giovedì 23 luglio 2015

Chi ha orecchi per ascoltare ascolti


“Chi ha orecchi per ascoltare ascolti”

La nostra epoca mi pare avere, tra le tante, due caratteristiche: è un’epoca in cui le parole abbondano per la loro moltiplicazione e prolungamento grazie ai media: possiamo ascoltare, riascoltare tutto e dove vogliamo. E’ inoltre un’epoca che dà molta importanza alla forza di chi parla, alla sua capacità di convincere, di comunicare: i leader politici vincono più per la loro capacità di comunicare che per la forza e la bontà dei contenuti che hanno. Il passo che leggiamo oggi sposta l’attenzione su un altro piano, cioè su chi ascolta.  I messaggi possono essere belli quanto vogliamo, ma ciò che conta è cosa ne facciamo una volta che li abbiamo recepiti. E’ un’idea che vedremo attraverso tre diversi episodi illustrati nel vangelo di Luca.

  1. Le donne che assistono Gesù: l’esempio di ascolto iniziale
Il passo si apre su una breve descrizione dell’inizio di una nuova missione in Galilea. Sembra dire molto poco, in realtà in queste due righe c’è una vera e propria rivoluzione culturale. Non è comune che un maestro vada in giro accompagnato da donne, e questo semplice fatto riposiziona la donna in un ruolo molto più dignitoso di quello che la cultura ebraica di quel tempo, un po’ maschilista, gli attribuiva. Non solo le donne accompagnano e sostengono Gesù, ma lo mantengono e permettono questa nuova missione in Galilea. Sono donne particolarmente fedeli delle quali si parlerà di nuovo nei vangeli che accompagneranno Gesù fino alla croce, che testimonieranno della sua morte e che, dopo di questa, continueranno ad essere attive e presenti nella chiesa primitiva. Gesù non ha ancora raccontato la parabola del seminatore che parlerà dell’importanza di ascoltare la parola, ma abbiamo già davanti a noi delle donne che hanno ascoltato questa parola e che hanno tradotto l’ascolto in pratica, servendo con soldi e cure concrete il loro Signore. E’ solo una premessa che ci prepara a capire.

  1. La parabola del seminatore: chi ha orecchi per udire oda!
2.1.Parlare in parabole: Un paradosso?

Gesù parla ad una folla ed i discepoli sono presenti. Sceglie appositamente di parlare con una parabola, che per noi oggi è chiara, avendola sentita tante volte, ma che probabilmente per molti di loro era oscura. I discepoli hanno quindi il coraggio di chiederne il significato che non hanno capito e Gesù lo spiega, precisando che solo a loro è dato di conoscere il mistero del regno dei cieli affinché vedendo non vedano e ascoltando non capiscano. Ci colpisce subito il carattere apparentemente paradossale di questa affermazione che comincia dichiarando che alcuni misteri del regno dei cieli vengono nascosti, apposta perché alcuni non credano, e poi finisce esortando chi ascolta a fare uno sforzo per capire, per aprire bene le orecchie che sono state date e quindi vanno usate. A ben guardare non c’è niente di paradossale in tutto questo: Gesù cita Isaia che parla al popolo di Israele (sette secoli prima), a cui il Signore si era rivolto già molte volte, con parole esplicite, ma volutamente non il popolo non aveva voluto capire. La parola del profeta, non avendo potuto essere strumento di salvezza, diventa strumento di giudizio… Lo stesso vale per le parabole: nella prima missione in Galilea Gesù aveva parlato esplicitamente; ora le parabole nascondono dei misteri a chi ha già deciso di non ascoltare, precludendo alla parola la possibilità di intervenire nella sua vita. Va comunque detto che questo nascondimento è provvisorio: i misteri del regno dei cieli qui riguardano la morte e la resurrezione di Cristo, che fino a che non sia avvenuta non sarà resa esplicita. Gesù sceglie dunque dei discepoli che hanno aperto il loro cuore ai misteri del regno perché in un secondo momento proclamino in modo diffuso ed esplicito questa parola su tutta la terra, come una lampada la cui luce si vedrà. Non c’è dunque un Dio che chiude volutamente i cuori di alcune persone e che ne privilegia altre, ma un Dio che parla di continuo, che interviene punendo anche usando discorsi appositamente complicati, ma che è continuamente pronto a parlare ancora perché la sua verità sia annunciata.

