giovedì 23 luglio 2015

Esodo 28 – Vestiti da Dio.


Un grande filosofo francese, per la precisione un semiologo, di nome Roland Barthes ha scritto un libro sul sistema della moda in cui tenta di spiegare come ogni tipo di vestito ha un certo significato, e che chi lo indossa con quel particolare vestito o modo di vestirsi vuole comunicare qualcosa. Nel nostro studio sul libro dell’Esodo, dopo un’accurata descrizione di come deve essere fatto il santuario (capitoli 25-27), troviamo una descrizione dei vestiti che devono mettersi i sacerdoti, ed il loro valore simbolico è inevitabilmente molto forte. Mi soffermo oggi, nell’anno 2014 su un modo di vestirsi usato più  di 3000 anni fa, semplicemente perché il cristianesimo che professo ha ampiamente attinto e completato il senso di molti simboli che sono nati nell’Antico Testamento, e che ancora oggi hanno il potere di nutrire la nostra fede di uomini moderni. Viviamo infatti nel tempo in cui ogni credente è “sacerdote” (Apocalisse 1,6) e rivedere i simboli originariamente collegati con la figura sacerdotale è ancora pertinente.

                Aronne, nel testo che abbiamo letto, è chiamato a portare una serie di paramenti che hanno valore simbolico. Prima di commentare il loro senso poniamo una premessa: la cura con cui il sacerdote doveva avvicinarsi a Dio ed il fatto di indossare questi paramenti ci ricolloca in quell’atmosfera di gran rispetto che dobbiamo al Signore, che nonostante la libertà neotestamentaria deve rimanere.



  1.     1. L’efod. (6-14)
Questa specie di grembiule ha una serie di decorazioni e colori il cui significato non è facile capire, pertanto mi attengo agli elementi espliciti: si sono due pietre di onice che hanno sopra iscritti i nomi delle 12 tribù di Israele. Le pietre stanno sulle spalline e quindi Aronne porta sulle spalle le tribù di Israele, simbolicamente; viene detto che “quelle pietre” saranno un memoriale, per i figli di Israele. All’inizio dell’Esodo è detto che Dio “si ricordo” del suo patto con Abramo, quando gli israeliti stavano soffrendo in Egitto (2,24-25). Potremmo dire che  Aronne, come sacerdote, porta sulle spalle le diverse tribù di Israele nel senso che le rendi presenti al Signore, che gliele “ricorda”. Sono un memoriale nel senso che Israele facendo il suo culto è sicuro di farsi presente al Signore, di mostrare la sua volontà di rispondere alla presenza di Dio con la sua presenza.

Oggi non siamo più pietre simbolicamente incise sulle spalle di un sacerdote: siamo credenti considerati tutti pietre viventi, che desiderano costruire l’edificio di Dio. Rendendoci presenti a Dio diventiamo un “memoriale” cioè una testimonianza che ricorda al mondo, alla società ed anche ai fratelli smarriti, che Dio c’è, che è presente. Potremmo dire che la chiesa stessa, che è appunto fatta di pietre e che poggia sulla Pietra angolare di Cristo, è proprio questo edificio memoriale che ricorda ed attesta che Dio è all’opera!

  1.     2.  Il pettorale (15-30)
Anche il pettorale porta le 12 pietre delle tribù di Israele, questa volta separate e rappresentate ognuna da una pietre diversa. Viene posto sul cuore del sacerdote, organo della volontà della decisione, e ci viene detto che è simbolo del giudizio dei figli di Israele. Le tribù vengono non solo presentate davanti al Signore, ma attraverso il sacerdote è come se comparissero in giudizio. La funzione di questo pettorale è quindi quella di invitare ad un esame di coscienza quando ci si mette davanti a Dio: Dio è un padre, ma anche un giudice, e comparire davanti a Lui significa temere anche il suo giudizio. Il valore preparatorio di questo simbolo viene completato anni dopo dalle parole di Gesù che dice: “Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato” (Gv 3,18). Questo pettorale ci invita oggi a mettere una mano sul nostro cuore nel venire davanti a Dio per valutare bene cosa siamo veramente; ma ci invita anche a credere profondamente, per la convinzione che la fede è una mano di Dio sul nostro cuore che protegge e libera, permettendo non di andare a cuore leggero, ma a cuore liberato davanti al Signore.

