mercoledì 16 maggio 2012


Atti 27:1-44
Davanti all’estremo

1 Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l'Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta. 2 Salimmo su una nave di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d'Asia e salpammo, avendo con noi Aristarco, un Macèdone di Tessalonica. 3 Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. 4 Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari 5 e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia. 6 Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l'Italia e ci fece salire a bordo.7 Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all'altezza di Cnido. Poi, siccome il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmone, 8 e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa.
9 Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era già passata la festa dell'Espiazione, Paolo li ammoniva dicendo: 10 «Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite». 11 Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo.12 E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l'inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale.
13 Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco, convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta. 14 Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l'isola un vento d'uragano, detto allora «Euroaquilone». 15 La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva. 16 Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa; 17 la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti, calarono il galleggiante e si andava così alla deriva. 18 Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico; 19 il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l'attrezzatura della nave. 20 Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta.
21 Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse: «Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta; avreste evitato questo pericolo e questo danno. 22 Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave. 23 Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, 24 dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione. 25 Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. 26 Ma è inevitabile che andiamo a finire su qualche isola».
27 Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell'Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l'impressione che una qualche terra si avvicinava. 28 Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. 29 Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. 30 Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: 31 «Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo».32 Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare.
33 Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: «Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell'attesa, senza prender nulla. 34 Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto». 35 Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. 36 Tutti si sentirono rianimati, e anch'essi presero cibo. 37 Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone. 38 Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare.
39 Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra, ma notarono un'insenatura con spiaggia e decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa. 40 Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia. 41 Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde. 42 I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, 43 ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo progetto; diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra; 44 poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra.

Siamo alla fine di un lunghissimo viaggio che, come abbiamo notato all’inizio, vuole mostrare come il Vangelo partito da Gerusalemme giunge lentamente a Roma, passando per alcune importanti città della Grecia. Si tratta di una traiettoria voluta, che simbolizza il percorso universale del vangelo: nato ed esposto in primis ad un singolo popolo, gli ebrei, raggiunge la città più importante del mondo conosciuto a quel tempo, la Roma Caput Mundi, dove il vangelo doveva necessariamente arrivare per essere diffuso ad ogni creatura. Ma prima di arrivare alla meta finale, assistiamo ad un episodio estremo, che in questo capitolo viene accuratamente descritto, con abbondanza di particolari ed una preparazione quasi romanzesca: una tempesta che metterà in pericolo la vita di Paolo, come anche quella dei suoi accompagnatori, sia chi lo tiene in prigione, sia gli amici che gli sono vicini, tra cui anche lo scrittore stesso, essendo una di quelle sezioni in “noi”. Nei primi 13 versetti viene Luca ci descrive l’inizio del viaggio di Paolo verso Roma, ed in mezzo la tempesta.
Non è la prima volta che nel Nuovo Testamento si parla di tempesta, e sapendo che il libro degli Atti è successivo ai vangeli ci vengono subito in mente gli episodi dei vangeli in cui si racconta della tempesta che ha sorpreso Gesù con i suoi discepoli. In questo caso, come nei vangeli, la descrizione della tempesta va al di là del semplice fenomeno atmosferico, e possiamo pensare che il viaggio in nave e la tempesta possano essere metafore di precise situazioni della vita. Ci sono infatti momenti della vita in cui ci si sente stretti, incapaci di fuggire come se si fosse rinchiusi in una barca avvolta da onde minacciose. Ed in quelle situazioni estreme ognuno di noi adotta un certo comportamento. E’ interessante osservare in questo passo che i diversi personaggi di questo racconto, di fronte all’estremo, al pericolo della morte, assumono degli atteggiamenti ben identificabili. Ci illustrano alcune dinamiche dell’animo umano confrontato davanti a esperienze estreme, che hanno il pregio di tirare fuori tutto il peggio o tutto il meglio di noi, proprio per la qualità estrema che hanno. Anche oggi va molto di moda immaginare di poter osservare gruppi di persone umane rinchiuse in un posto da cui non possono uscire, si pensi, al successo di real show come Il grande Fratello i l’Isola dei Famosi, che affascinano molto perché, anche se in modo del tutto artificiale, fanno vedere persone messe in situazioni in qualche modo estreme, costrette: una casa, un’isola sperduta. E’ tutto finto, ma attira. Forse sarà più attraente per noi vedere come si sono comportati i diversi personaggi che in questo viaggio in cui era presente anche Paolo con dei discepoli, presentandoci atteggiamenti da evitare o imitare. Sempre pensando all’attualità possiamo pensare alle tante navi di disperati che cercano di sfuggire da terre in cui vivono male sperando di trovare un mondo migliore in occidente. E sappiamo quanto tragiche siano in certi casi le fini di chi viaggia con queste navi. E anche su queste ci sono atteggiamenti estremi che non possiamo neppure immaginare. Vediamo quindi come ognuno si pone di fronte all’estremo, e di fronte alla minaccia di morte che nella navigazione antica era superiore ad oggi.
