono in Dio fanno! Sono estremamente simili a quei credenti che potremmo chiamare fondamentalisti, convinti, impegnati. Il loro nome pare derivare da un verbo che indica la separazione, la volontà di smarcarsi tenendosi lontano dal peccato e dal male. Hanno anche dei teologi, degli specialisti della Scrittura che cercano di spiegarla e di trasmetterla e che prendono il nome di dottori della legge, o scribi.
 Per molti versi noi evangelici che crediamo nella Bibbia, che affermiamo l'esistenza di un Dio personale ed assoluto, che siamo contrari ad un pensiero relativista che non lascia spazio all'affermazione forte di una Verità, siamo molto simili a questi farisei. Proprio per questo passi come questo ci devono allertare. Sono quei passi che volentieri attribuiremmo ad altri, che consideriamo religiosi. Dio permetterà certamente che testi come questo arrivino anche a loro, ma oggi questo testo parla a noi.
2. Il principio di una fede sana: dal dentro al fuori.
Qual è il problema che nasce tra Gesù e questo fariseo? Il problema è che Gesù non compie quei rituali di abluzione che loro facevano prima di ogni pasto. Il vangelo di Marco è più esplicito e ci fa capire meglio quanto fossero maniaci i farisei: In Marco 7, 3-4 leggiamo una parentesi esplicativa: Poiché i farisei e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani con grande cura, seguendo la tradizione degli antichi; 4 e quando tornano dalla piazza non mangiano senza essersi lavati. Vi sono molte altre cose che osservano per tradizione: abluzioni di calici, di boccali e di vasi di bronzo e di letti"
Come nota Marco tutto ciò non viene dalla legge, ma dalla tradizione, ed è importante capire che i farisei non accusano Gesù per un problema di igiene, ma per essere venuto meno all'adempimento di un rituale (il verbo usato è baptizein, "immergere").Una sana pratica igienica, nel tempo si è trasformata diventando un test per valutare chi è a posto con Dio e chi no.  Gesù dal canto suo non si è dimenticato di lavarsi le mani come fanno i nostri figli, ma ha deliberatamente deciso di non lavarsele perché non vuole prendere parte ad un rituale sbagliato. I farisei hanno infatti affiancato alla Scrittura una serie di loro tradizioni che li contraddistinguono e ma che hanno preso il posto delle cose più importanti.  Partendo proprio dal materiale che preoccupa i farisei, le mani e i piatti, Gesù fa un parallelo con il corpo umano: i farisei sono puliti fuori, ma sporchi dentro. Se vogliono veramente pulire l'esterno, mostrino amore dall'interno, dando in elemosina il contenuto succulento dei loro piatti, e allora si capirà che sono puliti.
Ciò che trovo molto interessante, ed è il primo grosso insegnamento da trarre da questo passo, è che Gesù non dice che l'interiore è più importante dell'esteriore, perché Dio ha fatto entrambi, o che sia raccomandabile mangiare con le mani sporche, ma che la pulizia deve partire dall'interiore. Nel passo precedente ha parlato di una lampada che deve dare luce, a dimostrazione del fatto che ciò che si manifesta di una persona è importante. Il problema è che i farisei hanno rovesciato questo rapporto, pensando che l'ossessivo rispetto di rituali e regole sia capace di provvedere purezza interiore. Il gesto di dare elemosina invece, se fatto con il reale desiderio di sfamare altri e non con interesse, è un segno di sanità interiore che vale più di mille lavaggi. C'è di più: è un gesto che rivela che Dio ha fatto l'unico lavaggio realmente efficace, quello del nostro cuore, che dall'essere pieno di rapina e rabbia, desidera dare. Non si tratta di esaltare la sostanza a scapito della forma o il contrario, ma di dire tra l'essere e l'apparire ci deve essere il minor scarto possibile, partendo dal punto giusto: da ciò che si è.
