mercoledì 16 maggio 2012

Atti 15:36-16:6
Litigi e dogmi

36:15 Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». 37 Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, 38 ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. 39 Il dissenso fu tale che si separarono l'uno dall'altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s'imbarcò per Cipro. 40 Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore.
41 E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità.
1 Paolo si recò a Derba e a Listra. C'era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco; 2 egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio. 3 Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco. 4 Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero. 5 Le comunità intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno.
Tra un fatto di spicco e l’altro del libro degli Atti abbiamo alcune sezioni che un lettore veloce potrebbe essere tentato di saltare. Se abbiamo invece la curiosità di soffermarci su questi spaccati del funzionamento della chiesa primitiva scopriamo meccanismi e particolarità utili a capire quel mondo, nonché potenzialmente capaci di incoraggiarci e guidarci anche oggi. Non è infatti un caso che Luca abbia deciso di riportare certi particolari.
1.    Annunciare e curare.
Cominciamo con l’osservare un dettaglio: il cosiddetto “secondo viaggio missionario di Paolo”, non è in realtà un viaggio propriamente missionario, evangelistico, ma parte con un’intenzione pastorale: fare visita e vedere come stanno le persone a cui nel primo viaggio era stato annunciato il vangelo. Il semplice fatto può servire a ricordare che non ci si può fermare al semplice fatto di annunciare il vangelo: parlare a qualcuno dello straordinario messaggio di Gesù significa poi continuare a preoccuparsi di lui per vedere come sta. Non è sempre possibile e non è un “dogma” (parola su cui più sotto ci attarderemo) visto che può capitare di parlare a qualcuno di cui poi non si sa più niente, un po’ come nel caso dell’eunuco del capitolo 8 che non abbiamo più visto; ma laddove è possibile è una buona norma: perché l’annuncio del vangelo non si limita a registrare una nuova nascita in una nuova vita magari per rallegrarsi di un numero che accresce le file della chiesa: si preoccupa realmente della persona e di come la nuova vita cresce.
2.    Dissenso e divisione.
Secondo elemento su cui Luca porta la nostra attenzione è questo dissenso tra Paolo e Barnaba. Non è la prima volta che Luca ci parla di dissensi all’interno della chiesa: ricordiamo il dissidio tra una comunità e due membri, come Anania e Saffira, il dissidio tra gruppi all’interno della chiesa di origine diversa come nel caso dell’istituzione dei diaconi nata da un dissidio sul modo di servire alle mense, e quello sul problema della circoncisione dei pagani, ed ora un dissidio tra guide, tra “capi” anche loro non immuni da errori e bassezze umane. Il bello del libro degli Atti sta proprio in questo suo carattere non agiografico e fedele ai fatti, anche quelli meno piacevoli. Luca non spiega nei dettagli in cosa consista la perplessità di Paolo: forse pensa che Giovanni detto Marco, sia un incostante, quindi poco adatto ad un viaggio impegnativo; forse ci sono altri motivi, magari di carattere dottrinale, ad esempio che lo consideri troppo filo-giudaico... Sono solo ipotesi che lasciano il tempo che trovano, ma vediamo che già tra questi due fondatori della chiesa, che hanno fatto nascere le prime comunità cristiane della storia, si insinua il germe della divisione, ed anche con toni accesi. Così ognuno parte per una missione. Che dire? Sono entrambe benedette da Dio? C’è una missione “ortodossa” ed una “eretica”? Luca si limita a dire che Paolo parte raccomandato dalla grazia del Signore, senza dire niente del viaggio a Cipro di Barnaba e suo cugino Giovanni-Marco. Se poi leggiamo alcuni passi delle epistole di Paolo datate dopo questo viaggio, abbiamo ulteriori notizie di come è andata a finire:
Col 4: 10 Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona accoglienza
II Tim 4: 11 Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero.
Abbiamo ampiamente ragione di credere che questo dissenso si sia appagato, e forse dobbiamo cogliere un intervento della bontà di Dio in questa storia divisione. Certo, anche questo non è un dogma: non possiamo dire che ogni volta che le chiese litigano e si dividono, Dio provvederà per riconciliarle. Tuttavia, possiamo trarre speranza da questo passo. La condizione della chiesa Universale oggi come oggi è una condizione di profonda divisione e di frequente dissenso su parecchi punti. Possiamo parlare di cristianesimo, ma all’interno di questo enorme movimento abbiamo miriadi di correnti, nate da tante divisioni probabilmente non del tutto diverse da quella che abbiamo appena visto. Qui probabilmente la chiesa di Antiochia ha preso le parti di Paolo, visto che ha benedetto la sua missione e sicuramente quando a Cipro hanno chiesto di Paolo, ci sarà stato dell’imbarazzo da parte di Barnaba nello spiegare perché non c’era anche lui. Ugualmente su scala mondiale abbiamo prese di posizione chiare per o contro questo o quel movimento, per o contro una certa dottrina. Anche oggi ci sono tentativi di riconciliazione, spesso goffi e forzati, come quello del movimento ecumenico che spesso diventa un tentativo di cancellazione di problemi importanti – vediamo che qui Paolo ha tenuto duro, non è stato “ecumenico” – distorco volutamente questo termine, o uno strumento in mani di chi ha ambizioni totalizzanti; ma ci sono anche tanti atteggiamenti settari che vanno superati, e che creano divisioni tra fratelli che non hanno luogo di essere. Questo passo ed il suo epilogo ci rassicurano, facendoci vedere che la chiesa è una cosa estremamente, terribilmente, tristemente e splendidamente umana, e che Dio dai disastri umani può trarre la riconciliazione, a cui siamo tutti chiamati. Pensando alle situazioni di separazione nelle quali ci siamo trovati possiamo sperare che il Signore saprà correggere chi ha bisogno di correzione e riportare prima o poi riconciliazione.