  1. 1.       Il centurione Giulio: buono ma ingenuo.
Il centurione che prende in consegna Paolo è inizialmente presentato come un personaggio positivo. Più che un soldato sembra una guida turistica di avventure nel mondo, trova le navi opportune, è gentile con Paolo e gli permette di vedere i suoi amici (v.3). Tuttavia, non sa cogliere la saggezza delle parole di Paolo e si fida di più dei tecnici della situazione: il pilota della nave il padrone. Quando però poi si rende conto che Paolo aveva ragione, cerca di salvarlo impedendo ai soldati di metter in atto il loro progetto omicida. (v.43). Non ci viene detto tuttavia, che nonostante quel che Paolo dice, si sia convertito o pentito per le scelte precedenti. Questo centurione per qualche verso ricorda Pilato. Gentile con Gesù, ma incapace di prendere una posizione, impegnato a fare di tutto per salvarlo solo dopo averlo di fatto dato in mano ai suoi uccisori. Nella vita, tanto nelle situazione estreme che in quelle distese, ci sono persone che sono incapaci di prendere una decisione chiara. Sono attratte dal vangelo, che in questo caso è presentato da Paolo. Gentili, e pronte anche a dare un mano. Ma se si parla di andare al di là della gentilezza, se si parla di rendersi conto che il Dio di Paolo è il Signore della vita, e che quella salvezza dalla tempesta non è che una briciola rispetto alla salvezza più grande che è in Cristo, si fermano lì. Non si parla di un esplicito rifiuto del vangelo di questo centurione, e proprio non parlandone si fa presente la sua non scelta: dove sei tu? Sei semplicemente gentile verso chi ha fede, e ne rimani ammirato, facendo favori o aiutando, oppure vuoi tu avere quella stessa fede?
  1. 2.      I tecnici: il pilota ed il padrone della nave.
Si dice poco di questi due personaggi, se non che il centurione aveva fede in loro. Ma se li prendiamo come simboli di un certo atteggiamento di fiducia nell’uomo e nella tecnica potremmo dire tanto di loro. Perché il centurione ha fiducia in loro? Possiamo immaginare che il capitano sia un esperto di navigazione, che nell’antichità era un’arte molto importante – basti pensare all’Odissea. Possiamo immaginare che fiducioso nella sua arte abbia dato garanzie al centurione e agli altri passeggeri che a maggioranza decidono di continuare il viaggio (v.12), vantando le sue capacità marinare e la sua bravura. Lo stesso dicasi del proprietario della nave. E’ possibile che abbia vantato la solidità della struttura della sua nave, quindi la forza della tecnica. Fanno venire in mente il Titanich e la sua fiducia ingenua nell’inaffondabilità, visto che è successo esattamente 100 anni fa … Fanno venire anche in mente il nostro attuale governo, fatto appunto di tecnici, che dovrebbero riuscire laddove i politici sono falliti.
