mercoledì 16 maggio 2012


Atti 17:1-15
Fede ed intolleranza

1 Seguendo la via di Anfipoli e Apollonia, giunsero a Tessalonica, dove c'era una sinagoga dei Giudei.2 Come era sua consuetudine Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, 3 spiegandole e dimostrando che il Cristo doveva morire e risuscitare dai morti; il Cristo, diceva, è quel Gesù che io vi annunzio. 4 Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un buon numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà. 5 Ma i Giudei, ingelositi, trassero dalla loro parte alcuni pessimi individui di piazza e, radunata gente, mettevano in subbuglio la città. Presentatisi alla casa di Giasone, cercavano Paolo e Sila per condurli davanti al popolo. 6 Ma non avendoli trovati, trascinarono Giasone e alcuni fratelli dai capi della città gridando: «Quei tali che mettono il mondo in agitazione sono anche qui e Giasone li ha ospitati. 7 Tutti costoro vanno contro i decreti dell'imperatore, affermando che c'è un altro re, Gesù». 8 Così misero in agitazione la popolazione e i capi della città che udivano queste cose; 9 tuttavia, dopo avere ottenuto una cauzione da Giasone e dagli altri, li rilasciarono.
10 Ma i fratelli subito, durante la notte, fecero partire Paolo e Sila verso Berèa. Giunti colà entrarono nella sinagoga dei Giudei. 11 Questi erano di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica ed accolsero la parola con grande entusiasmo, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano davvero così. 12 Molti di loro credettero e anche alcune donne greche della nobiltà e non pochi uomini.13 Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a sapere che anche a Berèa era stata annunziata da Paolo la parola di Dio, andarono anche colà ad agitare e sobillare il popolo. 14 Allora i fratelli fecero partire subito Paolo per la strada verso il mare, mentre Sila e Timòteo rimasero in città. 15 Quelli che scortavano Paolo lo accompagnarono fino ad Atene e se ne ripartirono con l'ordine per Sila e Timòteo di raggiungerlo al più presto.
Mi è capitato in settimana di leggere un passo di un celebre libro di un celebre autore del ‘700: lo spirito delle Leggi di Montesquieu, il noto filosofo padre della separazione dei poteri, che si è espresso in materia di intolleranza religiosa. In questo passo Montesquieu si immedesima in un ebreo che scrive a degli inquisitori portoghesi che perseguitano gli ebrei e cerca di dimostrar loro l’assurdità della loro intolleranza. Uccidendo gli ebrei vanno contro l’insegnamento stesso del loro maestro, Gesù, che era ebreo e che ha insegnato l’amore per il prossimo. Leggendo questo passo degli Atti mi è venuto in mente questo passo di Montesquieu perché rappresenta una situazione simile ma rovesciata, cioè quella di ebrei che per motivi altrettanto irrazionali perseguitano cristiani.
Una considerazione di carattere più generale che si può fare leggendo questi due episodi è la seguente: molte persone non credono in Dio perché hanno visto troppe persone che dicono di credere in Dio e che, in nomo di questo credo, diventano intolleranti e perfino violente. Accecati da una certezza assoluta su cose indimostrabili, come appunto quelle che non si vedono, finiscono per cercare di dimostrarle usando qualcosa che invece si vede molto bene, come la violenza, la sobillazione, l’Inquisizione. E questo porta altri a pensare che avere fede significhi essere irrazionali ed agire quindi in base a passioni.
Io non penso che le cose stiano così ed in questo passo possiamo invece vedere ben distinti due diversi modi di vivere la fede, o meglio, di essere religiosi rappresentanti dalle due sinagoghe di questo episodio: gli irrazionali di Tessalonica e gli scrupolosi di Berea. Gli atteggiamenti di fede di questi due gruppi ci portano a fare alcune riflessioni di stimolo e monito per la nostra vita di fede.