Questo principio è alla base di ogni cammino di fede, ed è l'ostacolo potenziale in cui inciampa ogni gruppo religioso: alcune pratiche, anche sane come quella di lavarsi, rischiano di diventare obblighi morali e spirituali. Basti pensare a quanta importanza viene data in certe chiese al modo di vestire, per cui la giacca e la cravatta diventano una divisa per poter accedere ad una chiesa, o all'importanza solo formale data persino ai segni che Dio stesso ci ha lasciati come battesimo e cena del Signore, che se usati come rituali per ottenere qualcosa, perdono il loro senso e lasciano l'interiore sporco. Ma prima di vedere in quanti e quali modi noi oggi rischiamo di violare questo principio, vivendo una fede esteriore e non interiore, guardiamo gli esempi portati da Gesù nei confronti dei farisei.
3.  "Guai a voi farisei":
3.1. Perché non sapete interpretare la legge
Il primo “guai a voi”, riguarda proprio il modo di interpretare la legge. Il pagamento delle tasse è fondamentale per ogni stato, e persino le tasse più piccole sono importanti se sono utilizzate per il bene comune. L’errore dei farisei non sta quindi nell’esigere il pagamento delle tasse, ma nel non sapere distinguere ciò che all’interno della legge è principio fondante e ciò che è regola utile al raggiungimento di quel principio. Una tassa su una certa erba può esserci o non esserci, mentre l’amore e la giustizia di Dio sono principi sui cui poggia la legge. La cecità dei farisei consiste proprio nel non essere capaci di interpretare la Legge che amano tanto, perché offuscati in parte da aspetti secondari ed in parte dalle loro tradizioni, perdono di vista i valori centrali. Pagare le tasse può essere scomodo, ma in fondo è facile. Amare in profondo e ricercare la giustizia di Dio è difficile. Ogni fede cerca di darsi un codice etico, delle regole di comportamento. Ogni qual volta dimentichiamo che l’etica non è che ringraziamento verso un Dio che ci ama e non un test per superare un esame di merito o per distribuire diplomi di bravo credente a chi ci sta intorno, finiamo in un farisaismo che distrugge la legge.
3.2. Perché amate apparire e farvi salutare
Quando si va a scuola in genere gli alunni che hanno meno voglia di ascoltare cercano di sedersi agli ultimi posti dell’aula, mentre i più studiosi cercano di mettersi davanti per poter ascoltare bene, prendere appunti, e vedere bene la lavagna. Avevo un amico al liceo che non era molto studioso, ma aveva capito che i professori in genere stanno meno addosso a chi occupa i primi banchi e prendono di mira chi si siede in fondo e quindi si sedeva al primo banco – ma della fila laterale. Questo modo di comportarsi in aula ha qualcosa di simile al comportamento dei farisei: essere ai primi posti nelle sinagoghe può indicare un forte attaccamento al Signore, una volontà di ascoltare bene le letture, magari di aiutare. Salutare nelle piazze può essere un desiderio di socialità, di scambio con le persone. Ma la falsa religiosità farisaica rovescia tutto ciò un teatro per cui sia i primi posti che i saluti servono a mettere in mostra la propria religiosità. Vogliono che si sappia che partecipano alle funzioni religiose. Tuttavia una volta tornati in casa fanno grossi lavaggi rituali perché considerano impure le persone che li hanno salutati e si vogliono ripulire. Guai dunque perché le occasioni di socialità e di comunione diventano mezzi per nutrire il proprio orgoglio. Noi evangelici italiani generalmente veniamo in chiesa perché abbiamo fatto una scelta precisa, e senza aver meriti particolari fa parte della nostra storia il fatto di non essere una chiesa di massa. Tuttavia questo guaio ci mette in guardia da ogni eventuale desiderio di trasformare la chiesa in un club dove si sta bene, ci si diverte e ci si compiace del gruppo che si è. La chiesa ha il compito di proclamare la verità, insieme alle relazioni, ma una chiesa che vive di primi posti, che si compiace dei doni che ha, dei propri predicatori eccellenti, dei musicisti o dei cantati, muore nel suo culto di se stessa e perde il senso per cui è nata, come i farisei felici di farsi salutare.
