domenica 3 novembre 2013


Cosa leggo quest'estate?

7 luglio 2013 alle ore 15.26
Cosa leggo quest'estate?


Qualche giorno fa mi è capitato di dire una cosa di cui successivamente mi sono pentito. Parlando a tavola con dei colleghi è venuto fuori un passo riguardante il vino. I colleghi visto che conoscevo bene le scritture, me ne hanno domandato il perché. D'istinto ho risposto: "Sono pastore di una chiesa evangelica". Dov'è il problema di quest'affermazione? Del non aver detto più semplicemente: "Sono un cristiano. O al massimo, sono un cristiano evangelico". Quasi che il fatto di leggere la Parola non debba essere un compito, una gioia, una regola di tutti i cristiani - e non solo dei pastori!
Qualche giorno dopo, leggevo un interessante articolo di Roberto Saviano su internet e sulle sue potenzialità di mettere alla portata di tutti cose che un tempo rimanevano segreto di stato. In estrema sintesi Saviano, commentando i casi di Snowden e di Assenge, faceva notare come oggi sia veramente facile mettere in scacco un intero stato rivelando i segreti di chi lo governa e che quindi ha in mano il potere, e rifletteva sulle grosse implicazioni che questa novità ha per la democrazia. Mi è venuto in mente un parallelo con la parola di Dio: al tempo di Gesù, e nei secoli immediatamente successivi, quasi nessuno disponeva di una Bibbia personale. I rotoli delle Scritture erano gelosamente custoditi nelle sinagoghe e, benché la lettura fosse comunitaria e quindi tutti potessero accedervi, i modi ed i tempi di quella lettura erano ben diversi. Oggi invece disponiamo di una possibilità immediata e continua al testo biblico. Possiamo leggerlo dal telefono, scaricare applicazioni fenomenali, cercare versetti in un baleno - povera memoria... Ma la domanda che mi pongo torna all'episodio di quel che dicevo ai miei colleghi: in questo momento di grande facilità ed immediatezza di accesso alle Scritture, le leggiamo con altrettanta frequenza e prontezza? Lo facciamo tutti come cristiani evangelici o abbiamo cominciato a delegare? Ai pastori? Ai predicatori di turno? Ai presunti "specialisti" della Parola?
Essendo l'ultimo culto prima di una pausa estiva, vorrei invitarvi alla lettura di qualche verso del Salmo 119, uno di quei salmi che in modo particolare esprime l'amore per la Scrittura, e spinge proprio alla lettura. E' un salmo molto lungo, pertanto mi limiterò alla lettura dei primi 16 versi:



1 Beati quelli che sono integri nelle loro vie, che camminano secondo la legge dell´Eterno.
2 Beati quelli che osservano le sue testimonianze, che lo cercano con tutto il cuore, 3 ed anche non operano iniquità, ma camminano nelle sue vie.
4 Tu hai ordinato i tuoi precetti perché siano osservati con cura.
5 Oh siano le mie vie dirette all´osservanza dei tuoi statuti!

6 Allora non sarò svergognato quando considererò tutti i tuoi comandamenti.
7 Io ti celebrerò con dirittura di cuore, quando avrò imparato i tuoi giusti decreti.
8 Io osserverò i tuoi statuti, non abbandonarmi del tutto.
9 Come renderà il giovane la sua via pura? Col badare ad essa secondo la tua parola.
10 Io ti ho cercato con tutto il mio cuore; non lasciarmi deviare dai tuoi comandamenti.
11 Io ho riposto la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te.
12 Tu sei benedetto, o Eterno; insegnami i tuoi statuti.
13 Ho raccontato con le mie labbra tutti i giudizi della tua bocca.
14 Io gioisco nella via delle tue testimonianze, come se possedessi tutte le ricchezze.
15 Io mediterò sui tuoi precetti e considerò i tuoi sentieri.
16 Io mi diletterò nei tuoi statuti, non dimenticherò la tua parola.


1. La forma.
Prima di entrare nel commento del salmo è opportuno spiegare il modo in cui questo si presenta ad un lettore che conosce l'ebraico: è un salmo "alfabetico", cioè formato da 22 strofe ognuna di 8 versi , ed ognuna di queste comincia per una stessa lettera dell'alfabeto ebraico. E' un po' come se in italiano i primi 8 versi cominciassero tutti con la lettera "A", quelli dal 9 a 16 per B, e via dicendo. Questo è parso ad alcuni un po' ripetitivo e noioso. Tuttavia la ripetizione è proprio uno degli espedienti poetici più ricchi, ed è bello vedere che spesso ripetere una parola sia tutt'altro che noioso: pensiamo all'inizio del terzo canto della Divina Commedia:


Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.


Proprio quella ripetizione di "per me" crea un'insistenza sulla porta dell'inferno che ci appare sempre più inquietante. La ripetizione di lettere nel momento in cui si celebra la bellezza della Parola di Dio ci porta a pensare che nonostante le infinite ripetizioni che noi possiamo fare nel leggere la Parola, nel ridirla ogni domenica dopo averla letta, e magari nel rileggerla come lettura prediletta per l'estate, non è mai noiosa, al contrario. E' bella, proprio come è bello quando un bambino a cui viene fatto un gioco dice: "Ancora!" vuole ripetere una capriola, una canzone, un po' di solletico ed è contento di ripetere. E allora cogliamo questo incoraggiamento a ripetere la lettura della Parola quotidianamente, perché da questa ripetizione viene benedizione.


2. Gli 8 vocaboli.
Il salmo è interamente articolato intorno a 8 vocaboli che si ripetono per dire, sostanzialmente, la stessa cosa: Torah (legge) , precetti, statuto, comandamenti, decreti, ordinanze, promesse, parole. Sono varie declinazioni di diversi tipi di "parole" all'interno della Parola, ma più che differenziarle credo che il salmista voglia dimostrare che tutto ciò che è contenuto nella Bibbia è proprio importante per lui. Li ripete e dice di questi cose molto simili proprio per sottolineare come gli stanno a cuore.
Mi piacerebbe adesso cogliere alcune dichiarazioni che il salmista fa rispetto a queste parole:
Osservare. C'è un grosso desiderio di coerenza e di rigore morale. I termini "osservare" e "camminare" ricorrono più volte, a sottolineare che questo amore sconfinato per la parola non è fine a se stesso, ma è al servizio di una vita moralmente rigorosa e impegnata. Scegliamo un bel piano di letture bibliche estive, ma prima ancora sforziamoci a voler osservare quanto leggiamo. Non possiamo essere semplici "ammiratori" della parola, ma dobbiamo diventare suoi "osservatori", suoi "imitatori". Io personalmente amo molto la lettura, anche la lettura in sé, di libri vari, di saggi, di romanzi. Ma mi rendo conto che la lettura della Parola di Dio ha una dimensione diversa, perché è una lettura che non può servire a divagarsi, a riposarsi o ad addormentarsi. Forse è per questo che a volte la fuggiamo e ad essa preferiamo quella di un buon romanzo. I romanzi ci divertono, ci fanno anche capire la realtà, ci fanno riflettere, e spesso anche crescere. Ma non ci impegnano. Non ci chiamano ad un'osservanza. La Parola di Dio invece andando a scandagliare dentro di noi ci obbliga a rivederci, a rimetterci in discussione, a ripensare le nostre condotte, il nostro agire ed i nostri progetti. Per questo, ci piaccia o no, dobbiamo leggerla e meditarla.

