domenica 3 novembre 2013


Esodo 13 Esodo passato, presente, futuro.

6 ottobre 2013 alle ore 17.36
Lo scorso capitolo, che parlava della Pasqua, ci faceva capire come una certa festa servisse a ricordare. Ricordare cosa? Che il Signore aveva liberato Israele dalla tirannia di faraone. Come? Con una festa che si ripete nel tempo, con un ritmo annuale. Anche questo capitolo insiste sull'importanza del ricordare, e non solo del ricordare: anticipa ciò che nel futuro sarà il ricordo del presente liberato e del passato prigioniero, ma attraverso un altro mezzo: la consacrazione. Tanto di uomini quanto di animali.
Quattro aspetti di questo capitolo saltano agli occhi.


1. Esodo e futuro: consacrare i primogeniti.
Dio chiede dunque di consacrargli i primogeniti di animali e uomini. Perché i primogeniti erano in molte culture antiche il simbolo della creazione, la prima cosa che viene creata; sono anche quello che abbiamo di più caro, o comunque di più atteso, e su cui il Signore rivendica la propria autorità. Ma la motivazione esplicita è singolare: bisogna consacrare i primogeniti perché "il Signore uccise tutti i primogeniti del paese di Egitto, tanto degli uomini quanto del bestiame" (15). Questo però è stato il risultato dell'indurimento di faraone, che ha provocato la morte di innocenti. Allora ciò che bisogna ricordare non è un trionfo che ha visto la morte di molti bambini innocenti: ma la liberazione del popolo ebraico da una macchina di morte, anticreazionale messa in piedi da faraone, che produceva continuamente vittime innocente, e che è cessata solo quando egli ha visto che le vittime innocenti erano le sue - di uccidere i bambini degli ebrei non gli importava. Ricordare allora questo evento doloroso significa ricordare che sono rimasti uccisi degli innocenti per il peccato di un colpevole, e che la libertà è costata cara. Allora che primogeniti di animali e uomini siano consacrati a Dio, in rappresentanza di tutti coloro che seguiranno. Vale a dire che tutti gli uomini e tutti gli animali siano consacrati a Dio. In quella cultura significava per gli uomini servire Dio in modo particolare, sia con servizi cultuali come i leviti, sia come sacerdoti. Per gli animali significava essere sacrificati, in memoria del sangue innocente. La vita di questi primogeniti è quindi pre-determinata per il Signore.
Non è facile trovare oggi paralleli a questo passo in un contesto così diverso da quello di un popolo di pastori che ha familiarità con i sacrifici ed in cui le decisioni dei genitori determinano quelle dei figli. Credo tuttavia che ci sia un forte insegnamento per quella che potremmo chiamare un'educazione alla fede: essere usciti dall'Egitto equivale ad essere usciti da un sistema di distanza di Dio e di rifiuto della propria creaturalità, (frase complicata che la bibbia spiega con l'unica e semplice parola "peccato") e essere entrati in un rapporto di dipendenza da Dio; che significa quindi di libertà dal sistema schiavista del peccato. Credo proprio come gli ebrei, chi oggi è entrato in un rapporto di amore ed amicizia con Dio, debba anche lui "consacrargli" i suoi primogeniti. Come? Dandogli ciò che ha di più importante, ciò che più gli sta a cuore. Perché anche Dio ha dato qualcosa di importante per noi, qualcuno che gli stava a cuore: suo figlio, morto in croce per noi. Che si tratti del nostro corpo, della nostra intelligenza, dei nostri soldi, del nostro tempo o dei nostri talenti, che ci stanno sicuramente cari, siamo invitati a metterli nelle mani di Dio perché se ne serva. I nostri figli faranno domande solo se vedranno questo forte attaccamento a Dio! Chiederanno: "che significa questo?" solo quando vedranno che veramente abbiamo per Dio un attaccamento così forte e profondo che farà riflettere anche loro. Non c'è educazione cristiana pari a quella della spiegazione di un esempio che ha sollevato domande. Allora si renderanno conto che il loro futuro dipende dal nostro esodo passato, che ora loro sono chiamati a vivere nel presente.


