giovedì 23 luglio 2015

Prepariamoci! Luca 3, 1-22


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Luca 3, 1-22 – Giovanni battista
Se di Gesù ci viene raccontato il breve episodio dell’adolescenza e del suo confronto con i dottori del tempio, di Giovanni, che avevamo lasciato nel deserto, non sappiamo niente, se non appunto che è nel deserto. La presentazione che Luca ci fa di Giovanni ormai cresciuto ed adulto è singolare: prima enumera una serie di cariche governative importanti, di personaggi politici per lo più romani, poi menziona le sue massime cariche religiose, i due sommi sacerdoti Anna e Kaiafa, ed infine Giovanni, che non è potente, non ha cariche particolari, non sta neppure in mezzo alla gente, ma nel deserto eppure… a lui viene rivolta la parola di Dio. Sembra quasi un modo per dire che piuttosto che cercare cariche politiche o religiose, Giovanni nel silenzio del deserto ha cercato il volto di Dio, e si è preparato a quel lavoro preparatorio del regno per cui era stato chiamato. Si è preparato per preparare, e l’idea centrale di questo passo è proprio quella di preparazione. A cosa ci prepara Giovanni, una volta preparatosi nel deserto?
  1. 1.      La preparazione interiore (3-6)
Nel prepararsi Giovanni ha sicuramente meditato le scritture, e vediamo che proprio dalle scritture attinge per iniziare a preparare il popolo. Il passo che trae da Isaia 40 ci parla di un tempo in cui il popolo, dopo essere stato punito per i suoi peccati, viene ora perdonato e condotto verso Dio su una via scorrevole, priva di asperità. Giovanni è convinto che quel tempo sia giunto e su questo passo fonda la sua predicazione. Il punto di partenza è il perdono dei peccati, che in questo passo può essere capito come una riconciliazione tra Dio e gli uomini, consistente in un avvicinamento di Dio dopo un periodo di lontananza provocata dai peccati del popolo. Il primo passo della preparazione al regno che Giovanni indica è quello di guardarsi dentro e di riconoscere i propri peccati, i propri errori che hanno allontanato il popolo da Dio.
Credo che questo insegnamento sia molto attuale. Giovanni avrebbe potuto cominciare a criticare l’operato di Tiberio Cesare, di Pilato, di Filippo e delle altre cariche politiche o accusare Anna e Caiafa di essere pessime guide spirituali, invitando il popolo ad autocommiserarsi e a sollevarsi contro di loro per migliorare la propria condizione politica e spirituale. Sceglie invece di partire dall’interiore mettendo il dito nella vera piaga umana: i mali del mondo non derivano dall’esistenza di cariche politiche o religiose che possono funzionare più e o meno bene, ma dal peccato insito nei nostri cuori, da quella condizione di separazione e lontananza da Dio in cui responsabilmente e consapevolmente ci poniamo. Giovanni comincia a preparare la riforma dell’uomo partendo proprio dal suo interiore, ed il problema del peccato è il punto di partenza di ogni riflessione sull’uomo. Ovviamente non si ferma a denunciare il peccato, ma ne annuncia il perdono, che è la soluzione, e l’annuncio meraviglioso è che questo perdono viene da Dio.
Noi ci attardiamo facilmente in discussioni in cui ci lamentiamo di come non va il mondo, di come tutto funziona male e poco o di come la crisi prende piede; Giovanni ci invita a fare la stessa riflessione pensando a cosa non va in noi, prima di guardare fuori.