Sentire. Una seconda famiglia di vocaboli esprime i sentimenti che questo salmista nutre nei confronti della Parola. Limitandoci a guardare tra questi primi versi ci dice che non si vergognerà, che ha messo la sua parola nel suo cuore - come dire che se ne è innamorato - che trova diletto e gioia. Se prima abbiamo detto che il confronto con la parola è impegnativo perché ci mette a nudo e ci impegna, non scorderemo di dire dire che è altrettanto bello ed entusiasmante. Ascoltare la Parola è edificante, arricchente, divertente! Chiedo a tutti: dopo anni che leggiamo la Bibbia sappiamo ancora nutrire dei sentimenti nei suoi confronti, riusciamo ancora a sentirci coinvolti emotivamente davanti a queste parole? Sembra una domanda da rivolgere ad un marito rispetto alla moglie e viceversa. E' un paragone adeguato perché sarebbe bello pensare alla Parola di Dio proprio come a qualcosa di cui ci innamoriamo, ci appassioniamo, che mettiamo nel cuore per vivere. Per tanti adolescenti l'estate è la stagione degli amori, delle emozioni, delle scoperte. Io auguro a tutti di innamorarsi della Parola, di scoprire la sua ricchezza e di passare il tempo a leggerla con gioia, trovando forza e divertimento.
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Celebrare. Altri vocaboli ci parlano della celebrazione, del raccontare quello che Dio ha fatto. Sia a se stesso, riepilogando le benedizioni di Dio, sia ad altri, quel che si vive con la parola lo si esprime nella lode, nella celebrazione. E questo punto mi pare altrettanto importante in un momento di pausa delle riunioni comunitarie. Come celebreremo il Signore in queste settimane? Penso che non ci sia niente di più bello che celebrare da soli, che cantare da soli, o in famiglia, leggere ed adorare, indipendentemente dai momenti convenuti, perché lì si vede se veramente il nostro amore per Dio è solido. I culti organizzati corrono sempre il rischio di essere in qualche modo una regola, un'abitudine acquisita, che si fa per non venire meno agli impegni presi. Ma se da soli sentiamo il bisogno di celebrare, di raccontare ad altri della grandezza di Dio, di lodare ed adorare, allora significa che la Parola è veramente ben radicata. Non diciamo che i culti sono interrotti, ma semplicemente che il nostro riunirci organizzato fa una pausa. Questa però sarà motivo di celebrazione ancora più grande.

Cercare. Un'ultima famiglia di vocaboli. Meditare e cercare. Metto insieme questi vocaboli perché mi sembrano indicare una vera e propria brama intellettuale e spirituale di trovare verità. Questo salmista cerca l'Eterno con tutto il cuore. Medita i precetti. Le cose spirituali sono oggetto dei suoi pensieri e le tiene in alta considerazione. Vorrei che la nostra estate oltre che fatta di riposo, di viaggio, di scoperta di luoghi nuovi, fosse fatta di ricerca, di lettura di scoperta di nuove verità su Dio. Non partiamo in viaggio senza aver messo in borsa la Bibbia ed almeno un buon libro di teologia, o i riflessione sulla fede. Se non l'abbiamo mai fatto, prendiamolo come compito, come sfida per la nostra crescita personale. E se siamo dei lettori, non smettiamo. Il Signore ci chiama a cercarlo con tutto il cuore. Proprio questo termine "cercare" mi porta a concludere con l'ultimo versetto del salmo 119 che qualche giorno fa mi ha folgorato:

"176 Io vo errando come pecora smarrita; cerca il tuo servitore, perché io non dimentico i tuoi comandamenti."

Dopo tutti questi proclami il salmista finisce con parole di umiltà. Ama la legge, la vuole osservare, si dà un gran da fare. Ma in fondo è come una pecora smarrita. Ed allora, proprio perché cerca invoca che sia Dio a cercarlo perché quanto detto sopra possa essere possibile. E' la nostra preghiera per l'estate.

Esodo 14: giudizio, salvezza, redenzione.

13 ottobre 2013 alle ore 16.42
Con il passo di oggi giungiamo alla conclusione di una sessione del libro dell'Esodo, quella che riguarda l'Esodo vero e proprio e che continuerà poi con l'attraversamento del deserto. E' una fine complessa fatta di giudizio e morte, ma anche di festa e di allegria, visto che si conclude con degli inni. Non possiamo certo guardare questa scena di morte con gli stessi occhi con cui guardiamo le tristi scene di naufragio proprie della nostra attualità, perché diverse sono le coordinate e gli attori in gioco. I proprio guardano i diversi punti di vista degli attori in gioco che vorrei commentare questo passo.

1. Il punto di vista egizio.
Il Faraone è l'incarnazione del male, una figura di dittatore violento che fa di tutto per annientare la creazione di Dio riducendo gli esseri umani a cose. Nonostante le piaghe subite, i pentimenti pronunciati e l'aver chiesto a Mosè di pregare per lui, si rende conto di aver perso un popolo utile al suo strapotere: quindi parte all'inseguimento. Ci colpisce che lungo il corso dei capitoli precedenti lo abbiamo visto più volte pentirsi, cambiare idea, rasentare la follia, ma alla fine vediamo che rimane tale a come era, sebbene abbia avuto la possibilità di cambiare. La punizione divina si manifesta sotto forma di indurimento ulteriore di un cuore che ha già scelto il male, per sé e per il suo popolo. Eppure anche lui conoscerà che Jahveh è il Signore. E' convinto di essere dio lui stesso, ma capirà che non è così, e glorificherà Dio.
L'esempio di questo uomo spietato diventa il paradigma di ogni orgoglio umano che si oppone a quanto Dio ha creato, che si rifiuta di riconoscerlo e che non è onesto né davanti a Dio, né davanti agli altri né a se stesso. In particolare ci fa pensare a quanto sia facile sotto pressione pentirsi, chiedere scusa, invocare persino la benedizione di Dio per poi rifiutare tutto. Faraone è l'anti-esempio per eccellenza e il suo popolo e fa una fine misera. Ma visto che sin dall'inizio del libro, e alla luce di molti passi, abbiamo interpretato l'Egitto come un simbolo del peccato, è bello vedere che la fine di faraone è in fondo al mare. Chi ha scelto di camminare con Dio ed ha accettato che Cristo inchiodi sulla croce i suoi peccati, ottenendo il perdono, fa bene a guardare a tutte quelle forze contrarie alla vita, che cercano di attanagliarlo di riprenderlo e di schiavizzarlo, come sconfitte e giacenti su una spiaggia, morte.

2. Il punto di vista del popolo.
Il popolo è fluttuante è preso tra due colossi: una terra promessa dal Signore troppo lontana, ed un paese schiavista ma sicuro. Questo lamento del popolo non è che il primo di una lunga serie, e spesso nel deserto il popolo tornerà a lamentarsi. Eppure in questo contesto Dio non condanna il popolo, e neppure Mosè lo condanna, anzi sembra farsi portavoce del popolo che teme.
Dio ha misericordia di questo popolo perché sa bene quanto l'assuefazione alla schiavitù può incidere nelle persone. Sono persone abituate a temere e tenute in condizione di scarsa dignità. La libertà non è facile, è sempre responsabilità e coraggio. Non c'è quindi da stupirsi o da condannare un popolo che credendosi liberato vorrebbe tornare alla schiavitù perché questa dava qualche sicurezza rispetto ad un deserto vuoto. Ma Dio non condanna questo popolo, anzi lo incoraggia. Impariamo allora che i cuori non cambiano in un secondo, ma che il cammino verso la libertà è lungo e difficile e che Dio ha molta pazienza verso le persone che ha strappato dalla schiavitù per portarle alla piena dignità che Egli ha previsto.

3. Il punto di vista di Mosè.
Mosè si fa carico dei lamenti del popolo, ma Dio gli fa capire che c'è necessità di qualcuno che incoraggia, guida e che nonostante le critiche dice: Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi. Durante tutto il passe continua ad avere fede a a guidare il suo popolo con fermezza e con gli strumenti che Dio gli ha fornito.
Cristo nel vangelo di Matteo ci viene presentato proprio come il nuovo Mosè, come colui che ci porta fuori da un Egitto metaforico che non è altro che il nostro peccato, il nostro voler essere autonomi rispetto a Dio. Nel corso degli anni Dio ha continuato a suscitare in Israele delle guide che, le volte che hanno svolto bene il loro mestiere, hanno avuto una caratteristica: non hanno spinto il popolo a guardare a loro riproponendo dei faraoni, ma hanno spinto a guardare Dio. Hanno saputo incoraggiare a vincere la paura, a stare fermi e ad aspettare l'azione di Dio. La storia del popolo di Dio continua fino ad oggi, e credo che il ruolo delle guide, dei pastori, dei teologi dei dottori, dei profeti e di chiunque altro si presente come un uomo di Dio sia quello di indirizzare lo sguardo verso l'alto e non verso di sé.

