mercoledì 16 maggio 2012


Atti 9, 32-42
Chiesa Evangelica Libera di Lucca
Enea e Tabita


32 E avvenne che mentre Pietro andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che dimoravano a Lidda. 33 Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico.34 Pietro gli disse: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto». E subito si alzò. 35 Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al Signore.
36 A Giaffa c'era una discepola chiamata Tabità, nome che significa «Gazzella», la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. 37 Proprio in quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero in una stanza al piano superiore. 38 E poiché Lidda era vicina a Giaffa i discepoli, udito che Pietro si trovava là, mandarono due uomini ad invitarlo: «Vieni subito da noi!». 39 E Pietro subito andò con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro.40 Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: «Tabità, alzati!». Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. 41 Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i credenti e le vedove, e la presentò loro viva.
42 La cosa si riseppe in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore. 43 Pietro rimase a Giaffa parecchi giorni, presso un certo Simone conciatore.


Ignoti. Mai sentito parlare di Tabita o di Enea? Della prima qualcuno conosce forse l’attrice prosperosa che recita in un film del commissario Montalbano, mentre il secondo è l’eroe Virgiliano di cui tutti abbiamo studiato le gesta a scuola, ed io mi ricordo con qualche angoscia del mio prof. di Italiano che ci fece imparare a memoria la descrizione dello “scudo di Enea” il secondo giorno di scuola della prima liceo.... La Parola di Dio oggi ci parla di una Tabita e di un Enea che invece di essere conosciuti e famosi sono piuttosto ignoti, personaggi secondari della grande storia della chiesa primitiva che stiamo studiando. Forse sono più conosciuti nelle chiese perché facilmente oggetto di studi per bambini. Sono personaggi di cui non si sa molto, che non passano per esser degli eroi della fede, eppure nelle pagine del libro degli Atti troviamo una traccia della loro esistenza che ha sicuramente implicazioni per la fede.
Ciclo di Pietro. Luca ci ha raccontato della conversione di Paolo. Ora, per qualche capitolo di Paolo non si dice niente. Rimane a Tarso e ricomparirà fra qualche capitolo, mentre i riflettori si spostano unicamente su Pietro, che in seguito, sparirà dalla scena. Luca ci presenta dunque Pietro nella sua attività evangelistica e pastorale: dopo aver annunciato visitava le chiese, nella fattispecie chiese della Giudea piuttosto vicine a Gerusalemme. E nelle città di Lidda e di Ioppe, la moderna Giaffa, quella dei pompelmi, incontriamo i personaggi di cui abbiamo parlato. Cerchiamo allora di capire in che modo questi due episodi con questi due protagonisti ci parlino.

  1. Pietro un viaggiatore?  

Salta agli occhi la forte somiglianza tra questi miracoli e quelli del paralitico di Capernaum e la figlia di Iairo. Pietro segue le orme di Cristo e da fedele discepolo fa le stesse cose del suo maestro. Se il suo viaggio è di visita, non si limita ad incoraggiare le chiese, aggiunge l’evangelizzazione  e la guarigione. Non sappiamo se questo Enea di cui si parla fosse già un cristiano, membro di una delle chiese visitate da Pietro,  comunque sia è qualcuno che ha ricevuto da Pietro un po’ più che una visita. Ora, a me piace molto viaggiare, e so che diversamente da quanto capita nelle culture più antiche il viaggio diventa una sorta di piacere in sé,  un modo per vedere dei posti. Presi come siamo oggi da viaggi prevalentemente turistici è forse importante riflettere sulle semplici motivazioni che spingono Pietro a viaggiare. Non viaggia solo per giare o per conoscere dei posti, ma si muove facendo sì che alcune vite, dopo il suo spostamento nello spazio siano cambiate o recuperate. Lo stesso possiamo dire dei viaggi di Gesù e di tutto il resto delle persone del libro degli Atti, che viaggiano non solo per andare a trovare i proprio parenti o per vedere dei bei posti: il viaggio di Pietro è un viaggio che segue la via di Cristo e che porta salvezza. Noi cristiani di oggi, accanto ai viaggi di piacere che nessuno nega, abbiamo la responsabilità di pensare a viaggi in cui il loro muoversi sia importante per vite di altri: viaggi di missioni, viaggi di evangelizzazione, viaggi di aiuto. Non c’è bisogno di essere Pietro per farli, basta esser un semplice credente disponibile.

