giovedì 23 luglio 2015

Cantare, nascere, crescere

Luca 1.46-2.38
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Questa lunga sezione del vangelo è accomunata da un’atmosfera di aspettativa e gioia: si apre con il cantico di Maria, continua con quello di Zaccaria, un piccolo cantico centrale degli angeli spesso musicato con il ritornello “gloria in excelsis deo”, e finisce con i due cantici di Simeon e Maria. Non ci viene esplicitamente detto che si misero a cantare, ma la struttura dei loro discorsi è molto simile a quella di salmi o canti che hanno accompagnato momenti importanti della vita di Israele, come il cantico di Mosè, quello di Miriam, quello di Debora ed altri ancora. Tutti questi canti si alternano ai racconti delle nascite di Gesù e Giovanni.
Tanto i canti quanto le profezie relative ai due bambini hanno molte cose in comune e alcuni elementi di diversità e proprio su questi vogliamo riflettere oggi, consapevoli che come gli uomini di duemila anni fa aspettavano il messia, anche noi lo aspettiamo fiduciosi in un suo secondo ritorno.

  1. 1.      Il cantico di Maria e quello di Zaccaria
Maria comincia il suo canto pensando soprattutto a se stessa. Ringrazia perché Dio ha guardato proprio lei, alla sua bassezza, perché sarà beata, e perché Dio le ha fatto grandi cose. Continua poi comprendendo la misericordia di Dio in senso universale, ed affermando la sua giustizia che punisce superbi, potenti e ricchi e solleva gli umili, i timorati di Dio e gli affamati. Menziona Israele ed il patto di Dio con Abramo, quindi fa riferimento alla misericordia che affonda le sue radici nella storia.
Zaccaria non dice niente di sé e comincia invece parlando di Israele e del suo popolo, della salvezza promessa dai profeti. Parla di una salvezza dagli avversari, e pensiamo subito ad Erode e all’occupazione romana. Parla poi di Giovanni e del suo ruolo preparatorio nella conoscenza della salvezza e nel perdono dei peccati.

Vorrei rilevare alcuni punti comuni importanti in questi due canti:
Salvatore-Redenzione: entrambi presentano Dio come un Signore che è Salvatore, un redentore. Maria lo fa per sé, parlando della sua bassezza e mostrando di essere consapevole della sua miseria. Miseria in quanto individuo facente parte di un popolo oppresso che aspetta salvezza, ma anche miseri spirituale di persona consapevole del suo bisogno di Dio. Zaccaria è ancora più esplicito su questo: anche lui parla di liberazione da oppressori, ma parla anche di perdono dei peccati, dei quali il popolo va messo a conoscenza, perché probabilmente non lo sa.
Entrambi i passi fanno riferimento alla misericordia di Dio ed iscrivono questa misericordia in un piano ben preciso che Dio ha esposto fin dall’antichità in un patto e che ora prende corpo nelle nascite di questi due bambini.
Entrambi presentano Dio come un guerriero che da un lato salva e dall’altro punisce. Il termine umili, timorati di Dio, oppressi, è un termine che veniva spesso usato nell’antico testamento, e che qui ritroviamo in altre forme, per indicare una classe di persone che si affidava completamente a Dio, e per questo veniva perseguitata.
Detto in altri termini i due passi ci presentano Dio autore di una salvezza totale, che riguarda sia il piano sociale, che quello giuridico, che quello economico, che quello spirituale. Il vangelo di Luca comincia dicendoci che questi piani non sono separati e nelle parole di Maria  - quanto è lontana questa coraggiosa israelita dall’immagine fasulla che spesso ne abbiamo noi – si avverte una promessa di salvezza che coinvolge tutti i piani.
Noi traiamo da questo un duplice incoraggiamento. Primo, dobbiamo “imparare a cantare”. Non nel senso che dobbiamo andare al conservatorio, (che sarebbe comunque bello), ma nel senso che dobbiamo imparare a celebrare con forza la salvezza di Dio nel mondo in cui siamo. Cantare non è un’azione banale e solo ricreativa, ma la proclamazione della salvezza infinita del nostro Dio, dell’estensione della misericordia di Dio di generazione in generazione (v.50). Secondo, dobbiamo aver chiaro che la salvezza non è solo una questione spirituale. Essa abbraccia molte dimensioni, e comprende la punizione della ricchezza ingiusta, del potere sfrenato, dell’oppressione dei miseri. Impegnarsi, con le armi della fede, in una lotta contro mali sociali, economici, giuridici è pienamente parte del piano di Dio. Ma mai va trascurata la dimensione soprattutto spirituale del “perdono dei peccati”, della “bassezza” in cui si trova anche Maria, che dipinge la condizione umana nei suoi errori, che la tengono lontana da Dio. Se trascuriamo questa dimensione rimaniamo limitati ad un mondo che non conoscerà fino in fondo la sua condizione, e quindi non cambierà realmente.

