giovedì 23 luglio 2015

Luca 6

Il sermone in pianura

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Il sermone della pianura
Luca 6, 17,ss.
Leggiamo oggi un passo tra i più conosciuti del vangelo, a cui volutamente voglio cambaire titolo. Nel vangelo di Matteo si trova il sermone sul monte, così chiamato per il luogo da cui viene enunciato all'inizio del passo. Qui invece un discorso dai contenuti molto simili viene fatto in pianura, in una circostanza leggermente diversa, cioè nel ben mezzo di una serie di guarigioni e assieme ad una folla che cercava da lui guarigione. Non credo che si tratti dello stesso episodio che leggiamo in Matteo, anche se i loro contenuti sono veramente molto simili. Non sarei del resto stupito se Gesù avesse fatto in due circostanze diverse discorsi molto simili che riguardano il cuore della sua dottrina.
Benché si possa consacrare ad ogni singola parte di questo bellissimo discorso un intero libro, credo sia anche bello poterlo osservare come un insieme, in un colpo d'occhio.

Destinatari
In primo luogo questo sermone si rivolge ai discepoli. Curioso che mentre molti cercano guarigione e conforto, Gesù si rivolge a coloro che lo stanno seguendo da un po' di tempo. Strano che parla dei suoi discepoli come gente che piange e soffre, proprio nel bel mezzo di una folla che è malata e posseduta da spiriti immondi e che quindi verosimilmente  piange e soffre... Perché Gesù dice beati solo ai suoi discepoli davanti ad una folla che piange e soffre? Forse per indicare alla folla che non riceveranno solo guarigione, ma anche persecuzione e sofferenza sulla terra, esortandola quindi a non cercarlo solo per motivi di interesse personale. Credo che questo sermone sia una specie di carta costitutiva del regno di Dio. Chi vuole entrare nel regno deve seguire questi principi. Gesù si rivolge dicendo: “guai”. Il messaggio è anche per loro.

Beati e guai.

Quattro categorie sono in discussione: beni materiali (povertà e ricchezza), fame, sofferenza e persecuzione per il regno di Dio.
Ad una prima lettura si potrebbe credere che basti capitare nella categoria giusta per essere beato, e quindi chi nasce povero, affamato o malato ha una grandissima fortuna perché immediatamente si troverà salvato nel regno dei cieli. Una lettura un po' più profonda, e magari vicina al vangelo di Matteo, potrebbe suggerire che si tratta di povertà, fame e sofferenza spirituale, proprio come spirituale è la persecuzione “a causa del mio nome”.
Credo che una lettura più profonda ci costringa ad andare al di là di letture che distribuiscono salvezza e maledizione a chi accidentalmente si trova ad essere povero o ricco, o sofferente, o a letture spiritualizzanti, laddove Luca parla proprio di povertà, dolore, fame e persecuzione. Una lettura più profonda ci porta a considerar quali sono i valori che determineranno le scelte dei discepoli. Quei discepoli che in questo momento Gesù sta indicando, in quel momento hanno accettato di relativizzare l'importanza delle categorie di cui sopra. Hanno scelto che la priorità della loro vita non sarà quella di guadagnare dei soldi o di avere una sicurezza economica; hanno scelto di sopportare delle sofferenze, dei dolori, delle persecuzioni per il semplice motivo che hanno seguito il figlio di Dio. Non è detto che tutti i credenti in ogni tempo debbano vivere le stesse condizioni, né che i discepoli abbiano sempre pianto o sofferto. E' certo però che la scelta di vivere per il Regno di Dio li ha portati a considerare che la soddisfazione di quelle categorie non è una priorità per loro. Per questo sono beati! Perché hanno scoperto la bellezza del rapporto con il Padre, proprio come i profeti a cui sono paragonati! Queste beatitudini e questi guai non stanno altro che a dirci che appartenere a Dio, essere suoi discepoli significa molto di più che essere ricchi, pieni di salute (quante volte diciamo, quando c'è la salute c'è tutto), sorridenti e in pace... Chi sta già bene ha il dovere di valutare su cosa poggia il suo bene: su una convinzione di superiorità morale o spirituale o sul dono di Dio? Allo stesso ricco Gesù potrebbe dire guai o beato te, perché il problema non è la ricchezza in sé, ma l'amore per il denaro.