  1. Alzati: risorgi o stai solo in piedi?
Molte cose accomunano questi due episodi e tra le altre una di quelle che colpisce di più è la frase usata da Pietro: “Alzati!”. Viene detto ad entrambi, veniva detto nei miracoli di Gesù, fa pensare anche a Lazzaro. C’è una forza incredibile in questo comando, che non viene ovviamente dall’autorevolezza di chi la pronuncia ma dal fatto che viene pronunciata nel nome di Dio: al paralitico viene detto prima: Gesù ti guarisce, e Tabita si alza dopo la preghiera accorata di Paolo. Ma una cosa molto interessante è che il verbo usato per dire alzati è esattamente lo stesso che indica la resurrezione: sia nel caso di Tabita, che in effetti era morta, che nel caso del paralitico. Abbiamo molte possibili declinazioni della sofferenza, e della prostrazione a cui le forze del male possono sottomettere un uomo. Il male presente del mondo, frutto del peccato umano si manifesta nella malattia, nella morte e, soprattutto, nella morte spirituale. Oserei dire che la guarigione da una malattia, che prolunga la vita, o anche la resurrezione corporea dalla morte, non sono niente rispetto alla grande verità della resurrezione spirituale, a cui Cristo chiama. Se non riusciamo a guarire paralitici o a resuscitare persone che muoiono, dobbiamo avere chiaro che abbiamo davanti a noi uno scopo ben più grande, che è quello di dire: “Alzati!” ai tanti morti spirituali che ci stanno intorno. Il nostro mondo è pieno di persone che soffrono, o che rimuovono la sofferenza in diversi modi, ma che hanno bisogno di risuscitare, né più né meno di Tabita o di Enea.
Immaginario della chiesa. C’è un fatto importante però che accompagna la resurrezione di Tabita: tutto fa pensare che le persone che le erano intorno, si aspettassero che questa resurrezione poteva avvenire. Il fatto di chiamare Pietro, di vantare i meriti di questa donna, di averla deposta al piano di sopra anziché portarla via come fu fatto con Anania e Saffira, fa pensare che una forte fede nella possibilità della resurrezione, tipica delle chiese primitive, accompagnasse questi credenti. I miracoli, le guarigioni, le conversioni, ed in una sola parola le resurrezioni spirituali o no, avvengono laddove c’è un contesto di fede che si aspetta realmente che Dio possa intervenire in questo modo. Crediamo veramente nella possibilità di queste guarigioni? Crediamo veramente nella possibilità delle conversioni? Come chiesa abbiamo la responsabilità di accompagnare l’azione del Signore, e di chi annuncia con una fede capace di creare un contesto ricettivo.

  1. Ma perché proprio loro?
Osservando il libro degli Atti in modo panoramico, potrebbe venire spontanea una domanda, piuttosto tipica del nostro pensiero moderno o post-moderno: perché sono risuscitati loro ed altri no? Che meriti hanno Enea e Tabita per avere una grazia così speciale, soprattutto quando vediamo che grandi uomini di fede come  Stefano, Giacomo, Pietro e Paolo subiscono una sorte completamente diversa? La cosa è tanto più curiosa che questi due personaggi non sembrano avere avuto un ruolo strategico o cruciale per la chiesa primitiva e potrebbero sembrare dei marginali. Ci aspetteremmo la resurrezione o la guarigione immediata dei più importanti: di uno Stefano, oppure la guarigione di un Paolo che diceva di avere una spina in un fianco (chissà, forse qualche ernia), piuttosto che quella di personaggi episodici e di respiro inferiore. Ma forse la risposta sta proprio in questa assenza di favori in proporzione ai doni. Stefano, Paolo ed altri hanno già il loro dono, di una fede incrollabile e convinta capace di dare gloria a Dio. Forse piace al Signore riservare favori appariscenti proprio a persone molto umili, che non hanno ruoli di gran peso in seno alla comunità primitiva, se non quello di tessere vestiti e mantelli, per altro molto apprezzati ed utili anche questi. Forse piace proprio a Dio mettere in luce i meno conosciuti con questi miracoli. Ma è una risposta a questa domanda anche il semplice fatto di costatare che la fede va avanti senza guardare a queste differenze che non vengono negate, ma accettate. La comunità della fede è convinta che Dio vuole il meglio per ognuno di loro: per alcuni sarà la guarigione, ma non per tutti; per altri la resurrezione immediata, ma non per tutti. Per altri ci sarà il martirio, ma non per tutti. La fede non cessa di esistere in un mondo complesso, che riconosce la contraddizione di molte cose, l’inspiegabilità di altre, come ad esempio il motivo per cui alcuni nascono paralitici ed altri no, e non tutti i paralitici guariscono.

  1. I segni parlano.
C’è però ancora un altro fatto che risponde alla nostra domanda: questi due miracoli, come anche quelli compiuti da Gesù si concludono con il credere di molte persone: a Lidda viene detto che tutti credettero ed a Ioppe che molti si convertirono. I numerosi miracoli compiuti da Gesù, e di conseguenza anche questi compiuti da Pietro, non vanno visti come i miracoli di terapeuti che sprigionano delle forze magiche, che hanno come fine la liberazione della persona. Questi miracoli hanno un fine diverso: la gloria di Dio. La misericordia verso la persona è sempre accompagnata dalla glorificazione del Dio che ha operato il miracolo. Sono sempre segni della gloria di Dio e intervengono per dare inizio ad un’esperienza di fede, oppure per confermarla. Anche questo è un chiaro monito per le nostre azioni di evangelizzazione, di annuncio, di missione: per cosa stiamo operando? Il mondo pullula di chiese, gruppi, sette e vario materiale che odora di religiosità che cerca la sua gloria, che vuole un posto nella società, che ha bisogno di farsi riconoscere. Un bel passo del profeta Zaccaria chiede ai rimpatriati dall’esilio che rivendicavano i loro digiuni per chi avessero digiunato. (Zac 7). E’ bene che ogni nostro proposito, ogni nostra azione sia veramente basata sul desiderio di glorificare Dio, perché da questo verrà riconosciuta dalle folle la vera azione divina.

Prepariamoci allo a viaggiare per la gloria di Dio. Ad avvalerci dell’autorità di un nome che porta resurrezione e vita ai tanti morti e malati spirituali e fisici del nostro mondo. Prepariamoci alla crescita di una chiesa che annuncia un vangelo di vita che conquista le folle per la sua verità. AMEN

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