  1. 2.      La preparazione esteriore (7-14)
La preparazione di Giovanni non si ferma però all’annuncio del perdono. O meglio non basta riconoscersi peccatori e passare la vita a battersi il petto. Le parole che Giovanni usa sono tra le più dure del Vangelo e non penso che riusciremmo ad usarle tanto facilmente. Dire alle persone “razza di vipere” , “ogni radice che non darà frutto sarà tagliata e gettata nel fuoco”, contravviene a tutte le norme del politically o religiously correct  e, a nostro giudizio, non può produrre che allontanamento e rabbia in chi ascolta. Eppure le folle continuano a farsi avanti e ad andare verso il battista. Perché? Perché probabilmente la durezza e la carica di quel linguaggio non sono dettate da rabbia o spirito di giudizio, ma da un vero ardore per Dio ed un contestuale amore per le persone, a cui va detta la verità… Giovanni non poteva annunciare una riforma interiore senza avvisare che questa avrebbe poi dovuto tradursi nell’esteriore in una serie di pratiche e azioni concrete che avrebbero testimoniato dell’avvenuto cambiamento del cuore. L’identità giudaica, cioè l’appartenenza alla famiglia di Abramo, non basta! Ci vogliono opere che mostrino che il cambiamento c’è stato. A ben guardare, queste opere, queste azioni concrete, non sono altro che semplici testimonianze di solidarietà per il popolo comune (condividere vestiti, e cibo), e cessazione di comportamenti scorretti da parte di pubblicani, che erano degli esattori delle tasse e soldati: viene chiesto loro di non rubare, e non estorcere. Non si tratta quindi di chissà quali opere, ma di un minimo di onestà e solidarietà tra persone del popolo. Questo stesso minimo di standard morale, viene chiesto a chiunque di noi si dica credente, ed abbia professato la fede cristiana. La fede è un movimento interiore che sfocia all’esterno, per tradursi in semplici atti che testimonino amore per gli altri e rispetto della legge. Prima di inventare chissà quale missione o opera speciale, curiamoci di fare onestamente ed amorevolmente il lavoro che abbiamo la grazia di fare, ammesso che ne abbiamo uno: è quello il nostro mondo esteriore, e viverlo nell’amore e nell’onestà è la migliore preparazione che esista per il regno. Niente colpisce e parla di più che una buona testimonianza di fuori di quello che è avvenuto dentro.
  1. 3.      La preparazione messianica (15-18)
Un messaggio così chiaro e forte suscita inevitabilmente degli entusiasmi, soprattutto in un popolo che ha delle aspettative. Il popolo aspettava il “messia”, termine ebraico, che in greco si dice “cristo” e che significa “unto”. L’unzione era quell’azione con cui nell’Antico Testamento i profeti designavano i re di Israele, quindi un messia era una persona con le caratteristiche di un re, che avrebbe regnato su Israele, liberandolo dai romani. Giovanni viene quindi scambiato per questo messia, ma con molta chiarezza precisa che il messia non è lui. Interessante che lo definisce uno più forte di lui, che non battezza con acqua, ma con Spirito Santo e fuoco. Che significa? Capire questa differenza significa capire la differenza tra un ruolo preparatorio ed un ruolo messianico. Giovanni può opportunamente indicare che l’interiore è il punto di partenza e che esso deve tradursi nell’esteriore, ma non può operare quell’azione che solo un uomo che è anche Dio può fare: riempire le persone di divinità (battesimo con lo Spirito Santo) e purificazione (battesimo col fuoco). Quello che distingue il messia dal preparatore sta proprio in questo. Il messia, una volta che Giovanni ha invitato a responsabilizzarsi e ad operare con giustizia, trova un terreno per piantare il seme di Dio nel cuore, e purificare lo spirito attraverso la sua presenza.
E’ molto bello constatare l’umiltà e la consapevolezza di Giovanni battista. Ha messo su un movimento, ha reso pubblico un rito che usavano solo alcuni gruppi marginali (gli esseni ad es.)  è diventato un personaggio pubblico famoso, ha una folla di persone che lo seguono: potrebbe prendersi per un guru e farsi venerare. Precisa invece che lui non è che un preparatore, e che tutto il suo lavoro serve a preparare il terreno su cui opererà il messia. Questo stesso messaggio è bene che venga recepito dalla chiesa, che per un verso è chiamata a fare le stesse opere di Cristo ed anche di maggiori, ma che dall’altro deve vivere nella consapevolezza di essere solo una preparatrice della via del Signore. Possiamo annunciare come Giovanni annunciò; possiamo rimproverare come Giovanni rimproverò; siamo anche chiamati a battezzare in acqua, come fece Giovanni; ma l’azione “forte” di convertire i cuori, di immergerli nello spirito e nella purificazione, quella la può fare solo il messia.
Conclusione: Giovanni esce di scena (19-22)
Proprio la durezza dei rimproveri ed il coraggio di parlare in faccia anche ai politici più potenti porta Giovanni a finire in prigione. Apparentemente potremmo pensare che Erode abbia fatto uscire di scena Giovanni, mutilando il regno di Dio di un suo valido collaboratore. In realtà, Giovanni esce di scena perché con il battesimo di Gesù, utile solo per mostrare chi sia il Figlio, il suo ruolo è finito, e il suo arresto non è avvenuto prima che questo accadesse. Niente sfugge alla sovranità del Signore, che ha preparato il suo regno, che lo fa avanzare e che continua ad estenderlo fino ad oggi, ripetendo nel tempo le preparazioni di Giovanni e le benedizioni del messia.

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