domenica 3 novembre 2013


Esodo 6. Sei scoraggiato?

9 giugno 2013 alle ore 14.24
Esodo 6. Sei scoraggiato?

Capita a tutti di scoraggiarsi. Capita alle persone più determinate, ai grandi leader, agli uomini politici. Il passo che leggiamo oggi ci mostra Mosè, il leader che conduce Israele fuori dall'Egitto e a cui determinazione e tempra non mancano certamente, in un momento di scoraggiamento. La Bibbia non mette in scena degli invincibili, ma degli uomini a tutto tondo, capaci di forza, ma anche di debolezza e scoraggiamento.
Il testo comincia mostrandoci i motivi del fallimento della missione di Mosè, dovuti a una serie di cambiamenti rispetto ai primi capitoli del libro:
  • E cambiato Mosè, che dopo aver visto segni convincenti ed aver parlato con Dio ha perso l'entusiasmo iniziale
  • E' cambiato il popolo (v.7) che in seguito all'angoscia e alla durezza dei lavori non ha più fiducia. Le condizioni in cui si riceve la parola contano
  • E' cambiato il faraone: Mosè aveva sentito dire che "quelli che cercano la sua vita sono morti", ma questo faraone è della stessa specie...
  • Cambia il genere letterario: nel bel mezzo della narrazione viene inserita una genealogia che riprende le precedenti, ma che ha lo scopo di mostrare l'origine levita di Mosè e di Aronne. Questo probabilmente perché c'è stata una crisi di legittimità dei due leader, ulteriore cambiamento nel popolo. E' necessario quindi riaffermare la loro origine levita ed israelita, che legittimi la loro missione.


Per tutti questi motivi Mosè attraversa quella che potremmo chiamare una "crisi di vocazione": ha ricevuto da Dio una chiamata per un compito preciso, liberare gli ebrei dalla schiavitù egiziana, ha ricevuto una serie di promesse e fatto un primo tentativo ci convincimento di faraone, ma questo tentativo è fallito. Quindi è scoraggiamo e rimette in discussione la sua stessa vocazione. Ripete le stesse obiezioni che ha già opposto alla prima chiamata del Signore, e la paura di non essere capace a parlare e a convincere torna.
Chi di noi non ha conosciuto un momento simile? Chi non si è sentito spinto da Dio a fare qualcosa ed ha poi fatto marcia indietro al primo tentativo fallito? Non credo che tanti di noi si siano sentiti chiamati a far uscire intere popolazioni da territori occupati. Abbiamo però tutto preso piccoli impegni davanti al Signore: leggere di più la sua parola, studiarla in modo più profondo. Pregare di più, sentendosi coinvolti con Dio nella sua missione di evangelizzazione; essere più impegnati come cittadini, alla ricerca del bene della nostra città; essere più vicino a chi soffre, portandogli il sollievo del vangelo. E dopo i primi fallimenti ci siamo scoraggiati, proprio come Mosè davanti alla resistenza di faraone. Ascoltiamo allora le parole che Dio rivolge a Mosè.


1. Un Dio che ricorda
Il discorso di incoraggiamento di Dio comincia con una formula: "Io sono il Signore!" E' una formula di autorità che Dio usa per introdurre le sue promesse e che è seguito dal ricordo dei patriarchi. Dio ricorda a Mosè che fin dai suoi patriarchi Egli è stato fedele, e che la sua caratteristica è quella di essere un Dio del patto. Questo significa che i patti fatti vengono ricordati, e quindi Jahveh è un Dio che oltre ad essere adorato è un Dio che si impegna nei confronti dell'uomo. Lo ha fatto in passato e continua a farlo. Con una particolarità ulteriore: Mosè pur inserendosi nel solco dei padri viene a scoprire qualcosa in più dei padri! "Noi fui conosciuto col mio nome" (v.2). I padri in realtà chiamavano Dio Jahve, ma qui si intende che non conoscevano il senso profondo di quel nome, che è stato rivelato a Mosè. Il Dio che è indefinibile, che è quello che è, che fa esistere e che non può essere imprigionato nelle concezioni umane. Mosè è contemporaneamente meno dei padri, perché poggia sul patto che Dio ha fatto con loro, ma sa più dei padri.
E' molto bello pensare che ognuno di noi, con il suo rapporto personale con Dio, poggia su qualcosa di comunitario, che è ciò che i profeti e gli apostoli ci hanno trasmesso su Dio. Ma ognuno di noi sa anche un po' di più: oggi conosciamo la natura di Dio meglio di Mosè, che pure parlava a tu per tu con Dio. Attraverso Gesù abbiamo una nuova rivelazione ancora più ampia di chi è Dio. E' molto bello pensare che la nostra fede è al contempo comunitaria ed individuale e che Dio inserendoci in un corpo, quello di Cristo, ha poi delle parole speciali per ognuno di noi, che sono ogni volta nuove e di più rispetto a quello che si sapeva in passato. Questo è un forte incoraggiamento. Ho conosciuto chi è stato prima di te, e sono stato vivo per lui. Ma adesso sono vivo per te, e parlo direttamente con te. Questo è il modo in cui Dio comincia ad incoraggiare.


