mercoledì 16 maggio 2012


Atti 22, 23, 24, 25, 26. 

Nei capitoli che vanno dal 22 al 26 assistiamo ad una serie di discorsi dell’apostolo Paolo che hanno un punto comune: Paolo si deve difendere. Prima davanti ad una folla di giudei che lo vogliono morto, poi davanti al Sinedrio, organo socio-religioso di autorità, di cui era un tempo fedele collaboratore, poi davanti al governatore Felice, a cui succede un altro governatore, Porcio Festo, ed infine davanti al re Erode Agrippa. Oltre al dato di fatto che Paolo è sotto accusa, altri tratti accomunano tutti questi discorsi: nessuno sa di cosa accusare precisamente Paolo, eppure lo vogliono morto; le autorità romane non trovano mai niente di male in lui e se lo passano di mano in mano senza sapere cosa fare, ma lo proteggono perché è cittadino romano anche se non vogliono spiacere troppo ai loro sudditi giudei. Sarà allora interessante trattarli come un unico blocco, ma cercando di vedere in che modo Paolo si difende davanti ai diversi accusatori, tenendo presente un fatto:  anche se in passato  Paolo ha compiuto miracoli, se è stato liberato miracolosamente dal carcere e tolto dalle mani dei suoi persecutori, in questo momento, proprio come il suo maestro Gesù, niente sembra essere dalla parte sua. Non vengono angeli a prelevarlo, e non gli resta che difendersi come può davanti a diversi accusatori, o comunque non gli resta che cercare di persuadere figure apparentemente neutrali, come le autorità romane a cui si fa appello, della sua innocenza. Credo che possiamo fare di Paolo un paradigma di ogni credente accusato, e teniamo presente che i due secoli che seguirono il periodo di Paolo, furono secoli in cui cristiani furono perseguitati duramente. Continuarono ad esserlo nella storia, ed in molti paesi lo sono ancora oggi. Laddove la persecuzione non esiste più, come nella maggior parte dei paesi occidentali, si assiste ad un altro tipo di persecuzione ideologica per cui una posizione forte sulla fede contrasta con i dogmi laicisti (e non laici!) che vorrebbero rinchiudere la fede nello spazio del privato e basta, limitando ogni sua manifestazione pubblica. Ascoltare allora il modo di difendersi di Paolo può essere motivo di ispirazione per una difesa sia specifica di una persona perseguitata per motivi di fede, sia in senso più lato sulla legittimità dei contenuti della fede di essere affermati. Vediamo un semplice verso per ogni passo che illustri ognuna delle strategie.
  1. 1.       Difesa dagli Ebrei: Conoscere i diritti della legge romana.
Un primo elemento di difesa Paolo la ritrova nella legge. In 22,25b leggiamo:” Vi è lecito flagellare un cittadino romano che non è stato ancora condannato?”. La pratica dell’infliggere condanne prima del giudizio stesso è tipica di una giustizia sommaria che si crede onnipotente. Eppure il tribuno Lisia quando si rende conto di aver a che fare con un cittadino romano si ferma. Da un punto di vista assoluto Paolo avrebbe potuto attardarsi in una difesa universale dell’uomo, e avrebbe potuto dire che non bisogna flagellare nessuno, e non solo i romani. Ma qui, senza portare il discorso così in alto,  sceglie di avvalersi di quello che la legge gli garantisce. E’ un diritto che ha e se ne avvale. E’ bene che i cristiani sorveglino le legislazioni dei propri paesi e che non subiscano passivamente gli abusi di potere dei governi. Un amico di Srilanka mi ha raccontato che il governo srilankese aveva fatto una legge che vietava l’evangelizzazione, eliminato in seguito a proteste continue dei numerosi cristiani che si sono fatti sentire.  E’ un esempio di buon uso della legge che avrà ripercussioni anche su tutti gli altri cittadini, eventualmente non cristiani.  Una prima strategia è quindi quella di un buon uso della legge unito alla consapevolezza dei propri diritti. Ed insisto sulla consapevolezza perché mi è capitato di conoscere credenti che si sentivano perseguitati semplicemente perché non sapevano che avevano certi diritti. Ad esempio nell’università non ottenevano aule per riunirsi perché non conoscevano i diritti riservati alle associazioni studentesche. Sono semplici esempi che vanno al di là del contesto del presente passo, ma questo passo ci incoraggia anche  in questo senso: ci sono ottime cose nelle leggi che vanno conosciute per difenderci da ingiuste o presunte accuse.
