giovedì 23 luglio 2015

Io non so pregare...

Per leggere Luca capitolo 11 clicca qui: http://www.laparola.net/testo.php

La settimana scorsa, di mattina presto, ero seduto sul divano con mio figlio che cercavo di avvicinare alla preghiera e gli ho detto: Gilles vuoi pregare ? E lui: “Papà, ma io non so pregare…”. Detto da un bambino di 4 anni è una risposta spontanea e normale, che probabilmente la dice lunga sulla complessità della preghiera. Pensiamo spesso che i bambini siano vicini a Dio, il vangelo ci dice che chi non diventa come un bambino non entra nel regno dei cieli, eppure neanche per un bambino pregare è immediato.
In altre occasioni mi è capitato di andare a pranzo da persone che sapevano bene che io e mia moglie abbiamo l’abitudine di pregare e ci hanno chiesto di farlo prima di cominciare a mangiare; dopo diverse volte abbiamo provato ad invitarli a pregare loro stessi per ringraziare per quello che avevamo da mangiare, ma la risposta è stata simile a quella di mio figlio: “Ma noi non sappiamo pregare…”
Il vangelo di Luca, dopo aver presentato un episodio in cui Gesù dice esplicitamente che la cosa migliore da fare nella vita non è affannarsi, ma “stare ai piedi di Gesù ed ascoltarlo”, presenta un passo in cui un discepolo, probabilmente per imparare meglio a stare ai piedi di Gesù dice: “Insegnaci a pregare”.
E’ una domanda che attraversa il tempo e che è tanto più attuale in un epoca materialistica come la nostra. Come pregare? Cosa dire? Da dove cominciare. Ed è una domanda molto attuale anche per persone che vanno in chiesa da 20, 30, 40 anni o più e che hanno una vita di preghiera intensa: dopo tutti questi anni di preghiera, cosa dire ancora, come pregare?

La risposta di Gesù che troviamo sia nel vangelo di Matteo che in quello di Luca non vuole essere una formula da ripetere a memoria, ma uno schema sul minimo indispensabile che deve esserci in ogni preghiera. Ci potrà forse essere di più, ed in effetti nel vangelo di Matteo c’è più che in quello di Luca, ma non di meno. Ed è molto interessante leggere le due versione diverse: Luca ci invita ad essere ancora più essenziali, ma le poche cose che dice sono un riassunto di richieste già fatte dai profeti dell’Antico Testamento ed hanno una portata molto vasta.

  1. Pare nostro…
Il fatto di chiamare Dio Padre,  non è una novità per il popolo ebraico: già al tempo di Mosè possiamo leggere in Deuteronomio 32, 6: “È questa la ricompensa che date al SIGNORE, o popolo insensato e privo di saggezza? Non è lui il padre che ti ha acquistato? Non è lui che ti ha fatto e stabilito?”; 800 anni dopo, il profeta Isaia dice: “Tuttavia, tu sei nostro padre; poiché Abraamo non sa chi siamo e Israele non ci riconosce. Tu, SIGNORE, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro” (Isaia 63, 16).
In entrambi questi testi, Dio è chiamato padre non in quanto genitore che crea, che genera biologicamente, ma il padre che adotta, che ha acquistato un popolo e che è padre e redentore anche se non c’è riconoscimento della discendenza da Abramo o da Israele.
Il senso che Gesù dà all’invocazione del padre è proprio questo, ed è fondamentale capire questo per capire cosa sia la preghiera.
La preghiera non è l’unione mistica con una forza superiore di cui non si conosce l’identità. Non è neppure l’invocazione di un Dio distante. Poter pregare significa potersi sentire in una relazione con Dio di tipo padre-figlio adottivo, che implica il riconoscersi orfani spirituali, privi di famiglia e necessitosi di un padre che sia nostro redentore. Senza questo non c’è preghiera.
Ci sono persone che usano tecniche di meditazione che potranno essere simili a preghiere, altre che accumulano richieste su richieste magari unite a doni ed offerti verso una divinità per poterne ottenere il favore, altre ancora che si esaltano in stati di trance: tutto ciò non è la preghiera cristiana che nasce ed esiste solo grazie ad una relazione: quella con un Dio vivente a cui ci si può rivolgere come ad un padre, che è venuto a cercarci e ad adottarci.

  1. Sia santificato il tuo nome
Anche l’idea di santificazione del nome ha radici veterotestamentarie e con Gesù, con il quale il regno è venuto, questa invocazione raggiunge tutta la sua pienezza. Che significa? Il primo senso è una richiesta che il nome di Dio venga riconosciuto come santo. E’ un idea molto antica che già il profeta Ezechiele evocava: “Io santificherò il mio gran nome che è stato profanato nelle nazioni, in mezzo alle quali voi l’avete profanato; e le nazioni conosceranno che io sono il Signore, dice il Signore quando io mi santificherò in voi, dice il Signore. (Ez 36, 23)  Dire questo significa augurarsi almeno due cose:
  • Che nelle nostre vite il nome di Dio sia santificato, con un comportamento che rispecchi Dio.  
  • Che il nostro comportamento porti a santificare in modo tale che i popoli si mettano ad acclamare il Signore
Non è un caso che questo sia proprio l’inizio della preghiera e che preceda in nostri eventuali bisogni, desideri e progetti. Ogni preghiera comincia col mettere Dio al centro e con l’invocazione che la sua gloria sia il centro di tutto. Perché se non lo mettiamo al centro la vita si disperde, e se non è santificato il Padre, rimaniamo in un mondo piatto e senza sapore. Santifichiamolo dunque con un culto domenicale, con la lode, con l’adorazione e con un comportamento che spinga altri a santificare.