2.2.Parola e ascolto.
Gesù dà una spiegazione piuttosto chiara di quello che ha voluto dire con la parabola, e per noi è necessario fare chiarezza su alcuni termini:
Il seme è la parola di Dio. Per Gesù la parola di Dio è quella da lui stesso annunciata, che segue e si aggiunge a quella dei profeti come Isaia che ha appena citato, e quindi se vogliamo capire cosa sia oggi dovremmo dire che è fortemente connessa a quello che ci raccontano le Scritture, proprio perché raccolgono quanto detto da Gesù, e dagli altri profeti. Dio ci può anche parlare attraverso altri fratelli, attraverso una predica, attraverso un libro o una circostanza, purché queste si iscrivano nel solco tracciato dalle Scritture. Sta di fatto che in qualche modo esistono delle persone in questo mondo che seminano. Che vanno in giro a lanciare semi di vita, i quali germoglieranno e porteranno nuova vita al mondo. Potremmo subito prendere un forte incoraggiamento ad essere dei seminatori, che senza guardare dove seminano lanciano semi di vita nel campo della vita in cui tutti ci troviamo. Perché Gesù ha parlato alle folle, ma poi ha spiegato ai discepoli esortandoli ad essere come lampade che illuminano un’esistenza troppo spesso buia. Dobbiamo essere seminatori di vita e diffusori di luce per il mondo in cui siamo, è un compito, un privilegio ed una gioia. Poco importa in quale suolo la parola cade: i seminatori gettano semi dappertutto, senza preoccuparsi di dove finisca il seme, perché l’importante è buttarlo.
I semi che finiscono male. Di tutti i semi che cadono tre almeno vanno a finire male. Perché dei cuori duri come strade non li assorbono e quindi vengono portati via da altri, perché delle spine fatte di piaceri, preoccupazioni e mondanità li coprono impedendo loro di crescere, o ancora perché non avendo radice non resistono alle prove. Si potrebbe credere che tutta la parabola riguardi solo e soltanto il fatto di essere salvati o meno e certamente si parla anche di questo; ma il ricevere o meno la Parola di Dio non riguarda solo il fatto di essere salvati o meno: si può cominciare una vita nella fede, e quindi avere una salvezza eterna, ma non maturare, rimanere soffocati e ostacolati da diverse vicissitudini. La parabola riguarda allora veramente tutti: chi non ha mai ascoltato la Parola di Dio, che la ascolta da una vita e magari non coglie certi messaggi che Dio vuole dargli per cambiarlo e farlo maturare.
Credo che il punto veramente importante di questa parabola sia questo: non dobbiamo guardare solo la bellezza e la qualità dei messaggi che riceviamo, dobbiamo guardare anche noi stessi e chiederci se il nostro cuore è pronto a ricevere o meno. Ci sono persone che entrano in una chiesa e ascoltano una predica e poi ne rimangono deluse. Esistono in effetti molte chiese che predicano male e che dicono delle cose sbagliate; tuttavia non ci si può fermare a condannare chi predica: che tipo di suolo siamo? Se il discorso di un libro, di un predicatore o di un fratello ci irrita è perché è proprio sbagliato o perché siamo chiusi ed induriti come i farisei che non concepiamo altra verità che la nostra? O perché siamo troppo condizionati dai piaceri che la nostra società offre per obbedire alla parola di Dio? Torno a dire che molti discorsi vengono fatti male e con uno spirito sbagliato, ma c’è un’altra faccia della medaglia, e la parabola di oggi la illustra: dopo una parola c’è sempre qualcuno che riceve e noi dobbiamo pensare di essere quella persona: come disponiamo il nostro cuore a ricevere la parola di Dio? Questa domanda rimane necessariamente aperta, perché non c’è risposta se non quella che ognuno di noi saprà dare al grande Seminatore che è il Signore.

