mercoledì 16 maggio 2012


Atti 14 Trattati da Dio

1 Anche ad Icònio essi entrarono nella sinagoga dei Giudei e vi parlarono in modo tale che un gran numero di Giudei e di Greci divennero credenti. 2 Ma i Giudei rimasti increduli eccitarono e inasprirono gli animi dei pagani contro i fratelli. 3 Rimasero tuttavia colà per un certo tempo e parlavano fiduciosi nel Signore, che rendeva testimonianza alla predicazione della sua grazia e concedeva che per mano loro si operassero segni e prodigi. 4 E la popolazione della città si divise, schierandosi gli uni dalla parte dei Giudei, gli altri dalla parte degli apostoli. 5 Ma quando ci fu un tentativo dei pagani e dei Giudei con i loro capi per maltrattarli e lapidarli, 6 essi se ne accorsero e fuggirono nelle città della Licaònia, Listra e Derbe e nei dintorni, 7 e là continuavano a predicare il vangelo.
8 C'era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. 9 Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di esser risanato, 10 disse a gran voce: «Alzati diritto in piedi!». Egli fece un balzo e si mise a camminare. 11 La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaonio e disse: «Gli dèi sono scesi tra di noi in figura umana!». 12 E chiamavano Barnaba Zeus e Paolo Hermes, perché era lui il più eloquente.
13 Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all'ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. 14 Sentendo ciò, gli apostoli Barnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: 15 «Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. 16 Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; 17 ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori». 18 E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall'offrire loro un sacrificio.
19 Ma giunsero da Antiochia e da Icònio alcuni Giudei, i quali trassero dalla loro parte la folla; essi presero Paolo a sassate e quindi lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. 20 Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città. Il giorno dopo partì con Barnaba alla volta di Derbe.
21 Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, 22 rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. 23 Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. 24 Attraversata poi la Pisidia, raggiunsero la Panfilia 25 e dopo avere predicato la parola di Dio a Perge, scesero ad Attalìa; 26 di qui fecero vela per Antiochia là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto.
27 Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede. 28 E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.

Molti degli episodi presenti in questo capitolo sono simili ad altri già letti in questo libro: predicazione presso le sinagoghe e loro reazione duplice: in parte di accettazione e in parte di rifiuto. Vorrei quindi portare attenzione sull’episodio della guarigione dello zoppo (8-18) che illustra uno dei possibili modi in cui una cultura estranea al messaggio del vangelo riceve Dio ed uno dei possibili modi in cui Paolo trova parole di annuncio per quella cultura.

1. La potenza di Dio e lo sguardo dell’uomo.

In questa città di Listra ci viene presentato un uomo che stava sempre seduto, quindi più che zoppo potremmo dire paralitico, e che fin dalla nascita non aveva potuto camminare. Condizione triste, di prostrazione, che sicuramente ognuno di noi ha conosciuto indirettamente, attraverso amici o conoscenti che sono ammalati di paralisi. In primo luogo questa persona, che come altri rimane nell’anonimato,  sente parlare Paolo (v.9). E probabilmente lo inquadra subito come una persona capace di risolvere il suo problema, in quanto investito di una potenza speciale che porta, tra le altre cose, guarigione. Mi piace già molto questa piccola notazione e vorrei subito dire che mi piacerebbe tanto, come cristiano, sapere che chi mi conosce possa pensare che può contare su di me e che posso portargli qualcosa di buono. Prima ancora di pensare ad organizzare progetti di risanamento sociale o di mettere su associazioni di volontariato, il mio sogno è che come singoli credenti possiamo lasciare Dio operare in noi in modo tale che chi ci conosce possa dire che c’è qualcosa di buono che fuoriesce da chi crede in Dio, e che quel qualcosa è in grado di guarire. Di guarire la malattia fisica, come quella psichica o spirituale. Come persone di fede non dobbiamo cercare di essere glorificati o dare un’attenzione eccessiva a quello che si dice di noi. Dobbiamo però chiederci se chi osserva quelli che si “vantano” di essere credenti, seguaci di quel Gesù che ha operato guarigioni, e amici di quel Paolo di cui abbiamo letto questo episodio, siamo in grado di portare qualcosa che cambi le vite degli altri.
    D’altro canto c’è un messaggio anche per chi riceve la guarigione: questo zoppo aveva sentito parlare di Paolo, e probabilmente era andato al di là dell’uomo Paolo, comprendendo l’origine di quella forza guaritrice. E Paolo è in grado di vedere nei suoi occhi la fede per essere guarito. Cosa avrà visto in quello sguardo? Gli occhi possono esprimere molto, ma cosa ci sarà stato di così chiaro al punto da far capire a Paolo che c’era fede per essere guarito? È difficile dare una risposta scientifica o oggettiva a questa domanda, ma dal poco che Luca ci riporta possiamo pensare che lo zoppo aveva capito che Paolo era portatore di un messaggio di grazia. Lo capiamo perché se Luca riporta che Paolo vede la FEDE negli occhi di quell’uomo, non intende che vede semplicemente la buona disposizione o la speranza di essere guarito, ma che a questa speranza si accompagna il completo abbandono a Dio nel riconoscimento della propria limitatezza e della sua potenza.
    Ecco allora cosa vuole dirci in primo luogo questo passo: chi crede deve portare agli altri qualcosa; e sulla via di chi crede ci sono persone che si sono preparate alla fede.