La tecnica e le capacità umane sono spesso oggetto di ammirazione, nonché di sconfinata fiducia. Interi secoli, si pensi all’Illuminismo, hanno riposto la loro fiducia nei miracoli della scienza e della tecnica, prendendole come soluzioni ultime dei problemi dell’uomo. Molti davanti all’estremo pensano che scienza e tecnica possano fare molto, e si mettono in mano a medici, a tecnocrati ad economisti, pensando di risolvere tutto. Questo passo ci ricorda che la scienza e la tecnica sono sicuramente grandiose invenzioni che l’uomo ha fatto, e non ci incoraggia certo a disprezzarle. Ma ci insegna anche che hanno dei limiti. E le stesse navi che hanno aiutato il viaggio di Paolo permettendogli di spostarsi possono anche naufragare. Non dobbiamo disprezzare la scienza e la tecnica, ma coglierne in profondo la natura provvisoria e limitata. Perché la vita è più della tecnica, e se la tecnica la può aiutare non la può certo sostituire. Anche di loro non si dice niente. Non sappiamo se visto il fallimento della loro forza hanno meditato le parole di Paolo. Ma noi dove siamo? In cosa poggia la nostra fiducia? Nel fatto di abitare in un paese con l’assistenza sanitaria gratuita o nell’avere il Dio della vita?
  1. 3.      I marinai: fuggire
Ci viene detto che su questa barca c’erano 276 persone. Salvarle tutte non era probabilmente facile. C’è un celebre proverbio in mare che dice: “Prima le donne e i bambini”, ma chissà se su quella nave c’erano donne e bambini … Tra i presenti però c’è un gruppo di furbi. I marinai, che hanno chiare alcune circostanze, e che sanno che la terra è vicina (28-30). Capendo quindi che la scialuppa non è abbastanza grande per tutti pensano bene di prendersela per loro e di fuggire. Ecco un nuovo atteggiamento particolarmente triste che l’animo umano adotta davanti all’estremo: pensare prima a se stessi. Chiamiamolo egoismo, chiamiamolo cecità rispetto agli altri, e per evitare di giudicare pensiamo che sono persone che stanno per morire. Comunque sia questi scelgono di scappare salvandosi la pelle e lasciando gli altri in mezzo alle onde. Forse pensano che la profezia di Paolo sia valida solo per loro, benché Paolo non avesse escluso nessuno dalla salvezza (v. 22).
Anche questo atteggiamento caratterizza la vita di molte persone. Davanti alla tempesta si può sempre pensare di mettersi in salvo da soli, abbandonando gli altri nella barca della tempesta, fregandosene delle conseguenze. Nelle coppie si può scegliere di fuggire, invece che affrontare i problemi con il proprio partner; nei gruppi di amici si può scegliere di scappare anziché chiarire i problemi. Davanti a Dio si può cercare di fare finta di niente; si può cercare di ignorare la sua presenza e le sue profezie benefiche anche durante momenti di grande difficoltà; oppure si può arrogantemente pensare che il Dio universale sia solo per noi, che riteniamo di aver un qualche privilegio speciale. Possibilissimo che questo atteggiamento abbia i suoi vantaggi pratici. Possibilissimo che effettivamente, fuggendo questi si sarebbero salvati. Ma i nodi vengono al pettine, e la gioia conquistata a prezzo della vita di altri, non dura in eterno.
  1. I soldati: uccidere.
C’ anche un altro gruppo che assume un atteggiamento molto negativo: i soldati che accompagnano il centurione. Questi soldati (v.42) non vogliono sbarazzarsi dei prigionieri, ma sono talmente ligi al loro dovere che nel pieno di una crisi in mezzo a cui loro stessi potrebbero morire si preoccupano di garantire che i prigionieri non scappino, e quindi di ucciderli. Probabilmente in quanto guardie hanno una responsabilità specifica verso questi detenuti, ma è singolare che il loro pensiero vada a questo. Sembrano persone che nella gravità di una crisi non si rendono conto di quale sia il problema reale, e che quindi propongono soluzioni disastrose e inutili: la morte dei prigionieri servirà a salvarli dal naufragio?
