mercoledì 16 maggio 2012


Introduzione al libro degli Atti
Chiesa Evangelica Libera di Lucca
Si comincia!

Dopo alcune domeniche di messaggi tematici, torniamo a leggere un intero libro della Scrittura che ovviamente ci vedrà occupati per diversi mesi. Si tratta del libro degli Atti degli Apostoli.
Perche questa scelta?
Come chiesa attraversiamo una fase importante e nuova: da chiesa domestica che si riunisce nelle case usciamo in pubblico, in un locale. Questo rappresenta un elemento di novità ed in qualche modo un nuovo inizio. Il libro degli Atti, racconta la storia di un inizio. Certo, si tratta di un inizio in cui i cristiani si riunivano proprio nelle case, tuttavia la loro esposizione al pubblico è frequente e continua. Credo che nella loro storia troveremo numerosi elementi di guida per il nostro nuovo cammino.

Che caratteristica ha il libro degli Atti nell’insieme del Nuovo Testamento?
Ci sono alcune cose che è importante sapere.
  1. Il libro degli Atti è stato scritto da Luca, l’autore del vangelo, e nella chiesa primitiva veniva concepito come il secondo volume di un’unica opera. Si tratta quindi della continuazione del vangelo, e questo rappresenta per noi anche un secondo buon motivo per leggerlo, visto che qualche mese fa abbiamo finito di leggere il vangelo di Giovanni.
  2. Luca è l’unico degli evangelisti che decide di proseguire la narrazione. Dopo aver raccontato le cose dette e fatte da Gesù, comincia a raccontare come il frutto della predicazione ha attecchito nel primo secolo. È il primo libro di storia della chiesa, in un certo senso, e sapere come altri uomini hanno reagito alla predicazione, e come hanno portato avanti la sfida della costruzione della chiesa è utile in ogni tempo.
  3. Il libro comincia con Gerusalemme e finisce con Roma. Ci racconta quindi come il vangelo da fatto soprattutto giudaico, da affare apparentemente riguardante solo gli ebrei, si estende alle nazione fino ad arrivare all’attuale Caput Mundi. Ed anche questo per una chiesa che vuole evangelizzare, estendersi raggiungendo tutti è un aspetto carico di conseguenze.
Leggiamo dunque oggi i primi dieci versetti e vediamone alcune caratteristiche che il Signore ci mette davanti.


1 Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio2 fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.
3 Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. 4 Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me: 5 Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».
6 Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». 7 Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, 8 ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».
9 Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. 10 E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: 11 «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo».

1. La promessa dello Spirito.
Nei primi quattro versetti Luca fa una specie di riassunto di quanto è successo nel primo libro, rivolgendosi all’amico Teofilo, a cui vuole raccontare la sua versione dei fatti. Insiste sull’ultima parte, quella dei quaranta giorni che Gesù passa con i discepoli come Risorto, dandogli le ultime istruzioni. Una prima istruzione per questo nuovo periodo della storia in cui i discepoli stanno per entrare è quella di aspettare a Gerusalemme la realizzazione della promessa di Dio, cioè il fatto di essere battezzati nello Spirito Santo. I discepoli conoscono il battesimo in acqua, lo hanno visto da Giovanni Battista e lo hanno visto praticare anche da Gesù, ma Gesù sembra minimizzare il valore del battesimo d’acqua per spostare l’attenzione su quello più importante, quello dello Spirito. Non che quello d’acqua non sia importante, e vedremo che nel libro degli Atti viene praticato, ma sempre come segno della ricezione di questo più importante battesimo dello, o nello, Spirito. Cosa significa? I discepoli avevano già subito l’azione dello Spirito in qualche modo, ricordiamo anche che Gesù aveva soffiato su di loro esortandoli a riceverlo. In numerosi punti dell’Antico Testamento ugualmente vediamo lo Spirito agire nelle persone, insieme a profezie relative alla venuta dello Spirito. Questa promessa riguarda una fase nuova in cui lo Spirito non opera individualmente sui singoli, ma si riversa come una pioggia su tutta la comunità credente. Illustreremo meglio questo fra qualche capitolo, quando parleremo della Pentecoste, ma quello che ora ci interessa è vedere che Gesù esorta i discepoli ad essere soprattutto pronti a ricevere l’azione di Dio. Sono dei Galilei, ed avrebbero potuto legittimamente pensare di tornarsene a casa loro dopo l’ascensione di Gesù. Gesù invece li esorta a restare a Gerusalemme, perché è lì che Dio ha scelto di servirsi di loro.
Colgo in questo per noi una prima esortazione: dobbiamo capire bene qual è il posto in cui Dio ci ha messi per servirsi di noi per costruire il suo regno e farci strumenti di benedizione per altri. L’azione di Dio non è localizzata: non ci sono posti dove lo Spirito c’è ed altri dove non c’è, perché Dio è dappertutto. Era però importante che questa effusione dello Spirito si realizzasse proprio a Gerusalemme, probabilmente per l’importanza simbolica che rivestiva per gli ebrei. A noi cogliere, quei posti, quelle riunioni, quegli ambienti in cui è importante essere per realizzare qualcosa di utile per il regno, piuttosto che andare alla ricerca del conforto di ciò che ci è più vicino, come la Galilea lo era per discepoli.

