Gli ultimi capitoli del libro dell’Esodo descrivono l’edificazione del tabernacolo e riprendono quelli che ne avevano descritto il progetto. Se vengono ripetuto è forse per far vedere la fedeltà dei costruttori nel seguire il modello fornito da Dio, e vogliamo soffermarci proprio sulle ultime parole che troviamo:
di convegno, e la gloria del SIGNORE riempì il tabernacolo. 35 E Mosè non potè entrare nella tenda di convegno perché la nuvola si era posata sopra, e la gloria del SIGNORE riempiva il tabernacolo.
di convegno, e la gloria del SIGNORE riempì il tabernacolo. 35 E Mosè non potè entrare nella tenda di convegno perché la nuvola si era posata sopra, e la gloria del SIGNORE riempiva il tabernacolo.
36 Durante tutti i loro viaggi, quando la nuvola si alzava dal tabernacolo, i figli d'Israele partivano; 37 ma se la nuvola non si alzava, non partivano fino al giorno in cui si alzava. 38 La nuvola del SIGNORE infatti stava sul tabernacolo di giorno; e di notte vi stava un fuoco visibile a tutta la casa d'Israele durante tutti i loro viaggi. (Es 40, 34-37)
La forza di questa storia è in questo. Se la guardassimo dal solo punto di vista narrativo resteremmo delusi perché non sappiamo bene come va a finire, si sa solo che i viaggi continuano. Ma dal punto di vista teologico capiamo invece che la cosa importante è che Dio sia al centro. Se l’Esodo può essere preso come metafora di tanti viaggi e di tante liberazioni che possiamo attraversare come esseri umani, possiamo dire che questi saranno tali solo se alla fine della liberazione chi è liberato ricolloca la sua vita intorno a Dio e rende grazie a Dio. Dio al centro. Dio prima e alla fine di ogni cosa. E’ l’inizio della preghiera del Padre nostro (prima richiesta: sia santificato il tuo nome), era lo slogano della chiesa primitiva (Gesù è il Signore!), fu il centro della Riforma protestante: le vicende cominciano con gli uomini, con i loro drammi, vittorie o sconfitte: ma la vera vittoria non è nei successi umani ma con la glorificazione di Dio, e la manifestazione della sua gloria. E’ possibile ed anzi probabile che qualcuno del popolo in quel momento continuasse ad “indurire il collo”, espressione frequente nell’antico testamento, ma non è questo il punto. Il punto è che la gloria di Dio venga manifestata e che gli umani prendano posizione rispetto a questa.
Nel nostro desiderio di libertà, nella nostra voglia di non essere schiavi di niente né di nessuno, chiediamoci sempre se la conclusione dei nostri Esodi è riempita di presenza divina, altrimenti è un falso Esodo.
Questo semplice fatto sottolinea in modo forte la limitatezza degli esseri umani. Le guide ci sono e debbono esserci, ma il rapporto con Dio deve rimanere in ultima istanza una questione personale priva di mediazioni. Una guida può indicare la strada, può illustrare il senso della fede meglio di altri, può correggere ed incoraggiare; ma non può mai sostituirsi alla fede stessa che deve essere personale. Così adesso la gloria non è più veicolata da Mosè, ma diventa l’affare di tutto il popolo.
Credo che questo debba fare riflettere molte chiese. Con facilità ci si attacca a qualche figura pastorale dandogli molta importanza. Talvolta fino a far dipendere la propria fede dall’integrità e dalla presenza di quella stessa guida. Conosco persone che dicono di aver lasciato perdere la fede perché delusi da guide infedeli. Ne conosco altre che vivono una fede apparentemente viva, ma in realtà condizionata dalla presenza di un qualche pastore che diventa un guru. Nella Bibbia, tanto nell’antico che nel nuovo testamento non c’è spazio per degli uomini speciali, per dei “santi” a cui identificarsi. La Bibbia invita di continuo a diffidare anche dei migliori uomini e a riporre la propria fede solo e soltanto in Dio. Questo restare fuori dalla tenda da parte di Mosè indica proprio questo: che nessuno di noi cerchi un sostituto a contemplare la gloria di Dio, ma che tutti liberamente in prima persona ci facciamo avanti verso di lui.
La risposta è semplice: perché il popolo ha fatto un nuovo patto con il Signore dopo essersi pentito, ed ora è disponibile a sottostare alle decisioni di Dio. Muoversi quando si muove una nuvola non è comodo. Immaginiamo quanti, anche in una vita nomade, potevano avere delle esigenze anche molto concrete: figli malati, lavori da finire, stanchezze, progetti… Eppure una volta che la nuvola “lo dice” sono pronti a partire.
