lunedì 21 maggio 2012


Atti 28
La fine

1 Una volta in salvo, venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta. 2 Gli indigeni ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo. 3 Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. 4 Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: «Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere». 5 Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. 6 Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.
7 Nelle vicinanze di quel luogo c'era un terreno appartenente al «primo» dell'isola, chiamato Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni. 8 Avvenne che il padre di Publio dovette mettersi a letto colpito da febbri e da dissenteria; Paolo l'andò a visitare e dopo aver pregato gli impose le mani e lo guarì. 9 Dopo questo fatto, anche gli altri isolani che avevano malattie accorrevano e venivano sanati; 10 ci colmarono di onori e al momento della partenza ci rifornirono di tutto il necessario.
11 Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell'isola, recante l'insegna dei Diòscuri. 12 Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni 13 e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli.14 Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma. 15 I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.
16 Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia.
17 Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. 18 Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. 19 Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. 20 Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena». 21 Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22 Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione».
23 E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. 24 Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere 25 e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri:
26 
Va' da questo popolo e di' loro:
Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete;
guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete.
27 
Perché il cuore di questo popolo si è indurito:
e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi;
hanno chiuso i loro occhi
per non vedere con gli occhi,
non ascoltare con gli orecchi,
non comprendere nel loro cuore e non convertirsi,
perché io li risani
.
28 Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l'ascolteranno!». 29 .
30 Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, 31 annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.
Il viaggio di Paolo volge al termine. Dopo la tempesta Paolo ed i naufraghi trovano rifugio a Malta per poi proseguire verso Roma secondo una rotta consueta per quei tempi. Così Paolo arriva finalmente a Roma, la città che Dio gli aveva indicato di raggiungere e dove avrebbe dovuto testimoniare davanti a Cesare. Va detto con onestà che chi ama le storie e si aspetta quindi un lieto fine, o comunque un finale che presenta il ristabilimento di una situazione, o la conclusione di tutte le aspettative create resterà deluso. Per molti versi questo finale appare tronco, e ciò che capita potrebbe deluderci in molti sensi. Alla fine di un libro che parla di evangelizzazione e di missione molti si potrebbero aspettare miracolosi risvegli, conversioni massicce di gentili della capitale e grandi successi ovunque. Invece, benché il libro non finisca male, sembra che i grandi successi del vangelo sia molto più moderati. Ma forse proprio questo ci farà riflettere sul senso della predicazione del vangelo e sulla portata di ogni iniziativa a cui Dio ci chiama.

1. Paolo a Malta: miracoli e provvidenza.

Un primo fatto che potrebbe deludere riguarda ciò che capita all’isola di Malta. Due segni miracolosi accompagnano l’arrivo di Paolo e l’incontro con la popolazione. La protezione da un serpente velenoso e la guarigione del padre di Publio. Nonostante la grandezza i questi segni ed il tentativo di divinizzazione di Paolo da parte degli abitanti di Malta, nessuno sembra ricondurre questi segni all’azione diretta di Dio. Proprio come sulla nave, con il naufragio, nessuno si converte nonostante sia stato salvato e abbia visto segni miracolosi. Viene tuttavia sottolineata la grande affabilità degli abitanti e la loro benevolenza. Se per molti questa può sembrare una delusione, per Paolo non sembra tale. La dimensione umana dell’incontro con questi indigeni è altrettanto importante e sono convinto che Luca vuole qui mettere in evidenza la provvidenza di Dio che per tutto il libro degli Atti non ha mai smesso di accompagnare Paolo. Paolo ha potuto fare qualcosa di buono per il padre di Publio e dopo di lui per gli altri abitanti dell’isola. Se non seguono racconti di conversione, viene sottolineato il lato umano della premura degli indigeni che provvedono al necessario dopo che il gruppo salpa dall’isola. Il Dio che ha ordinato a Paolo di andare a Roma non smentisce le sue promesse e se ci sono evidenti ostacoli lungo il cammino, ci sono insieme a questi i segni di una provvidenza che accompagna continuamente Paolo, sia nelle circostanze che nelle persone. Noi oggi siamo poco abituati a vedere grosse conversioni in massa, almeno qui in Italia. Questo breve episodio può farci pensare che il semplice far del bene curando dei malati, con miracoli o in altri modi, ha un grande valore, e che la testimonianza lasciata dalle buone opere, porterà poi frutti a suo tempo.


2. Paolo e i cristiani di Roma
Un secondo elemento che potrebbe deludere è dato dall’incontro di Paolo con i cristiani della capitale. A dire il vero il primo incontro sembra incoraggiante, visto che i discepoli di Pozzuoli accolgono Paolo (13) e probabilmente avvisano i fratelli di Roma che vengono incontro a Paolo a Foro Appio e a Tre Taverne. Tuttavia rimaniamo stupiti da quanto poco si dica dell’incontro con la chiesa di Roma: non dimentichiamo che l’epistola ai Romani è già stata scritta e ci si aspetterebbe che Paolo sia ansioso di incontrare i romani. Ma di questi rapporti non si dice quasi niente e anzi, Paolo preferisce prima parlare con gli ebrei di Roma. Questo da un lato ci può far capire quanto importante fosse per Paolo il suo popolo e quanto tenesse a predicare prima ai giudei e poi ai gentili, come aveva fatto in tutte le città per cui è passato. Anche qui a Roma alcuni giudei si convertono ed altri no, ma per lo meno non ci sono aggressioni o lotte. Dall’altro ci può far pensare che questo sia in parte legato alle circostanze: Paolo in fondo è in prigione, quindi non è detto che i membri della Nuova Via possano vederlo tranquillamente senza sentirsi minacciati. Ma al di là di queste ipotesi che lasciano il tempo che trovano possiamo semplicemente osservare che il Signore non ha bisogno neppure delle chiese. Certamente la chiesa dovrà crescere e sarà uno strumento nelle mani di Dio per annunciare il suo nome: ma in questo caso il protagonista non è la chiesa, ma un uomo. E forse il suggerimento che dobbiamo cogliere è che anche un semplice uomo può fare tantissimo, indipendentemente da una chiesa che lo appoggia. Può sembrare dissacrante quel che dico, e non intendo affatto sminuire il valore della chiesa, che anzi è fondamentale. Ma possiamo pensare che non sempre questa funziona, e che in questo caso, non sappiamo perché, si vede Paolo che in fondo lavora da solo. Certamente in seguito sarà la chiesa di Roma a beneficiare delle persone che hanno sentito il vangelo da Paolo, ma per ora si parla di lui. Dobbiamo avere fiducia anche oggi che nonostante la chiesa non sia sempre unita e non sempre si vedano esperienze di collaborazione il vangelo è predicato comunque ed i frutti si coglieranno col tempo.

3. Paolo e il processo.

Un’ultima possibile delusione per i lettori è quella per cui non sappiamo niente dell’esito del processo di Paolo. Da alcune lettere di Paolo, sappiamo che egli uscirà di prigione, quindi probabilmente sarà processato e dichiarato innocente, e che poi farà altri viaggi per essere una seconda volta imprigionato. Ma perché Luca non lo racconta? Anche su questo rimane un che di inspiegabile, e forse lo sapremo solo in cielo. Provo a dare una mia spiegazione, che poggia sull’importanza dell’immagine finale: Paolo in casa, agli arresti domiciliari che predica il regno di Dio con franchezza e senza impedimento. Forse queste due semplici parole dicono molto di più di quanto avrebbe potuto dire la vicenda giuridica. Se Luca ha tanto parlato di Paolo non è per dare gloria ad un uomo. Nel Nuovo Testamento non troviamo storie di santi, ma la storia del Regno di Dio. Vedere questo prigioniero che evangelizza e annuncia, e che da una prigione emana una voce di libertà senza impedimenti, vale più che raccontare di come giuridicamente Paolo sia stato dichiarato innocente. Paolo non è andato a Roma per difendere la causa dei perseguitati ingiustamente, né per avere la garanzia della sua assoluzione. Ci è andato per annunciare. E questo forse ci insegna molto: una voce che annuncia il vangelo di Gesù Cristo che ci dice che la massima libertà sta nel conoscere Dio, nell’essere ravveduti davanti a Lui, e nell’avere la certezza della resurrezione futura grazie a Lui, per mezzo di Cristo, è più grande di ogni altra causa. Poco importa dei tribunali, quello che conta è la predicazione del vangelo. Certo, non che questa non abbia luogo di essere anche nei tribunali, come abbiamo visto nei capitoli precedenti. Ma chissà... forse è stato un semplice processo in cui i romani hanno detto che non trovavano colpe in Paolo, senza dargli modo di annunciare... Chissà. Quello che conta è che da questa prigione sono uscite parole di verità, parole di vita, ed anche le tre epistole ai Filippesi, agli Efesini e ai Colossesi, che tutto trasmettono tranne un’atmosfera di prigionia. Gli Atti degli apostoli sono finiti: dalla loro parola continuano i nostri atti.