2. Un Dio che è...


Una volta che Dio ha parlato a Mosè, Mosè deve parlare agli ebrei, sempre cominciando con la formula solenne: "Io sono il Signore". Non è una semplice formula, ma la sottolineatura dell'importanza di quello che Dio promette. Il Signore dice a Mosè di fare presenti tre aspetti della sua azione, implicati tra di loro:
- Farò per voi degli atti concreti: sottrarre dai lavori, liberare e giudicare.
- Vi prenderò come mio popolo e sarò il vostro Dio.
- Voi conoscerete che io sono il Signore che ha fatto le cose al punto 1.
L'azione di Dio nei confronti dei suoi figli non è sempre uguale. Talvolta Dio si fa conoscere prima di AGIRE; qui invece l'ordine è inverso. Prima farà dei miracoli che portino a stupire e poi sarà riconosciuto, e questo è comprensibile visto quello che si dice del popolo, che è angosciato ed incapace di credere. La grande bontà di Dio sta nel sapersi adattare alla diversità umana per ricondurla a sé. Con questi ebrei non può ripartire parlando, deve agire. Quindi opere di liberazione, salvezza e giudizi potenti.
Questo però non rimane fine a se stesso. A Dio non interessa in sé la libertà di Israele, perché biblicamente la libertà in sé non esiste. Nessuno di noi è assolutamente libero e se veniamo liberati da una divinità, il faraone che si autodivinizza, caschiamo facilmente nelle mani di un'altra. L'unica libertà è quella di APPARTENERE al vero Dio, che libera da chi vuole privare di libertà.
Inoltre appartenere a Dio significa CONOSCERLO. Gli ebrei non vengono liberati da qualche forza superiore ed astratta che potremmo chiamare destino o forza della nazione stessa: vengono liberati da un Dio che si fa conoscere.
Dio opera così anche oggi, rivolgendosi con opere potenti direttamente a noi. Da questo consegue un senso di appartenenza ed una conoscenza diretta di questo Dio. Non è così semplice come può sembrare. Immaginiamo di essere malati e di aver bisogno di una liberazione dalla malattia. Potremmo prendere delle medicine che ci libereranno per poi stare bene. Queste non garantiscono che non ci riammaleremo più ma intanto ci sanano. Rimangono dei mezzi per farci stare bene, utili per un certo momento. Con Dio le cose sono molto diverse. Non veniamo liberati da un male tanto per stare meglio, come se Dio fosse un medico. Veniamo liberati da una condizione umana di inappagamento, sofferenza, separazione da lui, e quindi PECCATO, per diventare sua proprietà e riconquistare ciò per cui siamo fatti. E per vivere una vita che ce lo fa conoscere sempre di più. Questo è un pilastro dell'incoraggiamento. Dio ci libera da ciò che ha determinato il nostro scoraggiamento in modo definitivo, ma non ci lascia a noi stessi. Diventa nostro per noi e noi suoi. Questa è la pietra su cui costruire la vita, la missione e quant'altro.


3. Un Dio che fa agire.
Dio ricorda del suo patto ed è un Dio che libera, e si fa conoscere. Ma dopo aver fatto lui qualcosa, spinge a fare. Mosè una volta incoraggiato deve agire. Deve comunque ripartire, ri-tornare da faraone e ri-dire le stesse cose che ha già detto. Non importa se una prima volta ha fallito. C'è un proverbio che dice: c'è sempre una prima volta. Potremmo aggiungerne uno che dice: c'è sempre una SECONDA volta! Non scoraggiamoci ai primi tentativi. Dio dopo aver riconfortato Mosè gli rimette davanti gli stessi obiettivi e le stesse azioni che aveva comunicato all'inizio: parla ad Israele e parla a faraone. Non è cambiato niente dal punto di vista delle cose da fare, ma è cambiato molto per quel che riguarda il modo in cui vengono fatte. Un conto è andare avanti nell'incertezza, un conto è riprovare con la certezza dell'appoggio di Dio. Il Dio che ha permesso il primo fallimento è lo stesso che ora si dice consapevole di quel fallimento, che è nei suoi piani e che ora confida la stessa missione, con uno spirito rinnovato.
Che impegni abbiamo preso davanti al Signore? Di cosa ci siamo scoraggiati? Quanti piani e propositi abbiamo fallito? Il Signore ci chiama oggi a riprenderli, a rimetterli in gioco insieme a Lui, credendo che una seconda volta è possibile a Dio, e che le cose non accadono sempre immediatamente. AMEN:

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