2. Assistere alla costruzione del regno o essere testimoni?

Sembra che i discepoli colleghino questa promessa dello Spirito con un altro fatto che a loro stava a cuore. Molti ebrei vedevano nel messia un liberatore politico che li avrebbe resi indipendenti da Roma, e molti passi profetici in effetti, potrebbero far pensare anche a questa dimensione della liberazione. Tuttavia la predicazione di Gesù ha spostato il problema della liberazione, ponendola come fatto interiore, spirituale, della singola persona che è liberata dal suo peccato, più che come annuncio di una liberazione politica. Sembra che i discepoli siano ancora legati a questo tipo di aspettativa e allora vogliono sapere quando sarà ristabilito il regno, intendendo con questo l’indipendenza di Israele. O comunque si aspettano una fine immediata, un giorno del giudizio in cui la giustizia di Dio verrà stabilita in modo perenne. Gesù risponde in modo piuttosto radicale: questo non è un problema vostro. Il vostro problema piuttosto è di essere testimoni. Cioè di essere persone che trasformano la loro vita in un racconto di quello che Dio ha fatto in loro, perché altri sappiano che Dio c’è ed opera. Molte chiese, e molti movimenti settari soprattutto, perdono molto tempo a calcolare la data del ritorno di Cristo, la data della fine del mondo e cose simile. Ultimamente c’è una fascinazione fortissima per la data del 2012, perché il calendario di una popolazione del Mali, i Dogon, finisce a quella data, e l’idea che nel 2012 il mondo finisca, paradossalmente convince parecchie persone. A me e a molti altri pare comico, ma sarebbe ingenuo sottovalutare quanta presa abbiano certe idee. Un po’ come i discepoli abbiamo tutti una certa ansia di futuro, e aspettiamo un periodo in cui “tutto verrà ristabilito”. Ma il Signore non ci ha chiamati a calcolare, ma a testimoniare. Lo Spirito Santo in primo luogo ci renderà testimoni, narratori della grazia di Dio! Abbiamo tante storie da raccontare, ma solo una che cambia realmente il mondo, quella della grazia di Dio!
E questa testimonianza, come l’attesa, ha una precisa localizzazione. Si parte da Gerusalemme, per passare alla Giudea, per inoltrarsi nella Samaria, fino ad estendersi alle estremità della terra. Questo singolo versetto è al contempo una specie di indice di quello che sarà il libro degli Atti, ma si propone anche come un programma. Ed ogni chiesa potrebbe considerarlo come tale. Dobbiamo annunciare il vangelo nelle nostre immediate vicinanze, al nostro vicino di casa, al nostro quartiere, alla nostra città, alla nostra provincia e regione... Noi siamo una piccola chiesa, eppure è bene che teniamo viva in noi la dialettica che va da Gerusalemme a Roma: massima attenzione a chi ci è vicino, ma senza perdere di vista le estremità della terra. Ci è mai venuto in mente che da questa piccola realtà potrebbero partire dei missionari che potrebbe andare ad opere molto lontano? Credo di noi, perché abbiamo un modo piuttosto provinciale di ragionare, ci fermiamo alle mura lucchesi. Eppure lo Spirito ci farà testimoniare prima qui, ma senza impedire che si vada fino alle estremità della terra. (Detto per inciso, a mio modo di vedere, la rete, interne, fa oggi parte delle estremità della terra, è il mondo virtuale da raggiungere, ed è questo che metto su Face Book questi messaggi)

3. Non state a fissare il cielo.

Sfido chiunque, davanti ad un fatto soprannaturale e strano come quello del vedersi il maestro prima risorgere e poi scomparire, a non rimanere un po’ sorpreso. Non è facile capire esattamente la dinamica di questa ascensione di Gesù che forse è più simile alle visioni che abbiamo quando sogniamo, che paiono avere quasi una quarta dimensione, che non all’ascensione di un missile nello spazio. Ci sono sicuramente anche elementi simbolici, ma rimane che si tratta di un evento che non può non stupire, non lasciare chi vi assiste a bocca aperta. Eppure gli angeli che compaiono una volta scomparso Gesù interrogano i discepoli: “Che state a guardare il cielo?” Come se non fosse la cosa più normale dal fare. Ricordano loro che Gesù tornerà. Ma al contempo hanno detto loro di non stare a fissare il cielo. Vedo in queste due affermazioni degli uomini dalle bianche veste i punti costitutivi della speranza ed attesa cristiana.
Non state a guardare il cielo: cioè vivete sulla terra, andate a fare quello che vi è appena stato detto, cioè essere testimoni. Andate ad annunciare, andate ad occuparvi di cose che riguardano i problemi della terra, proponendo loro una soluzione celeste. Il compito dei discepoli non è di stare a guardare il cielo, nostalgici dell’immagine di Gesù, o misticamente rapiti dall’idea di un Dio che non si vede. E facciamo bene a stare attenti che anche i nostri culti, le nostre riunioni non diventino degli osservatori di cielo a sguardi rivolti in su. Dal cielo si ottiene la potenza dello Spirito per agire sulla terra.
Ma accanto a questo c’è la promessa che da quello stesso cielo, indipendentemente dalla sua natura simbolica, tornerà Gesù. La storia è in mano a Dio. La storia finirà (o continuerà diversamente) con il ritorno di quel Gesù che è asceso davanti agli occhi dei discepoli. Ed è bene per noi sapere che non salveremo l’uomo con la medicina, con accurate operazioni genetiche o con la nostra capacità di creare una società perfetta. Ci sforzeremo per migliorare il mondo in cui siamo nel modo più assiduo possibile, ma nella convinzione che ciò che lo cambierà veramente sarà questo ritorno. Un ritorno però preceduto da un cammino cominciato con i fatti che il libro degli Atti ci raccontano, e dei quali noi, nel nostro piccolo, siamo un frammento di continuazione. AMEN

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