mercoledì 16 maggio 2012


Atti 11 Possiamo dirci cristiani?


1 Gli apostoli e i fratelli che stavano nella Giudea vennero a sapere che anche i pagani avevano accolto la parola di Dio. 2 E quando Pietro salì a Gerusalemme, i circoncisi lo rimproveravano dicendo: 3 «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!».
4 Allora Pietro raccontò per ordine come erano andate le cose, dicendo: 5 «Io mi trovavo in preghiera nella città di Giaffa e vidi in estasi una visione: un oggetto, simile a una grande tovaglia, scendeva come calato dal cielo per i quattro capi e giunse fino a me. 6 Fissandolo con attenzione, vidi in esso quadrupedi, fiere e rettili della terra e uccelli del cielo. 7 E sentii una voce che mi diceva: Pietro, àlzati, uccidi e mangia! 8 Risposi: Non sia mai, Signore, poiché nulla di profano e di immondo è entrato mai nella mia bocca. 9 Ribattè nuovamente la voce dal cielo: Quello che Dio ha purificato, tu non considerarlo profano. 10 Questo avvenne per tre volte e poi tutto fu risollevato di nuovo nel cielo.11 Ed ecco, in quell'istante, tre uomini giunsero alla casa dove eravamo, mandati da Cesarèa a cercarmi. 12 Lo Spirito mi disse di andare con loro senza esitare. Vennero con me anche questi sei fratelli ed entrammo in casa di quell'uomo. 13 Egli ci raccontò che aveva visto un angelo presentarsi in casa sua e dirgli: Manda a Giaffa e fa' venire Simone detto anche Pietro; 14 egli ti dirà parole per mezzo delle quali sarai salvato tu e tutta la tua famiglia. 15 Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo scese su di loro, come in principio era sceso su di noi. 16 Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo. 17 Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?».
18 All'udir questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio dicendo: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!».
19 Intanto quelli che erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano, erano arrivati fin nella Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e non predicavano la parola a nessuno fuorché ai Giudei. 20 Ma alcuni fra loro, cittadini di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la buona novella del Signore Gesù. 21 E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore. 22 La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad Antiochia.
23 Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, 24 da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore. 25 Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e trovatolo lo condusse ad Antiochia. 26 Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono molta gente; ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani.
27 In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. 28 E uno di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio. 29 Allora i discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea;30 questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saulo. 