2. Esodo e presente: la via più lunga.


Significativo il fatto che il Signore fa fare un giro molto lungo al popolo invece di un tragitto cordo e rapido che li avrebbe portati in terra promessa molto prima. La spiegazione esplicita è che un'eventuale guerra con i Filistei avrebbe potuto comportare morte e scoraggiamento. Dio quindi preferisce una via più lunga ad una più breve per il bene del popolo.
Credo che molti di noi si siano spesso interrogati sul modo in cui Dio ci ha chiamati. Ci siamo forse chiesti perché in quel paese ed in quel tempo e non in un altro; perché prima e non poi, o ancora perché così tardi allorché avremmo potuto soffrire di meno. Il passo ci ricorda la grande sovranità di Dio sul nostro presente: per arrivare ad un certo obiettivo potremmo sempre trovare una via più corta e veloce, ma il Signore spesso ci guida su strade diverse e più lunghe su cui perdiamo la pazienza. Possiamo riflettere che se crediamo che il Signore è sovrano sulla nostra vita, se abbiamo riposto in Lui la nostra fiducia e agiamo secondo la sua legge, anche la relativa lunghezza delle vie percorse ha un senso. Perché ci vuole così tanto a trovare un lavoro, si chiedono tanti giovani oggi, con disperazione? Perché studiare, perché cercare? Altri potrebbero chiedersi perché aspettare il matrimonio prima di abitare insieme o di unirsi? Altri ancora, perché sono finito proprio in questa chiesa che tarda a crescere? Potremmo trovare mille esempi di vie molto più lunghe di quanto vorremmo. Senza voler banalizzare e dire che tutto va nel migliore dei modi nel migliore dei mondi, credo che questo passo ci debba far riflettere: Dio permette che percorriamo una via più lunga perché spesso ci preserva da guerre e filistei di cui non conoscevamo neppure l'esistenza.
Certo in questo passo abbiamo un vantaggio: gli ebrei seguono due colonne, che gli consentono di prendere proprio la via giusta. Eppure, una vita spirituale, una vita di comunione con Dio, deve portarci proprio a questo: a camminare come se davanti a noi ci fossero proprio dei segni tangibili di fuoco e nuvole che permettono procedere nel senso giusto.


3. Esodo e passato: le ossa di Giuseppe.


Può sembrare strano che Mosè si preoccupi di trasportare le ossa di Giuseppe - lui stesso lo aveva chiesto - nella terra promessa. Ma anche questo elemento mi sembra utile alla riflessione che stiamo portando avanti: Giuseppe era un patriarca che aspettava già a suo tempo di procedere verso una terra promessa, la stessa promessa ad Abramo. Per quanto sia morto da 4 secoli, Mosè lo porta in questa terra promessa. Perché? C'è feticismo rispetto alle ossa di un morto? Oppure pensavano che vivesse in quelle ossa benché morto? Direi di no, perché altrimenti cercherebbero anche quelle degli altri patriarchi, mentre il punto è che Giuseppe vuole che escano dall'Egitto. Si tratta del semplice fatto simbolico che la parentesi egiziana è conclusa, e che ora tutti, Giuseppe compreso partono verso la terra promessa. I conti con l'Egitto sono in sostanza chiusi una volta per sempre.
Sarebbe opportuno che noi, soprattutto se ci siamo convertiti al Signore da tanti anni, ricordassimo che il nostro Egitto deve essere chiuso. Che l'universo materiale, simbolico, ideologico che sposavamo pienamente quando vivevamo sotto il dominio dell'autonomia da Dio - torno a dire, il peccato - deve ora essere chiuso.


Come riassumere tutto: gli ebrei devono proiettarsi per il futuro ricordando che sono liberi nel presente da una schiavitù passata. Noi possiamo e dobbiamo fare lo stesso. Non sacrificando animali o appartando figli, ma avendo un cuore per il Signore che ci faccia camminare con la certezza della sua presenza nella vita presente, perché abbiamo chiuso con un passato senza di noi.

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