4. Il punto di vista di Dio.

Mai come in questo passo vediamo Dio all'azione nelle sue funzioni più tipiche.
In primo luogo Dio è giusto, e giudice. L'immagine di Dio soltanto amore è incompleta e falsa. O meglio l'amore contiene in sé anche la giustizia, la coerenza. Questo Dio si adira giustamente contro le forze contrarie alla sua creazione scatenate da faraone e quindi punisce. Ha punito in passato punisce oggi e punirà in futuro, giudicando il male di questo mondo che noi stessi animiamo. L'idea di un Dio giusto non è un retaggio primitivo dell'antico testamento, ma una verità presente lungo tutte le scritture che ci fa avvicinare alla vita con maggiore responsabilità, perché tutto ha un senso se quello che diciamo male e chi lo compie avrà un punizione ed una correzione.
Ma Dio si presenta al contempo come colui che salva. Perché le occasioni di salvezza per gli ebrei come per gli egiziani non sono mancate. Dio si è manifestato con tutta la sua potenza, mostrandosi come il Dio liberatore, che vuole salvare il suo popolo dalle mani di un oppressore e questo benché il suo popolo possa essere in parte complice nel male che subisce. Dio non si ferma quando il popolo si lamenta e porta salvezza.
Infine Dio si presenta come redentore, perché non solo sottrae il suo popolo dal male, ma sconfigge questo stesso male e ricrea un nuovo mondo. L'immagine finale della terra che emerge riprende il passo della creazione in cui la terra viene separata dalle acque. Le forze maligne sono sconfitte e Dio ricrea un mondo nuovo. Quanto vediamo in questo passo non è che l'annuncio di quello che Cristo farà sulla croce molti anni dopo: i corpi degli egiziani uccisi non sono altro che il simbolo del male sconfitto sulla croce. Con la differenza che sulla croce è Gesù stesso a morire, quindi Dio stesso fattosi uomo che compie un'espiazione impossibile agli uomini e dando loro una vita nuova.
Il passo ci invita dunque ad abbandonarci nella mani di questo Dio per conoscerlo come salvatore e redentore, e non come giudice.

Esodo 13 Esodo passato, presente, futuro.

6 ottobre 2013 alle ore 17.36
Lo scorso capitolo, che parlava della Pasqua, ci faceva capire come una certa festa servisse a ricordare. Ricordare cosa? Che il Signore aveva liberato Israele dalla tirannia di faraone. Come? Con una festa che si ripete nel tempo, con un ritmo annuale. Anche questo capitolo insiste sull'importanza del ricordare, e non solo del ricordare: anticipa ciò che nel futuro sarà il ricordo del presente liberato e del passato prigioniero, ma attraverso un altro mezzo: la consacrazione. Tanto di uomini quanto di animali.
Quattro aspetti di questo capitolo saltano agli occhi.


1. Esodo e futuro: consacrare i primogeniti.
Dio chiede dunque di consacrargli i primogeniti di animali e uomini. Perché i primogeniti erano in molte culture antiche il simbolo della creazione, la prima cosa che viene creata; sono anche quello che abbiamo di più caro, o comunque di più atteso, e su cui il Signore rivendica la propria autorità. Ma la motivazione esplicita è singolare: bisogna consacrare i primogeniti perché "il Signore uccise tutti i primogeniti del paese di Egitto, tanto degli uomini quanto del bestiame" (15). Questo però è stato il risultato dell'indurimento di faraone, che ha provocato la morte di innocenti. Allora ciò che bisogna ricordare non è un trionfo che ha visto la morte di molti bambini innocenti: ma la liberazione del popolo ebraico da una macchina di morte, anticreazionale messa in piedi da faraone, che produceva continuamente vittime innocente, e che è cessata solo quando egli ha visto che le vittime innocenti erano le sue - di uccidere i bambini degli ebrei non gli importava. Ricordare allora questo evento doloroso significa ricordare che sono rimasti uccisi degli innocenti per il peccato di un colpevole, e che la libertà è costata cara. Allora che primogeniti di animali e uomini siano consacrati a Dio, in rappresentanza di tutti coloro che seguiranno. Vale a dire che tutti gli uomini e tutti gli animali siano consacrati a Dio. In quella cultura significava per gli uomini servire Dio in modo particolare, sia con servizi cultuali come i leviti, sia come sacerdoti. Per gli animali significava essere sacrificati, in memoria del sangue innocente. La vita di questi primogeniti è quindi pre-determinata per il Signore.
Non è facile trovare oggi paralleli a questo passo in un contesto così diverso da quello di un popolo di pastori che ha familiarità con i sacrifici ed in cui le decisioni dei genitori determinano quelle dei figli. Credo tuttavia che ci sia un forte insegnamento per quella che potremmo chiamare un'educazione alla fede: essere usciti dall'Egitto equivale ad essere usciti da un sistema di distanza di Dio e di rifiuto della propria creaturalità, (frase complicata che la bibbia spiega con l'unica e semplice parola "peccato") e essere entrati in un rapporto di dipendenza da Dio; che significa quindi di libertà dal sistema schiavista del peccato. Credo proprio come gli ebrei, chi oggi è entrato in un rapporto di amore ed amicizia con Dio, debba anche lui "consacrargli" i suoi primogeniti. Come? Dandogli ciò che ha di più importante, ciò che più gli sta a cuore. Perché anche Dio ha dato qualcosa di importante per noi, qualcuno che gli stava a cuore: suo figlio, morto in croce per noi. Che si tratti del nostro corpo, della nostra intelligenza, dei nostri soldi, del nostro tempo o dei nostri talenti, che ci stanno sicuramente cari, siamo invitati a metterli nelle mani di Dio perché se ne serva. I nostri figli faranno domande solo se vedranno questo forte attaccamento a Dio! Chiederanno: "che significa questo?" solo quando vedranno che veramente abbiamo per Dio un attaccamento così forte e profondo che farà riflettere anche loro. Non c'è educazione cristiana pari a quella della spiegazione di un esempio che ha sollevato domande. Allora si renderanno conto che il loro futuro dipende dal nostro esodo passato, che ora loro sono chiamati a vivere nel presente.


2. Esodo e presente: la via più lunga.


Significativo il fatto che il Signore fa fare un giro molto lungo al popolo invece di un tragitto cordo e rapido che li avrebbe portati in terra promessa molto prima. La spiegazione esplicita è che un'eventuale guerra con i Filistei avrebbe potuto comportare morte e scoraggiamento. Dio quindi preferisce una via più lunga ad una più breve per il bene del popolo.
Credo che molti di noi si siano spesso interrogati sul modo in cui Dio ci ha chiamati. Ci siamo forse chiesti perché in quel paese ed in quel tempo e non in un altro; perché prima e non poi, o ancora perché così tardi allorché avremmo potuto soffrire di meno. Il passo ci ricorda la grande sovranità di Dio sul nostro presente: per arrivare ad un certo obiettivo potremmo sempre trovare una via più corta e veloce, ma il Signore spesso ci guida su strade diverse e più lunghe su cui perdiamo la pazienza. Possiamo riflettere che se crediamo che il Signore è sovrano sulla nostra vita, se abbiamo riposto in Lui la nostra fiducia e agiamo secondo la sua legge, anche la relativa lunghezza delle vie percorse ha un senso. Perché ci vuole così tanto a trovare un lavoro, si chiedono tanti giovani oggi, con disperazione? Perché studiare, perché cercare? Altri potrebbero chiedersi perché aspettare il matrimonio prima di abitare insieme o di unirsi? Altri ancora, perché sono finito proprio in questa chiesa che tarda a crescere? Potremmo trovare mille esempi di vie molto più lunghe di quanto vorremmo. Senza voler banalizzare e dire che tutto va nel migliore dei modi nel migliore dei mondi, credo che questo passo ci debba far riflettere: Dio permette che percorriamo una via più lunga perché spesso ci preserva da guerre e filistei di cui non conoscevamo neppure l'esistenza.
Certo in questo passo abbiamo un vantaggio: gli ebrei seguono due colonne, che gli consentono di prendere proprio la via giusta. Eppure, una vita spirituale, una vita di comunione con Dio, deve portarci proprio a questo: a camminare come se davanti a noi ci fossero proprio dei segni tangibili di fuoco e nuvole che permettono procedere nel senso giusto.