mercoledì 16 maggio 2012


Atti 27:1-44
Davanti all’estremo

1 Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l'Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta. 2 Salimmo su una nave di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d'Asia e salpammo, avendo con noi Aristarco, un Macèdone di Tessalonica. 3 Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. 4 Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari 5 e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia. 6 Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l'Italia e ci fece salire a bordo.7 Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all'altezza di Cnido. Poi, siccome il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmone, 8 e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa.
9 Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era già passata la festa dell'Espiazione, Paolo li ammoniva dicendo: 10 «Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite». 11 Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo.12 E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l'inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale.
13 Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco, convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta. 14 Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l'isola un vento d'uragano, detto allora «Euroaquilone». 15 La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva. 16 Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa; 17 la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti, calarono il galleggiante e si andava così alla deriva. 18 Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico; 19 il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l'attrezzatura della nave. 20 Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta.
21 Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse: «Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta; avreste evitato questo pericolo e questo danno. 22 Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave. 23 Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, 24 dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione. 25 Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. 26 Ma è inevitabile che andiamo a finire su qualche isola».
27 Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell'Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l'impressione che una qualche terra si avvicinava. 28 Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. 29 Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. 30 Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: 31 «Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo».32 Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare.
33 Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: «Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell'attesa, senza prender nulla. 34 Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto». 35 Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. 36 Tutti si sentirono rianimati, e anch'essi presero cibo. 37 Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone. 38 Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare.
39 Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra, ma notarono un'insenatura con spiaggia e decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa. 40 Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia. 41 Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde. 42 I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, 43 ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo progetto; diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra; 44 poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra.