  1. 1.       La religiosità intollerante di Tessalonica
La predicazione di Paolo non è basata sulla costrizione o sull’inganno ma su un procedimento molto chiaro: lettura della parola e sua interpretazione. Ed in particolare c’è una ricerca nella Scrittura di fatti e parole che possano “dimostrare”: dimostrare che il messia deve morire, che deve poi risuscitare, e che quel messia è proprio il Gesù messo a morte recentemente. Anche a Tessalonica alcuni sono convinti da questo ragionamento. Colpisce invece l’assenza totale di ragionamento e di esame delle scritture da parte dei Giudei oppositori di Paolo: è un po’ di tempo che leggiamo il libro degli Atti ed un aspetto curioso è che finora nelle diverse sinagoghe visitate da Paolo non abbiamo mai incontrato qualcuno, almeno da quello che ci descrive Luca, che sia disposto a dialogare e a discutere sulle pagine della Scrittura. Vediamo sempre Paolo che cita le Scritture, che tenta di dimostrare, di convincere e di giustificare la necessità e l’effettiva venuta del Messia. Perché per lui come per i suoi interlocutori le Scritture sono  un punto di partenza comune, condiviso ed accettato. Luca non ci riporta mai obiezioni dei giudei, contro argomenti o posizioni diverse. Non abbiamo ragione di credere che le abbia volutamente nascoste, visto che ci riporta senza problemi diversi argomenti di dissenso su aspetti quali la circoncisione, o il rapporto tra i diversi gruppi di cristiani presenti nella chiesa.
D’altro canto se il dibattito manca, Luca ci fa ben vedere cosa resta: invidia, reclutamento di individui di piazza, violenza, accuse infondate e coinvolgimento non solo di chi è accusato – Paolo e Sila – ma anche di chi ha semplicemente ospitato – Giasone. Si tratta di atteggiamenti molto tristi, difficilmente riconducibili alla fede, che pescano in pulsioni primitive dell’animo umano e che sono potenzialmente presenti in diversi gruppi anche di carattere religioso. Potremmo anzi dire che quando la fede smette di essere tale e diventa sentimento di appartenenza ad un gruppo, puro bisogno di identità o tradizione, ecco che tutto ciò che minaccia questi elementi è visto come un pericolo e viene combattuto in base a pulsioni irrazionali e non in base alle vere motivazioni della fede. Questi giudei, già subcultura giudaica in un mondo greco, si sentono minacciati da un credo che fa apparire in luce diversa ciò che credono; e quindi reagiscono con violenza. Ma non si può né si deve dire che questo è intrinseco alla fede: è intrinseco all’animo umano che troppo spesso e troppo volentieri cerca i suoi appoggi al di fuori di Dio; lo cerca nella storia del suo popolo, nel capo dello stato di cui fa parte (hanno un altro re oltre Cesare!), nella propria razionalità o, ancora peggio, nella propria forza. E questo produce violenza.
Capita spesso che i presunti razionalisti, come anche il Montesquieu citato all’inizio, finiscano per tacciare ogni forma di religiosità o di fede come irrazionale e pericolosa, in quanto fonte di guerre o anche solo di litigi; ma qui vediamo che all’interno di una stesa religione si possono avere due atteggiamenti diversi: quello di Paolo, che tenta di dimostrare in base alle Scritture, e quello di una parte dei Tessalonicesi che rifiuta il piano del dialogo per passare immediatamente a quello della violenza e dell’intolleranza. Nel corso della storia simili atteggiamenti di intolleranza si sono ripresentati in modo sempre più ingente, coinvolgendo interi popoli in guerre di religione e spargendo fiumi di sangue. Non possiamo semplicemente dire: pazienza, erano tutti falsi credenti. Dobbiamo prendere atto che proprio le chiese, nel momento in cui crescono e diventano numerose rischiano di corrompersi, di addormentarsi, di sacrificare quello spazio sacro di comunicazione con Dio che la loro ragion d’essere, con uno spazio dedicato al dispiegarsi dei peggiori sentimenti umani. Ma alla luce della stessa scrittura che usava Paolo, oggi arricchita del Nuovo Testamento, ribadiamo: non è questa la fede ed una chiesa deve continuamente vegliare sulla qualità della sua fede!
