venerdì 17 gennaio 2014


Esodo 15:22-16
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Inizia un nuovo periodo per il popolo di Israele, il periodo del deserto che è una sorta di adolescenza, di cui la liberazione è stato il parto, l'infanzia. Il popolo dovrà camminare per 40 anni, in cui verrà formato, e non sono pochi. Ma necessari per imparare ad essere. Necessari per acquisire l'identità che il popolo di Israele deve scoprire.

1. Le lamentele e la sfiducia.
Si sentono ancora i canti di gioia per la liberazione cosmica narrata nel canto di Mosè e di Miriam, quando il popolo viene confrontato con un problema molto concreto: la sete e la fame! Durante la prima piaga non si poteva bene l'acqua perché era diventata sangue, ed ora non si può bere l'acqua nel deserto perché è amara. La piaga della grandine distruggeva il cibo, quindi non si poteva mangiare. La prospettiva di liberazione sembra venire meno, e le promesse fatte da Mosè sono disattese, quindi cominciano le lamentele.
Per quanto risentiti, né Dio né Mosè si arrabbiamo, ma intervengono con progressive benedizioni: prima purificando l'acqua con un semplice legno; poi riportando il problema sul piano spirituale, cioè al rapporto con Dio. Se il tuo rapporto con Dio è buono, i pericoli che possono far riecheggiare le piaghe egiziane (acqua imbevibile, grandine che elimina il cibo), non sussisteranno. Una volta ristabilito questo rapporto, la benedizione viene moltiplicata con un luogo fatto di dodici fontane. E da cielo pioverà la manna.
Nelle comunità di fede le lamentele non mancano mai. Ci sono responsabilità da parte di tutti, ed oggi nessuno può dirsi un Mosè a capo di un popolo nel deserto. Del resto l'umiltà di Mosè ed Aronne è già evidente: "Chi siamo noi perché mormoriate contro di noi" (8) Nondimeno, il Signore ci invita a non mormorare e al limite a chiarire gli eventuali problemi, che potrebbero essere non la sete, ma la mancanza di un luogo di culto, o la mancanza di finanze, o la mancanza di crescita. Questo passo ci invita a pensare che la soluzione non è mai nei mormorii, né contro i Mosè di turno, né contro i compagni di viaggio, ma nella revisione di un rapporto con Dio. Il Signore dà una legge, una prescrizione e mette alla prova: chiede quindi impegno e responsabilità, ma riversa in partenza grandi benedizioni. Siamo pronti ad accoglierle?

2. La manna e la fiducia.
Invece che grandine distruttrice piove dal cielo manna nutriente e quaglie che si possono mangiare. Si tratta di una vera e propria iniezione di fiducia nei confronti del popolo, che Dio in effetti mette alla prova: ha dato il sostentamento di base. Si può mangiare e sopravvivere. Questa fiducia accordata, nonostante la loro fiducia, è sufficiente per farli andare avanti?
La manna è un simbolo vivente di fiducia: non bisogna prenderne più del dovuto perché il popolo deve imparare ad avere quotidianamente fiducia nel Signore. Non è l'accumulo dei beni che dà fiducia, la garanzia di un pasto, ma il credere che Dio provvederà quei beni.
E questo è ancora più vero nel sabato sacro al Signore: non è giorno di digiuno, si può mangiare, ma è consentito accumulare per non dover lavorare in quel giorno e viverne tutta la sacralità: il riposo, il culto, la celebrazione.
In un mondo dominato dalla logica dell'accumulo o del risparmi per salvarsi dalle cristi, ci sarà difficile pensare alla manna, altrimenti che in termini spirituali. Ma proprio come l'esortazione che Gesù ci fa a non essere ansiosi ed a dirci: basta a ciascun giorno il suo affanno, questa manna che quotidianamente nutre, ci deve fare pensare all'importanza ieri come oggi di vivere la fede nel quotidiano, giorno per giorno e nelle cose concrete. Ci deve insegnare a ringraziare prima dei pasti, in modo molto semplice, perché abbiamo avuto la nostra manna. Ci deve insegnare spiritualmente che ogni giorno Dio provvede un sostentamento che ci permette di andare avanti. Ci può provvedere poche parole, qualche idea profonda, che nondimeno nutrono il nostro spirito facendoci guardare al di là delle sabbie del deserto spirituale in cui viviamo.

3. L'omer ed i discendenti: Gesù, il pane disceso dal cielo.

Mosè trasmette a Mosè l'ordine del Signore, dicendogli che deve mettere la manna in un vaso, per i discendenti. Infatti questa manna concreta esiste per un tempo limitato, circoscritto ai 40 anni che Israele passa nel deserto. I discendenti sapranno che il Signore ha provveduto in quel modo, ma scopriranno una verità ancora più profonda: esiste un pane che scende dal cielo, che ha proprietà nutrienti, curative e spirituali ben maggiori di quelle della manna: Gesù stesso ha fatto il paragone dicendo: "In verità, in verità vi dico che non Mosè vi ha dato il pane che viene da cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene da cielo" - "e che dà la vita al mondo".
Se il racconto si fosse fermato all'Esodo, sarebbe una specie di mito, di leggenda o di favola, edificante, ma relativamente poco utile. Le parole di Gesù sono lì per dirci che in fondo il vero miracolo non è quello di poter mangiare, ma quello di potesi nutrire di parole celesti, che danno vita eterna. Perché andare a lui e credere in lui significa non avere più né fame né sete. Significa avere vita eterna. Questa è la sazietà che la nostra società opulenta spesso non conosce, ma che non smetteremo di annunciare!

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