Siamo alla fine di un lunghissimo viaggio che, come abbiamo notato all’inizio, vuole mostrare come il Vangelo partito da Gerusalemme giunge lentamente a Roma, passando per alcune importanti città della Grecia. Si tratta di una traiettoria voluta, che simbolizza il percorso universale del vangelo: nato ed esposto in primis ad un singolo popolo, gli ebrei, raggiunge la città più importante del mondo conosciuto a quel tempo, la Roma Caput Mundi, dove il vangelo doveva necessariamente arrivare per essere diffuso ad ogni creatura. Ma prima di arrivare alla meta finale, assistiamo ad un episodio estremo, che in questo capitolo viene accuratamente descritto, con abbondanza di particolari ed una preparazione quasi romanzesca: una tempesta che metterà in pericolo la vita di Paolo, come anche quella dei suoi accompagnatori, sia chi lo tiene in prigione, sia gli amici che gli sono vicini, tra cui anche lo scrittore stesso, essendo una di quelle sezioni in “noi”. Nei primi 13 versetti viene Luca ci descrive l’inizio del viaggio di Paolo verso Roma, ed in mezzo la tempesta.
Non è la prima volta che nel Nuovo Testamento si parla di tempesta, e sapendo che il libro degli Atti è successivo ai vangeli ci vengono subito in mente gli episodi dei vangeli in cui si racconta della tempesta che ha sorpreso Gesù con i suoi discepoli. In questo caso, come nei vangeli, la descrizione della tempesta va al di là del semplice fenomeno atmosferico, e possiamo pensare che il viaggio in nave e la tempesta possano essere metafore di precise situazioni della vita. Ci sono infatti momenti della vita in cui ci si sente stretti, incapaci di fuggire come se si fosse rinchiusi in una barca avvolta da onde minacciose. Ed in quelle situazioni estreme ognuno di noi adotta un certo comportamento. E’ interessante osservare in questo passo che i diversi personaggi di questo racconto, di fronte all’estremo, al pericolo della morte, assumono degli atteggiamenti ben identificabili. Ci illustrano alcune dinamiche dell’animo umano confrontato davanti a esperienze estreme, che hanno il pregio di tirare fuori tutto il peggio o tutto il meglio di noi, proprio per la qualità estrema che hanno. Anche oggi va molto di moda immaginare di poter osservare gruppi di persone umane rinchiuse in un posto da cui non possono uscire, si pensi, al successo di real show come Il grande Fratello i l’Isola dei Famosi, che affascinano molto perché, anche se in modo del tutto artificiale, fanno vedere persone messe in situazioni in qualche modo estreme, costrette: una casa, un’isola sperduta. E’ tutto finto, ma attira. Forse sarà più attraente per noi vedere come si sono comportati i diversi personaggi che in questo viaggio in cui era presente anche Paolo con dei discepoli, presentandoci atteggiamenti da evitare o imitare. Sempre pensando all’attualità possiamo pensare alle tante navi di disperati che cercano di sfuggire da terre in cui vivono male sperando di trovare un mondo migliore in occidente. E sappiamo quanto tragiche siano in certi casi le fini di chi viaggia con queste navi. E anche su queste ci sono atteggiamenti estremi che non possiamo neppure immaginare. Vediamo quindi come ognuno si pone di fronte all’estremo, e di fronte alla minaccia di morte che nella navigazione antica era superiore ad oggi.
  1. 1.       Il centurione Giulio: buono ma ingenuo.
Il centurione che prende in consegna Paolo è inizialmente presentato come un personaggio positivo. Più che un soldato sembra una guida turistica di avventure nel mondo, trova le navi opportune, è gentile con Paolo e gli permette di vedere i suoi amici (v.3). Tuttavia, non sa cogliere la saggezza delle parole di Paolo e si fida di più dei tecnici della situazione: il pilota della nave il padrone. Quando però poi si rende conto che Paolo aveva ragione, cerca di salvarlo impedendo ai soldati di metter in atto il loro progetto omicida. (v.43). Non ci viene detto tuttavia, che nonostante quel che Paolo dice, si sia convertito o pentito per le scelte precedenti. Questo centurione per qualche verso ricorda Pilato. Gentile con Gesù, ma incapace di prendere una posizione, impegnato a fare di tutto per salvarlo solo dopo averlo di fatto dato in mano ai suoi uccisori. Nella vita, tanto nelle situazione estreme che in quelle distese, ci sono persone che sono incapaci di prendere una decisione chiara. Sono attratte dal vangelo, che in questo caso è presentato da Paolo. Gentili, e pronte anche a dare un mano. Ma se si parla di andare al di là della gentilezza, se si parla di rendersi conto che il Dio di Paolo è il Signore della vita, e che quella salvezza dalla tempesta non è che una briciola rispetto alla salvezza più grande che è in Cristo, si fermano lì. Non si parla di un esplicito rifiuto del vangelo di questo centurione, e proprio non parlandone si fa presente la sua non scelta: dove sei tu? Sei semplicemente gentile verso chi ha fede, e ne rimani ammirato, facendo favori o aiutando, oppure vuoi tu avere quella stessa fede?
  1. 2.      I tecnici: il pilota ed il padrone della nave.
Si dice poco di questi due personaggi, se non che il centurione aveva fede in loro. Ma se li prendiamo come simboli di un certo atteggiamento di fiducia nell’uomo e nella tecnica potremmo dire tanto di loro. Perché il centurione ha fiducia in loro? Possiamo immaginare che il capitano sia un esperto di navigazione, che nell’antichità era un’arte molto importante – basti pensare all’Odissea. Possiamo immaginare che fiducioso nella sua arte abbia dato garanzie al centurione e agli altri passeggeri che a maggioranza decidono di continuare il viaggio (v.12), vantando le sue capacità marinare e la sua bravura. Lo stesso dicasi del proprietario della nave. E’ possibile che abbia vantato la solidità della struttura della sua nave, quindi la forza della tecnica. Fanno venire in mente il Titanich e la sua fiducia ingenua nell’inaffondabilità, visto che è successo esattamente 100 anni fa … Fanno venire anche in mente il nostro attuale governo, fatto appunto di tecnici, che dovrebbero riuscire laddove i politici sono falliti.
La tecnica e le capacità umane sono spesso oggetto di ammirazione, nonché di sconfinata fiducia. Interi secoli, si pensi all’Illuminismo, hanno riposto la loro fiducia nei miracoli della scienza e della tecnica, prendendole come soluzioni ultime dei problemi dell’uomo. Molti davanti all’estremo pensano che scienza e tecnica possano fare molto, e si mettono in mano a medici, a tecnocrati ad economisti, pensando di risolvere tutto. Questo passo ci ricorda che la scienza e la tecnica sono sicuramente grandiose invenzioni che l’uomo ha fatto, e non ci incoraggia certo a disprezzarle. Ma ci insegna anche che hanno dei limiti. E le stesse navi che hanno aiutato il viaggio di Paolo permettendogli di spostarsi possono anche naufragare. Non dobbiamo disprezzare la scienza e la tecnica, ma coglierne in profondo la natura provvisoria e limitata. Perché la vita è più della tecnica, e se la tecnica la può aiutare non la può certo sostituire. Anche di loro non si dice niente. Non sappiamo se visto il fallimento della loro forza hanno meditato le parole di Paolo. Ma noi dove siamo? In cosa poggia la nostra fiducia? Nel fatto di abitare in un paese con l’assistenza sanitaria gratuita o nell’avere il Dio della vita?