3.    Il discepolo Timoteo
C’è anche un altro piano rispetto a cui possiamo vedere l’intervento di Dio. L’equipe missionaria di Paolo non si ferma. Una volta strettosi all’amico Sila, Paolo troverà in Timoteo il suo più valido collaboratore, a cui lascerà molti importanti incarichi. Queste poche parole su Timoteo hanno fatto colare fiumi d’inchiostro, perché ci si chiede come mai Paolo, visto che è appena stato deciso che non è obbligatorio circoncidersi, faccia circoncidere Timoteo a causa dei giudei. La ragione è probabilmente che Timoteo non è un pagano, ma ha madre ebraica, e secondo il diritto ebraico doveva essere considerato ebreo. Vuoi perché la madre non era più praticante, vuoi perché il padre era greco e forse contrario alla circoncisione, Timoteo non era mai stato circonciso; allora Paolo, per non avere storie con i Giudei riguardo ad un collaboratore ebreo non circonciso, lo fa circoncidere. Mi sembra che questo possa informarci su quanto poco “dogmatico” sia Paolo. Si prende una decisione chiara rispetto allo statuto della circoncisione; una volta fatta chiarezza su questo, ci possono essere delle situazioni in cui ci si comporta diversamente: la circoncisione non serve a salvare, ma se è una tradizione a cui gli ebrei, per portare avanti la loro cultura, vogliono praticarla non c’è nessun male. Basta sia chiaro che non è salvifica. Grande saggezza quindi da parte di Paolo, forse non del tutto lontana da problemi che ci ritroviamo anche oggi. Immaginiamoci di trovarci in contesti in cui ci siano molti islamici, che non mangiano il maiale. Potrebbe essere carino evitare di mangiarne, in segno di rispetto, senza per questo credere che l’astenersi dal maiale sia una virtù. Piccoli gesti, apparentemente poco significanti, ma che ci ribadiscono un concetto fondamentale: la strategia missionaria consiste nel mettere Cristo e l’altro prima di ogni altra cosa. Mai perdere l’altro per una questione di forma, mai offendere il fratello per un gesto che non ha significato per sé, ma per quello che gli si dà.
4.    I dogmi liberatori.
Ho volutamente usato più volte sopra il termine “dogma” o dogmatico. Mi riferivo al senso che comunemente si dà a questa parola, quello per cui si intende con dogma un qualcosa di assoluto su cui non si discute e che non trova una giustificazione chiara. E’ un dogma, si sente dire, ci si deve credere e basta... Ho usato questo termine, perché nell’ultima parte del passo che abbiamo letto si parla di “decisioni” prese dagli apostoli che Paolo e Sila porteranno in giro per le chiese perché le rispettino. Il termine usato in greco per decisioni è proprio, per l’appunto, “dogma”. Ovviamente è un termine che ha seguito una lunga evoluzione nella storia, ma uno dei sensi originari che aveva è proprio quello di decisioni. Certamente questo “dogmi” che gli apostoli hanno appena deciso nella riunione a Gerusalemme descritta nel capitolo 15 hanno una validità universale, e vengono portati alle altre chiese. Ma se facciamo attenzione al significato, non si tratta di verità imposte e indimostrabili. Si tratta di una serie di decisioni che regolano un problema sorto nella chiesa, e che più specificamente “liberano”! Liberano i gentili, i pagani dal peso del rispetto di una regola inutile, che per loro non ha validità. Liberano la strada della salvezza da ostacoli umani, e rivelano la natura di Dio.
 Questa che propongo è un’accezione molto positiva ed ottimista del dogma, ma credo sarebbe bello ricordare la natura liberatoria di ogni presunto dogma, insieme alla sua natura “relativa”. Abbiamo detto la volta scorsa che queste decisioni hanno in parte natura temporanea, e che servono a regolare problemi contingenti. È importante che le chiese continuino a pensare, a cercare di regolare le problematiche che il tempo in cui vivono pone loro, trovando soluzioni e decisioni, che potremmo chiamare decisioni che sappiano “liberare”, risolvere e portare a Dio. La chiesa ultraframmentata di oggi conosce pochi di questi dogmi validi per tutti, e quelli che circolano nelle chiese a struttura verticistica vengono spesso considerati più imposizioni di un capo alla base che reali strumenti di liberazione. Ma sarebbe bene tornare al senso originale: abbiamo bisogno di dogmi! Di buoni dogmi che sgomberino la via della salvezza dalle nostre problematiche, dai nostri dubbi e dalle questioni pur sincere che ogni epoca pone. Qualche esempio? Come si pone la chiesa di oggi rispetto ai problemi della diversità tra le tante confessioni che la animano? Come si pone la chiesa davanti agli interventi armati degli stati? Come ci si pone rispetto ai problemi dell’ambiente? Che stile di vita si ha come credenti? Certo, siamo lontani dalla circoncisione, ma in fondo riprendiamo quelle che una volta furono grandi questioni. Abbiamo bisogno di dogmi che guidino che, consapevoli della loro relatività, sappiano orientare.
Ecco allora che, come quelle chiese di cui leggiamo, le chiese cresceranno fortificate nella grazia.

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