mercoledì 16 maggio 2012


Atti 1: 12-26

12 Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. 13 Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C'erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo. 14 Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui.
15 In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone radunate era circa centoventi) e disse: 16 «Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. 17 Egli era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. 18 Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. 19 La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue.20 Infatti sta scritto nel libro dei Salmi:

La sua dimora diventi deserta,
e nessuno vi abiti,
il suo incarico lo prenda un altro.
21 Bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, 22 incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione».
23 Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia.24 Allora essi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato 25 a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto». 26 Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

Immaginiamo di rimanere soli dopo essere stati per molto tempo con una persona a cui diamo una grandissima importanza. Probabilmente ci fermiamo a pensare quello che ci siamo detti e soprattutto quello che ha significato per noi questa persona nella nostra vita, magari anche solo per qualche giorno. Magari ci fermiamo anche a pensare a come ringraziarla, a come mostrare la nostra gratitudine o a come prolungare il contatto.
Ecco, i discepoli in questo momento si trovano in una situazione un po’ simile: il loro maestro, Gesù è asceso in cielo, lo hanno visto andare via, e potrebbero passare il tempo a contemplare questa sua dipartita. Ma hanno ricevuto istruzioni chiare: tornare a Gerusalemme, organizzando la loro “attesa” del ritorno del loro Maestro. Da quel giorno la chiesa vive in questa attesa, che nei primi tempi sembrava breve, ma che come costatiamo si è rivelata ben più lunga. Tra l’altro, l’attesa che vediamo descritta in questo passo è doppia: da un lato i discepoli aspettano il vero e proprio ritorno di quel Gesù “che è stato assunto in cielo e che tornerà un giorno nello stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo” (v.11). Ma c’è un’altra attesa che è ancora più imminente, e questa si è realizzata: l’attesa dello Spirito Santo promesso. Un periodo oltremodo intermedio, caratterizzato da diversi elementi di precarietà, ma anche da alcuni punti solidi. Ci sono tre cose che sembrano imporsi come NECESSARIE in questo momento, che articoleranno la nostra riflessione di oggi. Queste tre “cose”, sono linee guida che la chiesa è invitata a seguire a quel tempo come oggi, nella misura in cui è opportuno trarre esperienza da ciò che è stato vissuto dalla chiesa primitiva. Di due di queste cose, è esplicitamente detto da Pietro che sono necessarie. La prima, invece, si impone come una necessità chiaramente percepita dagli apostoli, pur senza essere esplicitamente verbalizzata.
1.      La necessità di pregare.
La strada dal monte degli ulivi a Gerusalemme è breve, circa 1.2 Km, e percorso questo piccolo tragitto i discepoli si recano immediatamente in un luogo appartato, la stanza superiore di una casa di uno di loro. Questo semplice fatto mi pare significativo. Intanto, diciamolo con un po’ di ironia, ma non del tutto gratuita, visto che abbiamo detto che in questo momento, nella nostra comunità, ci sentiamo un po’ come nel libro degli atti, che descrive un’avventura che comincia, abbiamo un ulteriore elemento di somiglianza: anche noi ci troviamo al piano di sopra! Ma a parte questo è interessante pensare che tutto, e con tutto intendo l’intero movimento del cristianesimo, il nascere ed il crescere nella fede del risorto che ha effettivamente raggiunto le estremità della terra, tutto sia nato da questa piccola stanzetta a Gerusalemme, da un numero sparuto di persone: 11 apostoli, alcune donne ed i fratelli di Gesù. Dall’intimità di una stanzetta alle estremità della terra…  Per carità, non si tratta di qualcosa di unico. Anche i due inventori di Google, che ora come ora diventa il maggior fattore di aggregazione e di diffusione della conoscenza hanno pensato il loro algoritmo in un piccolo garage ed ora sono arrivati alle estremità della terra. Nondimeno è un qualcosa che mi affascina e che mi fa ripetere che dal piccolo, dal niente può nascere qualcosa di enorme. E se si tratta di qualcosa di spirituale, come nel caso della diffusione della fede cristiana, che cambia i cuori e rivoluziona il mondo del cuore e dello spirito, è significativo che il primo passo fatto dai discepoli sia stato quello di mettersi a pregare. Vengono elencati i nomi di tutti i presenti, eccetto che dei fratelli e delle donne, anche se si tratta di nomi che poi non hanno fatto storia; forse solo di Pietro si continua a sapere qualcosa, o di Maria – e spesso a sproposito -  ma gli altri si sono persi tra le pieghe della storia. Di loro non vengono dati aggettivi né si fanno sottolineature particolari: ma è invece sottolineato il fatto che “erano assidui e concordi nella preghiera”. La preghiera per i primi discepoli chiusi nella loro stanzetta, e precari per un’attesa dai contorni ancora poco chiari, non è la ripetizione di formule memorizzate o l’esecuzione diligente di un ringraziamento prima di mangiare, o per cominciare la giornata: è una forza incredibile  contraddistinta dall’assiduità e dalla concordia. Viene fatta assiduamente, di continuo, come un bisogno superiore a quello di mangiare, e veicola un’energia comunitaria che unisce. Quando ci riuniamo per pregare, cosa che facciamo ogni mercoledì, dobbiamo ben ricordare questi elementi: assiduità e concordia, fattori che ci faranno uscire dalla riunione trasformati nella consapevolezza di aver, in quell’ora trascorsa in preghiera, trasformato il mondo e dato un ulteriore senso all’attesa.