  1. 3.      I marinai: fuggire
Ci viene detto che su questa barca c’erano 276 persone. Salvarle tutte non era probabilmente facile. C’è un celebre proverbio in mare che dice: “Prima le donne e i bambini”, ma chissà se su quella nave c’erano donne e bambini … Tra i presenti però c’è un gruppo di furbi. I marinai, che hanno chiare alcune circostanze, e che sanno che la terra è vicina (28-30). Capendo quindi che la scialuppa non è abbastanza grande per tutti pensano bene di prendersela per loro e di fuggire. Ecco un nuovo atteggiamento particolarmente triste che l’animo umano adotta davanti all’estremo: pensare prima a se stessi. Chiamiamolo egoismo, chiamiamolo cecità rispetto agli altri, e per evitare di giudicare pensiamo che sono persone che stanno per morire. Comunque sia questi scelgono di scappare salvandosi la pelle e lasciando gli altri in mezzo alle onde. Forse pensano che la profezia di Paolo sia valida solo per loro, benché Paolo non avesse escluso nessuno dalla salvezza (v. 22).
Anche questo atteggiamento caratterizza la vita di molte persone. Davanti alla tempesta si può sempre pensare di mettersi in salvo da soli, abbandonando gli altri nella barca della tempesta, fregandosene delle conseguenze. Nelle coppie si può scegliere di fuggire, invece che affrontare i problemi con il proprio partner; nei gruppi di amici si può scegliere di scappare anziché chiarire i problemi. Davanti a Dio si può cercare di fare finta di niente; si può cercare di ignorare la sua presenza e le sue profezie benefiche anche durante momenti di grande difficoltà; oppure si può arrogantemente pensare che il Dio universale sia solo per noi, che riteniamo di aver un qualche privilegio speciale. Possibilissimo che questo atteggiamento abbia i suoi vantaggi pratici. Possibilissimo che effettivamente, fuggendo questi si sarebbero salvati. Ma i nodi vengono al pettine, e la gioia conquistata a prezzo della vita di altri, non dura in eterno.
  1. I soldati: uccidere.
C’ anche un altro gruppo che assume un atteggiamento molto negativo: i soldati che accompagnano il centurione. Questi soldati (v.42) non vogliono sbarazzarsi dei prigionieri, ma sono talmente ligi al loro dovere che nel pieno di una crisi in mezzo a cui loro stessi potrebbero morire si preoccupano di garantire che i prigionieri non scappino, e quindi di ucciderli. Probabilmente in quanto guardie hanno una responsabilità specifica verso questi detenuti, ma è singolare che il loro pensiero vada a questo. Sembrano persone che nella gravità di una crisi non si rendono conto di quale sia il problema reale, e che quindi propongono soluzioni disastrose e inutili: la morte dei prigionieri servirà a salvarli dal naufragio?
Anche questo tipo di atteggiamento è largamente diffuso. Davanti all’estremo c’è chi invece di pensare a salvarsi, invece di ricercare magari un ultimo slancio di solidarietà verso tutti, prigionieri  e liberi, visto che, veramente “sono tutti sulla stessa barca”, si preoccupano di verificare chi va punito, chi ha da scontare, temendo che possa salvarsi. Se fossero preoccupati più della salvezza altrui che della loro sarebbero altruisti, ma sono incuranti della loro salvezza e preoccupati per la dannazione degli altri … Sono un po’ come il debitore della parabola che una volta ricevuto il condono dei sui debiti va a cercare i suoi debitori e li maltratta. Ci sono persone che nel bel mezzo dei problemi sono più interessati a vedere punito il male che a trovare soluzioni concrete, forse perché esorcizzano la paura scaricandola sugli altri.
  1. Paolo
Buon senso. In mezzo a tutto ciò la persona di Paolo si distingue. È l’unico che ha il buon senso di sconsigliare la partenza, contro i suoi interessi e quelli di tutti. Egli in primo luogo ha interesse ad arrivare a Roma per portare la sua causa davanti a Cesare, mentre gli altri hanno interessi di altro tipo, di ordine commerciale o professionale. Ma il buon senso gli dice che è meglio rinunciare. Sembra strano, ma ieri come oggi, il buon senso è una qualità piuttosto rara.
Speranza e visione. Paolo comincia col ricordare che aveva avvisato tutti che quella partenza non era da farsi. E questo gli dà autorità per continuare. Tuttavia, in mezzo al marasma, e davanti all’estremo Paolo è l’unico che sa avere parole di incoraggiamento, che non sono tuttavia il frutto di un semplice ottimismo. Chi è ottimista fa presto a cercare di scongiurare l’estremo, negandone la tragicità. Ma davanti alla morte non serve l’ottimismo. Paolo può incoraggiare perché un angelo di Dio gli è apparso. Si può basare su una visione e su una parola. Davanti a questo si è liberi di pensare quello che si vuole. Si può dire che Paolo è un visionario, che soffre di allucinazioni oppure credere. La sua profezia si è avverata, quindi dovremmo riconoscere il buon fondamento di quanto dice. Ma è importante capire che il vero incoraggiamento, quello che solleva dalla paura della morte, viene solo da Dio. Poco importa se qualcuno lo considera follia: Dio è rivelazione, apparizione. Non è semplice buon senso o ottimismo. Paolo ha un rapporto diretto con Dio, e per questo può incoraggiare.
Rompete il digiuno. La convinzione di Paolo è tale che incoraggia tutti a mangiare per rinforzarsi. Probabilmente avevano smesso di mangiare per risparmiare i viveri, o per il mal di mare. Fatto sta che l’attenzione al corpo è pari a quella data allo spirito. Il termine “spezzare il pane” fa pensare alla cena del Signore, all’atto di commemorazione. Non siamo qui in mezzo ad un culto, né si ricorda esplicitamente la morte di Gesù. Tuttavia l’atto di distribuire il pane per corroborare la salvezza, ricorda la grazia di Dio che Paolo con il suo comportamento e le sue azioni sta trasmettendo.
Salvezza per tutti. È Paolo che consiglia al centurione di fermare i marinai che vogliono fuggire e questo nell’interesse di tutti. La salvezza che Paolo annuncia è una salvezza corporea e limitata al sottrarsi dalla tempesta, ma è comunque per tutti. Da questa salvezza i passeggeri della nave dovrebbero trarre spunto per pensare alla potenza del Dio di Paolo e cercare una salvezza che riguarda la totalità della vita. Diversamente da altri momenti del libro degli Atti, Paolo non fa discorsi espliciti di evangelizzazione e nonostante la salvezza da lui profetizzata non ci viene detto che ci furono conversioni. Questo forse è dovuto alla sua posizione di schiavo, e molti hanno notato che è inverosimile che un prigioniero possa aver avuto tanta influenza sulle decisioni del centurione. Eppure anche questo ci insegna qualcosa: sia in parole esplicite, sia in modo indiretto, raccontato le proprie visioni ed il proprio rapporto con Dio, la fede emerge e condiziona. Paolo è stato una benedizione su quella nave.
Conclusione
Su quale nave siamo oggi? E come ci comportiamo in questa nave? La nostra preghiera è che impariamo come Paolo ad essere indicatori di salvezza nel mare della vita.

Atti 22, 23, 24, 25, 26. 