2. Trattare qualcuno “da dio”.

È piuttosto comune oggi l’espressione “da dio”, in frasi come: “Siamo stati da dio, abbiamo mangiato da dio”, per intendere che si è stati trattati molto bene. Qui potremmo dire che gli abitanti di Listra vorrebbero trattare Paolo e Barnaba “da dio” (o meglio da dei) perché non hanno mai visto un miracolo così potente, per cui l’unica spiegazione che trovano è che siano gli dei del loro Pantheon ad essere scesi in terra ed identificano con precisione Paolo con Mercurio (perché parla) e Barnaba con Giove. Questo fatto mi fa venire in mente due cose: in primo luogo, spesso anche la più bella delle azioni divine, come un miracolo potente, può essere trafugato. La “miracolosità” non basta a rinviare al Dio di Gesù Cristo, può benissimo rinviare ad un concetto di divinità politeista o generico. Io non credo che Paolo e Barnaba non siano stati chiari nel precisare l’origine di quel miracolo, anche se Luca ci riporta solo una breve frase: “Alzati in piedi”, ma probabilmente gli abitanti di Listra ed il sacerdote di Giove non riscono ad uscire dai loro schemi mentali. Sono talmente imbevuti di una cerca lettura della realtà, di una cerca visione del mondo, quella appunto della Grecia del primo secolo, con un certo Pantheon e certi miti, che non riescono a pensare che qualcosa di diverso possa esistere, anche se non hanno mai visto niente di simile. Per capire il vangelo ci dobbiamo aprire. Per molti italiani capire il vangelo è difficile perché sono plasmati da una cultura cattolica che ha profondamente distorto la natura di Dio e la sua persona al punto di rendere difficile qualsiasi idea di Dio diversa da quella ricevuta fin dall’infanzia. Ricordo di un incontro ecumenico che feci una volta in Francia e mi colpì che la preoccupazione di molti non era tanto quella di capire cosa ci fosse di diverso, ed eventualmente di positivo negli evangelici, ma di cancellare le differenze, di dire che è tutto uguale, perché l’unico modello che avevano in mente era il loro, quindi il massimo che si poteva dire è che in fondo eravamo uguali a loro. Bisogna invece fare lo sforzo di vedere cosa c’è di nuovo nel vangelo. Cosa distingue Giove da Gesù.
Parallelamente, è significativo vedere cosa sottolineano Paolo e Barnaba: “siamo essere umani come voi”. E sarebbe bello sentire questa sottolineatura in tutte le confessioni, in tutte le chiese, in ogni luogo in cui si predica il vangelo. Perché è molto frequente il fenomeno per cui, seppure in forme diverse, si finisce per deificare le persone, per renderle perfette, uniche, “sante” (secondo un’accezione distorta di questo termine) prendendole per delle specie di divinità Quando gli uomini vengono trasformati in dei diventano sempre delle grandi delusioni, perché prima o poi si scopre il loro lato umano – necessario. Se abbiamo cominciato dicendo che sarebbe bello che i cristiani fossero considerati delle persone che hanno qualcosa di speciale, su cui si può contare, ora dobbiamo dire anche che da qui a passare a delle forme di deificazione, o di eccesso di gloria umana, il passo è breve, pertanto bisogna stare attenti, ed avere la forza di Paolo e Barnaba per sottolineare: “siamo esseri umani come voi”. E aggiungo: e tutti possono diventare tali, onde evitare che si pensi che la fede è riservata solo ad alcuni.

3. Chi è Dio?
Mi interessa infine osservare l’annuncio di Paolo: come presenta Dio Paolo in questo contesto? Nel capitolo precedente, rivolgendosi agli ebrei, ha fatto un lunghissimo discorso che ripercorreva la storia biblica, i personaggi importanti, per finire a sottolineare che Gesù non ha subito la decomposizione. Qui, niente di tutto ciò, ma pochi tratti molto forti: per primo invita i greci alla conversione dalla “vanità” cioè dal vuoto, al Dio vivente. Paolo qui accusa esplicitamente i greci di credere in divinità vuote, che non hanno potenza, che non possono né guarire né cambiare la vita di nessuno. Non ha problemi a farlo, perché l’azione da lui fatta, il miracolo, gli ha dato la credibilità necessaria. In secondo luogo afferma il Dio creatore, che rappresenta forse un terreno di incontro: qualcuno deve aver fatto il mondo in cui siamo. Ed in terzo luogo traccia una brevissima storia dell’umanità, dicendo che: “nelle generazioni passate, Dio ha lasciato che ogni popolo seguisse la propria via”, ma la testimonianza non è mancata: c’è stato del bene che poteva essere riconosciuto come grazia divina.
    Il vangelo è anche estremamente semplice: ci si converte dal vuoto a Dio; ci si converte ad un Dio che è creatore; ci si converte ascoltando quei segni, quelle intuizioni, quelle testimonianze di felicità, quei momenti anche se forse rari di “letizia”, di gioia che abbiamo provato, o quei momenti di gratitudine, che ci fanno dire che al mondo ci sono delle cose belle. Ci sono delle cose per cui essere grati. Ci sono delle cose per cui vale la pena vivere. Non sono prove schiaccianti o dimostrazioni infallibili della presenza di Dio, ma segni, inviti, suggerimenti che Dio ci dà invitandoci a credere che la vita di chi si converte conosce continui motivi di ringraziamento, di letizia, di gratitudine per cose anche molto semplici: il sole, il mare, il cibo, alcuni momenti di convivialità. Questo è il vangelo di Gesù e quello di Paolo e Barnaba, e lo è pienamente per quei greci come anche per chi oggi dopo 2000 ascolta la predicazione della Parola.

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