  1. 2.      La fede scrupolosa di Berea.
Tra le tante denominazioni esistenti ne ho sentita una che si chiamava: fratelli Bereani (per l’esattezza sono una scissione avvenuta all’interdo del movimento dei Testimoni di Geova). Non li conosco assolutamente ma capisco dal nome il loro intento di sembrare un po’ come questi giudei che ci vengono descritti da Luca come di “sentimenti più nobili”. Per quanto questi siano un esempio piuttosto raro, sono molto significativi all’interno del libro degli Atti. Forse sono il primo esempio di studiosi di teologia biblica che incontriamo visto che non sono né preconcetti né faciloni. Intanto accolgono la parola con entusiasmo, segno di apertura mentale e di voglia di crescere. E’ bello pensare che davanti alle novità, da qualsiasi punto di vista, si possa sempre essere pronti a dire che forse vengono da Dio. Essere aperti mentalmente non è una semplice caratteristica caratteriale delle persone ottimiste, ma un modo di fare che deve far parte di chi crede. Se crediamo nel Dio dell’infinto come possiamo credere che tutto quello che c’è da dire su di lui sia finito, limitato? L’entusiasmo dei fratelli di Berera è un esempio per noi che non dobbiamo mai stancarci di imparare nuove cose su Dio senza rinchiuderci nei tracciati dottrinali che ci hanno insegnato.
Il nuovo però non è bello in sé, e l’entusiasmo non è faciloneria; se non c’ un criterio per stabilire la verità si crolla in un relativismo che diventa disfattismo o nichilismo, perché tutto è uguale. Invece, i fratelli di Berea accettano la Scrittura come metro della verità, la esaminano, ed ogni cosa che Paolo dice la ricercano nella Scrittura per valutarne la verità. Forse loro stessi avevano capito che l’Antico patto ne annuncia uno nuovo. Forse sentivano i limiti e la tensione di un credo che spinge ad andare al di là, per incontrare Dio. Non sono neppure frettolosi perché ogni giorno ricercano pazientemente, prendendo il tempo necessario per le cose che richiedono tempo, quali le verità della fede. Mi vengono in mente alcuni studenti di teologia che passano anni ad esaminare un solo libro, o studiosi che si appassionano ad una dottrina e passano la vita a studiarla… Non che tutti si debba iscriversi in facoltà teologiche, ma ogni credente è invitato ad un confronto quotidiano ed attento con la scrittura, per poi dibattere e confrontarsi con i fratelli. Sola scriptura fu uno degli slogan più riusciti di Lutero, e come evangelici non lo vogliamo scordare; qualsiasi parola è detta dal pulpito deve essere comprovata, vagliata, riconsiderata in base alla Scrittura che rimane il metro secondo cui interpretiamo la realtà e la verità su Dio.
Certo, anche un simile atteggiamento rischia di diventare intollerante, e nel corso della storia lo è diventato; le guerre di religione si sono spesso scatenate a partire da interpretazioni diverse di passi scritturali. Ed anche a Berea sembra che il clima favorevole sia durato poco, visto che i giudei di Tessalonica sono poi riusciti a portare dalla loro la parte dei bereani che non si erano convertiti. Ma torno a dire: la degenerazione che genera persecuzione è dappertutto, salvo che nel vangelo. Perché il vangelo è gioia, condivisione, entusiasmo e voglia di verità. L’atteggiamento dei bereani è bello proprio perché descrive esemplarmente il processo della conversione al vangelo: un processo entusiasta e ragionato, soprannaturale ed umano, che vede uomini incontrarsi con Dio. Chi vive questo non può essere intollerante. Certo, può soffrire se vede dilagare la menzogna e la falsificazione della verità su Dio, può indignarsi, arrabbiarsi. Ma non diventerà mai intollerante. Quello succederà a chi, forse educato in comunità di fede, non vive la fede, ma la sua forma. Quindi una religione istituzionale, nella quale non vorremmo mai degenerare.

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