Nei capitoli che vanno dal 22 al 26 assistiamo ad una serie di discorsi dell’apostolo Paolo che hanno un punto comune: Paolo si deve difendere. Prima davanti ad una folla di giudei che lo vogliono morto, poi davanti al Sinedrio, organo socio-religioso di autorità, di cui era un tempo fedele collaboratore, poi davanti al governatore Felice, a cui succede un altro governatore, Porcio Festo, ed infine davanti al re Erode Agrippa. Oltre al dato di fatto che Paolo è sotto accusa, altri tratti accomunano tutti questi discorsi: nessuno sa di cosa accusare precisamente Paolo, eppure lo vogliono morto; le autorità romane non trovano mai niente di male in lui e se lo passano di mano in mano senza sapere cosa fare, ma lo proteggono perché è cittadino romano anche se non vogliono spiacere troppo ai loro sudditi giudei. Sarà allora interessante trattarli come un unico blocco, ma cercando di vedere in che modo Paolo si difende davanti ai diversi accusatori, tenendo presente un fatto:  anche se in passato  Paolo ha compiuto miracoli, se è stato liberato miracolosamente dal carcere e tolto dalle mani dei suoi persecutori, in questo momento, proprio come il suo maestro Gesù, niente sembra essere dalla parte sua. Non vengono angeli a prelevarlo, e non gli resta che difendersi come può davanti a diversi accusatori, o comunque non gli resta che cercare di persuadere figure apparentemente neutrali, come le autorità romane a cui si fa appello, della sua innocenza. Credo che possiamo fare di Paolo un paradigma di ogni credente accusato, e teniamo presente che i due secoli che seguirono il periodo di Paolo, furono secoli in cui cristiani furono perseguitati duramente. Continuarono ad esserlo nella storia, ed in molti paesi lo sono ancora oggi. Laddove la persecuzione non esiste più, come nella maggior parte dei paesi occidentali, si assiste ad un altro tipo di persecuzione ideologica per cui una posizione forte sulla fede contrasta con i dogmi laicisti (e non laici!) che vorrebbero rinchiudere la fede nello spazio del privato e basta, limitando ogni sua manifestazione pubblica. Ascoltare allora il modo di difendersi di Paolo può essere motivo di ispirazione per una difesa sia specifica di una persona perseguitata per motivi di fede, sia in senso più lato sulla legittimità dei contenuti della fede di essere affermati. Vediamo un semplice verso per ogni passo che illustri ognuna delle strategie.
  1. 1.       Difesa dagli Ebrei: Conoscere i diritti della legge romana.
Un primo elemento di difesa Paolo la ritrova nella legge. In 22,25b leggiamo:” Vi è lecito flagellare un cittadino romano che non è stato ancora condannato?”. La pratica dell’infliggere condanne prima del giudizio stesso è tipica di una giustizia sommaria che si crede onnipotente. Eppure il tribuno Lisia quando si rende conto di aver a che fare con un cittadino romano si ferma. Da un punto di vista assoluto Paolo avrebbe potuto attardarsi in una difesa universale dell’uomo, e avrebbe potuto dire che non bisogna flagellare nessuno, e non solo i romani. Ma qui, senza portare il discorso così in alto,  sceglie di avvalersi di quello che la legge gli garantisce. E’ un diritto che ha e se ne avvale. E’ bene che i cristiani sorveglino le legislazioni dei propri paesi e che non subiscano passivamente gli abusi di potere dei governi. Un amico di Srilanka mi ha raccontato che il governo srilankese aveva fatto una legge che vietava l’evangelizzazione, eliminato in seguito a proteste continue dei numerosi cristiani che si sono fatti sentire.  E’ un esempio di buon uso della legge che avrà ripercussioni anche su tutti gli altri cittadini, eventualmente non cristiani.  Una prima strategia è quindi quella di un buon uso della legge unito alla consapevolezza dei propri diritti. Ed insisto sulla consapevolezza perché mi è capitato di conoscere credenti che si sentivano perseguitati semplicemente perché non sapevano che avevano certi diritti. Ad esempio nell’università non ottenevano aule per riunirsi perché non conoscevano i diritti riservati alle associazioni studentesche. Sono semplici esempi che vanno al di là del contesto del presente passo, ma questo passo ci incoraggia anche  in questo senso: ci sono ottime cose nelle leggi che vanno conosciute per difenderci da ingiuste o presunte accuse.
  1. 2.      Difesa dal sinedrio: conoscere le dottrine.
Nel doversi difendere davanti al sinedrio Paolo sfrutta una serie di dissidi interni presenti nelle persone del sinedrio stesso. “E’ a motivo della speranza nella resurrezione dei morti che sono chiamato in giudizio”: 23:6-10 ci informa che i sadducei ed i farisei erano divisi rispetto alla resurrezione e Paolo sfrutta questa loro divisione per difendersi. Potrebbe sembrare un atto di furbizia, ma se pensiamo che viene accusato in modo pretestuoso e falso, senza che ci siano chiare accuse potremmo piuttosto dire che usa intelligentemente il cervello per portare i suoi accusatori a riflettere insieme a lui: in fondo la sua colpa è di credere nella resurrezione, ed è questo che dà scandalo. I farisei probabilmente non condividono altri elementi dottrinali ma su questo concordano, e Paolo riesce a portarli dalla sua. Questo grazie ad una seria conoscenza dei contenuti della fede che Paolo ha, e che possiamo chiamare dottrina.
Quando su un piano molto più generale parliamo di persecuzione, o anche di persecuzione intellettuale, possiamo pensare a quanto sia importante per i credenti conoscere il mondo in cui si trovano e le sue dottrine per saper interagire con queste. Ci sono punti di contatto tra il pensiero cristiano e certe filosofie non cristiane, e possono essere usati per dialogare o per allearsi contro altri “accusatori”. Pensiamo ad esempio alla  laicità: ci sono tanti atei che per molti versi sarebbero pronti a perseguitare la chiesa; ma gli stessi sul piano della laicità, che è un tema a noi evangelici molto caro, potrebbero essere degli ottimi alleati più che dei persecutori. Una seconda strategia di Paolo è quindi l’interazione intelligente con le dottrine del suo tempo. Grazie a questo riesce a liberarsi, viene salvato da una congiura e trasportato
  1. Difesa da Felice 24:25. Predicare comunque
Davanti a Felice Paolo necessita in primo luogo di una buona dose di pazienza. Viene spedito da lui dal tribuno Claudio Silla, quello che l’ha salvato, perché ritiene che sia accusato ingiustamente, ma lo rimanda ad un’autorità più alta. E questo Felice prende o perde tempo rimandando continuamente il giudizio. Interessante però un fatto nelle parole di difesa di Paolo: finora difendendosi dal sinedrio e dalla folla ebraica ha ovviamente fatto riferimento alla sua conversione, alla fede e a tutto quello che riguarda la sua interpretazione dell’ebraismo alla luce del messia; ebreo che parla ad ebrei discute con loro su quei temi che li dividono. Quando parla alle autorità romane tuttavia avrebbe potuto lasciar stare il discorso sulla fede e difendersi su un piano puramente civico. Non lo fa e spiega nel dettaglio la sua vicenda. E leggiamo nel capitolo 24 che: “ Siccome Paolo parlava di giustizia, di temperanza e del giudizio futuro Felice si spaventò e replico: Per ora va e quando ne avrò l’opportunità ti manderò a chiamare”. Paolo, anche se sotto accusa, non rinuncia ad evangelizzare, ad annunciare il grande messaggio che ha da trasmettere: ogni uomo se si ravvede può risuscitare, attraverso la conoscenza del primo risorto: Gesù Cristo. Questo messaggio non è limitato agli ebrei, ma è esteso alle autorità, comprese quelle che lo stanno giudicando e che hanno la sua vita nelle mani. Perché Paolo sa che in fondo queste autorità non sono niente davanti a Dio. Forse un forte incoraggiamento per chi è seriamente perseguitato può essere questo: la miglior difesa è l’attacco, ma un attacco fatto di parole di vita, che cambino anche la stessa persona che lo sta attaccando. Purtroppo chi ascolta è veramente poco intelligente e pensa di rimediare soldi da Paolo, che non si presenta certo come un ricco.
4. Difesa davanti a Festo 25:11
Anche davanti al nuovo governatore, che succede a Felice Paolo mette in atto la strategia di reclamare i suoi diritti: rifiuta di tornare a Gerusalemme per essere giudicato dai Giudei, e tiene fermo il suo diritto di essere giudicato dal tribunale romano di Cesarea. Quando sentiamo parlare di cambiamenti di tribunali, ci viene subito in mente la nostra attualità italiana in cui i politici per sfuggire alla giustizia fanno di tutto per cambiare le sedi nelle quali dovrebbero essere giudicati. Ma rispetto alla nostra triste attualità fatta di persone che cercano di sfuggire al giudizio, che cambiano le leggi per non essere giudicate, Paolo ci presenta un esempio di fiducia nella legge civile, che costituisce un suo ulteriore modo di difendersi e che troviamo in queste parole del v. 25:11 “Se dunque sono colpevole e ho commesso qualcosa da meritare la morte non rifiuto di morire: ma se nelle cose delle quali costoro mi accusano non c’è nulla di vero, nessuno mi può consegnare nelle loro mani. Io mi appello a Cesare.” Paolo non si sottrae alla giustizia dicendosi disposto a subire le pene che merita qualora queste siano provate. Ma non si sottrae alla giustizia. Mi colpisce che Paolo nelle varie sedute del processo intentato contro di lui non fa mai la vittima ed è pronto ad assumersi le sue eventuali responsabilità. Ma sa bene di avere ragione ed ha fiducia che le autorità romane riconosceranno la sua innocenza. Forse è ingenuità, ma significa anche far capire all’arroganza umana che un gradino sotto Dio, ci sono altre entità che stanno sopra gli uomini: le leggi, e che queste vanno rispettate.
5. Difesa davanti ad Agrippa: Ancora un poco e farai di me un cristiano!
L’ultimo da cui Paolo deve difendersi è il re Agrippa, Marco Giulio Erode Agrippa II, figlio di Erode Agrippa ed ebreo. Questo rappresenta un misto tra le due entità che finora hanno giudicato Paolo: è ebreo ed è al contempo un’autorità romana. Il racconto di Paolo è quindi accorato, riprende la sua conversione e fa leva sull’identità ebraica di Agrippa: nei versetti da 24 a 32, vediamo che Festo non riesce a capire le parole di Paolo, impregnate di dottrina ebraica. Agrippa invece capisce e al v.27 Paolo è gli strappa una confessione: egli crede nei profeti, quindi non può non credere nel Cristo. Da cui le parole del v. 28”Ancora un po’ e mi convinci a diventare cristiano”. Come con Felice Paolo sa che il problema centrale non è tanto quello di scagionarsi. Il problema centrale è evangelizzare. E se vuole libertà questa serve a portare avanti il vangelo.
Possiamo quindi prendere questo passo finale come una bandiera. Se c’è persecuzione per la chiesa oggi in diversi paesi preghiamo non per la vendetta contro i persecutori, ma perché la chiesa perseguitata riesca a parlare e a far sì che qualcuno dica: per un po’ mi fai diventare cristiano! Se c’è sufficienza rispetto alla fede, se c’è persecuzione ideologica od eccessi laicisti, allora preghiamo che la nostra predicazione possa essere forte e tale da far dire: “quasi quasi, diventiamo cristiani, sperando che chi ci ascolta vada al di là della superficialità di Agrippa, di Festo e degli altri accusatori che in questo passo sono rimasti fermi. Preghiamo ancora perché questa settimana possiamo annunciare Gesù Cristo e perché le persone rispondano dicendo: “Per un po’ mi convinci a diventare cristiano!”, ma che poi lo diventino veramente! AMEN