Il passo che leggiamo oggi non ci racconta di fatti miracolosi, né di imprese in cui vediamo all’opera la mano di Dio in modo esplicito; non ci dà neppure consigli di ordine morale o istruzioni capace di sconvolgere il senso della nostra vita; ma sul interesse sta nel presentarci alcuni fatti che accadono nella chiesa dei primi tempi che se pur non essendo necessariamente esemplari, sono per noi utili. Ci mostrano infatti quali caratteristiche aveva l’azione di quella chiesa che era così ben fondata da durare nel tempo.
1. Una chiesa che sa litigare.
Un primo elemento degno di nota è il fatto che Pietro debba rendere conto di quanto ha fatto a Cesarea. Abbiamo visto nel passo precedente che per Pietro, pio giudeo del primo sec. dopo Cristo, non era certo facile accettare l’idea che lo Spirito di Dio potesse essere liberamente dato ai pagani, perché gli ebrei si consideravano come il polo eletto e consideravano gli altri popoli impuri. Proprio questo problema della differenza tra il popolo di Israele ed i pagani pone grossi problemi alla chiesa primitiva che a più riprese si trova confrontata con esponenti del giudaismo che non riescono ad accettare l’idea che i pagani, senza essere circoncisi – tale era il segno dell’appartenenza al popolo ebraico – possano entrare in contatto con Dio, ricevendo lo Spirito Santo. Attenzione che non si tratta del normale scontro tra ebrei e cristiani: è uno scontro interno al cristianesimo tra cristiani di origine pagana e cristiani di origine giudaica. Più fatti sono interessanti all’interno di questa disputa che oggi ci potrebbe sembrare oziosa: in primo luogo, nessuno agisce in modo autoritario. Pietro, nonostante la sua posizione di leader, non fa altro che rendere una testimonianza di ciò che è successo e di come lo Spirito di Dio abbia guidato ogni cosa. Non c’è nessun riferimento alla sua posizione o alla sua eventuale investitura. La chiesa primitiva è una chiesa in cui si parla e si dibatte; in cui ci si accusa e ci si scusa, e così deve essere la chiesa di oggi. La spiegazione di Pietro basta a regolare un problema piuttosto grosso che tornerà a disturbare la chiesa nel corso del primo secolo. Impariamo da questi fratelli a dirci pure le cose senza fare litigi e presupponendo che bisogna essere aperti a cambiare idea, come Pietro cambiò idea in seguito alla visione celeste.
2. Una chiesa in rete
Alla decisione presa, consegue immediatamente l’applicazione del principio stabilito nella realtà concreta: se si è deciso che non c’è più distinzione tra pagani ed ebrei che il riconoscersi figli di Dio fa crollare le barriere di separazione etniche, non appena si viene a sapere che nel mondo ellenico ci sono persone che si sono convertite e che vanno aiutate non si tarda a mandare aiuti. La chiesa è definita nelle epistole di Paolo un corpo, con una serie di membra ognuna con una funzione diversa, che cooperano nell’unico scopo di crescere insieme alla gloria di Dio. Non so a quale parte dovremmo paragonare chi istruisce; forse alla bocca, o al cervello, fatto sta che la chiesa di Gerusalemme, che era quella in seno a cui erano nate le critiche verso l’accesso dei pagani, è pronta a mandare Barnaba nella neonata chiesa di Antiochia, che abbonda in pagani non circoncisi. E siccome il carico lavorativo deve essere piuttosto grande, oltre a Barnaba si aggiunge Paolo. Importante notare questo: la chiesa primitiva è attenta alla formazione. Non vive di uno spiritualismo ingenuo che pensa che lo Spirito da solo istruisca, ma si affida all’idea di un corpo con doni diversi che vengono scambiati, come in una rete. Barnaba e Paolo hanno avuto dei doni di insegnamento, di istruzione, sono capaci a parlare, a esortare (v.23), ad ammaestrare, a convincere. Svolgono un ruolo importante e sono incoraggiati. Ma la rete continua: oltre a questi scendono dei profeti da Gerusalemme come Agabo e profetizzano l’avvento di una carestia effettivamente verificatasi negli anni 46-48 in diversi luoghi dell’impero. La chiesa primitiva è dunque attenta alla profezia, che potremmo paragonare all’occhio del corpo: capacità di prevedere il futuro, lungimiranza, saper dire alla chiesa in che direzione costruire perché lo Spirito ha rivelato certe cose che avverranno. La rete non finisce qui perché la disponibilità di Gerusalemme nel mandare persone che istruiscono, e profetizzano viene ripagata con l’invio di soldi utili ad arginare la carestia. Credo che questo triplice impegno (formativo, profetico, economico) conferisca al corpo una grande ottimismo ed una grande energia. La percezione di questi piccoli gruppi di credenti è di non essere dei piccoli gruppi dispersi, ma parti importanti di un corpo più grande. Sembra quasi che le sciagure che si abbattono sulla chiesa diventino motivo di gioia e lode: Stefano è perseguitato, ma la persecuzione fa scappare le persone in luoghi dove poi evangelizzano; i pagani entrano nella chiesa e c’è una prima opposizione, che avrebbe potuto dare luogo a spaccature e divisioni, ed invece la chiesa mostra capacità di rete e si arricchisce di questa diversità; c’è una carestia che potrebbe minacciare l’esistenza di alcuni, ma l’unione tra chiese permette di mostrare la forza dell’unità, rinforzando l’amore tra i credenti.
La nostra chiesa di Lucca, che è una piccola chiesa che non fa parte di un’associazione più vasta o un’unione di chiese, pur avendo rapporti con altre chiese italiane ed europee, deve guardare attentamente a queste realtà della chiesa primitiva, cercando di non pensarsi mai come organismo individuale, ma come parte di un corpo più vasto. Può ricevere e può dare, nelle tre direzioni illustrate, o anche in altre. Lo stesso, gli evangelici italiani che essendo una minoranza possono essere portati a ritenersi piccoli, spersi, schiacciati devono imparare dagli Atti le dinamiche di una chiesa che oltrepassa i confini cittadini e nazionali e che vive in un modo veramente organico e “corporeo”...
3. Una chiesa cristiana
C’è un ultimo punto che mi sembra degno di nota: molti movimenti che nascono ricevono dall’esterno un nome, spesso con un po’ di ironia. I “protestanti” non si sono chiamati così da soli, ce li hanno chiamati altri; così i calvinisti, gli ugonotti, e via dicendo. In questo passo del libro degli Atti, scopriamo che ad Antiochia qualcuno da fuori dà un nome ai seguaci di Cristo, chiamandoli cristiani. Letteralmente dovrebbe voler dire “gli unti”, aggettivo che oggi forse ci farebbe un po’ sorridere e che forse nessun gruppo religioso vorrebbe ricevere. L’autore non commenta il nome, non dice se fu un bene, un male, se fu un nomignolo inventato per prendere in giro oppure un nome di cui andare fieri. Il meno che si possa dire però è che è un nome azzeccato! A cosa si può ambire di meglio che non di essere chiamati con il titolo di Cristo stesso? Possiamo provare ad immaginare per quale motivo vennero chiamati proprio cristiani, e non “gesuani”, o altro. Probabilmente il nome di Cristo era il nome che più veniva ripetuto nelle loro assemblee, e di cui si dicevano seguaci. Più che il nome di Gesù, che indicava il preciso personaggio storico, emergeva l’identità, il significato di quel personaggio, cioè il suo essere stato messia: unto dal Signore per portare un vangelo rinnovante; unto come simbolo di un’investitura per una precisa missione: instaurare un nuovo regno sulla terra che funziona in modo radicalmente diverso dai regni umani, caratterizzati dalla sopraffazione e dalla prepotenza.
Mi viene allora da dire che sarebbe molto bello che anche oggi, quando qualcuno si interroga su chi siano le persone che la domenica mattina vengono in questa chiesa e nelle altre chiese che reclamano il nome di cristiane, potesse aver voglia di dire: sono persone unte dallo Spirito Santo, persone che mostrano nel dire e nel fare un’identità che rimanda a quel primo unto da Dio che ha qualcosa di veramente diverso dalla piattezza umana. Mi piacerebbe che dopo 2000 anni di etichette inappropriate che il cristianesimo, spesso per sua stessa colpa, si è lasciato apporre, i cristiani per ciò che fanno potessero essere riconosciuti perché si comportano, vivono e parlano in modo analogo a quel Cristo che li ha chiamati nella chiesa. La chiesa di oggi deve chiedersi: so litigare nella pace e senza gli strumenti della sopraffazione? So essere rete, e presentare un sistema dove non ci sono persone malate di protagonismo che fanno tutto a scapito di altri, ma persone che sanno essere in rete aiutandosi reciprocamente; so essere un popolo di unti di Spirito? Il Signore ci aiuterà a pronunciare un sì affermativo, contro la nostra oggettiva pochezza.  

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