Anche questo tipo di atteggiamento è largamente diffuso. Davanti all’estremo c’è chi invece di pensare a salvarsi, invece di ricercare magari un ultimo slancio di solidarietà verso tutti, prigionieri  e liberi, visto che, veramente “sono tutti sulla stessa barca”, si preoccupano di verificare chi va punito, chi ha da scontare, temendo che possa salvarsi. Se fossero preoccupati più della salvezza altrui che della loro sarebbero altruisti, ma sono incuranti della loro salvezza e preoccupati per la dannazione degli altri … Sono un po’ come il debitore della parabola che una volta ricevuto il condono dei sui debiti va a cercare i suoi debitori e li maltratta. Ci sono persone che nel bel mezzo dei problemi sono più interessati a vedere punito il male che a trovare soluzioni concrete, forse perché esorcizzano la paura scaricandola sugli altri.
  1. Paolo
Buon senso. In mezzo a tutto ciò la persona di Paolo si distingue. È l’unico che ha il buon senso di sconsigliare la partenza, contro i suoi interessi e quelli di tutti. Egli in primo luogo ha interesse ad arrivare a Roma per portare la sua causa davanti a Cesare, mentre gli altri hanno interessi di altro tipo, di ordine commerciale o professionale. Ma il buon senso gli dice che è meglio rinunciare. Sembra strano, ma ieri come oggi, il buon senso è una qualità piuttosto rara.
Speranza e visione. Paolo comincia col ricordare che aveva avvisato tutti che quella partenza non era da farsi. E questo gli dà autorità per continuare. Tuttavia, in mezzo al marasma, e davanti all’estremo Paolo è l’unico che sa avere parole di incoraggiamento, che non sono tuttavia il frutto di un semplice ottimismo. Chi è ottimista fa presto a cercare di scongiurare l’estremo, negandone la tragicità. Ma davanti alla morte non serve l’ottimismo. Paolo può incoraggiare perché un angelo di Dio gli è apparso. Si può basare su una visione e su una parola. Davanti a questo si è liberi di pensare quello che si vuole. Si può dire che Paolo è un visionario, che soffre di allucinazioni oppure credere. La sua profezia si è avverata, quindi dovremmo riconoscere il buon fondamento di quanto dice. Ma è importante capire che il vero incoraggiamento, quello che solleva dalla paura della morte, viene solo da Dio. Poco importa se qualcuno lo considera follia: Dio è rivelazione, apparizione. Non è semplice buon senso o ottimismo. Paolo ha un rapporto diretto con Dio, e per questo può incoraggiare.
Rompete il digiuno. La convinzione di Paolo è tale che incoraggia tutti a mangiare per rinforzarsi. Probabilmente avevano smesso di mangiare per risparmiare i viveri, o per il mal di mare. Fatto sta che l’attenzione al corpo è pari a quella data allo spirito. Il termine “spezzare il pane” fa pensare alla cena del Signore, all’atto di commemorazione. Non siamo qui in mezzo ad un culto, né si ricorda esplicitamente la morte di Gesù. Tuttavia l’atto di distribuire il pane per corroborare la salvezza, ricorda la grazia di Dio che Paolo con il suo comportamento e le sue azioni sta trasmettendo.
Salvezza per tutti. È Paolo che consiglia al centurione di fermare i marinai che vogliono fuggire e questo nell’interesse di tutti. La salvezza che Paolo annuncia è una salvezza corporea e limitata al sottrarsi dalla tempesta, ma è comunque per tutti. Da questa salvezza i passeggeri della nave dovrebbero trarre spunto per pensare alla potenza del Dio di Paolo e cercare una salvezza che riguarda la totalità della vita. Diversamente da altri momenti del libro degli Atti, Paolo non fa discorsi espliciti di evangelizzazione e nonostante la salvezza da lui profetizzata non ci viene detto che ci furono conversioni. Questo forse è dovuto alla sua posizione di schiavo, e molti hanno notato che è inverosimile che un prigioniero possa aver avuto tanta influenza sulle decisioni del centurione. Eppure anche questo ci insegna qualcosa: sia in parole esplicite, sia in modo indiretto, raccontato le proprie visioni ed il proprio rapporto con Dio, la fede emerge e condiziona. Paolo è stato una benedizione su quella nave.
Conclusione
Su quale nave siamo oggi? E come ci comportiamo in questa nave? La nostra preghiera è che impariamo come Paolo ad essere indicatori di salvezza nel mare della vita.

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