mercoledì 16 maggio 2012


Atti 6:8-7-60 

6: 8 Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo.9 Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano, 10 ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. 11 Perciò sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». 12 E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. 13 Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. 14 Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè».
15 E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

7. 1 Gli disse allora il sommo sacerdote: «Queste cose stanno proprio così?». 2 Ed egli rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, 3 e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e va' nella terra che io ti indicherò. 4 Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate, 5 ma non gli diede alcuna proprietà in esso, neppure quanto l'orma di un piede, ma gli promise di darlo in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, sebbene non avesse ancora figli. 6 Poi Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. 7 Ma del popolo di cui saranno schiavi io farò giustizia, disse Dio: dopo potranno uscire e mi adoreranno in questo luogo. 8 E gli diede l'alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l'ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. 9 Ma i patriarchi, gelosi di Giuseppe, lo vendettero schiavo in Egitto. Dio però era con lui 10 e lo liberò da tutte le sue afflizioni e gli diede grazia e saggezza davanti al faraone re d'Egitto, il quale lo nominò amministratore dell'Egitto e di tutta la sua casa. 11 Venne una carestia su tutto l'Egitto e in Canaan e una grande miseria, e i nostri padri non trovavano da mangiare. 12 Avendo udito Giacobbe che in Egitto c'era del grano, vi inviò i nostri padri una prima volta; 13 la seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e fu nota al faraone la sua origine. 14 Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela, settantacinque persone in tutto. 15 E Giacobbe si recò in Egitto, e qui egli morì come anche i nostri padri; 16 essi furono poi trasportati in Sichem e posti nel sepolcro che Abramo aveva acquistato e pagato in denaro dai figli di Emor, a Sichem.
17 Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto, 18 finché salì al trono d'Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe. 19 Questi, adoperando l'astuzia contro la nostra gente, perseguitò i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro figli, perché non sopravvivessero. 20 In quel tempo nacque Mosè e piacque a Dio; egli fu allevato per tre mesi nella casa paterna, poi, 21 essendo stato esposto, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come figlio. 22 Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere. 23 Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, 24 e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l'oppresso, uccidendo l'Egiziano. 25 Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero. 26 Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d'accordo, dicendo: Siete fratelli; perché vi insultate l'un l'altro? 27 Ma quello che maltrattava il vicino lo respinse, dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice sopra di noi? 28 Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri l'Egiziano? 29 Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian, dove ebbe due figli.
30 Passati quarant'anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. 31 Mosè rimase stupito di questa visione; e mentre si avvicinava per veder meglio, si udì la voce del Signore: 32 Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Esterrefatto, Mosè non osava guardare. 33 Allora il Signore gli disse: Togliti dai piedi i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. 34 Ho visto l'afflizione del mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli; ed ora vieni, che ti mando in Egitto. 35 Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?, proprio lui Dio aveva mandato per esser capo e liberatore, parlando per mezzo dell'angelo che gli era apparso nel roveto. 36 Egli li fece uscire, compiendo miracoli e prodigi nella terra d'Egitto, nel Mare Rosso, e nel deserto per quarant'anni. 37 Egli è quel Mosè che disse ai figli d'Israele: Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me. 38 Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. 39 Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero e si volsero in cuor loro verso l'Egitto, 40 dicendo ad Aronne: Fa' per noi una divinità che ci vada innanzi, perché a questo Mosè che ci condusse fuori dall'Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto. 41 E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono sacrifici all'idolo e si rallegrarono per l'opera delle loro mani. 42 Ma Dio si ritrasse da loro e li abbandonò al culto dell'esercito del cielo, come è scritto nel libro dei Profeti:
43 Mi avete forse offerto vittime e sacrifici
per quarant'anni nel deserto, o casa d'Israele?
Avete preso con voi la tenda di Mòloch,
e la stella del dio Refàn,
simulacri che vi siete fabbricati per adorarli!
Perciò vi deporterò al di là di Babilonia.
44 I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto. 45 E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè se la portarono con sé nella conquista dei popoli che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. 46 Questi trovò grazia innanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per il Dio di Giacobbe; 47 Salomone poi gli edificò una casa. 48 Ma l'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo, come dice il Profeta:
49 Il cielo è il mio trono
e la terra sgabello per i miei piedi.
Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore,
o quale sarà il luogo del mio riposo?
50 Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose?
51 O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. 52 Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; 53 voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata».
54 All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui.
55 Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra 56 e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». 57 Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, 58 lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. 59 E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». 60 Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.

