mercoledì 13 febbraio 2013


Galati 5, 12-15Libertà condizionata o libertà nell'amore?
13 Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Questa libertà non diventi un pretesto per la carne, ma mediante l'amore siate a servizio gli uni degli altri. 14 Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in una sola parola: amerai il prossimo tuo come te stesso. 15 Ma se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Libertà ed egoismo, servizio e autodistruzione, legge ed amore... e reciprocità nel bene e nel male. Con questi concetti evidentemente opposti potremmo riassumere il succo di questi brevi ma densi versi, ai quali vorrei limitare la riflessione di oggi. Cinque capitoli dedicati interamente alla libertà prodotta dalla fede, all'affrancamento di di crede da una legge che rende schiavi: Paolo non poteva essere più chiaro nello spiegare che la fede non è il risultato di uno sforzo umano, ma un libero dono di Dio, che strappa dalla schiavitù e porta libertà. Eppure la parola libertà è ambigua: è alla base di liberazione, ma anche di libertinismo; fa pensare a liberare, ma anche a liberalizzare; e senza prendere posizione in materia la differenza tra liberare dalla droga e liberalizzare la droga salta agli occhi! Liberale può significare generoso; ma in economia può anche indicare una corrente che lascia al mercato l'onnipotenza delle decisioni e trascura gli individui... Anche in ambito di fede il termine libertà si presta ad ambiguità, e quindi Paolo sente il bisogno di precisare il significato e la portata di questo concetto.
1. La libertà come base e chiamata.
In primo luogo Paolo parte dalla costatazione che la fede è una chiamata alla libertà, o una chiamata basata sulla libertà. Curioso. Non sempre la fede viene associata alla libertà, anzi. Spesso l'immaginario moderno, in seguito alla numerose distorsioni della fede, la lega ad immagini di costrizione: conventi, cilici, rispetto di regole. Anche alcune immagini bibliche, mal interpretate, possono aver fatto pensare alla fede come un cammino non di libertà ma di sofferenza e costrizione, come l'esortazione di Gesù al prendere la propria croce.
Paolo invece sottolinea con forza come la fede si basi SULLA libertà e chiami ALLA libertà. Perché FEDE significa rapporto con un Dio che ci sottrae all'incertezza del presente, alla precarietà del quotidiano e del finito, facendoci entrare in una dimensione eterna, infinita che non teme il logorio del tempo ed i rischi delle circostanze. E non mancano nella storia di fedi ben vissute che hanno significato libertà: la fede di Abramo, ma anche quella di Mosè hanno portato alla libertà anche politica e fisica un popolo di schiavi; gli schiavi dell'epoca di Paolo trovavano libertà interiore malgrado il loro stato civile, perché sapevano di appartenere ad un Dio più grande dei loro padroni; e molti secoli dopo l'abolizione della schiavitù è stata promossa e portata avanti da attivisti cristiani. Anche oggi in un mondo in cui la fede è considerata soprattutto come una delle possibili alternative per dare un senso alla vita, come un modo per essere felici, è importante ricordare che credere in Cristo, nella sua opera di libertà fatta nei nostri confronti, significa prima di tutto essere liberati da noi stessi, dal nostro egoismo, dal nostro egocentrismo, conseguenze del nostro essere peccatori, per entrare liberamente in un dialogo di amore con Dio, fonte di ogni libertà. Perché che piaccia o no, l'uomo non è libero: è schiavo di se stesso ed ha bisogno di libertà per vivere pienamente.
2. I rischi della libertà.
La libertà però, lo abbiamo detto, comporta dei rischi. Non facilmente eludibili nella formula che la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. In questi giorni siamo rimasti sconvolti per la strage in Connecticut che ha visto la morte di 20 bambini per mano di uno squilibrato che ha ucciso anche sua madre. Purtroppo questo aveva in casa armi, perché per molti americani il diritto di detenere delle armi è un elemento di libertà; i leader delle lobbies di costruttori di armi hanno già risposto che la colpa sta nelle leggi che vietano ai maestri di possedere delle armi... Ci sembra pura follia, eppure proprio in base ad un concetto come quello della libertà in America si riesce a sostenere che è possibile detenere armi, concessione che se eliminata ridurrebbe immediatamente le stragi di cui troppo spesso veniamo a conoscenza. In simili casi la libertà non è solo rischiosa, è proprio devastante.