3. Esodo e passato: le ossa di Giuseppe.


Può sembrare strano che Mosè si preoccupi di trasportare le ossa di Giuseppe - lui stesso lo aveva chiesto - nella terra promessa. Ma anche questo elemento mi sembra utile alla riflessione che stiamo portando avanti: Giuseppe era un patriarca che aspettava già a suo tempo di procedere verso una terra promessa, la stessa promessa ad Abramo. Per quanto sia morto da 4 secoli, Mosè lo porta in questa terra promessa. Perché? C'è feticismo rispetto alle ossa di un morto? Oppure pensavano che vivesse in quelle ossa benché morto? Direi di no, perché altrimenti cercherebbero anche quelle degli altri patriarchi, mentre il punto è che Giuseppe vuole che escano dall'Egitto. Si tratta del semplice fatto simbolico che la parentesi egiziana è conclusa, e che ora tutti, Giuseppe compreso partono verso la terra promessa. I conti con l'Egitto sono in sostanza chiusi una volta per sempre.
Sarebbe opportuno che noi, soprattutto se ci siamo convertiti al Signore da tanti anni, ricordassimo che il nostro Egitto deve essere chiuso. Che l'universo materiale, simbolico, ideologico che sposavamo pienamente quando vivevamo sotto il dominio dell'autonomia da Dio - torno a dire, il peccato - deve ora essere chiuso.


Come riassumere tutto: gli ebrei devono proiettarsi per il futuro ricordando che sono liberi nel presente da una schiavitù passata. Noi possiamo e dobbiamo fare lo stesso. Non sacrificando animali o appartando figli, ma avendo un cuore per il Signore che ci faccia camminare con la certezza della sua presenza nella vita presente, perché abbiamo chiuso con un passato senza di noi.


Esodo 12 La Pasqua e la Cena

29 settembre 2013 alle ore 20.06
Il capitolo 12 dell'Esodo racconta un momento cruciale e centrale dell'intero libro: è il momento in cui l'idea di esodo, che intendiamo come movimento liberatorio da uno stato di prigionia ad uno di libertà, si realizza. Il valore storico e simbolico di tutto quello che accade è molto forte, come sono intensi i parallelismi con quello che, molti secoli dopo, accadrà nella Pasqua dell'anno 33 dopo Cristo: Gesù decide di morire proprio il giorno in cui gli ebrei festeggiavano la loro festa principale in un contesto di liberazione, legata però ad un evento tragico.
Si tratta di un rito così ricco di significati e di simboli che dovremo fare una selezione. Vorrei concentrarmi su quattro aspetti di questa Pasqua, che saranno direttamente collegati ad aspetti significativi di quella festa che ogni domenica facciamo con la cena del Signore.

1. Ristrutturare il tempo: la storia della fede, la fede nella storia.

Prima ancora che l'esodo sia avvenuto, attraverso la morte dei primogeniti egiziani, il Signore parla a Mosè indicandogli le modalità secondo cui celebrare la Pasqua. Similmente Gesù istituisce quel rito che chiamiamo "Santa Cena" prima di morire, e con questo annuncia la sua morte. Siamo abituati a pensare a questi momenti come atti di commemorazione, mentre sono nati come atti quasi profetici: descrivono ciò che avverrà in futuro! Molta teologia e molta critica tende a vedere nei riti delle usanze volte a ricostruire un passato mitico, per confermare un'identità di popolo ed "inventare" una storia". Credo invece che sia molto importante sottolineare il valore storico di questi riti: non sono stati inventati dopo dei fatti storici per giustificare dei credi o delle pratiche, ma addirittura prima, per tracciare il corso della storia.
Sia per la Pasqua che la santa cena è molto importante conservare, quando le si celebrano, l'elemento storico che hanno determinato e che commemorano: perché la fede ebraica prima e cristiana poi, non è fatta di pura spiritualità, ma entra con forza nel tempo, nel divenire dell'umanità e poggia su fatti storici.
Uno dei maggiori problemi riguardo alle feste è che facilmente ne perdiamo di vista il significato. Del resto abbiamo talmente tanti giorni festivi che sarebbe difficile ricordare il significato preciso di ognuno di questi. Come cristiani sforziamoci di ricordare sempre queste feste con convinzione e certezza, senza mai ritualizzarli, facendoli diventare ricorrenze fini a se stesse, di cui si perde il significato. Sono atti che ci raccontano la storia della fede di alcune persone. Ma questa fede ha senso fintanto che noi abbiamo fede nella storia, altrimenti sono favole.

2. Il sangue.

Il ruolo del sangue in questo rito è molto forte. Il sangue dell'agnello con cui si segnano gli stipiti delle porte sarà visto, come segno, dal Signore che passerà oltre e non colpirà gli ebrei. Importante notare che non c'è alcun significato apotropaico, o superstizioso rispetto al sangue come elemento materiale: non serve per scongiurare, o proteggere per una qualche sua virtù magica, ma perché è un segno di una violenza subita da una vittima innocente che paga al posto di un altro. Un elemento della creazione che è simbolo di vita, il sangue, serve per procurare la nuova vita, cioè la redenzione. Ugualmente nella cena il vino, simbolo di vita ed allegria, rappresenta il sangue versato da una vittima innocente, questa volta Gesù, l'agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo. In assoluto Mosè e gli ebrei non sono innocenti; ma Dio ha pietà di loro e sceglie di salvarli con un atto sovrano. Lo stesso vale per l'umanità intera davanti alla croce di Cristo. Nessuno è innocente, ma Cristo decide di morire per l'umanità. Chi crede nel valore di questa morte conoscerà una vera Pasqua: la morte passerà oltre, non lo colpirà: perché è entrato già in questa vita nella vita eterna, e dopo la sua morte fisica continuerà a vivere in Cristo.

3. Un rito veloce: pani azzimi, calzari e fretta.

L'intero rito è caratterizzato da una certa fretta sia simbolica che materiale. Il pane è azzimo, perché non c'è tempo perché il lievito entri in azione; il pranzo va consumato in piedi, con i calzari ed il bastone utili a camminare. Forse questa stessa fretta non la troviamo nella cena istituita da Gesù, ma in fondo se paragoniamo questo semplice pasto ad una lunga funzione, potremmo dire che non dura poi tanto. Perché questo passo che dice: "mangiatelo in fretta!"? (11) Il Signore ci vuol dire che non c'è tempo da aspettare per cogliere la libertà! L'esodo è un momento preciso e puntuale di una storia di salvezza: un momento che ricorda una liberazione che poi finisce e che continua in una vita libera. Ma il momento della liberazione è concluso, e va colto rapidamente. Anche il passaggio del pane e del vino in fondo sono relativamente veloci, e occupano meno tempo di quello di un lungo pranzo nuziale. Il Signore nel presentare i suoi simboli ci invita a non perdere né tempo né occasioni: la libertà si presenta ora e potrebbe non ripresentarsi. Gli ebrei che indugiano, che non tingono gli stipiti, o che rimangono indietro potrebbero perdere la strada per l'esodo. Allora non diciamo di no alla salvezza che Dio ci regala morendo per noi.

4. La grande folla ed Israele.
il v. 38 ci mostra un dettaglio che passa facilmente inosservato. Gli ebrei non se ne vanno da soli dall'Egitto. C'era con loro una grande folla con gente d'ogni specie, il che non esclude che ci fossero pure degli egiziani. Probabilmente gli immigrati in Egitto erano numerosi, ed oltre agli ebrei c'erano altre popolazioni. Questa folla beneficia della stessa benedizione degli ebrei. In altri termini, la redenzione di Israele non si limita al popolo di Israele, ma è benedizione e redenzione per le altre popolazioni. Soltanto permangono dei segni distintivi, ed in questo caso la circoncisione. E' molto bello vedere che non c'è alcuna preclusione nei confronti degli stranieri, e che se lo desiderano possono tranquillamente circoncidersi, che in questo contesto equivale a riconoscere il valore e la realtà di JHWH, il Dio degli ebrei. Anche noi, crediamo sia giusto che consumino la cena del Signore le persone che hanno un segno dell'appartenenza al corpo di Cristo, che è quello del battesimo, da adulti, per immersione. Partecipa alla cena chi è battezzato non perché il battesimo conferisca alla persona qualche potere magico, ma semplicemente perché con quel battesimo ha dichiarato pubblicamente di avere capito il senso della cena del Signore. Nondimeno la cena la si celebra tutti insieme. E chi non la prende, ma vede passare questi simboli, vede l'annuncio della vita.

Conclusione: v. 27 Il popolo si inchinò ed adorò; "Dopo che ebbero cantato gli inni uscirono per andare al monte degli Ulivi" (Mc 14,26).
Ieri come oggi il ricordo dell'azione di Dio in nostro favore ci spingi ad inchinarci e ad adorare.