La lettura di questo passo del libro degli Atti è piuttosto lunga, ma non possiamo certo spezzettarlo laddove Luca ha tentato di riportare un discorso che deve essere stato piuttosto lungo, ed almeno nella sua trascrizione è il più lungo del libro degli Atti.. I fatti che vediamo raccontati in questo capitolo sono piuttosto chiari: esprimere un’opinione diversa da quella dell’establishment del tempio – possiamo chiamare così la categoria di persone che deteneva il potere religioso e che aveva influenza intorno al luogo simbolicamente più importante della religiosità – è pericoloso. Gesù lo ha fatto, ed è stato messo a morte. I discepoli hanno continuato a farlo e, da quello che abbiamo letto finora nel libro degli Atti, hanno subito persecuzioni ed arresti. Per la prima volta in questo passo, c’è una nuova vittima, un secondo morto. Ma non è che il primo di tanti che col tempo saranno immolati per il regno di Dio.

Perché Stefano viene messo a morte? Ci sono due spiegazioni: quella dell’autore, secondo cui è messo a morte perché faceva segni e miracoli, richiamandosi al nome di Cristo, e quindi provando che aver messo a morte Gesù di Nazaret è stato un crimine contro un profeta, o addirittura contro il messia; inoltre la sapienza con cui Stefano discuteva metteva a tacere i suoi oppositori, suscitando la loro ira. E poi c’è la versione degli accusatori: ha detto cose contro Mosè e contro la legge, con tanto di falsi testimoni, un po’ come successe con il processo di Gesù. 

Cosa risponde? In questo lunghissimo discorso, rivolgendosi ai suoi connazionali che apostrofa all’inizio come “fratelli e padri”, e alla fine come “gente testarda ed incirconcisa nel cuore”, quindi esprimendo la sua vicinanza sentita, ma anche la più schietta riprensione, Stefano vuole provare due cose: la prima è che per tutta la storia di Israele gli ebrei, di cui lui fa parte, hanno sempre avuto un atteggiamento ribelle; la lunga retrospettiva che fa è un bel condensato della storia del popolo di Israele, con particolar concentrazione sul tempo dei patriarchi e su Mosè, che mira a sottolineare i momenti di ribellione, tracciando un parallelo tra Mosè e Gesù: come si sono ribellati a Mosè si ribellano a Gesù. E in secondo luogo, che il tempio che i suoi oppositori hanno preso come luogo simbolico di potere religioso non conta niente: Dio non abita in templi fatti da mano d’uomo! (v.48, ripreso dalle frasi di Salomone). Dire chiaramente queste due cose però significa rischiare, e la reazione è violenta. Stefano viene quindi messo a morte per la sua fede e perdona i suoi accusatori

Questi sono i fatti. Sono rivolti ad un pubblico molto diverso dal nostro, eppure alcuni aspetti di questo episodio interrogano anche l’uomo moderno.
In primo luogo ci colpisce la connessione tra fede e violenza. Il dissenso religioso produce persecuzione violenta nonché morte. Proprio questo legame tra violenza e religione fa sì che molti nella modernità abbandonino Dio ed accusino le religioni di essere solo fonti di guerre e di violenza. In parte hanno ragione. Sarebbe opportuno però notare che la violenza non è intrinseca alla fede, agli ‘Stefani’ che ripieni di saggezza e di forza fanno miracoli ed annunciano il regno; la violenza è propria della religione, quel triste tentativo di inquadrare la fede in un sistema di potere umano, che soddisfa i desideri umani di comando e non lo spirito. Impariamo da Stefano che se spesso la religione e la violenza sono tristemente connesse, la vera fede non produce mai violenza, ma fa sì che davanti alla violenza massima, quella che uccide, si trovi ancora la forza di implorare il perdono per i nemici. Stefano non odia i suoi nemici, non si cerca la vendetta ma quell’intensità che nei suoi nemici produce rabbia e violenza, in lui produce forza di perdonare. Allora possiamo dire che anche la fede è violenta: ma lo è nella misura in cui fa violenza ai nostri istinti più profondi, quelli che ci portano a rendere il male per male. La fede è violenta contro noi stessi, perché ci porta “dis-umanamente” a perdonare chi ci ha offeso e chi ci sta uccidendo, laddove naturalmente vorremo vendicarci. Ma l’origine di questa forza credo si possa vedere in un altro aspetto che questo testo tra le righe rivela.