2.      Era necessario che si adempisse la scrittura.
Pietro, l’apostolo dalla personalità più forte, ed il testimone a cui Gesù ha detto che sulla sua confessione (“tu sei Il Cristo, il figliuolo di Davide”) avrebbe costruito la sua chiesa, comincia a mostrare una posizione di guida. Fa notare che dopo aver pregato c’è una seconda cosa che è necessaria: che si adempisse la scrittura. La cosa viene detta riguardo a Giuda, quasi che per poter andare avanti sia necessario fare chiarezza sul male supremo, sul responsabile dell’arresto e della morte del maestro. Se la stessa consegna di Gesù nelle mani dei nemici era prevista dalla Scrittura, ugualmente è necessario che quel che è successo come conseguenza del tradimento sia reso noto e iscritto nella scia delle profezia. Eppure questo aspetto, per me personalmente è problematico: non è facile da capire. Se andiamo a vedere quali passi Pietro prende per inquadrare profeticamente il suicidio di Giuda e la sorte desertica del suo campo, scopriamo che sceglie i salmi 69 e 109, entrambi passi in cui, ovviamente, non viene menzionato Giuda esplicitamente, ma viene letto come uno degli avversari di Davide, che in quel momento lo stanno perseguitando. Non è proprio immediato, per noi, cogliere la portata messianica di quei passi  e conseguentemente la possibilità di applicarli al contesto presente. Personalmente confesso la mia difficoltà ad interpretare chiaramente molte delle citazioni che nel Nuovo Testamento vengono fatte dell’antico. Tuttavia è interessante notare che per quella comunità erano perfettamente chiare e che avevano un senso. E la cosa è perfettamente plausibile, perché se si pensa ad un insieme di testi che per una comunità hanno senso e che delineano i tratti di un ipotetico messia e di un suo nemico, diventa plausibile identificare le persone che storicamente vengono a ricoprire i ruoli indicati dalla profezia. Ma allora viene da chiedersi: anche noi abbiamo diritto di fare come Pietro? Possiamo leggere la scrittura e cercare in essa referenti precisi: possiamo, ad esempio cercare nella scrittura il Salmo che parla di Bin Laden, di George Bush, o ancora peggio di Berlusconi? Molti lo fanno. Direi che c’è qualcosa che ci dovrebbe preservare da simili tentativi: primo, Pietro fa riferimento a testi giudaici che parlano di un messia ebreo e ragiona in una logica interna a quel popolo. Spesso nel tentativo di estrapolare arbitrariamente le profezie dai loro contesti si commettono errori grossolani; secondo, un conto è la politica ordinaria, un conto è il messia, che rappresenta carattere di unicità; terzo, la quantità di tentativi fatti nella storia di identificare l’anti-cristo o altro, si sono spesso rivelati fallimentari. Allora che facciamo, ignoriamo le profezie? No, prendiamo atto che la storia mondiale non procede in modo casuale, ma è inserita nel solco della Scrittura. Ma cerchiamo di focalizzare la portata profetica su aspetti molto vasti e importanti per l’intera umanità: c’è stato un messia. Questo messia tornerà e non si sa quando. L’aspetto profetico fondamentale, promesso nella scrittura, garantito è che il messia tornerà. Che il male sarà punito ed eliminato, proprio come Giuda si è punito ed eliminato da solo. Non cerchiamo referenti precisi di fattarelli isolati: sappiamo che le grosse promesse, di speranza, rinnovamento, rigenerazione e resurrezione, non saranno deluse. E questo è il motivo fondamentale per cui diciamo con Pietro: Era necessario che ciò che fu predetto dalla Scrittura si adempisse! E si adempirà ancora!
3.      I dodici ieri ed oggi.
Bisogna sostituire un membro dei 12. Ci chiediamo di nuovo perché. Possiamo trovare una risposta in due aspetti: il primo è che c’è qualcosa che continua, anche simbolicamente. 12 ha un valore simbolico forte nella storia di Israele, basti pensare che è il numero delle tribù. Non è un caso che Gesù abbia scelto 12 discepoli, quasi a dire che tra la storia cominciata con Abramo e la sua c’è continuità. Si sbaglia chi oppone un Dio dell’Antico Testamento ad uno del Nuovo rivelatosi in Gesù, perché è sempre lo stesso Dio, lo stesso Jhvh rivelatosi ad Abramo. La storia di Gesù, prima ancora che di portata universale – la quale è indiscutibile – trova il suo senso nella continuità della storia di un popolo di schiavi che Dio ha scelto di liberare prendendolo come punto di partenza per portare un messaggio a tutta l’umanità. E’ quindi importante mantenere questo simbolo, questo dodici. Ma non tutti possono essere nei dodici, né i dodici possono continuare ad esistere se non nella testimonianza che hanno lasciato, cioè il Nuovo Testamento: per essere uno dei 12 bisogna aver camminato con Gesù, ed aver assistito come testimone oculare della resurrezione. Avere avuto con lui una relazione profonda. Questo garantisce la solidità della testimonianza, che deve poggiare su persone fidate. Il metodo della scelta è forse un po’ sorprendete per noi: la sorte può sembrare arbitraria e forse la si può spiegare in un contesto di attesa in cui lo Spirito non è ancora stato dato. Ma non è una sorte che prende uno chiunque: ci devono essere delle caratteristiche precise, che garantiscono l’attendibilità della testimonianza.
Concludendo: come aspettiamo? I discepoli hanno aspettato la discesa dello Spirito santo nella preghiera, nella certezza di inserirsi nella scia della Parola e sulla base di una testimonianza certa. E’ quello che vogliamo fare anche noi, disponendo dello Spirito per pregare ancora meglio, e della Scrittura che custodisce la testimonianza degli apostoli. AMEN

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