Luca 13,1-9. Il male
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Luca 13, 1-9
Il problema del male
Qualsiasi religione, sistema filosofico e qualsiasi visione che ne deriva finisce per porsi il problema del male. Che lo sminuisca per ottimismo o lo si assolutizzi per pessimismo il male è un dato di fatto della nostra esperienza di vita che tocca o noi direttamente o comunque il mondo in cui ci troviamo. Ne consegue che chiunque attraverso una visione del mondo fideistica o filosofica vuole tentare di spiegare la realtà in cui viviamo prima o poi arriva a chiedersi da dove questo male venga.
Durante questa settimana siamo rimasti tutti impressionati dall’immagine di un bambino di due anni morto annegato su una spiaggia in Turchia, e sembra che l’impatto di questa immagina abbia condizionato le decisioni di importanti leader europei, come il premier inglese, che fino a pochi giorni prima era più chiuso rispetto all’idea di accettare profughi in Inghilterra.
Il dialogo che abbiamo in questo piccolo passo del vangelo di Luca pone un problema che non è difficile ricondurre a quello più grosso del male, e che ci mostra uno spaccato delle risposte che al tempo di Gesù venivano fornite riguardo ad esso. Probabilmente oggi ci si potrebbe chiedere: di chi è la colpa della morte di quel bambino turco? Era un profugo? Era il figlio di immigrati economici che non sfuggiva alcuna guerra? Perché è morto in quel modo atroce? E, domanda classica che conclude sempre simili discorsi, dov’è Dio in tutto ciò? Non è certo la domanda diretta che questo testo rivolge ai suoi primi lettori, visto che il senso immediato era piuttosto quello di ricordare che il male non colpisce solo quelli che riteniamo i peggiori peccatori. Tuttavia le implicazioni che il crollo di una torre o la violenza di un dittatore pongono riconducono sempre al più vasto problema del male che opera liberamente, nonostante la presenza e l’onnipotenza di un Dio buono che dice di lottare contro questo male. Cerchiamo di trarre qualche pista di riflessione rispetto a questa grossa problematica partendo da questi due brevi esempi offerti da Gesù, contrappuntati dalla parabola del fico.
Estirpare il male. Mi sembra che il nostro testo proponga un’altra soluzione al male che i contemporanei di Gesù avrebbero potuto immaginare. Non è ben chiaro chi sia il proprietario del campo e potrebbe essere anche Dio padre che ascolta le suppliche del Figlio. Propongo una lettura diversa: mi pare di intravedere nell’uomo che è stanco di aspettare che il fico produca un atteggiamento che pensa di risolvere il male, in questo caso rappresentato dalla mancanza di frutti, con la sua estirpazione. Se il fico non produce strappiamolo! E’ una soluzione apparentemente efficace, che non risolve però quello dell’assenza di frutti che comunque non ci saranno visto che il fico verrà estirpato. Mi pare una soluzione ampiamente praticata nel nostro immaginario collettivo o in qualsiasi tentativo di risolvere velocemente situazioni difficili. Quante volte si sente dire: io in Libia ci tirerei una bomba, si rade tutto al suolo e si parte da zero! Oppure: l’ISIS va raso al suolo e basta. Sono soluzioni apparentemente efficaci che trascurano la portata del male: la Siria è sostenuta da Cina Russia ed Iran e non è facile sterminare 4 stati senza tenere conto dei danni che si fanno… Ben vengano soluzioni dure nei confronti dell’Isis, ma anche lì il problema dei civili va posto… Capita anche nei gruppi chiusi, ed anche nelle chiese che la soluzione di un problema posto dal una persona scomoda, che commette grossi errori, sia quello di metterla al bando ed isolarla. Non dico che non sia possibile in alcuni casi, ma se diventa il modo per risolvere qualsiasi dissenso anche se piccolo, temo che non sia proprio quello che Gesù auspica per la chiesa. Ma più in generale capita in tante situazioni, come nelle famiglie che si divorziano, tra persone che litigano o tra soci: ad un certo punto la soluzione migliore è tagliare l’albero. La parabola non ci dice che sia impossibile, ma ci dice che prima dobbiamo essere sicuri di avere coltivato e concimato…