3.3. Perché non odorate di vita, ma di morte.
Questo terzo guaio è il più grave, perché i farisei che si preoccupano di lavarsi le mani per purificarsi vengono paragonati da Gesù a delle tombe, quindi al luogo della massima impurità! Inoltre le persone non si rendono conto che sono spiritualmente morti e li considerano vivi, appoggiandosi su di loro per camminare come si fa su delle tombe nascoste.
Bisogna rilevare che nel libro dell’Apocalisse troviamo un passo della lettera rivolta alla chiesa di Sardi che dice: “Hai fama di vivere, ma sei morto!” (Apoc 3,1). In parole diverse Giovanni dice ad una chiesa esattamente le stesse cose che Gesù ha detto ai farisei e questo è estremamente importante per noi, perché ci fa capire quanto facilmente le chiese, che si vorrebbero eredi del messaggio di Cristo, scivolino negli stessi errori che i nemici di Cristo commettevano. Non soltanto è grave il loro vuoto interiore, ma il fatto di essersi ben protetti in modo da sembrare vivi e fonti di vita. Credo che il variegato mondo delle chiese contemporanee abbiamo molto da imparare da questo passo, perché dietro forme apparentemente cristiane si riescono a trasmettere messaggi che portano alla tomba. Quelle chiese che non predicano una nuova nascita che sia garanzia di vita eterna, ma una morale più o meno buona legata ad una vaga speranza per il futuro, hanno abbandonato il messaggio centrale. Così quelle chiese che hanno solo progetti e programmi sociali e non annunciano più un messaggio chiaro di ravvedimento per il peccato e di salvezza rispetto a Dio, non morte…
4. Guai ai dottori della legge, sottoclasse dei farisei: cambiare il fine della legge.
4.1. La legge senza spirito.
            I dottori della legge fanno parte dei farisei e ne sono l’elite intellettuale. Sono gli studiosi e  quelli che più ancora che alle pratiche sono attenti alle dottrine. Come accusare qualcuno che desidera studiare la Legge, capirla e spiegarla agli altri? Probabilmente il loro studio nasce dal desiderio di dire chiaramente cosa Dio chiede, dal responsabilizzare, dall'affermare con chiarezza la verità. Ma questo desiderio di annunciare, si perverte quando non è vissuto da chi lo raccomanda. Chi parla di Dio ha una grande responsabilità: può fare il massimo dei beni, ma anche il peggiore dei mali laddove presenta un Dio più esigente di quanto non sia. Invece che sollievo e benedizione il loro insegnamento è un peso. E non lo è in quanto più rigido, anzi! I dottori della legge considerano peccato l’adulterio, Gesù persino il semplice desiderio. Ma il loro insegnamento è un peso perché viene dal peccato e dall'egoismo, mentre quello di Gesù viene dalla compassione e dà i mezzi per essere compiuto. Lo Spirito Santo è colui che permette di applicare. I dottori della legge, insistono solo sulla legge e scordano i profeti che hanno insegnato ad applicarla con lo Spirito. Affascinati dalla sola legge, pensano che sia un mezzo di purificazione, mentre è un mezzo per evidenziare le colpe ed il bisogno di grazia. Parlano di una legge che è fuori dal cuore, mentre i profeti come Geremia promettevano una legge liberatoria nel cuore.

4.2. Costruire sepolcri ai profeti
Perché si fanno i funerali e si costruiscono le tombe? Nel migliore dei casi per salutare un morto, e dargli una sepoltura degna. Non mancano tuttavia i casi in cui i funerali ed i sepolcri vengono costruite per senso di colpa rispetto a chi è stato ucciso. Le classi dirigenti dell’ebraismo hanno perseguitato a più riprese i profeti, ed i due estremi di Abele e Zaccaria rappresentano i morti raccontati nell’Antico Testamento per motivi di fede. Ma si chiederà conto alla generazione presente di questi morti perché nonostante si dicano dispiaciuti costruendo sepolcri, continuano a perseguitare apostoli e nuovi profeti che portano il vangelo, il primo dei quali è Gesù.