Esodo 10-11: Contro la creazione

22 settembre 2013 alle ore 19.22
Con questa lettura si conclude il ciclo delle piaghe preparatorie all'uscita degli ebrei dall'Egitto, ed alcuni tempi portanti raggiungono il culmine. Mi pare che quello che accomuna queste tre piaghe finali sia proprio il fatto di portare a termine dei motivi che ritroviamo lungo tutto il ciclo delle piaghe. Il faraone è ormai alla fine della sua resistenza e si trova contro i suoi stessi servitori; gli ebrei sperimentano sempre di più la protezione del Signore nel bel mezzo della sofferenza più cruda; le piaghe diventano sempre più totalizzanti e dolorose. Nonostante ciò il cuore del faraone non si piega.
Che cosa possono dirci queste tre catastrofi?

1. La teologia della creazione negata dal faraone.
Sin dall'inizio abbiamo messo in evidenza il rapporto forte esistente tra Genesi ed Esodo. L'esodo inizia narrando la fedeltà del Dio che ha creato e che continua a proteggere i figli di Israele che diventano popolo. Il faraone, che faraone è un dittatore spietato, commette una serie di atti che sono contrari alla creazione: ha paura del moltiplicarsi degli ebrei, quindi teme proprio le promesse realizzate della creazione, e per fare questo stermina i primogeniti, opprime i suoi servitori e si crede un dio in terra, pensando di essere lui il creatore. Porta quindi attentato alla creazione e Dio in modo "ipernaturale" più che soprannaturale, lo punisce: moltiplicando esponenzialmente l'energia della delle diverse forze del creato, con insetti, malattie ed altro. In queste ultime tre piaghe i motivi che sembra portare alla negazione della creazione, come punizione contro faraone, raggiungono un punto apicale: al v. 15 ci viene quindi detto che le cavallette coprirono la superficie del paese, divorarono tutta l'erba, tutti i frutti e che non rimase nulla di verde né sugli alberi né sulle erbe. Questa descrizione ci rimanda a quella che troviamo all'inizio della Genesi, nel terzo giorno, della creazione della vegetazione, ed è proprio specularmente opposta. In seguito, la piaga delle tenebre ci rimanda alla negazione del primo giorno, quando Dio creò la luce, con una forte tendenza verso il caos buio primordiale. Infine, la piaga che colpisce i primogeniti è simmetrica a quella che il faraone voleva infliggere ai figli di Israele, negando loro la vita.
Faraone uccide la vita e la meraviglia della creazione, ma proprio la forza presente nella creazione gli si riversa contro ed uccide la sua vita.
Mi viene da pensare che l'epoca in cui viviamo noi, il XXI secolo, per lo meno in questi suoi primi 13 anni, ha dei tratti profondamente anticreazionali che preoccupano. Penso alla crisi: una crisi che uccide soprattutto il lavoro, attività fondamentale nel mondo della creazione, e che toglie speranze soprattutto ai giovani. Penso alla crisi delle famiglie, altro istituto voluto durante la creazione e alla difficoltà anche economica di costruire una famiglia. Penso anche alla confusione di generi, che senza voler entrare in una lunga polemica disorienta molti giovani e viene gestita male, producendo o frustrazioni o compromessi. Ovviamente è difficile in tutto ciò trovare un faraone, un responsabile unico, perché si tratta di un intero sistema che ha molti capi, molti ideologi e che sembra più una rete che non una piramide. Credo che la lettura di come finisce la storia delle piaghe, senza pensare a paralleli immediati nei metodi, sia quella di una vittoria finale di Dio proprio laddove le istanze creazionali vengono negate. Non intendo dire banalmente che alla fine il male trionfa, ma che attraverso molte sofferenze l'ultima parola della storia rimane a Dio. A questa certezza, come credenti, ci aggrappiamo con forza e la gridiamo ad alta voce.

2. Il grido di dolore e gli innocenti.
Il male dunque avanza e raggiunge punte estreme in queste ultime piaghe. C'è però un fatto che mi pare particolarmente significativo, ma anche problematico. Ed è il grido di dolore che si solleva dall'Egitto per la morte dei primogeniti. E' una punizione violenta, efferata, che colpisce anche il bestiame, ma soprattutto che colpisce degli innocenti... I primogeniti sono bambini, o comunque anche bambini. Come è possibile coinvolgere loro che apparentemente non c'entrano niente? Proprio il fatto che gli innocenti vengano toccati ci aiuta a capire la natura perversa del male. Il male è tale proprio perché implica dei terzi innocenti. Immaginiamo un mondo in cui ognuno quando fa il male, lo fa solo a sé, o al suo Dio, ma mai agli altri. Sicuramente sarebbe un male minore. Ma il male ha proprio questo paradosso: il fatto che siamo liberi di fare il male significa proprio che degli innocenti vengono coinvolti nel nostro male. Ed il responsabile ultimo di questo sterminio non è Dio, ma faraone che continua ad indurirsi e ad infierire sugli ebrei, provocando un male sempre più ampio.
Ne traggo una semplice lezione che mi fa stare molto attento ai miei passi. Quando faccio qualcosa di sbagliato di male, a partire dalla violazione del codice della strada, al non pagare le tasse sino alla liberazione degli istinti peggiori di rivalsa, orgoglio o invidia, coinvolgo sempre degli innocenti in un processo che potrebbe essere per loro fatale. Fuggiamo dunque il male, non solo per noi, ma per le inevitabili ripercussioni che ha attorno a sé.

3. Il cambiamento di opinione.
C'è un dato curioso in questi due capitoli: un primo fatto è che i servitori egiziani del faraone, dopo le numerose piaghe, forse anche solo per opportunismo, consigliano il loro re di lasciare partire in pace questi ebrei per fare i loro sacrifici. Faraone accetta, poi ritratta, poi li vorrebbe lasciare solo in parte, senza bambini, senza bestiame ecc. Più avanti (11,3) ci viene detto che gli ebrei ottengono il favore degli egiziani, dei servitori di faraone e che Mosè era tenuto in alta considerazione dal popolo. Certo che il popolo rimane colpevole di non essersi ribellato al suo re, ma è interessante vedere che cambiare idea era possibile, nonostante il regime assolutista in cui questo popolo viveva e nonostante vedesse nel faraone un Dio in terra.
Questo elemento ci fa capire che le piaghe a qualcosa sono servite. A forza di cascare la goccia scava, e se il cuore del capo rimane indurito, ed anzi si indurisce progressivamente, i suoi servitori cambiano idea. Il male, nel mondo segnato dal peccato, cioè dalla scelta umana di vivere in modo autonomo - ancora una volta opzione contraria all'armonia originaria della creazione - è inevitabilmente presente, ma Dio può servirsene per rivelare la sua grandezza. All'inizio del capitolo 10 c'è un passo significativo (10,2) che dice che i segni fatti da Dio verranno raccontati ai figli di Israele, che conosceranno la sua grandezza. Pare brutto a dirsi, ma anche la punizione del male è un segno della potenza di Dio, e forse in molti casi vorremmo vederla dispiegata oggi per punire altri dittatori, ed oppressori di popoli. Forse oggi ci poniamo un problema diverso ed opposto, cioè perché non ci sono sempre piaghe nei confronti di dittatori malvagi che rovinano i loro popoli. Non abbiamo risposta a questo quesito, ma anche qui abbiamo una speranza: le mentalità possono cambiare, il cuore delle persone può cambiare, i più ferventi sostenitori di una dittatura possono cambiare idea. Ancora una volta osserviamo che con mezzi diversi Dio è Signore della storia e che anche il male che accade può portare, nei casi in cui porta a vedere le conseguenze di un'azione, gloria a lui.