Atti 21: 17-40

Unità e diversità



17 Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente18 L'indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c'erano anche tutti gli anziani. 19 Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo suo.20 Quand'ebbero ascoltato, essi davano gloria a Dio; quindi dissero a Paolo: «Tu vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla legge. 21 Ora hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini. 22 Che facciamo? Senza dubbio verranno a sapere che sei arrivato. 23 Fa' dunque quanto ti diciamo: vi sono fra noi quattro uomini che hanno un voto da sciogliere. 24 Prendili con te, compi la purificazione insieme con loro e paga tu la spesa per loro perché possano radersi il capo. Così tutti verranno a sapere che non c'è nulla di vero in ciò di cui sono stati informati, ma che invece anche tu ti comporti bene osservando la legge. 25 Quanto ai pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso ed abbiamo loro scritto che si astengano dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale soffocato e dalla impudicizia».
26 Allora Paolo prese con sé quegli uomini e il giorno seguente, fatta insieme con loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata l'offerta per ciascuno di loro.
27 Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i Giudei della provincia d'Asia, vistolo nel tempio, aizzarono tutta la folla e misero le mani su di lui gridando: 28 «Uomini d'Israele, aiuto! Questo è l'uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo; ora ha introdotto perfino dei Greci nel tempio e ha profanato il luogo santo!». 29 Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Efeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio. 30 Allora tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte. 31 Stavano già cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta.32 Immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo. 33 Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto s'informava chi fosse e che cosa avesse fatto.34 Tra la folla però chi diceva una cosa, chi un'altra. Nell'impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza. 35 Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla. 36 La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: «A morte!».
37 Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: «Posso dirti una parola?». «Conosci il greco?, disse quello, 38 Allora non sei quell'Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?». 39 Rispose Paolo: «Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego, lascia che rivolga la parola a questa gente». 40 Avendo egli acconsentito, Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico dicendo.

Ad una prima lettura di questo passo, un fatto mi è subito saltato agli occhi: Paolo ha fatto parecchi chilometri, evangelizzato parecchi paesi, visto parecchie conversioni e, stando a quanto leggiamo nell’epistola ai Romani, ha anche portato parecchi soldi agli anziani in Gerusalemme. Tuttavia poco spazio viene dedicato alla descrizione della gioia e dell’ascolto del racconto di Paolo. I modo piuttosto veloce Luca passa a trattare il problema delle tensioni presenti a Gerusalemme,  dovute alla presenza stessa di Paolo nella città, capitale dell’ebraismo. Quindi si passa al racconto del compromesso di Paolo e del suo arresto. Perché questo? Da un lato potremmo dire che c’era da aspettarselo: nel capitolo precedente abbiamo letto che molti avevano avvisato Paolo che a Gerusalemme avrebbe sofferto, e che egli stesso ne era ben consapevole. Ma oltre a questo dobbiamo prendere atto di una situazione di cui abbiamo già avuto diverse manifestazioni nel libro degli Atti: la chiesa primitiva è meno unita di quello che una sua certa immagine vorrebbe farci credere. Non va esagerata questa diversità, ma neppure negata. La conferenza di Gerusalemme viene datata intorno al 48. I fatti descritti in questo passo potrebbero essere datati intorno al 57. Sono quindi passati circa 10 anni, dalle prime decisioni prese rispetto ad una scissione importante tra cristiani di origini giudaiche e cristiani di origini pagane. Ma come vediamo le cose non si sono facilmente appianate. E’ ancora necessario intervenire. Capiamo bene quindi perché Giacomo e gli anziani di Gerusalemme sembrino quasi più intenzionati a calmare i membri delle loro chiese che non a gratificare Paolo per i grandi miracoli vissuti durante il suo viaggio. Ma questa situazione mi porta ancora a riflettere su alcune cose, in modo molto libero, tentando di paragonare la nostra situazione di oggi a quella di quella chiesa.
1. Un corpo diviso ed unito
La prima cosa che mi viene da dire è quella chiesa si trova nella condizione paradossale di avere una specie di frattura in sé, ma di vivere tuttavia nell’unità. Le scrittura pur raccontando delle diversità tra ebraizzanti ed ellenisti non smette di considerare il popolo di Dio come uno, e gli anziani di questo Paolo accolgono Paolo fraternamente, ed insieme a lui glorificano Dio. Si badi bene che in certi casi la percezione della diversità doveva essere molto forte: si parla di persone che temono l’arrivo di Paolo e che credono alle dicerie su di lui. Sono cristiani in gran numero, ma di Paolo non hanno una buona opinione... Questo in qualche modo mi rassicura un po’ sulla situazione della chiesa di oggi, perché io stesso condivido molto poco le idee di diversi leader cristiani e pastori di alcune chiese, ma devo fare lo sforzo di considerarli ugualmente fratelli in Cristo. Certamente, qui le diversità non riguardano le questioni centrali della fede, ma la misura in cui rimanere attaccati alle leggi cerimoniali giudaiche. Tuttavia, per molti erano importanti, ma lo sforzo degli anziani è di cercare dei modi per calmare le acque. La diversità è un dato di fatto, ed è l’opposto dell’omologazione. Ci sono molti nomi diversi di confessioni cristiane, con posizioni diverse su molti argomenti, dottrinali, etici, organizzativi. Eppure il corpo di Cristo deve riuscire a pensarsi come uno e come unico, e vivere nello sforzo di inventare dei modi di venirsi incontro. Impariamo a vivere dunque la diversità di vedute e di opinioni come una ricchezza che può permettere a tante persone diverse di vivere in un unico corpo. Preciso e sottolineo che non intendo con questo che tutto sia relativo, e che il solo nome di Cristo implichi l’essere cristiano, anzi. Ma credo che questa chiesa diversa lanci anche una sfida al nostro modo di pensare spesso omologante, che diventa facilmente pericoloso.
2. Il voto di Paolo: compromesso o atto di amore?
Per molti forse Paolo qui è sceso a compromessi. Se ha ormai dichiarato di pensare il giudaismo come separato, perché accetta il consiglio degli anziani di Gerusalemme? Il punto però è un altro: Paolo fa qualcosa di male o di contrario alla sua coscienza nello sciogliere il voto insieme a queste persone? Ricordiamo che si trattava di pratiche che i giudei avevano smesso di voler imporre ai pagani convertiti, e che si contentavano di praticare tra di loro, in quanto importanti per la loro identità. Possiamo dire che non c’è nessun male nel fare dei voti, e nello scioglierli secondo un cerimoniale che prevede la purificazione nel tempio. Anzi, potremmo dire che il voler mantenere un legame con il tempio avrebbe potuto favorire un qualcosa di meraviglioso: trasmettere ai giudei che il cristianesimo non era altro che sbocco naturale dell’ebraismo. Non avrebbe dovuto esserci opposizione, ed invece c’è stata. Ed il superamento dell’ebraismo non sta tanto nell’accantonare una serie di pratiche, ma nel capire che non hanno senso e valore di per sé, ma che sono solo segni. Se Paolo quindi, avendo maturato una specie di avversità verso le diverse pratiche giudaiche che lui stesso ha praticato fin da piccolo, e le pratica per portare unità nel popolo di Dio, il suo gesto è un atto di pace più che un compromesso.
Abbiamo bisogno anche oggi di simili atti di pace all’interno della chiesa di Dio. Possono essere gli incontri tra pastori di diverse denominazioni, la partecipazione a  missioni interconfessionali, gli scambi di doni tra comunità diverse... Sono tutti elementi che vanno incoraggiati e portati avanti proprio per vivere sanamente la diversità inevitabile e crescere nell’unità. Posso dare come testimonianza che una certa unità tra chiese della nostra città viene anche dalla partecipazione di molti ex-giovani al gruppo del GBU, gruppo interconfessionale universitario che organizza studi biblici nell’ateneo di Pisa. Ovviamente non si tratta dei voti fatti da Paoli, ma se dobbiamo pensare ad azioni che in qualche modo contrastino la possibile divisione che ogni diversità può comportare, allora il paragone regge. Come Paolo accetta una pratica giudaica che aveva praticato in passato per sedare potenziali divisioni, è importante intraprendere azioni che unifichino il corpo di Cristo, comunque esse siano concepite.
3. Il sentito dire e la verità
C’è un problema che soggiace a tutto ciò. Giacomo sa bene che ciò che è stato detto su Paolo è falso, ma la maldicenza opera ampiamente tanto fuori quanto dentro le chiese. Paolo diventa quindi colui che è contro Mosè, il profanatore del tempio, il dissacratore per eccellenza. E tutto ciò perché nessuno si è curato di andare a parlare direttamente con Paolo. La folla stessa, come nel caso di Gesù non ha ben chiaro perché stia accusando Paolo, ed il tribuno non riesce a capire quali siano i capi d’imputazione; il tribuno stesso pensa che Paolo sia un egiziano e si stupisce sentendolo parlare in greco. La potenza della maldicenza e della menzogna arrivano a far arrestare un uomo innocente, esattamente come nel caso di Gesù. Ora, ripensando al problema della diversità e dell’unità nella chiesa di ogni tempo, questo episodio insegna che un uso attento, onesto e preciso del linguaggio è estremamente importante dal punto di vista etico. Quando si parla di altre chiese, dei loro problemi, delle stesse cose che forse non si condividono o che si ritengono strane, è fondamentale usare un linguaggio attento che riporta i fatti senza aggiungere niente, e che non cerca di dare valutazioni. Probabilmente se Paolo è stato accusato di tutti quei misfatti è proprio perché Tizio ha detto a Caio, che ha riportato a Sempronio un fatto inizialmente vero, poi modificato ed infine del tutto distorto. Se quindi il voto di Paolo è un esempio di atto amorevole che sana delle divisioni, la maldicenza come anche il semplice raccontare fatti in modo approssimativo e disattento è proprio ciò che non va fatto per non aggiungere spirito sul fuoco.
Nella fiducia che la chiesa del Signore, nonostante le diversità troverà unità sull’essenziale, continuiamo a seguire le vicende della chiesa primitiva, prendendo spunto dagli episodi che continuano ad essere modelli. AMEN
Atti 21: 1-16