Paolo in proporzioni dagli effetti più contenuti mette quindi i credenti in guardia; cerchiamo bene di capire, da queste poche parole, contro quale concezione della libertà Paolo si schieri: la libertà qui può diventare un "pretesto per la carne". E con carne intende un qualcosa che si oppone al servizio degli altri tramite l'amore, che porta a mordersi, e a divorarsi con il rischio di distruggersi. La libertà quindi è un'arma che può essere usata a servizio dell'amore, ma anche a servizio della carne. E con carne, prima ancora di leggere la lunga lista di "frutti" che Paolo enumera nei versi successivi, capiamo bene che Paolo intende qui l'egoismo, la centralità dell'io.
Credo che nelle chiese la gestione della libertà sia una delle cose più difficili che ci siano. E' facile scadere nel legalismo, cercando di costringere tutti a comportarsi in un certo modo e a seguire certi standard morali, di impegno e di partecipazione, con il rischio di diventare impositivi e legalisti; ma è altrettanto facile cadere nell'eccesso opposto per cui l'assolutizzazione della libertà porta ognuno a seguire il proprio comodo, i propri interessi, la propria vocazione trascurando l'esigenza della reciprocità, base di una vita comunitaria. Mi colpisce che in queste poche righe Paolo usi tre volte il termine: "gli uni gli altri" (Le traduzioni lo variano con "a vicenda", ma in greco è sempre lo steso termine). Io tempo che nella nostra comunità stiamo incamminandoci verso una direzione prossima a questo per cui, forti della nostra libertà, abbiamo difficoltà a sacrificarla per esigenze di interesse comune, e questo in una chiesa piccola che ha bisogno di impegno moltiplicato al cubo per poter crescere è problematico. Dire che non salvano e non fondano la fede la frequenza alle riunioni o la disponibilità a prendersi degli impegni, o ad invitare per incrementare la comunione non significa dire che allora queste sane pratiche sono necessarie ed indispensabili. Dobbiamo quindi molto riflettere sulla gestione della nostra libertà, perché se questa ci porta non tanto a sbranarci (non mi pare ci sia odio o rabbia tra di noi), ma anche solo a stare distanti, ad esserci leggermente indifferenti rischiamo l'autodistruzione di cui parla Paolo.
3. L'antidoto dell'amore.
C'è però un antidoto infallibile all'uso carnale della libertà. Ed è il comandamento antico, che ritroviamo nell'Antico testamento nel libro del Levitico 19,18, ripreso e rinvigorito da Gesù: il comandamento dell'amore. Paolo si rivolge a persone che come abbiamo visto sbandierano la legge di Mosè per reclamare una loro superiorità spirituale e morale; ricorda allora che quella legge trova la sua espressione più piena nell'unica parola amore. L'amore è il riassunto ed il fine di tutti i comandamenti che vengono dati per consentire una vita comune di vera reciprocità e servizio. L'amore è il rovesciamento dell'egoismo e porta realmente ad una dinamica di lavorare "gli uni per gli altri". L'egoismo è il lavoro dell'uno per uno; Paolo invece ricorda che prima in chiesa, e poi nella vita, siamo chiamati a vivere gli uni per gli altri.
Possiamo reagire come quei farisei che rispondendo a Gesù sul senso del comandamento: "Ama il tuo prossimo come te stesso" si chiedevano chi fosse il prossimo. Noi lo sappiamo, e non possiamo negare che il prossimo è chiunque è immediatamente vicino a noi. Ancor prima di andare a vedere che Gesù ha insegnato ad "essere prossimi" di chiunque, come il Samaritano lo fu di quel poveraccio mezzo morto, possiamo riconoscere nei fratelli della chiesa i nostri prossimi ed agire di conseguenza. Questi cristiani in Galazia si sbranavano per questioni relativa all'interpretazione della legge di Mosè, noi talvolta lo facciamo per questioni simili, magari più vicine al nostro tempo. Resta il comandamento chiaro chi l'unico antidoto che consente ad una chiesa di funzionare e crescere è l'amore, segno da cui il mondo riconosce i veri credenti.

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