  1. Venga il tuo regno
Del regno di Dio Gesù ha parlato moltissimo, ma è uno di quegli argomenti su cui non sempre i credenti si trovano d’accordo. Possiamo dire che se nell’Antico Testamento il regno di Dio era molto legato alla presenza della legge di Dio ed al suo rispetto, Gesù qui completa questa concezione, facendoci capire che il Regno di Dio è venuto (in Luca 17 è detto: è fra di voi, o in mezzo a voi), e che piano piano progredisce, avanza. Come avanza il regno di Dio?
  • Nelle conversioni dei nuovi sudditi che vogliono entrare nel regno: ogni volta che preghiamo per qualcuno, perché si converta dobbiamo dire: “venga nella sua vita il tuo regno!”.  
  • Negli sforzi missionari che annunciano il vangelo nelle diverse parti del mondo portando luce nelle tenebre, e illuminando le realtà già avvenute: Gesù è seduto alla destra di Dio! Pregando per i popoli diciamo: “Venga il tuo regno”:
  • Fra noi ed in noi, quando facciamo vivere i valori del regno e nella nostra vita prendendo il giogo dolce e leggero di Cristo.
Da tutto ciò deduciamo che questa preghiera oltre ad essere ‘pregata’ deve essere praticata quotidianamente nei nostri sforzi di far venire il Regno.

  1. Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano
Finora la preghiera è rivolta a Dio. Ora si passa al noi, e se siamo sinceri dobbiamo ammettere che questa domanda è quella che più spesso occupa le nostre riunioni di preghiera. Gesù ci invita nelle richieste a chiedere qualcosa di strettamente necessario ed essenziale: il pane. Ci invita a chiedere un pane che sia nostro, cioè collettivo, non solo per noi.
Non ho parlato ancora di “quotidiano” perché è uno di quei termini che mandano in crisi i traduttori, essendo usato solo qui nei vangeli e mai in altri testi greci. Un senso potrebbe essere: necessario, ciò quel pane per cui possiamo sopravvivere. Un altro potrebbe anche essere futuro, cioè quel pane che mangeremo in futuro tutti insieme, banchettando con il Signore Gesù nel regno dei cieli. In questo senso ogni agape cristiana è un’anticipazione di quel banchetto celeste, che effettivamente sarà anche motivo di sazietà per chi non aveva cibo.
Potrei ricordare brevemente che oggi 8 milioni di persone l’anno muoiono di fame, e 840 milioni di persone soffrono di malnutrizione. La causa è la povertà cronica. Se il nostro pane è veramente nostro e non “mio” dobbiamo veramente in ogni nostra preghiera,  pregare per questi dati atroci in un mondo che ha in abbondanza, ed aggiungere alla preghiera l’azione.

  1. Perdonaci i nostri peccati perché anche noi perdoniamo
Se il pane è necessario alla vita materiale, il perdono lo è per quella spirituale. E se avere fame fa stare male, vivere con dei sensi di colpa fa stare ancora più male… Quando ci si converte e si comincia a poter chiamare Dio: “Padre” si conosce il vero perdono, che colma completamente lo spirito e l’anima. Ma la vita cristiana non procede solo e sempre nella direzione della perfezione e la richiesta di questo perdono è necessaria ogni giorno. È vero che l’inflazione delle domande di perdono, come talvolta fanno i bambini, rischia di diventare falsa. Tuttavia è opportuno che si rinnovi di continuo uno sguardo su noi stessi e sulla nostra tendenza a peccare, proprio perché non abbiamo mai uno sguardo illusorio su di noi.
Siamo dunque invitati a confessare i nostri peccati e a considerare il perdono che accordiamo agli altri, come una semplice imitazione, minima, di quello che Dio ha fatto per noi. Se Dio ci ha perdonati, come possiamo non condividere il suo perdono? Il nostro perdono agli altri non è certo una condizione per essere perdonati, ma una conseguenza del perdono iniziale ricevuto da Dio.

  1. Non ci esporre alla tentazione
Forse è il passo tradotto peggio. In tante traduzioni si parla di “indurre” che fa pensare ad una esplicita volontà di fare sbagliare qualcuno, cosa impensabile per Dio. Ed anche il termine “tentazione” è problematico, perché in greco abbiamo solo un termine per “prova” e per “tentazione”. Noi facciamo questa distinzione, ma in greco non c’era, cosa che ci fa pensare che ogni prova può essere una tentazione se la perdiamo, ed ogni tentazione una semplice prova se riusciamo a crescere e a fortificarci con questa. Ci piaccia o no, la nostra vita sarà fatta di prove, ne avremo molte, e forse tutta la vita potrà essere una sorta di prova… Allora il senso di questa domanda è quello di chiedere a Dio che benché sappiamo che avremo molte prove, o che ne stiamo attraversando, nessuna di queste diventi mai una tentazione di lasciare tutto, di rinnegare Dio, di seguire piuttosto Satana. L’importanza di Satana, nemico già vinto, non va sopravvalutata, ma neppure sottovalutata. Il nemico numero uno è già sconfitto, eppure continua la sua opera vana ed illusoria di seduzione. La più forte delle richieste è posta proprio alla fine: perché se non si ha pane si vive male, si digiuna, ma si può andare avanti; se non si perdona si vive male, si soffre di solitudine e di sensi di colpa, ma si può andare vanti; ma se si finisce per scegliere Satana anziché Dio, si finisce veramente male. Era la scelta di Israele nell’Antico Testamento, che si lasciava conquistare da mille divinità diverse da quel Dio liberatore che l’aveva chiamato; e purtroppo talvolta è la nostra scelta, se cediamo alle pressioni del nemico che nelle prove ci fa perdere di vista la fine vittoriosa.

L’esempio finale che invita a chiedere, controbilancia l’essenzialità delle preghiera e invita ad insistere, pur rimanendo semplici.

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