venerdì 17 gennaio 2014


Camminare nel deserto. Esodo 17,1-7

Esodo 17, 1-7

Il deserto è un bel posto? E' possibile tentare Dio? Queste due domande apparentemente slegate sono al centro del passo su cui meditiamo oggi, passo citato a più riprese in diverse parti dell'Antico e del Nuovo Testamento. Ci illustrano un momento del cammino del popolo che attraversa il deserto di Sin e che nuovamente ha difficoltà a trovare acqua. Queste difficoltà lo spingono a dubitare del viaggio stesso che sta facendo, ed in ultima analisi a mettere in dubbio che Dio abbia veramente voluto liberare il popolo per portarlo in quel posto disumano. Eppure è proprio Dio che ha spinto il popolo in quel posto, ed è proprio Dio che ce lo ha portato per metterlo alla prova (Es 15, 25). Dobbiamo allora riflettere sul perché di questo cammino nel deserto e sulle prove davanti a cui siamo confrontati nella vita che potrebbero portarci a nostra volta a mettere alla prova Dio.

1. Il deserto e la precarietà
Per chi come me ha conosciuto il deserto con gli occhi del turista che attraversa in macchina una bellissima distesa di sabbia intervallata da oasi di palmizi il viaggio di Israele nel deserto potrà sembrare un'avventura affascinante e attraente. Forse lo è, ma non certo per il luogo. Il deserto, per chi lo attraversava nell'antichità, era un luogo impervio, ricco di pericoli e mancante di molte sicurezze come l'acqua e il cibo. Il Signore in questo caso sceglie proprio di portare il popolo in un posto dove manca l'acqua, mettendo quindi alla prova la loro fede. Vale la pena essere stati liberati per andare in un posto dove manca l'acqua? Vale la pena rischiare di perdere la vita per avere una vita libera? La risposta è inequivocabilmente sì, ma questo "sì" va imparato. Il fatto che gli ebrei continueranno ad essere un popolo in cammino per molti anni nel deserto risponde ad un preciso progetto di Dio. Il fatto che il deserto sia un luogo precario, in cui non si sa mai se si arriverà ad un'oasi o meno, se si mangerà e se si troverà acqua, fa sì che sia un luogo in cui si esercita la fede e la fiducia in Dio. Il fatto che non ci sia un luogo fisso in cui stare e che si proceda verso una promessa che arriverà molto dopo ben ritrae la condizione della vita. Chi ha scelto di camminare con Gesù, dando a Lui la precedenza a tutto, cammina verso una promessa finale di salvezza assoluta, ma durante questo cammino vive nella precarietà del deserto, ed impara a confidare. I cristiani si considerano stranieri su questa terra, ma allora devono accettare la sfida di credere che quanto hanno, in beni materiali, sicurezze economiche, o beni immobili sono veramente relativi. Non ci viene chiesto di andare a vivere nel deserto ma di credere che una condizione come quella del deserto che ci stacca dalle sicurezze materiali che abbiamo abbia in sé un forte valore istruttivo.

2. Il deserto e la tentazione
Il deserto è quindi una scuola, e come in tutte le scuole ci sono vittorie e sconfitte. Nonostante i miracoli della manna appena visti il popolo si preoccupa e si arrabbia con Mosè rendendolo di nuovo responsabile della mancanza d'acqua. Mosè risponde quindi che il popolo sta tentando il Signore. Si tratta di un fatto singolare. In realtà è il Signore che tenta il popolo, nel senso che lo mette alla prova (15,25). Il popolo sa bene che è messo costantemente ad una prova che deve far crescere la sua fiducia, ma non crede, recalcitra. Trasforma quindi la fede in certezza concreta, tentando Dio. Tentare Dio significa pretendere che la fede in lui sia condizionata da prove materiali e schiaccianti della sua presenza e viene infatti spiegato che il posto si chiama Massa e Meriba perché il popolo si è chiesto: "L'Eterno è in mezzo a noi o no?" Quindi il popolo avrà fede solo e soltanto se avrà ciò che domanda, ciò che vuole. Solo se il deserto che Dio ha scelto per loro sarà clemente e non sarà deserto, ma già promessa realizzata. Ma allora la fede non è più fede, è oggettività, costatazione di fatti concreti.
Spesso come credenti agiamo nella stessa maniera condizionando la nostra fiducia nei confronti di Dio alle sue risposte concrete ai nostri problemi. La fede, quella vera fede che fa piazza pulita di tutto, desertificando la nostra vita ed i suoi peccati per creare qualcosa di nuovo significa accettare che Dio possa portarci in delle oasi, ma anche in questo luogo privo di acqua. Significa lasciare che sia Lui a guidare la nostra vita, e soprattutto significa imparare a confidare proprio laddove le promesse che vorremo non si realizzano. Le numerose disgrazie a cui abbiamo assistito questa settimana, tra le quali un tifone che ha ucciso 4500 persone porteranno molti a negare che un Dio buono possa essere presente. Premesso che questo Dio buono non ha mai detto che questo mondo sarà felice, privo di dolori e di catastrofi naturali, soprattutto se esse derivano anche da responsabilità gravi degli abitanti della terra, autori del surriscaldamento del pianeta, ci sarebbe da dire che è proprio questo il momento di credere, di interrogare Dio, un po' come fa Mosè che dice: "Che farò io?", e che nonostante la domanda continua a confidare ed ad affidarsi.

3. Il deserto e la fiducia
Il deserto di Sin non è un luogo ospitale. Se pensiamo alla creazione, agli alberi, ai frutti ai colori con cui Dio ha riempito la terra, si potrebbe pensare che il deserto sia una specie dinegazione della creazione. E' in effetti un luogo per lo più arido in cui la vita fatica a sopravvivere. Basti pensare che uno dei mali ambientali che oggi combattiamo è quello della desertificazione che vede l'avanzare del deserto sottraendo terreno utile all'agricoltura. Certamente da un punto di vista simbolico questo deserto è discontinuo rispetto alla creazione. Tuttavia vediamo che in esso Dio opera e offre dei segni di vita: Mosè aveva gettato il suo bastone nel fiume per farlo diventare sangue, ora con lo stesso bastone ottiene l'acqua che sgorga dalla roccia. Nel deserto quindi i segni di vita ci sono, solo che sono nascosti.
Camminare nel deserto oggi significa proprio questo: imparare a leggere dietro la sabbia, imparare a scoprire che dietro rocce apparentemente aride e sassose si nascondo corsi d'acqua che dissetano, se sono colpiti dal bastone della fede.
Ma c'è di più. La roccia che dà acqua è sul monte Oreb, quindi sul Sinai. Non è un caso che la fonte d'acqua di vita si trovi nello stesso luogo in cui ci sarà la fonte della legge. Perché come dall'acqua viene la vita, così dalla legge viene la vita.
Molti anni dopo Gesù parlando con una donna Samaritana davanti ad un pozzo si autoproclamò "acqua viva che scaturisce in vita eterna" (giov 4). In Gesù vediamo unirsi l'acqua della vita che sostenta la vita fisica, materiale emotiva, e la legge che sostenta la vita morale. Se la vita ci sembra un deserto, se abbiamo una sete spirituale provocata dall'arsura, se non vediamo piante verdi portatrici di vita, siamo invitati a bere dalla fonte d'acqua viva di Gesù, unica capace di dissetarci eternamente.

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