mercoledì 16 maggio 2012

Atti 21: 1-16

Dov'è la tua Gerusalemme?



1 Appena ci fummo separati da loro, salpammo e per la via diretta giungemmo a Cos, il giorno seguente a Rodi e di qui a Pàtara. 2 Trovata qui una nave che faceva la traversata per la Fenicia, vi salimmo e prendemmo il largo. 3 Giunti in vista di Cipro, ce la lasciammo a sinistra e, continuando a navigare verso la Siria, giungemmo a Tiro, dove la nave doveva scaricare. 4 Avendo ritrovati i discepoli, rimanemmo colà una settimana, ed essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non andare a Gerusalemme. 5 Ma quando furon passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti loro con le mogli e i figli sin fuori della città. Inginocchiati sulla spiaggia pregammo, poi ci salutammo a vicenda; 6 noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case. 7 Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemàide, dove andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro.
8 Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui. 9 Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. 10 Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo.11 Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani». 12 All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. 13 Ma Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». 14 E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».
15 Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo verso Gerusalemme. 16 Vennero con noi anche alcuni discepoli da Cesarèa, i quali ci condussero da un certo Mnasone di Cipro, discepolo della prima ora, dal quale ricevemmo ospitalità.

Chi crede in Dio, e conosce Dio attraverso la lettura della pagine delle Bibbia è portato a partire dal presupposto che Dio non si contraddica. Che non dica cioè qualcosa ad una persona ed il contrario ad un'altra. Quanto pensiamo di Dio lo possiamo applicare anche allo Spirito Santo. Tra le pagine del libro degli Atti leggiamo spesso che lo Spirito Santo guida gli apostoli ed i discepoli, dando indicazioni talvolta molto precise sul da farsi. Il passo che leggiamo oggi sembra però presentare una contraddizione tra quello che lo Spirito dice a diverse persone. Vediamo i fatti.
Dopo un intenso periodo di evangelizzazione ad Efeso vediamo che Paolo sente nascere dentro di sé il desiderio forte di tornare a Gerusalemme. Lo esprime chiaramente in 19:21 dove aggiunge anche che vorrà andare a Roma. Lo ribadisce in 20,16 dove ci viene precisato che vuole arrivarci prima della Pentecose, quindi ha fretta. E poco più avanti, in 20,22-23 aggiunge che è lo Spirito che lo spinge ad andare a Gerusalemme, rendendolo consapevole che non andrà a divertirsi ma a soffrire. Infine arriviamo al passo di oggi, in cui vediamo da un lato Paolo che va avanti nel suo progetto, convinto che lo Spirito lo spinga ad andare a Gerusalemme nonostante le sofferenze che lo aspettano, e dall’altro dei dissuasori, che lo spingono a lasciare perdere. Curioso notare che chi lo dissuade dice ugualmente di essere mosso dallo Spirito e a questo si aggiungono le lacrime e le suppliche, che vengono dall’affetto che lega i discepoli a Paolo. E’ interessante che in tutti questi passi che abbiamo letto Paolo non precisa mai il motivo per cui vuole andare a Gerusalemme; possiamo vedere in questo una specie di imitazione di Cristo che parte appunto dalla Galilea per arrivare a Gerusalemme, o ancora la necessità di rendere conto dell’avanzamento del regno presso i pagani, fatto di cui gli anziani che hanno pregato per lui sono sicuramente interessati. Tuttavia non ci viene detto e possiamo fare solo delle ipotesi. Quello che però ci viene detto è che è lo spirito a muoverlo in questa direzione; e che anche quelli che lo dissuadono sono mossi dallo Spirito. Come risolvere questa contraddizione? Non si tratta di un semplice esercizio teologico, ma di un problema rispetto a cui si confrontano tanti credenti in tante chiese davanti a scelte importanti. Alla fine del passo i discepoli stessi dicono : sia fatta la volontà di Dio! Cerchiamo tutti di fare la volontà di Dio, in generale ed in particolare, ma la volontà di Dio non è sempre scritta a chiare lettere. Come regolarsi?
  1. 1.      Paolo: una meta certa.
La prima cosa che sembra di poter capire è che Paolo senta fortemente che questo progetto venga dallo Spirito. Più volte viene menzionato che sente qualcosa dentro di sé e che lo Spirito gliela conferma. Ci potremmo chiedere in cosa risiedano le garanzie della sua convinzione. Innanzitutto risiedono in un rapporto di intensa comunione con Dio. Non nasce dall’improvvisazione ma da un rapporto continuo. In secondo luogo poggiano successi del viaggio ottenuti finora, dal punto di vista dell’avanzamento del regno di Dio. Migliaia di persone hanno conosciuto Dio attraverso i viaggi di Paolo, che ha sofferto molto, ma le sofferenze personali non le considera motivo di insuccesso, anzi. Ma sopratutto osservando Paolo ci si rende conto che sente fortemente di fare parte Dio di un progetto globale divino di cui egli è strumento. Rispetto a questo niente lo può dissuadere.Paolo ha chiaramente capito qual è la sua meta. Una delle tante. E in quel momento della sua vita tornare a Gerusalemme è importante. Lo è perché vuole raccontare alla chiesa strategicamente più importante quanti pagani hanno conosciuto il Signore, e la conversione dei pagani è percepita come un miracolo.