  1. 2.      Difesa dal sinedrio: conoscere le dottrine.
Nel doversi difendere davanti al sinedrio Paolo sfrutta una serie di dissidi interni presenti nelle persone del sinedrio stesso. “E’ a motivo della speranza nella resurrezione dei morti che sono chiamato in giudizio”: 23:6-10 ci informa che i sadducei ed i farisei erano divisi rispetto alla resurrezione e Paolo sfrutta questa loro divisione per difendersi. Potrebbe sembrare un atto di furbizia, ma se pensiamo che viene accusato in modo pretestuoso e falso, senza che ci siano chiare accuse potremmo piuttosto dire che usa intelligentemente il cervello per portare i suoi accusatori a riflettere insieme a lui: in fondo la sua colpa è di credere nella resurrezione, ed è questo che dà scandalo. I farisei probabilmente non condividono altri elementi dottrinali ma su questo concordano, e Paolo riesce a portarli dalla sua. Questo grazie ad una seria conoscenza dei contenuti della fede che Paolo ha, e che possiamo chiamare dottrina.
Quando su un piano molto più generale parliamo di persecuzione, o anche di persecuzione intellettuale, possiamo pensare a quanto sia importante per i credenti conoscere il mondo in cui si trovano e le sue dottrine per saper interagire con queste. Ci sono punti di contatto tra il pensiero cristiano e certe filosofie non cristiane, e possono essere usati per dialogare o per allearsi contro altri “accusatori”. Pensiamo ad esempio alla  laicità: ci sono tanti atei che per molti versi sarebbero pronti a perseguitare la chiesa; ma gli stessi sul piano della laicità, che è un tema a noi evangelici molto caro, potrebbero essere degli ottimi alleati più che dei persecutori. Una seconda strategia di Paolo è quindi l’interazione intelligente con le dottrine del suo tempo. Grazie a questo riesce a liberarsi, viene salvato da una congiura e trasportato
  1. Difesa da Felice 24:25. Predicare comunque
Davanti a Felice Paolo necessita in primo luogo di una buona dose di pazienza. Viene spedito da lui dal tribuno Claudio Silla, quello che l’ha salvato, perché ritiene che sia accusato ingiustamente, ma lo rimanda ad un’autorità più alta. E questo Felice prende o perde tempo rimandando continuamente il giudizio. Interessante però un fatto nelle parole di difesa di Paolo: finora difendendosi dal sinedrio e dalla folla ebraica ha ovviamente fatto riferimento alla sua conversione, alla fede e a tutto quello che riguarda la sua interpretazione dell’ebraismo alla luce del messia; ebreo che parla ad ebrei discute con loro su quei temi che li dividono. Quando parla alle autorità romane tuttavia avrebbe potuto lasciar stare il discorso sulla fede e difendersi su un piano puramente civico. Non lo fa e spiega nel dettaglio la sua vicenda. E leggiamo nel capitolo 24 che: “ Siccome Paolo parlava di giustizia, di temperanza e del giudizio futuro Felice si spaventò e replico: Per ora va e quando ne avrò l’opportunità ti manderò a chiamare”. Paolo, anche se sotto accusa, non rinuncia ad evangelizzare, ad annunciare il grande messaggio che ha da trasmettere: ogni uomo se si ravvede può risuscitare, attraverso la conoscenza del primo risorto: Gesù Cristo. Questo messaggio non è limitato agli ebrei, ma è esteso alle autorità, comprese quelle che lo stanno giudicando e che hanno la sua vita nelle mani. Perché Paolo sa che in fondo queste autorità non sono niente davanti a Dio. Forse un forte incoraggiamento per chi è seriamente perseguitato può essere questo: la miglior difesa è l’attacco, ma un attacco fatto di parole di vita, che cambino anche la stessa persona che lo sta attaccando. Purtroppo chi ascolta è veramente poco intelligente e pensa di rimediare soldi da Paolo, che non si presenta certo come un ricco.