Per rendersi conto di quanto questo rischio continua ad essere vero, basta aprire un manuale di storia della chiesa e vedere quante persecuzioni violente sono state portate avanti per motivi di fede a vari gruppi di credenti, da parte di chi aveva potere. Partiamo dai valdesi, ed a molti altri eretici medievali, passiamo agli evangelici dei paesi cattolici durante il Cinquecento, continuiamo con gli anabattisti nei paesi protestanti, e possiamo allungare la lista.
4.3 Avete tolto la chiave della scienza.
Perché la domenica in chiesa predichiamo? Perché una predica aiuta chi ascolta a capire il senso delle Scritture. Una profezia, un messaggio, un insegnamento permettono di capire il senso di un passo oggi, e di attuarlo nella propria vita. La responsabilità dei farisei è grande perché aggiungendo la tradizione scritta alla Scrittura nascondono la scienza, e non entrano. Dove? Non entrano nel regno di Dio e impediscono di entrare a chi vuole entrare. Dio non ci dice che mezzi userà per far entrare chi vuole entrare ma ci dice che la responsabilità di chi parla da parte di Dio, di chi si fregia di un titolo altisonante come “Dottore della legge”, “teologo” o “Maestro” è enorme. L’apostolo Giacomo nella sua lettera dirà: “Fratelli non siate in molto a fare da maestri perché ne riceverete un più severo giudizio” (Giacomo 3). Questo non ci deve scoraggiare dal parlare, ma farci prendere atto che parlare della fede è una cosa seria e profonda che se fatta male può fare tanto male.
Conclusione: l’ospite scomodo
L'ospite scomodo dell'inizio: se invitiamo Gesù stiamo attenti: il testo non ci dice perché lo inviti il fariseo. Forse per metterlo alla prova, forse per curiosità, forse perché è realmente interessato al suo insegnamento. Bisogna sapere che questo invito non sarà neutro, ma metterà la nostra vita in discussione. Se diciamo Signore vieni! Non aspettiamoci che tutto nella nostra vita rimanga come prima!

Gli occhi, lo specchio dell’anima.

Come spesso avrete sentito dire, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Una espressione che indica che spesso sono gli occhi a rivelare veramente chi siamo, come stiamo, cosa c’è dietro la nostra maschera. Non è un caso che spesso i giocatori di poker indossano degli occhiali da sole per nascondere i loro occhi in modo che gli altri giocatori non possano “leggerli” per vedere se stanno dicendo la verità o se stanno bluffando. La parola occhio, o occhi, è presente circa 750 volte nella Bibbia. La prima volta in occasione dell’incontro tra satana ed Eva.
“ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male". (Gen 3:5)

“I precetti del SIGNORE sono giusti, rallegrano il cuore; il comandamento del SIGNORE è limpido, illumina gli occhi.” (Psa 19:8)

“Apri i miei occhi, e contemplerò le meraviglie della tua legge.” (Salmo 119:18)

“È il SIGNORE che ha sparso su di voi uno spirito di torpore; ha chiuso i vostri occhi, i profeti, ha velato i vostri capi, i veggenti.” (Isaia 29:10)

Come ho detto nella Bibbia ci sono tanti altri versetti, ma l’importanza degli occhi come porta verso la nostra anima si può trovare anche in tanti altri scrittori, cantanti e personaggi illustri.