Questo è un incoraggiamento per ognuno di noi. Qual è il progetto della nostra vita? Come vogliamo crescere nello Spirito? Quali letture ci siamo preposti? Quali azioni? Quali traguardi? Cos’è per noi la Gerusalemme a cui Paolo vuole arrivare? Forse un gruppo di persone a cui vogliamo annunciare il vangelo. Forse un gruppo di credenti con cui vogliamo condividere ciò che viviamo con il Signore. Forse una persona che sta soffrendo e che vogliamo aiutare. Forse del tempo che quotidianamente dovremmo mettere da parte per pregare e leggere la Parola di Dio. Ciò che conta è imparare ad avere degli obiettivi che niente può ostacolare. Paolo ha deciso di andare a Gerusalemme e non saranno i pianti, gli scenari spaventosi descritti dai credenti, le paure a trattenerlo. Questo comportamento ci parla perché spesso ci rendiamo conto di essere influenzabili e deboli come umani, e se abbiamo deciso di impegnarci per una giusta causa, per un’iniziativa di cui possa beneficiare tutta la chiesa o di un progetto per il Signore, facilmente costatiamo che lo Spirito è pronto e la carne è debole. Una delle cose più belle che ci sono per un genitore è vedere i figli che imparano a camminare. CI fanno una gran tenerezza i barcollamenti dei bambini, i loro tentativi e le loro cadute ma poi arriva un momento in cui prendono il via e camminano. Noi che sappiamo camminare a volte dobbiamo imparare come bambini a camminare dritti, verso le mete che ci siamo prefissati, senza lasciarci condizionare. E badate bene che qui chi condiziona Paolo non sono i suoi nemici, i giudei che lo avversano o il mondo malvagio che lo aggredisce; sono i discepoli stessi, apparentemente mossi da spirito profetico. Come non farsi dissuadere. Maturando le proprie convinzioni nell’ambito di un profondo rapporto con Dio, ed usando come criterio il successo del vangelo. Non la sofferenza eventuale che le scelte ci arrecano. Aung San Su Kyi, premio Nobel per la pace, ha fatto 15 anni di arresti domiciliari prima di essere eletta nel parlamento birmano. Probabilmente sapeva che quella sofferenza sarebbe stata utile al suo paese, e la sua visione del bene del suo paese era più grande del dolore di essere chiusa in casa. Quali sono le nostre mete? Cosa portano al vangelo, ed alla causa del regno di Dio? Questa è la domanda che la resistenza di Paolo ci pone.
     2.      Il potere della dissuasione.
      Viene esplicitamente detto da Luca che questi discepoli erano mossi dallo Spirito mentre scongiuravano Paolo di non andare a Gerusalemme. Ma davanti alla sua fermezza non osano insistere e concludano con un quasi fatalistico: sia fatta la volontà di Dio. Cosa dobbiamo capire? Probabilmente non erano poi così convinti di quello che dicevano. O meglio, avevano ricevuto la rivelazione da parte di Dio che Paolo avrebbe sofferto, e di questo Paolo era consapevole quanto loro perché lo Spirito gli attestava che avrebbe avuto solo tribolazioni, ed era conforme con quanto diceva anche il profeta Agabo. Ma a questa rivelazione sulla sofferenza probabile a Gerusalemme hanno aggiunto qualcosa. Hanno mischiato le loro sensazioni, le loro paure, le loro angosce e l’annuncio di un viaggio sofferente si è trasformato in un tentativo di dissuasione, che probabilmente non veniva dallo Spirito Santo. Per troppo amore nei confronti di Paolo hanno finito per scordare quale fosse il suo progetto la sua idea, il motivo per cui Dio lo aveva chiamato a sé ed a fare quei viaggi che gli avevano permesso di conoscere gli stessi discepoli che non vogliono vederlo morire.
      E questo piccolo fatto  ci deve fare riflette su quanto possiamo influenzare gli altri con le nostre paure, con le nostre ansie. E ancora: qui si parla di mischiare le ansie a delle rivelazioni divine, distorcendole. A volte ci sono solo le ansie senza rivelazioni divine … Altre volte, senza scoraggiare i fratelli dissuadendoli dalle loro imprese, manchiamo di incoraggiarli rimanendo freddi a qualunque proposta o stimolo. E anche questo è un modo di scoraggiare. L’intero passo che abbiamo letto ci porta a considerare come la chiesa sia una comunità viva. Viva in ogni senso. Viva spiritualmente, ma viva anche sociologicamente, in cui le persone hanno relazioni, si cercano, si vogliono bene e si condizionano. Paolo dice di aver fretta ma passa 7 giorni a Tiro, 1 a Tolemaide, molti a Cesarea da Filippo e tutto questo per stare con i credenti. Questo testimonia del profondo affetto, del piacere di questi credenti di stare insieme uniti in una missione comune. Ma ci mostra anche il semplice fatto di stare insieme di per sé dice poco, e gli altri possono anche essere fonte di dissuasione, di scoraggiamento. Facilmente ci innamoriamo di noi, vorremmo stare insieme a godere della comunione e dimentichiamo che ognuno ha una missione, dimentichiamo di stimolarci verso questa missione. Quando ci incontriamo cerchiamo di interrogarci insieme: dove è la nostra Gerusalemme? Chiediamoci gli uni gli altri: dove vuoi arrivare? Aiutiamoci a capire le mete di Dio mettendo da parte le ansie e le paure che possiamo avere, ricercando il bene ultimo della costruzione del regno.