Il limite maggiore di questo metodo è che spesso chi estirpa pensa di essere in qualche modo estraneo al male che combatte, mentre le parole di Gesù son sono così rassicuranti per gli estirpatori…
Perché mi devo ravvedere? Se guardiamo ancora meglio tra le righe del testo potremmo intravedere un’altra potenziale soluzione al male data dagli uomini del tempo di Gesù: se Gesù dice: “se non vi ravvedete”, significa che molte persone che lo ascoltano non avvertono minimante la necessità di ravvedersi. Il male c’è, opera, ma è colpa di altri… Nella fattispecie potrebbe essere colpa di Pilato che è un leader cattivo, o dei costruttori della torre che l’hanno progettata male, o di chi intorno alla torre ha fatto scavi o altre costruzioni che hanno compromesso la costruzione. E qui andiamo pienamente nella nostra attualità: non c’è notizia di disgrazia che non implichi una ricerca accurata di tutte e responsabilità che cerchino di inquadrare quella disgrazia: anche questa è una ricerca giusta perché è importante stigmatizzare gli errori di chi non ha lavorato bene nella società civile. Serve a capire che molti mali sono evitabili, ma non risolve il problema del male né è giusto tirarsene fuori, come se attribuendo le responsabilità a qualcuno si potesse risolvere qualcosa.
Di questo modo di pensare esiste anche una versione più moderna che è quella di dire che il male è invitabile, che siamo imperfetti nella nostra natura, dicendo sì che il male è connaturato a noi, ma diventando in ultima analisi innocenti rispetto a qualsiasi male.
In cosa consiste quindi la soluzione di Gesù? Non è una dissertazione filosofica che spieghi il perché del male. Non è neppure un discorso teologico che potrebbe perfettamente essere costruito sulla base delle Scritture, spiegando che i nostri progenitori hanno peccato ed ora vengono puniti. Non ci sono risposte sui perché del male, ed è un bene, visto che il male rimane sempre indefinibile. E’ una semplice risposta sul come uscire dalla conseguenze del male, da come cambiare la propria vita perché non sia più vissuta sotto il segno del male. La soluzione sta nel dire che è vero che siamo tutti peccatori, ma che esiste uno spazio di ravvedimento.
Questo messaggio è esattamente lo stesso che vogliamo e dobbiamo dare e dire oggi. Noi potremmo passare delle ore a tentare di spiegare perché un certo episodio capita a certi e non ad altri, perché è morto un bambino di due anni turco o sono annegati tanti profughi nel canale di Sicilia, o sono rimasti vittime di un terremoto tremendo migliaia di nepalesi. Non troveremo risposte definitive… Abbiamo però una risposta universalmente valida che consiste nel dire: questa morte non ha l’ultima parola, se ci ravvediamo davanti al Signore nostro Dio ristabilendo il nostro rapporto con lui.
E’ vero però che questo tempo di attesa non è infinito. Il padrone tra un anno potrà tornare e tagliare il fico che non dà frutto. Ripensando alle persone dell’episodio precedente, si può dire che la morte è arrivata e ciò che avevano scelto è valso davanti a Dio: chi si era ravveduto con Dio, chi no senza Dio. Piaccia o no, oltre alla prospettiva del ravvedimento e della grande pazienza di Dio c’è anche la minaccia di un suo ritorno che è meraviglioso per chi si è ravveduto, ma tragico per chi ha rifiutato di arrendersi al Signore.
Gesù vive per dare opportunità di ravvedimento ed annunciare una fine. Ogni credente deve fare suo questo mandato, vivendo come concimatore di un fico che prima o poi verrà tagliato se non dà frutto ma sforzandosi in tutti i modi possibili di salvare più alberi possibile. Ci sono molte campagne per salvare gli alberi, e ci incoraggiano in genere ad usare meno carta. Dovremo fare una campagna chiamata: salviamo alberi umani, prima che vengano rasi. Dio ama questi alberi e per questo cerca il loro frutto.