“L'anima di una persona è nascosta nel suo sguardo, per questo abbiamo paura di farci guardare negli occhi.” (Jim Morrison)

“Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un’anima.” (José Saramago)
“La lingua può nascondere la verità, ma gli occhi – mai!” (Michail Bulgakov)
“L’anima, per fortuna, ha un interprete – spesso inconscio, ma pur sempre un fedele interprete – gli occhi.” (Charlotte Brontë)



Luca 11:33-36
33 «Nessuno, quando ha acceso una lampada, la mette in un luogo nascosto {o sotto un recipiente}, anzi la mette sul candeliere, perché coloro che entrano vedano la luce. 34 La lampada del corpo è l’occhio; se l’occhio tuo è limpido, anche tutto il tuo corpo è illuminato, ma se è malvagio, anche il tuo corpo è nelle tenebre. 35 Sta quindi attento che la luce che è in te non sia tenebre. 36 Se dunque tutto il tuo corpo è illuminato, senza avere alcuna parte tenebrosa, sarà tutto illuminato come quando la lampada ti illumina con il suo splendore».
Questa mattina vogliamo guardare insieme ai versetti 33-36 del capitolo 11 di Luca. Alcuni commentatori preferiscono mettere insieme questo testo con quello che sul quale ha predicato Stefano la settimana scorsa. Se ci ricordiamo i contemporanei di Gesù gli chiedevano dei segni, qualcosa di tangibile, di concreto da poter vedere con i propri occhi. E proprio di occhi parla Gesù in questo brano. Sono dei versetti che richiamano le parole usate da un altro evangelista, Matteo, che, riportando le parole di Gesù, al capitolo 5 scrive:
Matteo 5:13-16
“«Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini. 14 Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può essere nascosta, 15 e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.”
Mercoledì abbiamo parlato, al nostro incontro infrasettimanale, del sale come simbolo di patto eterno. Oggi vogliamo invece parlare della luce. I due testi che abbiamo appena letto parlano, appunto, di luce. Entrambi i testi ci ricordano che lo scopo della luce è, ovviamente, quello di rischiarare un ambiente. Per questo motivo una lampada non viene messa sotto un recipiente, ma in alto. Ma, se il testo di Matteo ci ricorda semplicemente che noi siamo luce e siamo di conseguenza chiamati ad illuminare, il testo di Luca ci aiuta a capire meglio come raggiungere questo obiettivo, ci spiega cosa dobbiamo fare per essere in grado di essere una luce che “risplenda affinché vedano le nostre buone opere e glorifichino il Padre nostro che è nei cieli”.
Al giorno d’oggi è ormai normale, per lo meno in Italia e altri paesi dell’occidente, avere delle lampadine, un dispositivo elettrico il cui scopo, come sapete bene, è emettere luce. Ma, a volte, può capitare che la corrente, per un motivo o per un altro, non funzioni. A casa dei miei genitori, sulle montagne abruzzesi, capita a volte, durante delle forti nevicate, che salti la corrente. In quei momenti ci si arrangia con candele e torce varie ma ci si rende subito conto che non è la stessa cosa. Usando le candele gli angoli delle stanze restano all’oscuro, leggere diventa più difficile, così come cucinare, lavarsi e via dicendo. Ormai siamo abituati ad avere la luce. Siamo abituati ad avere stanze, edifici, sale, strade ben illuminate. Durante il viaggio in Montenegro mi è capitato di guidare attraverso dei tunnel che non avevano nessun tipo di illuminazione. Passare dalla luce del sole al buio di un tunnel è spaventoso: all’improvviso non sai più dove è la strada, dove devi girare. Panico, paura, sconforto sono alcune delle sensazioni che si possono provare in queste situazioni. Se è importante avere la luce fisica, possiamo ben immaginare quanto sia importante avere la luce spirituale per l’essere umano.
La luce che la nostra vita deve sprigionare è il risultato del lavoro di Dio al nostro interno. Ma non possiamo pensare di sederci su una poltrona e aspettare che Dio faccia tutto il lavoro.
Gesù attraverso le parole del testo di oggi ci invita a fare la nostra parte. Ci ricorda che quello che emaniamo, quello che facciamo vedere, quello che la nostra vita produce non è, o non soltanto, il frutto dei nostri desideri, ma è il frutto di ciò che facciamo e ciò che si trova al nostro interno.