Esodo 9

15 settembre 2013 alle ore 17.45 
Il libro dell'Esodo ha numerosi elementi di grande attualità, primo tra tutti quello della libertà. Ma non si ferma a questo: i racconti delle piaghe, di cui abbiamo già visto molto, ci fanno riflettere sul rapporto uomo/ambiente che è forse uno dei maggiori motivi di discussione del nostro tempo. Certamente non è l'ambiente che è in vista per l'autore biblico, ma le implicazioni di questi racconti arrivano fino a noi per farci pensare.
La prima di queste tre piaghe riguarda ancora degli animali, ma diversamente dagli animali precedenti (rane, mosche e zanzare che non sono direttamente utili, né piacevoli) si tratta di bestiame, cioè di fonte di nutrimento ed energia per la società di quel tempo e colpirlo significa paralizzare un paese. Si accentua la protezione che l'Eterno provvede per gli ebrei il cui bestiame non muore; cosa che significa che gli egiziani saranno costretti a mendicare aiuto dai loro sudditi.
La seconda piaga riguarda un elemento vitale come l'aria, interamente inquinata da questa polvere che provoca ulceri, che aggravano la malattia del bestiame oltre che delle persone. Fa pensare alle nostre polveri sottili che neppure vediamo - Lucca sembra essere la seconda città in Italia per inquinamento da polveri sottili - e che sembrano essere potenziale fonte di tumori. Neppure i maghi di faraone riescono a bloccarla, cosa che dovrà spingere ulteriormente faraone a chiedere il soccorso di Mosè.
Infine una grandine spaventosa, quasi soprannaturale perché è mista a fuoco e mirata in modo ancora più deciso su faraone: "manderò tutte le mie piaghe sul tuo cuore!" (9:14). Il senso di questa piaga viene esplicitamente spiegato: serve a convincere faraone che non c'è nessuno pari al Signore, che lui potrebbe tranquillamente essere spazzato via ma che ha ancora possibilità di ravvedersi. Il faraone sembra aver capito e pentirsi. E invece no, alla fine fa di nuovo marcia indietro.


Mi colpiscono tre aspetti di queste piaghe.


1. Le piaghe oggi ce le cerchiamo.
Mi colpisce pensare che questi cataclismi che colpiscono l'ambiente in modo significativo, rendendo la vita impossibile e preannunciando catastrofi ancora più gravi, come sarà lo sterminio degli egiziani nel mare rosso, erano in fondo delle punizioni mandate da Dio agli egiziani, e sono determinati da un'irruzione di Dio nella natura: sono soprannaturali, miracolose. Noi oggi, nel male, riusciamo tristemente a fare meglio di Dio... Inquiniamo, sporchiamo e roviniamo il pianeta che Dio ci ha dato, con effetti che alla lunga possono diventare simili a quelli delle piaghe che Dio manda a faraone per punirlo. Non so se questa nostra lentezza nel capire le cose, questi effetti collaterali del progresso di cui siamo umanamente orgogliosi, venga punito da Dio con le piaghe che ne conseguono... Fatto sta che come essere umani dovremmo riflettere: riusciamo a farci del male anche laddove Dio non ci punisce esplicitamente.
Ogni credente ha una responsabilità nei confronti del creato. Se è pensabile che questo sia deturpato da Dio stesso nel momento in cui punisce un popolo, è assurdo che noi stessi lo roviniamo per pigrizia, noncuranza, o puro interesse economico.


2. Mosè resiste.
Il fatto che il cuore del faraone si indurisca, sia per conto suo sia perché il Signore stesso gli indurisce il cuore punendolo, è ripetuta tre volte in questo capitolo, e precisamente alla fine di ogni piaga. La stessa affermazione accompagnava la conclusione di altre precedenti piaghe e rispetto a questo continuo illudere e ritrattare di faraone mi colpisce la costanza di Mosè. E' vero che sa già che faraone avrebbe resistito, è vero anche che inizialmente si era scoraggiato e che poi è stato rialzato da Dio stesso (cap 6), ma il continuo far intravedere la luce della libertà per poi rioscurarla produce stress psicologico ed emotivo sia per Mosè che per tutto il popolo. Come non credere ad una persona che dice: "Questa volta io ho peccato: il Signore è giusto, mentre io e il mio popolo siamo colpevoli. Pregate il Signore perché cessino questi grandi tuoni e la grandine. Io vi lascerò andare e non sarete più trattenuti" (9, 27-28)?
Eppure Mosè, nonostante la continua frustrazione della speranza non si lascia scoraggiare. Perché? Perché Mosè ha preso sul serio la parola del Signore. Ha creduto fino in fondo e poco importa se la promessa tarda a realizzarsi. Per altro è consapevole di questo ritardo della promessa perché Dio gliel'ha detto.
Mosè che resiste è il nostro modello di resistenza. Dio non ha mai detto che il mondo in cui viviamo è fatto di bene e di felicità, ha detto piuttosto che è fatto di sofferenza e di menzogne. Ha però promesso che questo male un giorno cesserà per un suo intervento soprannaturale, ma nella storia, che metterà fine alla presenza era, instaurandone una nuova, che comincia con un giudizio e che continua in una vita in armonia con Lui. Mosè va avanti perché crede. Noi dobbiamo ugualmente andare avanti, credendo alla verità delle profezie bibliche: Dio c'è ed interviene!


3. Il tempo dell'opportunità.
Tra le cose che il Signore dice a Mosè per spiegargli come deve annunciare la piaga della grandine a faraone mi ha fulminato la seguente affermazione: "Se avessi steso la mia mano e avessi percosso di peste te e il tuo popolo, tu saresti stato sterminato dalla terra. Invece io ti ho lascito vivere per questo: per mostrarti la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato su tutta la terra" (9,15-16).
Pur nel bel mezzo di queste piaghe faraone è oggetto della più prema grazia di Dio. Dio crea e distrugge, come vuole Lui e non abbiamo diritti davanti a Lui. Avrebbe potuto sterminare e punire un dittatore spietato che ha oppresso un popolo debole, che in passato aveva anche fatto la grandezza dell'Egitto. Invece di punirlo lo lascia in vita per fargli vedere la sua potenza.
Non solo! Durante la grandine, chi vuole può proteggersi: chi vuole può proteggersi in casa e si salverà. Ma molti snobbano la parola di Mosè e muoiono quando avrebbero potuto salvarsi.
Faraone non sa cogliere le opportunità che il Signore gli offre. Questo è un interrogativo per l'umanità di oggi: ci rendiamo conto che Dio potrebbe facilmente annientarci, levarci dalla faccia della terra, eppure lascia il mondo in vita e continua ad aspettare che la sua grazia sia recepita?
Anche a noi oggi viene tesa una mano: possiamo riparaci nella casa di Dio, per impedire che la grandine dell'incredulità, la grandine del pessimismo, la grandine del non senso ci copra facendoci perdere di vista la speranza di una vita liberata da D

Esodo 8

Rane, zanzare e mosche...

1 settembre 2013 alle ore 14.42

Riprendiamo i nostri incontri con un testo particolarmente adatto all'estate, visto che volge al termine e ci piacerebbe restarci dentro ancora un po': la Parola di Dio, stranamente, ci parla oggi di animale fastidiosi o riprovevoli come le rane, le zanzare e le mosche...
Sono infatti questi semplici animali che vengono usati come vere e proprie piaghe punitive nei confronti degli egiziani oppressori degli ebrei. A pensarci bene questo testo, oltre che ripugnante, è parecchio comico... Pensate un po' al ribrezzo o al fastidio di questa enormità di piccoli animali, di per sé piuttosto innocui, che provocano tanto male ad un popolo; probabilmente il senso che si vuole trasmettere va al di là del fastidio fisico e ci porta a pensare al carattere premonitore che questi segni hanno per gli egiziani. Valutiamo ognuna di queste piaghe per capire come esse possano parlarci ancora oggi.