Luca 13, 1-9
Il problema del male
Qualsiasi religione, sistema filosofico e qualsiasi visione che ne deriva finisce per porsi il problema del male. Che lo sminuisca per ottimismo o lo si assolutizzi per pessimismo il male è un dato di fatto della nostra esperienza di vita che tocca o noi direttamente o comunque il mondo in cui ci troviamo. Ne consegue che chiunque attraverso una visione del mondo fideistica o filosofica vuole tentare di spiegare la realtà in cui viviamo prima o poi arriva a chiedersi da dove questo male venga.
Durante questa settimana siamo rimasti tutti impressionati dall’immagine di un bambino di due anni morto annegato su una spiaggia in Turchia, e sembra che l’impatto di questa immagina abbia condizionato le decisioni di importanti leader europei, come il premier inglese, che fino a pochi giorni prima era più chiuso rispetto all’idea di accettare profughi in Inghilterra.
Il dialogo che abbiamo in questo piccolo passo del vangelo di Luca pone un problema che non è difficile ricondurre a quello più grosso del male, e che ci mostra uno spaccato delle risposte che al tempo di Gesù venivano fornite riguardo ad esso. Probabilmente oggi ci si potrebbe chiedere: di chi è la colpa della morte di quel bambino turco? Era un profugo? Era il figlio di immigrati economici che non sfuggiva alcuna guerra? Perché è morto in quel modo atroce? E, domanda classica che conclude sempre simili discorsi, dov’è Dio in tutto ciò? Non è certo la domanda diretta che questo testo rivolge ai suoi primi lettori, visto che il senso immediato era piuttosto quello di ricordare che il male non colpisce solo quelli che riteniamo i peggiori peccatori. Tuttavia le implicazioni che il crollo di una torre o la violenza di un dittatore pongono riconducono sempre al più vasto problema del male che opera liberamente, nonostante la presenza e l’onnipotenza di un Dio buono che dice di lottare contro questo male. Cerchiamo di trarre qualche pista di riflessione rispetto a questa grossa problematica partendo da questi due brevi esempi offerti da Gesù, contrappuntati dalla parabola del fico.
- 1. Il problema del male e le sue risposte.
Estirpare il male. Mi sembra che il nostro testo proponga un’altra soluzione al male che i contemporanei di Gesù avrebbero potuto immaginare. Non è ben chiaro chi sia il proprietario del campo e potrebbe essere anche Dio padre che ascolta le suppliche del Figlio. Propongo una lettura diversa: mi pare di intravedere nell’uomo che è stanco di aspettare che il fico produca un atteggiamento che pensa di risolvere il male, in questo caso rappresentato dalla mancanza di frutti, con la sua estirpazione. Se il fico non produce strappiamolo! E’ una soluzione apparentemente efficace, che non risolve però quello dell’assenza di frutti che comunque non ci saranno visto che il fico verrà estirpato. Mi pare una soluzione ampiamente praticata nel nostro immaginario collettivo o in qualsiasi tentativo di risolvere velocemente situazioni difficili. Quante volte si sente dire: io in Libia ci tirerei una bomba, si rade tutto al suolo e si parte da zero! Oppure: l’ISIS va raso al suolo e basta. Sono soluzioni apparentemente efficaci che trascurano la portata del male: la Siria è sostenuta da Cina Russia ed Iran e non è facile sterminare 4 stati senza tenere conto dei danni che si fanno… Ben vengano soluzioni dure nei confronti dell’Isis, ma anche lì il problema dei civili va posto… Capita anche nei gruppi chiusi, ed anche nelle chiese che la soluzione di un problema posto dal una persona scomoda, che commette grossi errori, sia quello di metterla al bando ed isolarla. Non dico che non sia possibile in alcuni casi, ma se diventa il modo per risolvere qualsiasi dissenso anche se piccolo, temo che non sia proprio quello che Gesù auspica per la chiesa. Ma più in generale capita in tante situazioni, come nelle famiglie che si divorziano, tra persone che litigano o tra soci: ad un certo punto la soluzione migliore è tagliare l’albero. La parabola non ci dice che sia impossibile, ma ci dice che prima dobbiamo essere sicuri di avere coltivato e concimato…