4. Difesa davanti a Festo 25:11
Anche davanti al nuovo governatore, che succede a Felice Paolo mette in atto la strategia di reclamare i suoi diritti: rifiuta di tornare a Gerusalemme per essere giudicato dai Giudei, e tiene fermo il suo diritto di essere giudicato dal tribunale romano di Cesarea. Quando sentiamo parlare di cambiamenti di tribunali, ci viene subito in mente la nostra attualità italiana in cui i politici per sfuggire alla giustizia fanno di tutto per cambiare le sedi nelle quali dovrebbero essere giudicati. Ma rispetto alla nostra triste attualità fatta di persone che cercano di sfuggire al giudizio, che cambiano le leggi per non essere giudicate, Paolo ci presenta un esempio di fiducia nella legge civile, che costituisce un suo ulteriore modo di difendersi e che troviamo in queste parole del v. 25:11 “Se dunque sono colpevole e ho commesso qualcosa da meritare la morte non rifiuto di morire: ma se nelle cose delle quali costoro mi accusano non c’è nulla di vero, nessuno mi può consegnare nelle loro mani. Io mi appello a Cesare.” Paolo non si sottrae alla giustizia dicendosi disposto a subire le pene che merita qualora queste siano provate. Ma non si sottrae alla giustizia. Mi colpisce che Paolo nelle varie sedute del processo intentato contro di lui non fa mai la vittima ed è pronto ad assumersi le sue eventuali responsabilità. Ma sa bene di avere ragione ed ha fiducia che le autorità romane riconosceranno la sua innocenza. Forse è ingenuità, ma significa anche far capire all’arroganza umana che un gradino sotto Dio, ci sono altre entità che stanno sopra gli uomini: le leggi, e che queste vanno rispettate.
5. Difesa davanti ad Agrippa: Ancora un poco e farai di me un cristiano!
L’ultimo da cui Paolo deve difendersi è il re Agrippa, Marco Giulio Erode Agrippa II, figlio di Erode Agrippa ed ebreo. Questo rappresenta un misto tra le due entità che finora hanno giudicato Paolo: è ebreo ed è al contempo un’autorità romana. Il racconto di Paolo è quindi accorato, riprende la sua conversione e fa leva sull’identità ebraica di Agrippa: nei versetti da 24 a 32, vediamo che Festo non riesce a capire le parole di Paolo, impregnate di dottrina ebraica. Agrippa invece capisce e al v.27 Paolo è gli strappa una confessione: egli crede nei profeti, quindi non può non credere nel Cristo. Da cui le parole del v. 28”Ancora un po’ e mi convinci a diventare cristiano”. Come con Felice Paolo sa che il problema centrale non è tanto quello di scagionarsi. Il problema centrale è evangelizzare. E se vuole libertà questa serve a portare avanti il vangelo.
Possiamo quindi prendere questo passo finale come una bandiera. Se c’è persecuzione per la chiesa oggi in diversi paesi preghiamo non per la vendetta contro i persecutori, ma perché la chiesa perseguitata riesca a parlare e a far sì che qualcuno dica: per un po’ mi fai diventare cristiano! Se c’è sufficienza rispetto alla fede, se c’è persecuzione ideologica od eccessi laicisti, allora preghiamo che la nostra predicazione possa essere forte e tale da far dire: “quasi quasi, diventiamo cristiani, sperando che chi ci ascolta vada al di là della superficialità di Agrippa, di Festo e degli altri accusatori che in questo passo sono rimasti fermi. Preghiamo ancora perché questa settimana possiamo annunciare Gesù Cristo e perché le persone rispondano dicendo: “Per un po’ mi convinci a diventare cristiano!”, ma che poi lo diventino veramente! AMEN

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