1. Le rane che coprono: castigo e grandezza di Dio.
Tra le tre piaghe è forse la più comica e sarebbe divertente immaginare un quadro con questa scena ricca di rane che traboccano da tutte le parti. Quali sono le peculiarità di questa piaga? Intanto è significativo che un normale animale, né velenoso né nocivo per l'uomo diventi una minaccia. Anche le cose più normali, se moltiplicate all'infinito diventano nocive e dannose. E' il primo segno che i maghi riescono a ripetere, ma non riescono a fermare, per cui il faraone è costretto a chiedere l'intervento di Mosè per calmarlo. Mosè, e di conseguenza Dio, accetta di sottostare ai tempi decisi dal faraone, che chiede lo stop del fenomeno per "domani", e per quanto il fenomeno si arresti rimane uno strascico fastidioso: i cadaveri delle rane che inquinano il paese.
Credo che l'insegnamento centrale di questa piaga sia nella cecità di faraone che non riesce a vedere i segni premonitori che questa piaga implica. Faraone, come abbiamo visto, è vittima di un'allucinazione di potere, si sente un dio in terra capace di tutto. Sicuramente non sono animali semplici come le rane a fargli paura, e se così fosse la cosa susciterebbe il riso, ma non prevede che questi semplici animali riprodotti all'infinito potranno diventare un blocco per il paese interno; ugualmente non coglie il senso dell' "essere coperti". Analizzando questi passi dell'Esodo è opportuno tenere d'occhio le scelte lessicali fatte dal narratore che usa il verbo "coprire" (8:6"Le rane salirono e coprirono il paese) in questo passo e lo riusa più avanti nel passo fatale di Esodo 14, 28, in cui è detto che le acque "coprirono" gli egiziani. Il faraone non sa vedere che questo male ne annuncia uno peggiore, che significherà la morte di molti egiziani, e il suo errore sta nel non voler cedere alla richiesta di Mosè. Infatti il fine della piaga sta proprio nel far capire a Faraone che "non c'è nessuno pari al Signore". (8, 10). Ma per capire questa grandezza del Signore pagherà caro e farà pagare caro al suo popolo.
Osservando questa piaga mi viene da fare una considerazione: la piaga condiziona gli ebrei, ma anche gli egiziani. Sia l'invasione che i cadaveri delle rane sono un danno per entrambi i popoli. La differenza è lo sguardo che ognuno dei due popoli portano su questo male: gli ebrei come un male transitorio e punitivo controllato da Dio, gli egiziani come una sciagura. Questo ci può aiutare ad avere una comprensione diversa di alcuni mali che vediamo, imparando a pensare che comunque Dio è sovrano su questi mali. Forse le rane hanno ucciso anche qualche membro del popolo ebraico, ma quello che hanno in vista Mosè ed i suoi è più alto del semplice sguardo e questo li aiuta a resistere durante il flagello. Non voglio generalizzare e dire che qualunque sciagura che vediamo sia il dito punitore di Dio, ma semplicemente riflettere sul fatto che un male può avere un suo fine in base a come lo interpretiamo.

2. Le zanzare e la terra.

Le zanzare sono forse l'esperienza di fastidio più comune che proviamo durante l'estate. A meno che non siano portatrici di malaria non sono particolarmente pericolose, ma danno un gran fastidio.
Hanno, in questo passo, la particolarità di venire dalla terra e di presentarsi come uno sciame estremamente numeroso. Da come dice il testo sembra che non esista più polvere, terra instabile nel paese e che tutto questo sia divenuto zanzare. I maghi finalmente davanti a questo segno cedono e confessano che è il dito di Dio, ma faraone rimane sordo. E' un fatto curioso perché finora i maghi sono stati i consiglieri di faraone, coloro che gli fanno credere di essere comunque all'altezza di Mosè, di poter contendere con il Dio creatore del cielo e della terra. Ma qui proprio questi suoi consiglieri cedono e lui non li ascolta.
Il fatto che sia la terra a diventare zanzara ha una portata simbolica molto forte. La terra, un po' come erano l'acqua ed il sangue, è un simbolo di vita. Questo simbolo di vita viene trasformato in causa di grande fastidio, di vita sì, perché anche le zanzare sono esseri viventi, ma di vita fastidiosa, di vita non piena e continuamente tormentata. Il faraone questa volta si limita a non dare ascolto e non chiede niente a Mosè ed Aronne e piuttosto che dare loro ragione preferisce vivere con questo fastidio addosso.
Non possiamo nasconderci che anche la nostra vita conosce momenti simili. A livello di pianeta mi pare che l'esperienza della trasformazione della vita in morte sia esperienza comune di tutti noi. Certo il testo presente non ha certo preoccupazioni di tipo ecologista, tuttavia mi sorprende notare come è attento nel parlare delle conseguenze dell'ambiente sugli esseri umani. Noi, un po' come faraone, vediamo il nostro pianeta che viene progressivamente distrutto, proprio la terra, che potrebbe essere coltivata sparire e diventare minaccia di morte, un po' come queste zanzare, eppure facciamo come faraone: gli ecologisti troppo preoccupati vengono ignorati e chiamati catastrofisti. Faremmo forse bene a pensare quanto è rischioso lasciare che la nostra terra si trasformi a nostro scapito, facendo sì che ci produciamo da soli dei danni.
Peggio ancora quando questo si produce sul piano spirituale. Penso che la morale di questa piaga sia: stiamo attenti ai magi! Che significa? Mi pare che la nostra società occidentale, proprio come faraone, sia affetta da fortissima miopia spirituale e sia spesso sorda anche ai richiami dei suoi stessi profeti. Quanti giornalisti, filosofi, economisti che magari non hanno niente a che vedere con la fede cristiana dicono che questo mondo scricchiola, che è in "crisi"? La soluzione per il mondo non è interna, è esterna ed è in Dio. Non abbiamo una piaga delle zanzare, ma sia l'ambiente che l'economia, che la salute sono segni che ci devono spingere a pensa che questo mondo non è sufficiente a se stesso. Il faraone commette l'errore di credere questo, come ogni dittatore si sente autonomo e vive di un'illusione autoreferenziale: al di là del mondo c'è solo lui. I suoi profeti, i magi che non credono neppure in Dio, gli suggeriscono che quei segni sono il dito di Dio. E' la stessa cosa che dobbiamo pensare noi come società del 2013: la soluzione non è in un miglioramento dell'economia, della salute o della medicina, ma in un volgersi dei cuori a Dio, causa esterna ed ultima del mondo e di ognuno di noi.

3. Le mosche velenose, ma non per Israele.

Anche questo segno riguarda un animale. Questa volta ancora peggiore, perché velenoso e non solo fastidioso. Non sappiamo se siano vespe, tafani o le famose mosche tze zte, sta di fatto che questi animali producono un male ancora maggiore e viene detto che il paese ne fu devastato (24). Questa volta è Dio che parte in contro attacco, e fa annunciare al faraone la piaga prima ancora del suo rifiuto; il faraone cede ed inizia a concedere permessi che poi ritira. Addirittura chiede a Mosè di pregare per lui, anche se alla fine non si piega. Pare di vedere quelle storie di persone che prima di piegarsi a Dio devono passare per le sciagure peggiori, ma un ulteriore elemento rende questa piaga ulteriormente diversa dalle precedenti: con rane e zanzare non viene detto che il popolo di Israele sia preservato, mentre qui le mosche non toccano gli ebrei ritirati nel paese di Goschen.
Traggo un insegnamento importante rispetto a chi ha scelto la fede nella vita. Il male per chi crede è fastidioso, ma non fatale. I faraoni di questo mondo, che siano oppressori umani o malattie, o situazioni spiacevoli sul piano lavorativo o altro rattristano, affliggono, devastano, ma non uccidono. Gli ebrei sia ora che con il mare rosso saranno liberati, salvati e questo è ciò che Dio ci dice in questo passo. La morte non ha l'ultima parola, perché il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù. Chiunque si aggrappa a Cristo scegliendo di farlo signore della sua vita conoscerà piaghe fastidiose ma non certo la morte spirituale, e definitiva perché regnerà con Cristo nell'eternità. Non è un semplice contentino per chi sta soffrendo ma la base di speranza su cui fondiamo la nostra vita.
Ultimamente abbiamo pregato per i nostri fratelli in Egitto che in un momento di instabilità istituzionale subiscono vessazioni e maltrattamenti da parte degli integralisti islamici. Siamo sempre in Egitto e molte cose sono cambiate, ma rimane il fatto che una minoranza viene perseguitata da una maggioranza per questioni di fede. Ebbene, la speranza per questi fratelli e che esiste un Goscen spirituale che li preserva dalla morte definitiva, anche se vengono uccisi, se le loro chiese vengono distrutte e se la loro vita è in pericolo. Perché Cristo è venuto per dare la vera vita, che il paese di Goscen non fa che anticipare.
Sentiamoci quindi parte di un Goscen spirituale in cui siamo protetti dal male.

Esodo 7. Contro la creazione

23 giugno 2013 alle ore 17.27
 

Punto della situazione: qual è il peccato di faraone
Facciamo un breve punto della situazione: ci troviamo in una fase del racconto importante, perché viene introdotta una nuova lunga sezione, quella delle piaghe. Vale la pena quindi ricordare il perché di queste piaghe, e in cosa consista esattamente il peccato di faraone. Dio non ce l'ha né con gli egiziani, né in particolare con i faraoni. Nel libro della Genesi Giuseppe trova rifugio presso l'Egitto e diventa amico del faraone di quel tempo con grosse benedizioni sia per l'Egitto che per i figli di Israele. Il libro dell'Esodo comincia sottolineando la realizzazione delle promesse fatte da Dio nel libro della Genesi: il popolo di è moltiplicato, è cresciuto. La creazione descritta nei primi capitoli è esplosa in una moltiplicazione che ha dato vita ad un popolo. Ma il presente faraone lo vuole annientare. Vorrebbe distruggere la creazione, agire come forza distruttrice. E' in questo il suo peccato. Possiamo allora dire che Dio si oppone a qualsiasi ideologia distruttrice della creazione, disumana in quanto contraria a quella vita che Dio stesso ha creato. Nei primi capitoli il faraone tenta infatti di bloccare la crescita di questo popolo, di sterminare i suoi primogeniti e di fermare quindi il procedere della creazione. Per questo è punito.