Lo spostarsi al ritmo delle nuvole divine è una chiara metafora per indicare che il popolo è pronto a spostarsi cercando il ritmo di Dio. Gesù Cristo ci ha invitato a camminare con lui, a seguire il ritmo dei suoi passi, chiamando discepoli (cioè quelli che seguono) i sui seguaci. Il Signore ci invita ad essere pronti a seguirlo quando lo decide lui e nelle direzioni da lui decise. Siamo pronti?
- 1. La gloria del Signore riempie il tabernacolo: la centralità di Dio, che è conclusione di ogni cosa
La forza di questa storia è in questo. Se la guardassimo dal solo punto di vista narrativo resteremmo delusi perché non sappiamo bene come va a finire, si sa solo che i viaggi continuano. Ma dal punto di vista teologico capiamo invece che la cosa importante è che Dio sia al centro. Se l’Esodo può essere preso come metafora di tanti viaggi e di tante liberazioni che possiamo attraversare come esseri umani, possiamo dire che questi saranno tali solo se alla fine della liberazione chi è liberato ricolloca la sua vita intorno a Dio e rende grazie a Dio. Dio al centro. Dio prima e alla fine di ogni cosa. E’ l’inizio della preghiera del Padre nostro (prima richiesta: sia santificato il tuo nome), era lo slogano della chiesa primitiva (Gesù è il Signore!), fu il centro della Riforma protestante: le vicende cominciano con gli uomini, con i loro drammi, vittorie o sconfitte: ma la vera vittoria non è nei successi umani ma con la glorificazione di Dio, e la manifestazione della sua gloria. E’ possibile ed anzi probabile che qualcuno del popolo in quel momento continuasse ad “indurire il collo”, espressione frequente nell’antico testamento, ma non è questo il punto. Il punto è che la gloria di Dio venga manifestata e che gli umani prendano posizione rispetto a questa.
Nel nostro desiderio di libertà, nella nostra voglia di non essere schiavi di niente né di nessuno, chiediamoci sempre se la conclusione dei nostri Esodi è riempita di presenza divina, altrimenti è un falso Esodo.
- 2. Mosè non può entrare.
Questo semplice fatto sottolinea in modo forte la limitatezza degli esseri umani. Le guide ci sono e debbono esserci, ma il rapporto con Dio deve rimanere in ultima istanza una questione personale priva di mediazioni. Una guida può indicare la strada, può illustrare il senso della fede meglio di altri, può correggere ed incoraggiare; ma non può mai sostituirsi alla fede stessa che deve essere personale. Così adesso la gloria non è più veicolata da Mosè, ma diventa l’affare di tutto il popolo.
Credo che questo debba fare riflettere molte chiese. Con facilità ci si attacca a qualche figura pastorale dandogli molta importanza. Talvolta fino a far dipendere la propria fede dall’integrità e dalla presenza di quella stessa guida. Conosco persone che dicono di aver lasciato perdere la fede perché delusi da guide infedeli. Ne conosco altre che vivono una fede apparentemente viva, ma in realtà condizionata dalla presenza di un qualche pastore che diventa un guru. Nella Bibbia, tanto nell’antico che nel nuovo testamento non c’è spazio per degli uomini speciali, per dei “santi” a cui identificarsi. La Bibbia invita di continuo a diffidare anche dei migliori uomini e a riporre la propria fede solo e soltanto in Dio. Questo restare fuori dalla tenda da parte di Mosè indica proprio questo: che nessuno di noi cerchi un sostituto a contemplare la gloria di Dio, ma che tutti liberamente in prima persona ci facciamo avanti verso di lui.
- 3. Israele nelle mani di una nuvola: affidarsi completamente.
La risposta è semplice: perché il popolo ha fatto un nuovo patto con il Signore dopo essersi pentito, ed ora è disponibile a sottostare alle decisioni di Dio. Muoversi quando si muove una nuvola non è comodo. Immaginiamo quanti, anche in una vita nomade, potevano avere delle esigenze anche molto concrete: figli malati, lavori da finire, stanchezze, progetti… Eppure una volta che la nuvola “lo dice” sono pronti a partire.
Lo spostarsi al ritmo delle nuvole divine è una chiara metafora per indicare che il popolo è pronto a spostarsi cercando il ritmo di Dio. Gesù Cristo ci ha invitato a camminare con lui, a seguire il ritmo dei suoi passi, chiamando discepoli (cioè quelli che seguono) i sui seguaci. Il Signore ci invita ad essere pronti a seguirlo quando lo decide lui e nelle direzioni da lui decise. Siamo pronti?
Nessun commento:
Posta un commento