      3.      Agabo e la pura verità.
        Infine abbiamo l’esempio del profeta Agabo. Questo ha un comportamento singolare rispetto agli altri. Riprende alcuni modi di fare tipici dell’Antico Testamento, che potremmo definire di drammatizzazione profetica. Agabo fa una scenetta per far capire a Paolo che fine fare a Gerusalemme. Ma diversamente dagli altri, e forse come le figlie di Filippo che pure sono profetesse, preferisce non aggiungere niente. Dice a Paolo che avverte che soffrirà e lì si ferma. Mi piace molto questo esempio di sobrietà per cui non risparmia niente e non strumentalizza niente. Non fa leva sulla eventuale paura di Paolo per dissuaderlo dal suo progetto, né gli nasconde quello che effettivamente Dio gli ha detto. Così facendo credo sia il modello di diversi ministeri ancora presenti nella chiesa di oggi che con la profezia hanno a che vedere. Vogliamo aiutare i nostri fratelli e le nostre sorelle in chiesa che soffrono, o che hanno una qualche problema? Se ci rendiamo conto che nella loro vita stanno sbagliando qualcosa e crediamo che Dio ci chiami a dirglielo apertamente, facciamolo stando attenti a non mischiare niente di personale. Non è facile, siamo sempre condizionati dalle idee che abbiamo sugli altri, da quello che abbiamo sempre creduto su di loro. Forse Agabo, come anche gli altri discepoli, consideravano Paolo eccessivamente temerario, forse preso da manie di eroismo. Ma mentre questi cercano di bloccarlo, Agabo si limita a dire: ti capiterà questo. Sarai legato come un animale e portato al macello. Non è un male pensare ai propri amici, ai propri fratelli e alle proprie sorelle e cercare di dire loro qualcosa rispetto alla fede, se realmente siamo convinti che Dio ci abbia profeticamente illuminati su di loro. Mi è capitato diverse volte di dire cose che sono spiaciute, perché ho sentito che se non lo avessi fatto avrei disubbidito a Dio. Ma mi è anche capitato di essermi spazientito, ed in questo so di aver sbagliato.

        Vogliamo chiedere a Dio di mostrarci quali sono le nostre semplici mete da portare avanti. Vogliamo pensare ad aiutare chi ci sta attorno ad identificare le sue mete per costruire il regno di Dio. Vogliamo chiedere a Dio di fare parte del suo progetto. AMEN

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