  1. 3.       Il manto (31-35).
Non è facile ed immediato capire come mai questo manto da cui pendono campanelli dovrebbe salvare. Il presupposto è che la presenza di Dio uccide, in quanto è troppo puro, troppo perfetto perché lo si possa guardare senza rimanerne schiacciati dall’incommensurabilità tra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere. Il manto che grazie ai campanelli suona potrebbe essere paragonato ad un campanello di una casa in cui si suona perché sarebbe cattiva educazione entrare senza bussare. Se Aronne si avvicina alla presenza del Signore è bene che lo faccia avvisando, non irrompendo nel silenzio divino quasi furtivamente.

A noi oggi spetta un ruolo diverso. E’ anche bello tacere alla presenza del Signore, ma niente accompagna bene la lode come la musica, cioè come dei suoni che rallegrano la presenza di Dio e che ci svegliano all’importanza di lodare. Il campanello di ieri, può oggi essere capito come un’orchestra di lode che ci tiene emotivamente attenti alla sua presenza, e che prepara anche Dio al nostro incontro. L’immagine potrebbe facilmente sembrare ridicola se presa alla lettera, ma se immaginata come un’analogia con le musiche e fanfare che si fanno per persone che si rispettano credo che colga il senso di questi suoni.



  1. 4.       Il diadema di santità.
Non stupisce che il diadema che dice “santo al Signore”, come contrasto porti le colpe dei figli di Dio. Proprio perché Dio è santo, separato dall’orrore di tante azioni umani, è necessario che preveda fin da subito che gli uomini non sono santi; che gli stessi sacerdoti nel voler organizzare il culto faranno cose sbagliate.

Oggi noi siamo venuti qui a lodare il Signore. Ciò che a Dio importa è che la nostra mente, luogo in cui si legava questa piastra, creda con convinzione che il Signore è santo. Che c’è e che è degno di essere lodato. Se la nostra mente ha chiaro questo, le nostre colpe eventualmente commesse anche nel servire, verranno perdonate. Tra i vari simboli questo è l’unico verbale, fatto di parole scritte. E’ una sorta di annuncio vivente che rende graditi gli israeliti al Signore. Oggi le nostre parole che confessano il Dio santo sostituiscono la piastra, ed invitano tutti a ricevere il perdono gratuitamente offerto in Cristo.



  1. 5.       I paramenti dei sacerdoti.
Tunica, turbante, cintura, mutande di lino. Ci viene detto di queste che garantiscono al sacerdote dignità. Anche nella nostra cultura certi vestiti conferiscono una certa dignità a chi li porta, non a caso in contesti molto formali si usano giacche e cravatte per gli uomini, tailleurs per le donne e via dicendo. La dignità di un vestito non è assoluta, è decisa culturalmente e probabilmente quel modo di vestire rendeva agli occhi degli israeliti il sacerdote come una persona degna, adeguata al ruolo che aveva di rappresentare il popolo davanti a Dio. Il compito che abbiamo oggi è forse più difficile, perché vestirsi non basta, ed anzi mai ci viene detto nel nuovo testamento di vestirci in un certo modo. Paolo ricorda ai colossesi di spogliarsi dell’uomo vecchio e di rivestirsi del nuovo che va rinnovandosi ad immagine di colui che l’ha creato (Col 3, 9-10). Invita ancora a rivestirsi di amore, benevolenza, bontà mansuetudine e pazienza (12). Insomma anche oggi ci vestiamo: ma rivestirsi dell’amore è ancora più impegnativo, ma più bello.



A conclusione di tutto ciò cosa dire? Il Signore ci chiama certo a vestirci come questi sacerdoti, ci chiede molto di più: ci chiede di avere una vita che sia come un vestito che parla di lui e che lo annunica. Che il Signore ci aiuti in questo senso! AMEN

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