  1. 2.      La nascita di Giovanni e quella di Gesù
Le circostanze. I due bambini nascono in circostanze simili. Stessa famiglia, stesso angelo che annuncia, stessa circoncisione e nominazione scelta dall’angelo, stessi cantici di ringraziamento per loro. Tuttavia ci sono delle differenze. Giovanni ha una nascita un po’ più facile, nel senso che è ben accolto dai suoi, e suscita meditazioni sul suo futuro. Poi però se ne va nei deserti… Gesù invece si trova in un posto estraneo, Betlemme in Giudea, che dista dalla sua città Natale circa 140 km. Non è ben accolto in questo posto dove per lui non c’è posto e finisce in una mangiatoia. Se vengono ad accoglierlo dei pastori, è solo perché un angelo li ha divinamente avvisati, quindi per un intervento divino, altrimenti sarebbe nato in totale solitudine. Da parte degli uomini Gesù sembra ricevere poco, ma da parte di Dio molto: beneficia di tre cantici supplementari, quello degli angeli e quelli di Simeone ed Anna, che sottolineano che egli è il messia. E’ l’unto del Signore, colui che Dio ha scelto per risollevare il regno. E tuttavia crescerà in sapienza davanti agli uomini.
Zaccaria rileva il ruolo preparatorio di Giovanni: aprire la strada per il messia. Gli angeli ed i due profeti sottolineano invece il ruolo di colui per cui la strada è preparata. Viene profetizzata la morte violenta di Gesù da parte di Simeone (2,35: a te una spada trafiggerà l’anima), mentre niente si dice di quella di Giovanni. Probabilmente perché non si tratta di una morte che permette la salvezza del popolo, come quella di Gesù .
Probabilmente a noi piace prendere Gesù come modello di vita, come esempio assoluto di comportamento e fede. Ed è giusto che sia così. Ricordiamoci però che, dal punto di vista delruolo, il nostro miglior modello dovrebbe essere Giovanni, che ci insegna ad essere preparatori del regno. Il nostro ruolo nel mondo in cui siamo non è diverso da quello di Giovanni, perché non possiamo certo pretendere di essere al posto di Cristo: se quello che diciamo ha un senso, lo ha nella misura in cui testimonia del messia a cui prepariamo la strada nel cuore delle persone. Cerchiamo di comportarci come Gesù, ma cerchiamo di essere consapevoli che possiamo al massimo svolgere la funzione che ha svolto Giovanni.
Il rispetto della legge. C’è un altro punto che accomuna Giovanni e Gesù che fa storia a sé. Per entrambi, i genitori si sforzano di seguire scrupolosamente le regole della legge. Vengono circoncisi, Gesù viene presentato al tempio, viene fatta l’offerta prevista per i primogeniti. Questi due ragazzini che porteranno un gran rinnovamento nel modo di capire la legge, sono entrati nel mondo soddisfacendo le singole esigenze della legge. Non l’hanno rinnegata, ma portata a compimento e l’hanno rivelata nel suo senso pieno.
Quando si parla di legge oggi si pensa spesso a due termini: rivoluzione o riforma. Credo sia importante capire che la fede cristiana non è né una rivoluzione che distrugge il passato e cerca di costruire qualcosa di completamente nuovo, né una riforma che ne ritocca alcuni aspetti. La fede cristiana è una continua evoluzione, o rivelazione di cose promesse sin dall’inizio che continuano nel tempo. Giovanni e Gesù rispettano una legge di cui riveleranno il senso fondamentale che è quello dell’amore di Dio e del prossimo. Ma per far questo non butteranno via tutto, anzi. Si iscriveranno pienamente in quella legge.

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