Cosa vedono gli occhi della fede? È molto interessante osservare cosa vedono gli occhi di chi guarda Stefano e gli stessi occhi di Stefano. Mentre gli oppositori vedono in questo diacono, in questo servitore della chiesa primitiva, un pericoloso antagonista capace di mandarli in crisi per la capacità di parlare con sapienza e di difendere la sua fede con le parole, nel momento in cui viene  trascinato davanti al tribunale “videro il suo volto come quello di un angelo” (v.14). Cosa significa? Probabilmente che nonostante la violenza perpetrata contro di lui Stefano manteneva una calma ed una pace interiore simile a quella di un angelo. Oppure, che una qualche luce proveniente dalla tranquillità interiore facesse apparire il suo volto come trasfigurato, come dis-umano, nel senso di angelico, di spirituale, di comunicante con Dio. Inoltre Stefano, concluso il suo discorso, vede e contempla la gloria di Dio: vede i cieli aperti ed il Figlio dell’uomo alla destra di Dio.
Ci sono modi di guardare il cielo che le scritture stesse scoraggiano: ricordiamo di come al capitolo 1 del libro degli Atti, un angelo riprese i discepoli che stavano a guardare il cielo dopo che Gesù vi era asceso. Non c’è da guardare in cielo per evitare di guardare la terra, visto che la missione è per terra. Ma ci sono modi di guardare il cielo che rivelano il senso profondo della fede: il Figlio dell’uomo alla destra di Dio è la prova che Gesù era veramente Dio, e che l’uomo è pienamente uomo solo conoscendo il Figlio dell’uomo. Queste sono visioni che hanno poco del misticismo psicopatico di qualche allucinato. Sono visioni che smuovono i monti. Stefano trova la forza di perdonare perché riesce a vedere la gloria di Dio. Gli occhi della  vede riescono a vedere Dio, e a camminare considerando Dio come una presenza costante nella vita. La nostra modernità ha messo a punto strumenti ottici di grandissima potenza che vedono entità lontanissime o, organismi piccolissimi. Ma solo gli occhi della fede, gli occhi che Stefano aveva possono vedere Dio, e il Figlio dell’uomo in cui Dio si è rivelato. Questi occhi sono oggetto della nostra ricerca.

Da dove viene la fede? Andiamo ancora più a fondo. Per due volte ci viene detto che Stefano era ripieno di qualcosa. All’inizio viene detto che Stefano era ripieno di grazia e fortezza cosa che gli permetteva di operare prodigi e miracoli tra il popolo. Alla fine ci viene detto che Stefano era ripieno di Spirito Santo, e quindi vedeva la gloria di Dio, e pronunciava le parole di perdono. L’intero messaggio di Stefano ci ricorda che tanto la sua fede capace di perdonare, quanto la sua sapienza, quanto ancora la sua facoltà di operare miracoli non venivano da qualche sua virtù o qualche suo merito. Stefano ha fatto quello che ha fatto perché era ripieno di Spirito Santo, e di qualità che gli venivano da fuori. Quando leggiamo esempi simili di uomini di Dio nella Bibbia non lo facciamo per cercare di indurre in noi una semplice imitazione. Non abbiamo le forze per imitare un bel niente, possiamo illuderci di essere qualcosa mentre siamo semplici uomini con difetti e pregi, né meglio né peggio di altri. Da questi esempi leggiamo quello che l’opera dello Spirito Santo può fare dentro di noi. La fede non è il frutto di uno sforzo, ma il frutto dello Spirito Santo. Gli occhi che vedono sono il frutto dell’azione dello Spirito in noi. Chi di noi è miope non può sforzarsi di vedere, deve mettersi gli occhiali o operarsi. Perché quello che leggiamo di Stefano sia per noi un modello, non possiamo fare degli sforzi. Dobbiamo invocare Dio di agire in noi, con la potenza del suo spirito. Allora verrà la fede in chi non ce l’avesse. Allora verrà la forza di perdonare. Allora verrà la certezza dell’appartenenza al Regno. AMEN

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