Il limite maggiore di questo metodo è che spesso chi estirpa pensa di essere in qualche modo estraneo al male che combatte, mentre le parole di Gesù son sono così rassicuranti per gli estirpatori…
Perché mi devo ravvedere? Se guardiamo ancora meglio tra le righe del testo potremmo intravedere un’altra potenziale soluzione al male data dagli uomini del tempo di Gesù: se Gesù dice: “se non vi ravvedete”, significa che molte persone che lo ascoltano non avvertono minimante la necessità di ravvedersi. Il male c’è, opera, ma è colpa di altri… Nella fattispecie potrebbe essere colpa di Pilato che è un leader cattivo, o dei costruttori della torre che l’hanno progettata male, o di chi intorno alla torre ha fatto scavi o altre costruzioni che hanno compromesso la costruzione. E qui andiamo pienamente nella nostra attualità: non c’è notizia di disgrazia che non implichi una ricerca accurata di tutte e responsabilità che cerchino di inquadrare quella disgrazia: anche questa è una ricerca giusta perché è importante stigmatizzare gli errori di chi non ha lavorato bene nella società civile. Serve a capire che molti mali sono evitabili, ma non risolve il problema del male né è giusto tirarsene fuori, come se attribuendo le responsabilità a qualcuno si potesse risolvere qualcosa.
Di questo modo di pensare esiste anche una versione più moderna che è quella di dire che il male è invitabile, che siamo imperfetti nella nostra natura, dicendo sì che il male è connaturato a noi, ma diventando in ultima analisi innocenti rispetto a qualsiasi male.
- 2. La risposta di Gesù.
In cosa consiste quindi la soluzione di Gesù? Non è una dissertazione filosofica che spieghi il perché del male. Non è neppure un discorso teologico che potrebbe perfettamente essere costruito sulla base delle Scritture, spiegando che i nostri progenitori hanno peccato ed ora vengono puniti. Non ci sono risposte sui perché del male, ed è un bene, visto che il male rimane sempre indefinibile. E’ una semplice risposta sul come uscire dalla conseguenze del male, da come cambiare la propria vita perché non sia più vissuta sotto il segno del male. La soluzione sta nel dire che è vero che siamo tutti peccatori, ma che esiste uno spazio di ravvedimento.
Questo messaggio è esattamente lo stesso che vogliamo e dobbiamo dare e dire oggi. Noi potremmo passare delle ore a tentare di spiegare perché un certo episodio capita a certi e non ad altri, perché è morto un bambino di due anni turco o sono annegati tanti profughi nel canale di Sicilia, o sono rimasti vittime di un terremoto tremendo migliaia di nepalesi. Non troveremo risposte definitive… Abbiamo però una risposta universalmente valida che consiste nel dire: questa morte non ha l’ultima parola, se ci ravvediamo davanti al Signore nostro Dio ristabilendo il nostro rapporto con lui.
- 3. La promessa di Gesù: zappare e concimare il campo.
E’ vero però che questo tempo di attesa non è infinito. Il padrone tra un anno potrà tornare e tagliare il fico che non dà frutto. Ripensando alle persone dell’episodio precedente, si può dire che la morte è arrivata e ciò che avevano scelto è valso davanti a Dio: chi si era ravveduto con Dio, chi no senza Dio. Piaccia o no, oltre alla prospettiva del ravvedimento e della grande pazienza di Dio c’è anche la minaccia di un suo ritorno che è meraviglioso per chi si è ravveduto, ma tragico per chi ha rifiutato di arrendersi al Signore.
Gesù vive per dare opportunità di ravvedimento ed annunciare una fine. Ogni credente deve fare suo questo mandato, vivendo come concimatore di un fico che prima o poi verrà tagliato se non dà frutto ma sforzandosi in tutti i modi possibili di salvare più alberi possibile. Ci sono molte campagne per salvare gli alberi, e ci incoraggiano in genere ad usare meno carta. Dovremo fare una campagna chiamata: salviamo alberi umani, prima che vengano rasi. Dio ama questi alberi e per questo cerca il loro frutto.