1. Parlare contro le forze distruttrici
Il capitolo comincia con un'affermazione teologicamente molto forte: "Io ti faccio come Dio per i faraone, ed Aronne sarà il tuo profeta". Non è poco da parte di Dio dire che un uomo sarà come un Dio, e che avrà dei profeti che parlano per bocca sua. In qualche misura è un anticipo dell'incarnazione che sarà completa in Cristo molti anni dopo, ma ci serve ad avvicinarci ad un'idea forte del libro dell'Esodo: Dio si avvicina all'uomo, entra in contatto con lui e lo rende più vicino a Dio. Quindi più uguale a Dio. Lo rende pienamente partecipe del suo piano. Dio potrebbe mandare direttamente le piaghe sull'Egitto, senza passare da questi numerosi dialoghi tra Mosè e Aronne con faraone, schiacciando così le forze anti-creazionali del faraone. Preferisce farlo implicando Mosè ed Aronne a partecipare al progetto di Dio, e dice chiaramente che agiscono come rappresentanti di Dio.
Se noi nella nostra società abbiamo la forza ed il coraggio di parlare contro quelle forze disgregatrici e disumane che agiscono nel nostro mondo, se diciamo di no alla pena di morte, se diciamo di no alla violenza e alla guerra, se ci alziamo in difesa di deboli ed oppressi è proprio perché sentiamo che queste forze agiscono contro un progetto divino ben preciso: fare crescere e moltiplicare la vita sulla terra, e poi farle conoscere chi è il vero Dio.
Nel nostro mondo esistono degli ambasciatori. Questi hanno il ruolo di rappresentare un intero paese agli occhi di un altro, quindi se l'ambasciatore della Turchia dice qualcosa alla stampa italiana, si fa portavoce della Turchia, di quel governo e di tutti i turchi. Forse ci sembra strano, ma Dio chiede a chi lo riconosce e vive per lui di essere suo rappresentante, e magari di mandare in giro anche qualche profeta per affermare la sua verità. Annunciamo allora il vangelo: contro le forze disgregatrici del mondo esiste la forza di Dio che ha creato il mondo, e ha dato suo figlio per lui per ri-generarlo una volta che questo si è allontanato da lui.


2. Parlare annunciando un giudizio
Indurimento divino ed umano 7,3 e 7,13 7, 22
Quando il male raggiunge il suo culmine Dio interviene in modo drastico. Abbiamo già parlato dell'indurimento che si produce nel cuore di faraone, ma ci torniamo. Interessante in questo capitolo osservare due aspetti. Dio dice al v. 3 che egli indurirà il cuore del faraone e che moltiplicherà segni e prodigi. Tuttavia, quando leggiamo il racconto notiamo ai vv. 13 e 22 che il cuore del faraone si indurì. Non viene detto che sia stato il Signore ad indurirlo, come invece accadrà più avanti. Possiamo allora dire che il faraone si indurisce da solo, con piena responsabilità e per colpa solo sua, e che Dio, proprio per questo suo indurimento accentua, incrementa questo indurimento perché la punizione che ne deriverà sia ancora più prolungata e incisiva. C'è un chiaro controllo di Dio su ogni situazione, ma una chiara responsabilità di ogni uomo nel fare il suo male individualmente.
Ci piacerebbe poter essere categorici e dire che tutto dipende da Dio o tutto da faraone. Ma non è così. Vediamo che il controllo divino è misto alla responsabilità umana e questo ci deve far capire bene due cose. Primo, che Dio non si accanisce contro nessuno in modo arbitrario. Secondo , che quando un essere umano si erge come sterminatore della vita, come forza contraria alla creazione che Dio ha voluto, prima o poi Dio interviene. Ci sono dittatori che hanno rovinato popoli, e che apparentemente continuano a farlo. Altri invece rovinano, come Gheddafi, Hitler, o Mussolini. Chissà cosa ne sara di Bashar El Assad. Ma è importante dare un messaggio di speranza: i distruttori della creazione non avranno l'ultima parola. Dio prima o poi interverrà. E non interverrà solo sul piano politico. Il peggio distruttore della vita che conosciamo è Satana, colui che la Bibbia inquadra come il nemico di Dio, colui che fa di tutto per allontanare dalla vera vita l'umanità. Se Mosè rappresenta DIo, il faraone in qualche modo rappresenta il maligno, il male distruttore. Il vangelo dell'Esodo sta nel dire che questo male sarà abbondantemente sconfitto. Con indurimenti di cui pagheranno le conseguenze tutti gli uomini. Ma non avrà l'ultima parola.


3. Il carattere premonitore dei segni e delle punizioni.
Veniamo ora ai segni veri e propri. In questo capitolo abbiamo un primo segno, quello del serpente, ed una prima piaga, che anticipa lo schema delle successive. E' importante notare il carattere premonitore e simbolico di entrambi. Il bastone che diventa serpente, dovrebbe servire a faraone a capire che gli inviati di Dio che hanno davanti hanno in mano la morte e la vita: il bastone simbolo di guida e correzione, diventa un serpente simbolo di morte. Ma il faraone si rifiuta di capire questo e fa ripetere lo stesso atto ai suoi maghi. Il fatto che i serpenti prodotti dai maghi vengano ingoiati da quello di Aronne non sta ad indicare la superiorità di questo, come se si trattasse di una guerra tra chi è più forte: anticipa un fatto ben più grave per gli egiziani: il verbo "inghiottire" è usato in seguito per parlare del mare rosso, che inghiotte gli egiziani. In altri termini: volete sterminare la creazione che Dio ha fatto? Sarete anche voi sterminati! Curioso anche l'episodio dell'acqua mutata in sangue, ed a suo modo paradossale: due simboli eminenti di vita, nel momento in cui si sovvertono le categorie creazionali diventano simboli di morte. Il sangue è vita quando circola nelle vene di alcuni esseri viventi, e l'acqua è vita quando può essere bevuta. Ma se tutto diventa sangue, c'è una sorta di impazzimento sregolato della natura, che non permette più la vita. In questo senso è ridicolo che i maghi egiziani facciano anche loro la stessa cosa, perché questo produce la loro stessa morte...
Questo impazzimento della natura, che noteremo soprattutto nelle altre piaghe ci deve far pensare al carattere premonitore di quello che accade nella natura e attraverso la natura, e a ciò che questo implica. Faccio un piccolo esempio. Siamo soliti pensare alla natura come qualcosa di bello, che contempliamo ed ammiriamo. Pensiamo però al terremoto che abbiamo sentito due giorni fa: è natura anche quella, non è altro che lo sfregare di rocce sotterranee... Pensiamo anche alle catastrofi ecologiche che hanno trasformato la natura, rendendo acque imbevibili, ed arie irrespirabili (proprio come le acque del Nilo in questo episodio). Stiamo rendendo il mondo proprio simile a questo Nilo imbevibile. E stiamo rendendo alcuni oggetti fisici, come le onde radio, simili a serpenti minacciosi che mettono a repentaglio la nostra vita... La sregolatezza della natura doveva far riflettere faraone, perché tutto quello che vedeva erano segni di una punizione sicura, se avesse continuato ad indurirsi , vietando agli ebrei di partire. Ma il modo in cui noi stiamo rovinando il mondo deve far riflettere anche noi, perché rischiamo ugualmente di farci del male. Il vangelo dell'Esodo quindi, se in primis ha una portata spirituale fondamentale, non scorda di parlarci anche della natura stessa. Certo, non nel senso in cui la intendiamo oggi: il problema del faraone non era quello dell'inquinamento. Ma lo spettacolo di una natura alterata che annuncia la morte è per lui un messaggio, e lo spettacolo analogo di una natura rovinata, senza che ci siano in questo piaghe divinamente mandate, deve fare pensare anche noi. Perché il rispetto dell'ambiente è anche rispetto di quella creazione che Dio ha fatto.