La differenza cristiana

Finito di rivolgersi alla categoria che confidando in ricchezza e salute pensa di poter passare accanto al vangelo, Gesù torna a dire: “27 Ma a voi che ascoltate, io dico:” Chissà, forse qualcuno si è sentito turbato dalla predicazione di Gesù, ha smesso di ascoltare ed è andato via. Altri però sono rimasti e continuano ad ascoltare. Gesù può andare allora avanti e proporre uno stile di vita che va ancora al di là di quanto detto. Uno stile di vita veramente diverso dal buon senso, dal sentire comune, dalla facile morale civica a cui basta poco per arrivare: si tratta di avere un amore che sia capace di vedere in chiunque si ha davanti una creatura di Dio e non un nemico. Siamo tutti capaci ad amare, a far del bene e a prestare a coloro che ci sono vicini. A partenti, amici, persone con cui c'è reciprocità. La vera sfida è amare al punto di andare al di là della reciprocità, amare al punto di non tenere conto delle offese, degli schiaffi dell'oltraggio, convinti che l'amore scatena una forza spirituale capace di cambiare la rabbia dell'altro portandolo a convertirsi.
Si dibatte molto sulla diversità cristiana. In cosa consiste il cristianesimo, qual è la sua essenza? Cosa lo rende diverso dalle altre religioni? Credo che più che molte descrizioni, un popolo che reclama una differenza rispetto alla morale comune che riesce a vivere in questo senso, darebbe la risposta migliore. Il cristianesimo non è altro che un rapporto con Dio che produce un amore in chi entra in questa relazione con Dio, capace di renderlo in grado di amare i malvagi e gli ingrati, proprio come l'Altissimo.

Da quale parte stai?

La parte finale pone una serie di domande, e solleva delle immagini alcune delle quali sotto forma di parabola. Questo famosissimo discorso potrebbe essere fonte di enormi benedizioni, ma anche di grande frustrazione laddove lo si volesse prendere come una serie di regole da applicare, o di leggi che se non rispettate escludono dal regno di Dio. Ci potrebbe portare a pensare l'umanità come divisa in buoni e cattivi, e portare alcuni all'illusione facile di essere dei buoni, ed altri invece al senso di colpa continuo per sentirsi cattivi. Credo che queste domande finali ci suggeriscano una riposta: ci sono persone che si sentono meglio delle altre, e che leggendo questo sermone pensano di avere la coscienza a posto. Probabilmente sono proprio le persone che si sentono maestri, che avrebbero voglia di levare pagliuzze dagli occhi degli altri, e che non si rendono conto di essere ciechi, rischiando di cadere in buche spirituali insieme a quelli di cui si fanno guide.
Il messaggio cristiano non consiste nel dire che ci sono discepoli e maestri, persona buone  e persone cattive, ma consiste nel dire che siamo tutti uguali, e probabilmente tutti un po' ciechi, che i discepoli arriveranno ad essere come i maestri, perché il nostro essere buoni e cattivi dipende in fondo da un'unica cosa: su chi abbiamo costruito?
Non finisce però qui. C'è un chiaro appello alla pratica. La vera fede è una fede che mette in pratica. Seppure cerchiamo di essere sempre molto prudenti nel dire che dobbiamo praticare nel timore di pensare ad una salvezza derivata dal nostro praticare, non possiamo trascurare che una salvezza ben digerita non può che spingere ad operare.
E sarebbe opportuno imparare ad osservare la nostra crescita di fede proprio rispetto ai valori qui indicati. Il sermone parla di amore; di non risposta alle provocazioni; di non giudicare; di amare i nemici. Dobbiamo con molta onestà verso noi stessi fermarci ogni tanto e chiederci: sono cresciuto rispetto a questi valori?

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