Provo a spiegarmi meglio. Se siamo figli del Signore, se abbiamo accettato il Signore come nostro Salvatore, come nostro Padre, come Re della nostra vita, il nostro desiderio è vivere una vita degna della nostra appartenenza a Dio. In altre parole la nostra vita viene trasformata, i nostri desideri e le nostre priorità cambiano. Il problema è che il nostro spirito è ancora imprigionato in un corpo terreno, con i suoi limiti, il suo passato, i suoi desideri. Questa è una situazione comune a tutti i credenti. Paolo spiega bene questa lotta interna tipica di ogni credente nella lettera ai credenti a Roma.
Romani 7:14-23
14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. 15 Poiché ciò che faccio io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; 17 allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. 18 Difatti io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. 19 Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. 20 Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. 21 Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. 22 Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore, 23 ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra.
Paolo, esattamente come me e come te, aveva difficoltà a contrastare la propria carne. Se da una parte questo combattimento interiore farà parte del nostro percorso fino a quando non moriremo, dall’altra non possiamo solamente rassegnarci ad esso ma dobbiamo fare del nostro meglio per crescere e migliorare.
Questo vuol dire che non possiamo restare passivi. Avere accettato Gesù non ci libererà magicamente da tutti i nostri problemi, riposare sugli allori vuol dire permettere al nemico di attaccarci. Il nostro corpo e la nostra anima sono un recipiente che, in base a come viene riempito, farà risplendere luce o mostrerà tenebre. Gli occhi sono la porta che portano al nostro corpo e questa porta deve essere custodita e protetta. Vi ricordate che la settimana scorsa Stefano ha parlato dello spirito immondo che torna nella casa abbandonata? Cito testualmente Stefano che a riguardo ha detto
“Le persone hanno il compito meraviglioso e arduo di fare vivere il re nelle loro case. Perché non basta essere liberati, bisogna poi mantenere questa libertà e vivere nella libertà. Nei vangeli ci sono casi di persone che vengono liberate e che ricevono un miracolo, ma poi non vanno a ringraziare il Signore. Questo ci insegna che il regno non consiste nel semplice fatto di stare bene o, come in questo caso, di poter parlare. Il muto potrà anche parlare, ma se la sua casa non è abitata interamente dal RE Gesù, è una casa pulita, adorna, ma vuota… E lo spirito immondo che vi è uscito farà di tutto per rientrarci. Se è fondamentale capire che Satana non può niente contro il regno di Dio, è altrettanto fondamentale capire che Satana sguazza davanti alle vite vuote, che non sono piene del regno di Dio.”
Dobbiamo quindi impegnarci e riempire questo recipiente con le cose giuste. Vi voglio fare un esempio: per diversi anni non ho posseduto un televisore. Ma la casa che ho adesso, a Pisa, ha un televisore. Riflettendo su questi versetti mi sono reso conto come sia facile, avendo un televisore, passare la serata davanti ad esso. Passivamente ho subito la presenza del televisore e ho permesso al mio occhio di guardare, osservare, studiare ore e ore di programmi inutili, nel migliore dei casi, e dannosi nel peggiore dei casi. Con questo non voglio dire che il televisore sia dannoso di per se. Ma mi sono domandato: e se invece di vedere un film o un documentario passassi le mie serate leggendo i salmi? Non sarebbero le parole di lode, di ringraziamento, di grida al Signore, di invocazione, di sofferenze, di battaglie perse e di battaglie vinte un sollievo per la mia anima maggiore rispetto a quello che il mondo può offrimi?
Dobbiamo metterci davanti al Signore e chiedergli di mostrarci cosa giova alla nostra vita e cosa non lo fa. Mettere sotto una lente di ingrandimento le nostre abitudine, i nostri modi di pensare, i nostri schemi e vedere cosa è da cambiare. Dobbiamo sforzarci di riempire la nostra vita della Sua Parola, del Suo Spirito, delle Sue Verità. Guardare, meditare, osservare solo le cose che sono per il nostro bene, riempirci di cose del Regno di Dio e non del mondo. Solo in questo modo riusciremo ad essere illuminati dentro e a far risplendere la luce come una lampada in una stanza oscura.