giovedì 23 luglio 2015

Gli ultimi capitoli del libro dell’Esodo descrivono l’edificazione del tabernacolo e riprendono quelli che ne avevano descritto il progetto. Se vengono ripetuto è forse per far vedere la fedeltà dei costruttori nel seguire il modello fornito da Dio, e vogliamo soffermarci proprio sulle ultime parole che troviamo:


 di convegno, e la gloria del SIGNORE riempì il tabernacolo. 35 E Mosè non potè entrare nella tenda di convegno perché la nuvola si era posata sopra, e la gloria del SIGNORE riempiva il tabernacolo.
36 Durante tutti i loro viaggi, quando la nuvola si alzava dal tabernacolo, i figli d'Israele partivano; 37 ma se la nuvola non si alzava, non partivano fino al giorno in cui si alzava. 38 La nuvola del SIGNORE infatti stava sul tabernacolo di giorno; e di notte vi stava un fuoco visibile a tutta la casa d'Israele durante tutti i loro viaggi. (Es 40, 34-37)
  1. 1.      La gloria del Signore riempie il tabernacolo: la centralità di Dio, che è conclusione di ogni cosa
La storia dell’Esodo comincia con una grande abbondanza di presenze umane: inizialmente siamo colpiti dalla presenza dei figli di Israele, che non sono più singole famiglie, ma si presentano come popolo; questa presenza spaventa il Faraone che tenta di distruggerli e che è anch’esso una presenza umana; risalta poi il ruolo delle levatrici dissidenti, in seguito quello  di Mosè, di Aronne, di Ietro e di Sefora, via via dei vari personaggi che abbiamo incontrato. E’ normale che sia così perché nella storia di un rapporto, quello tra Dio ed il suo popolo, bisogna sapere chi sono e cosa fanno gli uomini. Tuttavia la conclusione del libro non è né un lieto fine che ci racconta come va a finire la storia della ricerca della terra promessa, né un fine tragico; la fine del libro celebra la gloria di Dio, e con questi 6 capitoli dedicati tutti alla descrizione dell’edificazione del tabernacolo le vicende umane si rarefanno e le personalità, per quanto ancora presenti, spariscono; dello stesso Mosè si parla di meno, semmai si menziona il lavoro degli artisti Betsael, e Ooliab, ma tutto si riduce per fare posto a questa presenza divina finale: la fine del libro è che la gloria del Signore riempì il tabernacolo.
La forza di questa storia è in questo. Se la guardassimo dal solo punto di vista narrativo resteremmo delusi perché non sappiamo bene come va a finire, si sa solo che i viaggi continuano. Ma dal punto di vista teologico capiamo invece che la cosa importante è che Dio sia al centro. Se l’Esodo può essere preso come metafora di tanti viaggi e di tante liberazioni che possiamo attraversare come esseri umani, possiamo dire che questi saranno tali solo se alla fine della liberazione chi è liberato ricolloca la sua vita intorno a Dio e rende grazie a Dio. Dio al centro. Dio prima e alla fine di ogni cosa. E’ l’inizio della preghiera del Padre nostro (prima richiesta: sia santificato il tuo nome), era lo slogano della chiesa primitiva (Gesù è il Signore!), fu il centro della Riforma protestante: le vicende cominciano con gli uomini, con i loro drammi, vittorie o sconfitte: ma la vera vittoria non è nei successi umani ma con la glorificazione di Dio, e la manifestazione della sua gloria. E’ possibile ed anzi probabile che qualcuno del popolo in quel momento continuasse ad “indurire il collo”, espressione frequente nell’antico testamento, ma non è questo il punto. Il punto è che la gloria di Dio venga manifestata e che gli umani prendano posizione rispetto a questa.
Nel nostro desiderio di libertà, nella nostra voglia di non essere schiavi di niente né di nessuno, chiediamoci sempre se la conclusione dei nostri Esodi è riempita di presenza divina, altrimenti è un falso Esodo.
  1. 2.      Mosè non può entrare.
Collegata a questa presenza c’è un’assenza: quella di Mosè. Viene detto che Mosè non può entrare a causa della presenza della gloria del Signore. Anche questo è interessante più teologicamente che narrativamente. Il libro dell’Esodo potrebbe essere confuso con la storia personale di Mosè, come alcuni film incoraggiano a pensare. Ma alla fine Mosè deve mettersi da parte, perché il suo ruolo è finito. Se prima entrava nella tenda di convegno, ora la gloria del Signore la occupa interamente.
Questo semplice fatto sottolinea in modo forte la limitatezza degli esseri umani. Le guide ci sono e debbono esserci, ma il rapporto con Dio deve rimanere in ultima istanza una questione personale priva di mediazioni. Una guida può indicare la strada, può illustrare il senso della fede meglio di altri, può correggere ed incoraggiare; ma non può mai sostituirsi alla fede stessa che deve essere personale. Così adesso la gloria non è più veicolata da Mosè, ma diventa l’affare di tutto il popolo.
Credo che questo debba fare riflettere molte chiese. Con facilità ci si attacca a qualche figura pastorale dandogli molta importanza. Talvolta fino a far dipendere la propria fede dall’integrità e dalla presenza di quella stessa guida. Conosco persone che dicono di aver lasciato perdere la fede perché delusi da guide infedeli. Ne conosco altre che vivono una fede apparentemente viva, ma in realtà condizionata dalla presenza di un qualche pastore che diventa un guru. Nella Bibbia, tanto nell’antico che nel nuovo testamento non c’è spazio per degli uomini speciali, per dei “santi” a cui identificarsi. La Bibbia invita di continuo a diffidare anche dei migliori uomini e a riporre la propria fede solo e soltanto in Dio. Questo restare fuori dalla tenda da parte di Mosè indica proprio questo: che nessuno di noi cerchi un sostituto a contemplare la gloria di Dio, ma che tutti liberamente in prima persona ci facciamo avanti verso di lui.
  1. 3.      Israele nelle mani di una nuvola: affidarsi completamente.
Infine un’esortazione. Israele sembra essere nelle mani di una nuvola… Se questa si muove partono, altrimenti stanno fermi. Sarebbe preoccupante se non fosse che la nuvola rappresenta, come visto sopra, la presenza di Dio. Non vorrei speculare troppo sul modo in cui questa nuvola faceva “funzionare” il popolo di Israele, ma alcuni elementi mi fanno riflettere: immagino che far spostare un popolo non sia facile, e che uno spostamento di più persone richieda decisioni, riflessioni, dibattiti. Perché ad esempio abbandonare un certo luogo di terra, dove magari c’è acqua e cibo in abbondanza per procedere verso una meta incerta? Perché non tornare in Egitto, tentazione emersa più volte nella fase precedente il Sinai?
La risposta è semplice: perché il popolo ha fatto un nuovo patto con il Signore dopo essersi pentito, ed ora è disponibile a sottostare alle decisioni di Dio. Muoversi quando si muove una nuvola non è comodo. Immaginiamo quanti, anche in una vita nomade, potevano avere delle esigenze anche molto concrete: figli malati, lavori da finire, stanchezze, progetti… Eppure una volta che la nuvola “lo dice” sono pronti a partire.
Lo spostarsi al ritmo delle nuvole divine è una chiara metafora per indicare che il popolo è pronto a spostarsi cercando il ritmo di Dio. Gesù Cristo ci ha invitato a camminare con lui, a seguire il ritmo dei suoi passi, chiamando discepoli (cioè quelli che seguono) i sui seguaci. Il Signore ci invita ad essere pronti a seguirlo quando lo decide lui e nelle direzioni da lui decise. Siamo pronti?

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