Dov'è la tua Gerusalemme?



1 Appena ci fummo separati da loro, salpammo e per la via diretta giungemmo a Cos, il giorno seguente a Rodi e di qui a Pàtara. 2 Trovata qui una nave che faceva la traversata per la Fenicia, vi salimmo e prendemmo il largo. 3 Giunti in vista di Cipro, ce la lasciammo a sinistra e, continuando a navigare verso la Siria, giungemmo a Tiro, dove la nave doveva scaricare. 4 Avendo ritrovati i discepoli, rimanemmo colà una settimana, ed essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non andare a Gerusalemme. 5 Ma quando furon passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti loro con le mogli e i figli sin fuori della città. Inginocchiati sulla spiaggia pregammo, poi ci salutammo a vicenda; 6 noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case. 7 Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemàide, dove andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro.
8 Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui. 9 Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. 10 Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo.11 Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani». 12 All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. 13 Ma Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». 14 E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».
15 Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo verso Gerusalemme. 16 Vennero con noi anche alcuni discepoli da Cesarèa, i quali ci condussero da un certo Mnasone di Cipro, discepolo della prima ora, dal quale ricevemmo ospitalità.

Chi crede in Dio, e conosce Dio attraverso la lettura della pagine delle Bibbia è portato a partire dal presupposto che Dio non si contraddica. Che non dica cioè qualcosa ad una persona ed il contrario ad un'altra. Quanto pensiamo di Dio lo possiamo applicare anche allo Spirito Santo. Tra le pagine del libro degli Atti leggiamo spesso che lo Spirito Santo guida gli apostoli ed i discepoli, dando indicazioni talvolta molto precise sul da farsi. Il passo che leggiamo oggi sembra però presentare una contraddizione tra quello che lo Spirito dice a diverse persone. Vediamo i fatti.
Dopo un intenso periodo di evangelizzazione ad Efeso vediamo che Paolo sente nascere dentro di sé il desiderio forte di tornare a Gerusalemme. Lo esprime chiaramente in 19:21 dove aggiunge anche che vorrà andare a Roma. Lo ribadisce in 20,16 dove ci viene precisato che vuole arrivarci prima della Pentecose, quindi ha fretta. E poco più avanti, in 20,22-23 aggiunge che è lo Spirito che lo spinge ad andare a Gerusalemme, rendendolo consapevole che non andrà a divertirsi ma a soffrire. Infine arriviamo al passo di oggi, in cui vediamo da un lato Paolo che va avanti nel suo progetto, convinto che lo Spirito lo spinga ad andare a Gerusalemme nonostante le sofferenze che lo aspettano, e dall’altro dei dissuasori, che lo spingono a lasciare perdere. Curioso notare che chi lo dissuade dice ugualmente di essere mosso dallo Spirito e a questo si aggiungono le lacrime e le suppliche, che vengono dall’affetto che lega i discepoli a Paolo. E’ interessante che in tutti questi passi che abbiamo letto Paolo non precisa mai il motivo per cui vuole andare a Gerusalemme; possiamo vedere in questo una specie di imitazione di Cristo che parte appunto dalla Galilea per arrivare a Gerusalemme, o ancora la necessità di rendere conto dell’avanzamento del regno presso i pagani, fatto di cui gli anziani che hanno pregato per lui sono sicuramente interessati. Tuttavia non ci viene detto e possiamo fare solo delle ipotesi. Quello che però ci viene detto è che è lo spirito a muoverlo in questa direzione; e che anche quelli che lo dissuadono sono mossi dallo Spirito. Come risolvere questa contraddizione? Non si tratta di un semplice esercizio teologico, ma di un problema rispetto a cui si confrontano tanti credenti in tante chiese davanti a scelte importanti. Alla fine del passo i discepoli stessi dicono : sia fatta la volontà di Dio! Cerchiamo tutti di fare la volontà di Dio, in generale ed in particolare, ma la volontà di Dio non è sempre scritta a chiare lettere. Come regolarsi?
  1. 1.      Paolo: una meta certa.
La prima cosa che sembra di poter capire è che Paolo senta fortemente che questo progetto venga dallo Spirito. Più volte viene menzionato che sente qualcosa dentro di sé e che lo Spirito gliela conferma. Ci potremmo chiedere in cosa risiedano le garanzie della sua convinzione. Innanzitutto risiedono in un rapporto di intensa comunione con Dio. Non nasce dall’improvvisazione ma da un rapporto continuo. In secondo luogo poggiano successi del viaggio ottenuti finora, dal punto di vista dell’avanzamento del regno di Dio. Migliaia di persone hanno conosciuto Dio attraverso i viaggi di Paolo, che ha sofferto molto, ma le sofferenze personali non le considera motivo di insuccesso, anzi. Ma sopratutto osservando Paolo ci si rende conto che sente fortemente di fare parte Dio di un progetto globale divino di cui egli è strumento. Rispetto a questo niente lo può dissuadere.Paolo ha chiaramente capito qual è la sua meta. Una delle tante. E in quel momento della sua vita tornare a Gerusalemme è importante. Lo è perché vuole raccontare alla chiesa strategicamente più importante quanti pagani hanno conosciuto il Signore, e la conversione dei pagani è percepita come un miracolo.
Questo è un incoraggiamento per ognuno di noi. Qual è il progetto della nostra vita? Come vogliamo crescere nello Spirito? Quali letture ci siamo preposti? Quali azioni? Quali traguardi? Cos’è per noi la Gerusalemme a cui Paolo vuole arrivare? Forse un gruppo di persone a cui vogliamo annunciare il vangelo. Forse un gruppo di credenti con cui vogliamo condividere ciò che viviamo con il Signore. Forse una persona che sta soffrendo e che vogliamo aiutare. Forse del tempo che quotidianamente dovremmo mettere da parte per pregare e leggere la Parola di Dio. Ciò che conta è imparare ad avere degli obiettivi che niente può ostacolare. Paolo ha deciso di andare a Gerusalemme e non saranno i pianti, gli scenari spaventosi descritti dai credenti, le paure a trattenerlo. Questo comportamento ci parla perché spesso ci rendiamo conto di essere influenzabili e deboli come umani, e se abbiamo deciso di impegnarci per una giusta causa, per un’iniziativa di cui possa beneficiare tutta la chiesa o di un progetto per il Signore, facilmente costatiamo che lo Spirito è pronto e la carne è debole. Una delle cose più belle che ci sono per un genitore è vedere i figli che imparano a camminare. CI fanno una gran tenerezza i barcollamenti dei bambini, i loro tentativi e le loro cadute ma poi arriva un momento in cui prendono il via e camminano. Noi che sappiamo camminare a volte dobbiamo imparare come bambini a camminare dritti, verso le mete che ci siamo prefissati, senza lasciarci condizionare. E badate bene che qui chi condiziona Paolo non sono i suoi nemici, i giudei che lo avversano o il mondo malvagio che lo aggredisce; sono i discepoli stessi, apparentemente mossi da spirito profetico. Come non farsi dissuadere. Maturando le proprie convinzioni nell’ambito di un profondo rapporto con Dio, ed usando come criterio il successo del vangelo. Non la sofferenza eventuale che le scelte ci arrecano. Aung San Su Kyi, premio Nobel per la pace, ha fatto 15 anni di arresti domiciliari prima di essere eletta nel parlamento birmano. Probabilmente sapeva che quella sofferenza sarebbe stata utile al suo paese, e la sua visione del bene del suo paese era più grande del dolore di essere chiusa in casa. Quali sono le nostre mete? Cosa portano al vangelo, ed alla causa del regno di Dio? Questa è la domanda che la resistenza di Paolo ci pone.
     2.      Il potere della dissuasione.
      Viene esplicitamente detto da Luca che questi discepoli erano mossi dallo Spirito mentre scongiuravano Paolo di non andare a Gerusalemme. Ma davanti alla sua fermezza non osano insistere e concludano con un quasi fatalistico: sia fatta la volontà di Dio. Cosa dobbiamo capire? Probabilmente non erano poi così convinti di quello che dicevano. O meglio, avevano ricevuto la rivelazione da parte di Dio che Paolo avrebbe sofferto, e di questo Paolo era consapevole quanto loro perché lo Spirito gli attestava che avrebbe avuto solo tribolazioni, ed era conforme con quanto diceva anche il profeta Agabo. Ma a questa rivelazione sulla sofferenza probabile a Gerusalemme hanno aggiunto qualcosa. Hanno mischiato le loro sensazioni, le loro paure, le loro angosce e l’annuncio di un viaggio sofferente si è trasformato in un tentativo di dissuasione, che probabilmente non veniva dallo Spirito Santo. Per troppo amore nei confronti di Paolo hanno finito per scordare quale fosse il suo progetto la sua idea, il motivo per cui Dio lo aveva chiamato a sé ed a fare quei viaggi che gli avevano permesso di conoscere gli stessi discepoli che non vogliono vederlo morire.
      E questo piccolo fatto  ci deve fare riflette su quanto possiamo influenzare gli altri con le nostre paure, con le nostre ansie. E ancora: qui si parla di mischiare le ansie a delle rivelazioni divine, distorcendole. A volte ci sono solo le ansie senza rivelazioni divine … Altre volte, senza scoraggiare i fratelli dissuadendoli dalle loro imprese, manchiamo di incoraggiarli rimanendo freddi a qualunque proposta o stimolo. E anche questo è un modo di scoraggiare. L’intero passo che abbiamo letto ci porta a considerare come la chiesa sia una comunità viva. Viva in ogni senso. Viva spiritualmente, ma viva anche sociologicamente, in cui le persone hanno relazioni, si cercano, si vogliono bene e si condizionano. Paolo dice di aver fretta ma passa 7 giorni a Tiro, 1 a Tolemaide, molti a Cesarea da Filippo e tutto questo per stare con i credenti. Questo testimonia del profondo affetto, del piacere di questi credenti di stare insieme uniti in una missione comune. Ma ci mostra anche il semplice fatto di stare insieme di per sé dice poco, e gli altri possono anche essere fonte di dissuasione, di scoraggiamento. Facilmente ci innamoriamo di noi, vorremmo stare insieme a godere della comunione e dimentichiamo che ognuno ha una missione, dimentichiamo di stimolarci verso questa missione. Quando ci incontriamo cerchiamo di interrogarci insieme: dove è la nostra Gerusalemme? Chiediamoci gli uni gli altri: dove vuoi arrivare? Aiutiamoci a capire le mete di Dio mettendo da parte le ansie e le paure che possiamo avere, ricercando il bene ultimo della costruzione del regno.

      3.      Agabo e la pura verità.
        Infine abbiamo l’esempio del profeta Agabo. Questo ha un comportamento singolare rispetto agli altri. Riprende alcuni modi di fare tipici dell’Antico Testamento, che potremmo definire di drammatizzazione profetica. Agabo fa una scenetta per far capire a Paolo che fine fare a Gerusalemme. Ma diversamente dagli altri, e forse come le figlie di Filippo che pure sono profetesse, preferisce non aggiungere niente. Dice a Paolo che avverte che soffrirà e lì si ferma. Mi piace molto questo esempio di sobrietà per cui non risparmia niente e non strumentalizza niente. Non fa leva sulla eventuale paura di Paolo per dissuaderlo dal suo progetto, né gli nasconde quello che effettivamente Dio gli ha detto. Così facendo credo sia il modello di diversi ministeri ancora presenti nella chiesa di oggi che con la profezia hanno a che vedere. Vogliamo aiutare i nostri fratelli e le nostre sorelle in chiesa che soffrono, o che hanno una qualche problema? Se ci rendiamo conto che nella loro vita stanno sbagliando qualcosa e crediamo che Dio ci chiami a dirglielo apertamente, facciamolo stando attenti a non mischiare niente di personale. Non è facile, siamo sempre condizionati dalle idee che abbiamo sugli altri, da quello che abbiamo sempre creduto su di loro. Forse Agabo, come anche gli altri discepoli, consideravano Paolo eccessivamente temerario, forse preso da manie di eroismo. Ma mentre questi cercano di bloccarlo, Agabo si limita a dire: ti capiterà questo. Sarai legato come un animale e portato al macello. Non è un male pensare ai propri amici, ai propri fratelli e alle proprie sorelle e cercare di dire loro qualcosa rispetto alla fede, se realmente siamo convinti che Dio ci abbia profeticamente illuminati su di loro. Mi è capitato diverse volte di dire cose che sono spiaciute, perché ho sentito che se non lo avessi fatto avrei disubbidito a Dio. Ma mi è anche capitato di essermi spazientito, ed in questo so di aver sbagliato.

        Vogliamo chiedere a Dio di mostrarci quali sono le nostre semplici mete da portare avanti. Vogliamo pensare ad aiutare chi ci sta attorno ad identificare le sue mete per costruire il regno di Dio. Vogliamo chiedere a Dio di fare parte del suo progetto. AMEN

        Atti 20:17-38
        Vescovi, anziani, bidelli e badanti

        17.  Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa.  18 Quando giunsero da lui, disse loro: «Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi,  19 servendo il Signore con ogni umiltà, e con lacrime, tra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei;  20 e come non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunziate e insegnate in pubblico e nelle vostre case,  21 e ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo.  22 Ed ecco che ora, legato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, senza sapere le cose che là mi accadranno.  23 So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni.  24 Ma non faccio nessun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine [con gioia] la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio.  25 E ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno, non vedrete più la mia faccia.  26 Perciò io dichiaro quest' oggi di essere puro del sangue di tutti;
         27 perché non mi sono tirato indietro dall' annunziarvi tutto il consiglio di Dio.  
        28 Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue.  29 Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge;  30 e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli.  31 Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime. 32 E ora, vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia, la quale può edificarvi e darvi l' eredità di tutti i santificati.
         33 Non ho desiderato né l' argento, né l' oro, né i vestiti di nessuno.  34 Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano con me.  35 In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere"».