2.3.I semi che portano frutto.
Se nessuno può rispondere al posto nostro per dire in che modo abbiamo ricevuto finora, la descrizione del buon suolo offerta dalla parabola ci dà qualche istruzione su come è opportuno ricevere. Il buon terreno sono coloro che dopo aver ascoltato fanno due cose: ritengono la parola e portano frutto.
Ritenere la parola. Mi rendo conto che crescendo è più difficile memorizzare, e questo sia perché si invecchia sia perché il mondo della tecnologia sostituisce in buona parte molte delle cose che prima si potevano memorizzare (si pensi ai numeri di telefono che sappiamo a memoria). Il mondo in cui viviamo è un mondo che abbonda di parole, ma in cui proprio per la grande abbondanza le parole sono molto precarie e scivolano via. La Parola letta la mattina nelle Bibbie o ascoltata in chiesa la domenica o via internet, o ancora approfondita in un libro è esposta a mille altre parole che da radio, televisioni, telefoni e computer soffiano per divellerla. Se vogliamo essere buon terreno dobbiamo veramente fare uno sforzo di approfondimento, di conservazione di cura da avere per la Parola di Dio. Qualunque essa sia e da dovunque venga. Dobbiamo pensare a meditare e digerire le parole che sentiamo. Non basta leggere, bisogna studiare, meditare digerire, approfondire.
Portare frutto. In secondo luogo la parola che cade nel buon terreno porta un buon frutto, cioè opera, fa agisce, non si ferma alla meditazione. In altri termini possiamo esaltare i predicatori che ascoltiamo, o pensare un gran bene di libri, trasmissioni o persone, ma la domanda finale è: in cosa mi hanno cambiato? Persino la Bibbia diventa inutile se ci limitiamo a contemplarla e a pensare che sia un bellissimo esempio di letteratura religiosa o di spiritualità. La frase finale che minaccia di togliere a chi non ha e promette di moltiplicare a chi ha parla proprio di questo: abbiamo o non abbiamo frutti? La parola che riceviamo ci trasforma la vita, ci rende lampade che illuminano? Se qualcuno ascolta la parola di Dio per la prima volta oggi, è chiamato alle stesse cose: a conservare queste parole che Dio gli ha mandato e ad accettare il vangelo, perché il Signore operi in lui facendogli portare frutto. Perché il vangelo che casca in un cuore che lo accetta produce frutti di cambiamento, trasforma le vite e assicura la vita eterna. Sappia che non mancheranno le spine, gli indurimenti o gli uccelli, ma c’è per ognuno di noi la responsabilità di coltivare. Il primo uomo sulla terra Adamo, doveva essere un coltivatore. Anche noi siamo chiamati oggi a coltivare i semi che ogni giorno Dio ci manda in diversi modi perché le nostre vite siano trasformate.

  1. Famiglia naturale e famiglia spirituale: l’esempio di ascolto finale.
Il passo si è aperto con una serie di donne che prima ancora che Gesù parlasse danno l’esempio di ciò che significa essere dei veri ascoltatori: sono donne che nella pratica vivono per la crescita del regno di Dio: danno il loro tempo ed i loro soldi al gruppo dei discepoli assistendoli perché portino avanti la predicazione.
Ugualmente il passo si chiude con un altro esempio: quello della vera famiglia di Gesù. In molte culture si dà un’importanza fondamentale alla famiglia, ed ai legami di sangue. Gesù, a conclusione di quanto detto, fa osservare che “ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica” fonda un legame ancora più forte di quello che si stabilisce con il sangue: ci fa essere parte della famiglia spirituale di Gesù, rendendoci famiglia della parola. C’è chi si infatua della madre di Gesù, e chi nega che avesse dei fratelli di carne… Questo passo piuttosto ci mostra che ognuno di noi può essere sorella, fratello e madre di Gesù se coglie il messaggio della parola di oggi: essere uno che ascolta la parola e che la pratica! AMEN

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