domenica 3 novembre 2013


Esodo 14: giudizio, salvezza, redenzione.

13 ottobre 2013 alle ore 16.42
Con il passo di oggi giungiamo alla conclusione di una sessione del libro dell'Esodo, quella che riguarda l'Esodo vero e proprio e che continuerà poi con l'attraversamento del deserto. E' una fine complessa fatta di giudizio e morte, ma anche di festa e di allegria, visto che si conclude con degli inni. Non possiamo certo guardare questa scena di morte con gli stessi occhi con cui guardiamo le tristi scene di naufragio proprie della nostra attualità, perché diverse sono le coordinate e gli attori in gioco. I proprio guardano i diversi punti di vista degli attori in gioco che vorrei commentare questo passo.

1. Il punto di vista egizio.
Il Faraone è l'incarnazione del male, una figura di dittatore violento che fa di tutto per annientare la creazione di Dio riducendo gli esseri umani a cose. Nonostante le piaghe subite, i pentimenti pronunciati e l'aver chiesto a Mosè di pregare per lui, si rende conto di aver perso un popolo utile al suo strapotere: quindi parte all'inseguimento. Ci colpisce che lungo il corso dei capitoli precedenti lo abbiamo visto più volte pentirsi, cambiare idea, rasentare la follia, ma alla fine vediamo che rimane tale a come era, sebbene abbia avuto la possibilità di cambiare. La punizione divina si manifesta sotto forma di indurimento ulteriore di un cuore che ha già scelto il male, per sé e per il suo popolo. Eppure anche lui conoscerà che Jahveh è il Signore. E' convinto di essere dio lui stesso, ma capirà che non è così, e glorificherà Dio.
L'esempio di questo uomo spietato diventa il paradigma di ogni orgoglio umano che si oppone a quanto Dio ha creato, che si rifiuta di riconoscerlo e che non è onesto né davanti a Dio, né davanti agli altri né a se stesso. In particolare ci fa pensare a quanto sia facile sotto pressione pentirsi, chiedere scusa, invocare persino la benedizione di Dio per poi rifiutare tutto. Faraone è l'anti-esempio per eccellenza e il suo popolo e fa una fine misera. Ma visto che sin dall'inizio del libro, e alla luce di molti passi, abbiamo interpretato l'Egitto come un simbolo del peccato, è bello vedere che la fine di faraone è in fondo al mare. Chi ha scelto di camminare con Dio ed ha accettato che Cristo inchiodi sulla croce i suoi peccati, ottenendo il perdono, fa bene a guardare a tutte quelle forze contrarie alla vita, che cercano di attanagliarlo di riprenderlo e di schiavizzarlo, come sconfitte e giacenti su una spiaggia, morte.

2. Il punto di vista del popolo.
Il popolo è fluttuante è preso tra due colossi: una terra promessa dal Signore troppo lontana, ed un paese schiavista ma sicuro. Questo lamento del popolo non è che il primo di una lunga serie, e spesso nel deserto il popolo tornerà a lamentarsi. Eppure in questo contesto Dio non condanna il popolo, e neppure Mosè lo condanna, anzi sembra farsi portavoce del popolo che teme.
Dio ha misericordia di questo popolo perché sa bene quanto l'assuefazione alla schiavitù può incidere nelle persone. Sono persone abituate a temere e tenute in condizione di scarsa dignità. La libertà non è facile, è sempre responsabilità e coraggio. Non c'è quindi da stupirsi o da condannare un popolo che credendosi liberato vorrebbe tornare alla schiavitù perché questa dava qualche sicurezza rispetto ad un deserto vuoto. Ma Dio non condanna questo popolo, anzi lo incoraggia. Impariamo allora che i cuori non cambiano in un secondo, ma che il cammino verso la libertà è lungo e difficile e che Dio ha molta pazienza verso le persone che ha strappato dalla schiavitù per portarle alla piena dignità che Egli ha previsto.

3. Il punto di vista di Mosè.
Mosè si fa carico dei lamenti del popolo, ma Dio gli fa capire che c'è necessità di qualcuno che incoraggia, guida e che nonostante le critiche dice: Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi. Durante tutto il passe continua ad avere fede a a guidare il suo popolo con fermezza e con gli strumenti che Dio gli ha fornito.
Cristo nel vangelo di Matteo ci viene presentato proprio come il nuovo Mosè, come colui che ci porta fuori da un Egitto metaforico che non è altro che il nostro peccato, il nostro voler essere autonomi rispetto a Dio. Nel corso degli anni Dio ha continuato a suscitare in Israele delle guide che, le volte che hanno svolto bene il loro mestiere, hanno avuto una caratteristica: non hanno spinto il popolo a guardare a loro riproponendo dei faraoni, ma hanno spinto a guardare Dio. Hanno saputo incoraggiare a vincere la paura, a stare fermi e ad aspettare l'azione di Dio. La storia del popolo di Dio continua fino ad oggi, e credo che il ruolo delle guide, dei pastori, dei teologi dei dottori, dei profeti e di chiunque altro si presente come un uomo di Dio sia quello di indirizzare lo sguardo verso l'alto e non verso di sé.

4. Il punto di vista di Dio.

Mai come in questo passo vediamo Dio all'azione nelle sue funzioni più tipiche.
In primo luogo Dio è giusto, e giudice. L'immagine di Dio soltanto amore è incompleta e falsa. O meglio l'amore contiene in sé anche la giustizia, la coerenza. Questo Dio si adira giustamente contro le forze contrarie alla sua creazione scatenate da faraone e quindi punisce. Ha punito in passato punisce oggi e punirà in futuro, giudicando il male di questo mondo che noi stessi animiamo. L'idea di un Dio giusto non è un retaggio primitivo dell'antico testamento, ma una verità presente lungo tutte le scritture che ci fa avvicinare alla vita con maggiore responsabilità, perché tutto ha un senso se quello che diciamo male e chi lo compie avrà un punizione ed una correzione.
Ma Dio si presenta al contempo come colui che salva. Perché le occasioni di salvezza per gli ebrei come per gli egiziani non sono mancate. Dio si è manifestato con tutta la sua potenza, mostrandosi come il Dio liberatore, che vuole salvare il suo popolo dalle mani di un oppressore e questo benché il suo popolo possa essere in parte complice nel male che subisce. Dio non si ferma quando il popolo si lamenta e porta salvezza.
Infine Dio si presenta come redentore, perché non solo sottrae il suo popolo dal male, ma sconfigge questo stesso male e ricrea un nuovo mondo. L'immagine finale della terra che emerge riprende il passo della creazione in cui la terra viene separata dalle acque. Le forze maligne sono sconfitte e Dio ricrea un mondo nuovo. Quanto vediamo in questo passo non è che l'annuncio di quello che Cristo farà sulla croce molti anni dopo: i corpi degli egiziani uccisi non sono altro che il simbolo del male sconfitto sulla croce. Con la differenza che sulla croce è Gesù stesso a morire, quindi Dio stesso fattosi uomo che compie un'espiazione impossibile agli uomini e dando loro una vita nuova.
Il passo ci invita dunque ad abbandonarci nella mani di questo Dio per conoscerlo come salvatore e redentore, e non come giudice.

Nessun commento:

Posta un commento