         36 Quand' ebbe dette queste cose, si pose in ginocchio e pregò con tutti loro.
         37 Tutti scoppiarono in un gran pianto; e si gettarono al collo di Paolo, e lo baciarono,
         38 dolenti soprattutto perché aveva detto loro che non avrebbero più rivisto la sua faccia; e l' accompagnarono alla nave..
        Forse se sentissimo dire che nelle scuole francesi i bidelli vengono chiamati vescovi qualcuno si metterebbe a ridere. Ma la parola usata in Francia per indicare chi controlla gli alunni durante la ricreazione è proprio quella che traduce alla lettera la parola greca “episcopoi”: sorveglianti, cioè gente che guarda dall’alto, che fa attenzione. È un termine che ha subito profonde modificazioni nel corso dei secoli e quando oggi si parla di vescovi si pensa a figure con parecchio potere in alto alle gerarchi ecclesiastiche. Anche sentendo parlare di “anziani”, ci vengono in mente persone che magari hanno i capelli bianchi e camminano curvi, oppure che godono di ottima salute perché si tengono in forma pur avendo passato i 65 (età dopo cui sul treno ti danno la carta d’argento). Sta di fatto che nel libro degli Atti, quindi nella chiesa primitiva, le guide della chiesa, venivano designate proprio con questi due nomi: anziani e vescovi, ciò gente con un po’ di saggezza e capace di sorvegliare. Mi verrebbe voglia di cambiare i termini e di dire che le guide della scuola sono come dei bidelli e delle badanti, oppure dei saggi, in modo da percepirli in modo un po’ diverso. In questo capitolo ci rendiamo conto che la chiesa è cambiata: oltre all’istituzione dei apostoli e di quella dei diaconi, sono nati degli anziani o vescovi, probabilmente imitando il modello della sinagoga. Paolo si rivolge a loro perché hanno delle responsabilità, e quanto dice è molto utile anche per noi oggi, che cerchiamo di continuo di capire come debba funzionare una chiesa.
        1. Come Paolo si è rapportato a loro.
        Paolo non ha sensi di colpa. Sa bene di aver servito, di non aver nascosto niente, di aver esposto tutto il consiglio di Dio e di essere quindi puro del sangue di tutti. È un modo strano di cominciare un discorso di congedo, ci aspetteremmo dei saluti, delle promesse e degli auspici di rivedersi. Al contrario Paolo dice che non si rivedranno più dichiara la sua innocenza rispetto alla loro vita. Per Paolo annunciare il vangelo è l’unico vero debito che un cristiano ha verso un altro uomo. Annunciare il messaggio della vita, che sconvolge la vita per cambiarla e trasformarla in vera vita è tutto ciò che lui ha da dire e da dare. Quanto qualcuno perde un familiare dopo una malattia, è tipico dell’elaborazione del lutto, provare dei sensi di colpa, derivanti dal pensare a tutto ciò che non si è fatto per quella persona. Paolo, che sta per perdere questi cari collaboratori, non ha questo problema perché sa di aver annunciato. Il nostro dramma post-moderno sta nel fatto che spesso ci contentiamo del rispetto di tutto e di tutto, ma non ci sta più a cuore il destino ultimo dei nostri simili. Dichiararsi “puro del sangue di tutti” significa presupporre che se non avesse annunciato quel vangelo sarebbe colpevole verso di loro. Perché aveva in mano le chiavi della vita e non aveva aperto loro la porta.
        Dobbiamo domandarci in che misura viviamo con questa consapevolezza: parlare o non parlare di Dio, annunciare o non annunciare la vita eterna, dire o non dire che la vita senza Dio è morta, non sono opzioni per condire una conversazione. Proviamo questo senso di colpevolezza o di innocenza verso chi ci sta intorno?
        1. La responsabilità degli anziani
        Paolo pone addosso a questi anziani delle responsabilità non indifferenti: devono badare a se stessi e al gregge, pascere, vegliare e ammonire, consapevoli che saranno osteggiati da nemici nel loro lavoro. Per quanto la chiesa sia una famiglia in cui tutti sono assolutamente uguali ed abbiamo lo stesso valore, ci sono ruoli diversi e lo Spirito Santo costituisce alcuni come “vescovi” ed altri no, pur dando a tutti un qualche dono per l’utile comune. Questi hanno il difficile ruolo di guidare, con diverse incombenze: primo devono saper guidare se stessi, altrimenti non possono guidare gli altri. Poi devono badare, proprio come le badanti si occupano delle persone anziane giorno per giorno; poi devono sorvegliare, come i guardiani che stanno in allerta contro eventuali pericoli. Riprendendo il termine di bidello, mi viene in mente che nelle scuole i bidelli sorvegliano affinché non entri la droga, compito che nessun altro può svolgere, essendo i docenti chiusi in classi ed il resto del personale nella propria stanza.  Perché nel mondo, e quindi nelle chiese, circolano idee che sono potenzialmente distruttive, mortifere. A vedere come si è ridotta la chiesa occidentale, c’è da pensare che gli eredi di questi anziani non siano stati molto attenti, ma questo non sminuisce il compito. Se il consumismo si insinua nella chiesa, i vescovi lo devono dire; se il liberalismo si insinua nella chiesa, i vescovi lo devono dire; se il settarismo si insinua nella chiesa, ugualmente gli anziani devono vegliare. Perché sono alla pari dottrine perverse che rovinano il popolo di Dio.
                    Oggi siamo in una chiesa e non mi rivolgo ad un gruppo di vescovi. Messo in chiaro che questo è il ruolo delle guide, anche chi è guidato fa bene a porsi qualche domanda: intanto è importante chiedersi se le guide (anziani, vescovi, pastori, chiamiamoli come vogliamo), facciano effettivamente quello che Paolo ha prescritto. Guidano o comandano? Curano o si esibiscono? Pascono o recitano? In secondo luogo, chi è guidato si può chiedere in che misura facilita il ruolo di chi guida. In che misura lo riconosce realmente come pastore. Io faccio da amministratore nel mio condominio e mi rendo conto di quando sia scomodo e difficile dover riprendere i condomini se violano il regolamento o fanno qualcosa di sbagliato. Sarebbe bello che nelle chiese fosse più facile, ma l’esperienza mi insegna che no è così. Quindi l’unica speranza è quella che anche Paolo esprime: “Vi affido a Dio e alla parola della sua grazia”!
        3. Di peso a nessuno
        L’ultimo punto che Paolo sottolinea è che si è automantenuto. Quindi esorta le guide a non essere di peso a nessuno. Paolo in altri passi, come II Corinzi, rivendica che le guide debbano anche essere mantenute, laddove è possibile, ma non lo erige a norma. Se questo appesantisce la chiesa, allora devono lavorare, proprio come lui lavorava costruendo tende con Aquila e Priscilla. L’importante è curare e non pesare. Ora nel vedere nel corso della storia come la posizione di guida in diversi tipi di chiese è stata strumentalizzata per arricchirsi depredando i poveri c’è da rabbrividire, anche perché è difficile salvare qualcuno: andiamo dalla straricchezza delle chiese cattoliche, che continuano a rubare al popolo e allo stato, con 8 per 1000, sgravi fiscali e trucchi vari, ai telepredicatori americani, del nord e del sud, spesso presunti evangelici che con strategie di marketing e pressioni psicologiche svuotano le tasche di chi già sta male. C’è un principio chiaro che Paolo pone: un vescovo non si arricchisce, perché mette il dare al primo posto, e fa del dare la sua gioia.
        Da questo mettere il dare al primo posto, emerge che le guide devono porre come priorità nell’agenda della chiesa l’attenzione ai deboli: in agenda ci devono essere azioni per chi sta male, economicamente, fisicamente, psicologiamente, emotivamente. La chiesa, con il suo messaggio sconvolgente di denuncia, ravvedimento, risurrezione, e infine libertà può rispondere a queste categorie. Non perché è ricca e quindi dispensa beni economici, ma al contrario, perché fa del dare un principio di vita, insegnando a come vivere anche nel disagio. Concludiamo ancora con una domanda: cosa facciamo per i deboli?
        Il Pianto finale che prende tutti gli anziani, conferma l’amore con cui è vissuto il pastorato  di Paolo e la forza di parole che non poggiano sull’efficacia retorica, ma sull’esempio vivente di chi le predica.